Certo, la renziana “Carta del lavoro” non sta dando buona prova di sé,
né del resto poteva darla. Ha però fornito il pretesto alle opposte fazioni per
accapigliarsi sui numeri, discutere animosamente di cifre, tabelle, grafici,
quanti tempi indeterminati là e quanti voucher lì; ma mai che si spenda una
parola su una verità tanto elementare quanto imbarazzante: che una società
basata sull’astrazione irrazionale “lavoro” sviluppa necessariamente una
tendenza all’apartheid.
Tutte le frazioni del “campo del
lavoro”, che comprende i principali sindacati e pressoché tutti i partiti – o
quel che ne resta - hanno da tempo accettato silenziosamente questa logica; e
danno man forte. Non mettono più in discussione se settori della popolazione
sempre più ampi debbano essere spinti ai margini ed esclusi da ogni
partecipazione alla vita sociale, ma soltanto come questa selezione debba essere
imposta e amministrata.
Si è persino trovato un nome: politiche
attive per il lavoro. D’altro canto anche (soprattutto) sulle questione del
“lavoro”, o per meglio dire del mercato del lavoro, così come per i più
disparati ambiti dell’esistenza sociale, ci si vede quotidianamente “costretti”
(perché tutti teniamo famiglia!) a trovare una giustificazione a questioni
manifestamente ingiustificabili.
Meglio non sforzarsi troppo col
pensiero e seguire le “comodità” del piatto discorso spettacolare, replicato in
ogni ambito come l’unico verbo possibile e plausibile. In tempi così spregevoli
e troppo poco sensati, deve essere questa l’unica vera specializzazione che
conta, e che in ultima istanza rappresenta il senso ultimo e più profondo del
“far carriera”: non capire, ma molto più banalmente “giustificare”.
Luca Pusceddu.
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