Stamattina mi sono imbattuto nell’intervista ai familiari dell’ennesimo
imprenditore morto suicida per debiti. Si chiamava Giuseppe e gli hanno tolto
la casa per venderla all’asta. Una notizia a cui ahimè le nostre orecchie si
sono abituate sino all’anestesia totale. I protagonisti sono sempre gli stessi:
un imprenditore che si indebita, la sua banca, i falsi amici e Equitalia. I
debiti diventano sempre più pesanti, non c’è via di fuga e la morsa si stringe.
La lotta è impari. La banca si ritira e prima specula sul problema; i “falsi
amici” affossano un uomo già in confusione, non gli pagano più il dovuto, ne
approfittano; e poi Equitalia di cui non sarà mai abbastanza ciò che si è detto
e quello che si dirà: un taglieggiatore per conto dello Stato la cui vera
responsabilità si capirà soltanto quando si tireranno i conti, definitivamente.
Uno Stato da cui tutti, prima o poi, ci dobbiamo difendere.
Ma questa volta la mia attenzione è attratta solo dall’aspetto umano. Il figlio di Giuseppe è un ragazzo magro, indossa una t-shirt e ha la barba, una faccia da brava persona. Parla del padre e della madre, di una vicenda talmente banale da risultare anche questa volta agghiacciante. Ha gli occhi onesti, ma è solo la mia sensazione. Perché la cosa più brutta di questi tempi orribili che stiamo vivendo, tempi in cui le persone si ammazzano per colpa dello Stato, è quello che il Sistema è riuscito ad ottenere: è riuscito a renderci diffidenti, infidi, farci giudici e aguzzini del nostro vicino di casa, compagno di lavoro, del nostro concorrente, della persona che abbiamo affianco. “Chissà cosa avrà fatto però…” – “Sicuramente avrà evaso il fisco…se lo merita”.
Svanita da tempo la sicumera di qualcuno che diceva – a me non può capitare
– seppellita dalla statistica. Non siamo nemmeno vicini alle strategie
machiavelliche di governatori astuti e lungimiranti, siamo alla macelleria
sociale che affonda le fauci nella disperazione, nel sangue. Una massa di
formichine cariche di debiti e di incertezze per il futuro, che si azzuffano
tra loro anziché concentrarsi e guardare in alto, verso il vero male da
combattere. Facile così.
Non rimane più nemmeno la pietà umana, ci hanno messi l’uno contro l’altro, per denunciarci, spiarci vicendevolmente, accusarci e farci vivere nel panico, mentre fanno man bassa dei pochi averi che ancora ci avanzano. Ricordo, mi ricordo e non dimentico, un’ignobile campagna dell’Agenzia delle Entrate che incitava a trasformarsi in spie, come i peggiori regimi totalitari: se sai, parla! Più o meno recitava così. Che schifo.
Era solo la sua casa, la aveva costruita con le sue mani e ci abitava con la famiglia. Il figlio di Giuseppe trattiene le lacrime con dignità e parla di una storia di tutti i giorni, priva di sensazionalismo o di volontà di esibire un dolore per muovere a compassione o giustificarsi.
È solo l’ennesimo cadavere da iscrivere nelle liste della Ragion di
Stato.
Si capirà un giorno quanta responsabilità c’è e chi dovrà pagare per tutto questo dolore, che non si consuma nell’attimo in cui qualcuno decide di compiere un atto estremo, ma molto prima, di notti insonni, di vergogna, di paura che si trasforma in panico, di disperazione che leggi nelle persone di cui non riesci più a prenderti cura. È una responsabilità condivisa dal primo dei funzionari di questo Sistema malato fino all’ultimo degli impiegati allo sportello.
Si capirà un giorno quanta responsabilità c’è e chi dovrà pagare per tutto questo dolore, che non si consuma nell’attimo in cui qualcuno decide di compiere un atto estremo, ma molto prima, di notti insonni, di vergogna, di paura che si trasforma in panico, di disperazione che leggi nelle persone di cui non riesci più a prenderti cura. È una responsabilità condivisa dal primo dei funzionari di questo Sistema malato fino all’ultimo degli impiegati allo sportello.
Mi viene in mente allora un passo del Vangelo di Matteo (10,16):
- Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.
Alex Deplano.
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