I quarantenni-e
– qualcosa: la generazione senza figli. Non è l’Apocalisse, ovviamente, perché
da un punto di vista esistenziale una persona e una coppia sono piene e
complete, io credo, anche senza riprodursi.
Mi guardo
intorno e semplicemente osservo il cambiamento epocale, certificato anche
dall’Istat, che ancora una volta ci ricorda che
la Sardegna è una regione a crescita zero (gli eventuali saldi
positivi sono dati dagli stranieri). Personalmente conosco più persone e
frequento amici o amiche senza figli, tranne qualche rara eccezione con
ragazzini adolescenti.
L’impressione è
che si stia saltando completamente un giro, e che anche una coppia senza
bambini sia (finalmente, aggiungerei) considerata una delle varianti della
normalità. Le motivazioni di una scelta della vita così fondamentale sono
molteplici. Troppo lungo addentrarvisi, più interessante osservare le
conseguenze sociali e culturali del fenomeno, non ultima una crescente
intolleranza verso il mondo dell’infanzia, proprio perché avere o entrare in
contatto con i bambini non è considerato più un passaggio obbligato della vita.
L’Italia, e in
particolare la Sardegna, sono dunque dei territori in cui non si fanno più
figli, da parecchio tempo. L’isola in particolare ha una consolidata
“tradizione” di uso diffuso dei contraccettivi orali rispetto al Meridione e
poi, eventualmente, di genitorialità “attempata”, cioè dopo i 35 anni; negli
anni Settanta la parola era utilizzata per le donne che affrontavano la prima
gravidanza intorno ai 28 anni. Per dire.
Negli anni
Settanta però c’era anche un diverso atteggiamento di genitori e figli verso il
futuro. Non so se migliore o peggiore, magari perché più ingenuo e poco
profetico.
Non mi sento di
criticare quei genitori, oggi come tramortiti nel constatare che l’ascensore
sociale che li ha in qualche modo sorretti si è tragicamente inceppato per noi.
Pensare che le cose andranno sicuramente bene è un peccato mortale? Ci
sono famosi brand commerciali che hanno costruito le loro fortune sul motto “impossibile
is nothing” e palle varie, giusto? Scopriamo invece che non tutto è
possibile, e per cause indipendenti dalla nostra volontà. Questo giustifica la
nostra rassegnazione? Ovviamente no, ma può motivare la nostra incapacità – o
la precisa scelta- di non impegnarsi su cose che vadano oltre il momento
presente.
Prima
o poi il meccanismo si incrinerà, quando il welfare domestico non sarà più
sufficiente a tappare le falle lavorative, previdenziali, se vuoi anche
esistenziali di almeno due generazioni (dai 50 enni di oggi ai trentenni, più o
meno). Ma questa è un’altra storia.
I nostri
genitori ci hanno avuti mediamente presto, erano già mediamente
“sistemati”, e se volevano un figlio o anche due o tre questo era considerato
socialmente logico, a prescindere dal loro grado di sicurezza. Perché un lavoro
di solitoce l’avevano, anche se, ovviamente, mica tutti erano dipendenti
a tempo indeterminato o roba simile.
Eppure. Eppure
i figli li facevano, come li avevano fatti prima i nostri nonni (loro sì spesso
poveri, ma con speranza e volontà di riscatto a quintali. E con un mercato del
lavoro abbastanza “vergine”).
Poiché io non
credo minimamente alla retorica banale e stereotipata del “oggi non hanno
voglia di lavorare”, “oggi sono tutti egoisti” e compagnia cantante,
mi interrogo un po’ più a fondo su questa mia generazione, condannata – spesso
senza desiderarlo- a una specie di eterna giovinezza (attempata anche questa,
però, perché giovani lo si è fino ai 25 anni, esagerando).
La scarsa
propensione a fare figli è un guaio, una colpa, o peggio ancora una
manifestazione di egoismo (questa, in particolare non l’ho mai capita)? E’un problema?
Il problema,
semmai, è la costante sensazione che le opportunità siano finite.
Questo, mi
sembra, non è accaduto alle generazioni precedenti, perlomeno non in maniera
così pervasiva, come fosse una “depressione” di massa. Come fosse, anche, una
rassegnazione di massa. E la rassegnazione, si sa, spesso genera mostri: a
livello politico, la consueta divaricazione fra un moderatismo furbetto e
l’acuirsi degli estremismi, la pericolosa ricerca di figure forti e
carismatiche che sembrano, più che essere (e in questo i nuovi media
sono un formidabile aiuto per le nullità).
A livello
sociale, la tendenza alla disgregazione piuttosto che all’unità (dei
lavoratori, dei disoccupati, sui diritti civili ecc.). E certamente, su larga
scala, il prossimo futuro ci presenterà un conto salato per un Paese in cui da
tempo gli over 65 hanno superato gli under 14. Nelle scelte e nei destini di
ognuno/a, fare un bambino non è più scontato, necessario, dovuto alla comunità
di riferimento. Va bene così, fatti salvi i casi in cui i desideri non
collimano con le possibilità (ma anche questa è un’altra storia. Un’altra volta
magari).
Ma resta il
fatto che si tratta, semplicemente, dell’evoluzione dei tempi, un profondo
cambiamento forse irreversibile, perlomeno in un Paese vecchio (e non solo
anagraficamente) come il nostro, che nulla fa per sostenere gli impulsi vitali
e innovativi – in ogni senso, anche a livello individuale- a discapito della
conservazione dello status quo; è questo che è toccato alla nostra generazione,
e su questi temi dovremmo confrontarci più spesso.
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