LA NUOVA
SASSARI
Una giornata di full immersion nell’isola per il sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti. Lui che in Sardegna è di casa,
da sempre trascorre le sue vacanze in Gallura, porta le ragioni del sì
al referendum, ma non si nasconde davanti alle emergenze dell’isola.
Il fulcro della riforma è la fine del bicameralismo perfetto.
Quali vantaggi avrà il Paese? E la Sardegna? «Dietro alla
definizione “bicameralismo perfetto” - che può sembrare tecnica - c’è una
cosa molto concreta: oggi, una legge per essere approvata può
impiegare anni, fino a che Camera e Senato non hanno dato l’ok allo
stesso testo, identico, virgola per virgola. O modificato in un
rimpallo infinito. Questo ping pong aiuta a non decidere, a non cambiare.
Il Senato con la riforma non scompare, avrà una funzione
diversa, fondamentale: fare da raccordo tra Stato e Regioni. Questo sarà
molto importante per Regioni come la Sardegna. La riforma lascia intatte
le competenze delle Regioni a statuto speciale, grazie alla clausola
di salvaguardia della specialità che dispone la non applicazione
delle modifiche fino alla revisione degli statuti. L’opportunità
maggiore per le Regioni a Statuto Speciale è la riscrittura della
propria Costituzione senza il timore di perdere le proprie competenze».
I detrattori della riforma parlano di un Senato elettivo sostituito
da un Senato di nominati. Cosa c'è di vero in questa affermazione?
«Un bel niente. I senatori saranno scelti all’interno dei consiglieri regionali,
che vengono eletti e votati con le preferenze». In Sardegna gli
indipendentisti sono compatti sul No perché sarebbe a rischio l'autonomia
della Regione. Hanno ragione? «Rispetto le posizioni
degli indipendentisti, ma non vedo come possa essere messa a
rischio l’autonomia della Sardegna o di qualsiasi altra Regione.
E l’iniziativa di oggi a Sassari darà risposte concrete anche su
questo punto». In Sardegna il Pd è tormentato da una lotta tra le sue
diverse anime. Un disaccordo tanto profondo che è stato necessario inviare
un garante da Roma. Teme che questa spaccatura possa pesare
sugli equilibri della maggioranza che guida la Regione e anche
sull’esito del referendum? «Conosco la situazione del Pd sardo. È un
partito vero, vivo, partecipato, pieno di persone di grande spessore e
di grande valore. Sono sicuro che, anche con l’aiuto del garante, si
riuscirà presto a ritrovare l’equilibrio. Ma quello che e’
più importante è che ci sia un lavoro, unitario, per il Sì». Nell’isola
il tasso di disoccupazione giovanile supera il 56 per cento. È tra
le prime dieci regioni d’Europa. Cosa intende fare il governo?
«La disoccupazione giovanile è un problema serio, in Sardegna
come, purtroppo anche altrove, soprattutto nelle regioni del Sud Italia.
Noi la stiamo contrastando con strumenti concreti: il jobs
act, soprattutto, insieme agli incentivi per le assunzioni a
tempo indeterminato e agli sgravi fiscali alle imprese. Vogliamo però
fare di più: vogliamo che l’Italia, e anche la Sardegna, tornino a essere un’attrazione
per chi vuole investire. Per fare questo serve costruire un Paese più
forte e più stabile. Con la Riforma costituzionale abbiamo una grande
occasione. In ogni caso, gli interventi del Governo, da questo punto di
vista, hanno già generato un miglioramento dell'occupazione, anche
nell'isola.
Si pensi al programma Garanzia Giovani, su cui il Governo ha investito
oltre un miliardo di euro, che in Sardegna ha preso in carico più di
30mila giovani. L’ultimo report della Commissione Europea risale a pochi
giorni fa e ci dice, dati alla mano, che ha rappresentato un’opportunità
per gli iscritti al
programma. Si tratta di un approccio innovativo che va
reso strutturale nel tempo». Il Patto per la Sardegna è stato siglato
poche settimane fa. Quali saranno i primi interventi del governo che
saranno attuati? «Il patto vale complessivamente 3 Miliardi. Sugli
interventi sarà il governo della Regione a definire la priorità di
realizzazione. Per la mobilità sono disponibili 625 milioni fra ferrovie e
strade, a cui si aggiungono i 120 milioni della continuità territoriale
aerea; 400 milioni finanzieranno la metanizzazione nell’isola, più le
risorse per i collegamenti dei bacini e la distribuzione del gas naturale
a condizioni analoghe alle altre Regioni; 195 milioni sono
destinati alle infrastrutture sanitarie, 140 a Scuola e Università, 285
al sistema idrico, 180 ad ambiente, bonifiche e dissesto idrogeologico,292
milioni allo sviluppo economico e produttivo, 50 a turismo e cultura, 45
agli mammortizzatori sociali». La Sardegna è vittima di un fenomeno che
rischia di farla sparire. Un fenomeno doppio: lo spopolamento delle zone
interne dell’isola e la fuga dei giovani fuori dall’isola alla ricerca di
un lavoro. Il governo fino a oggi non ha messo in campo nessuna pratica
per contrastare questo fenomeno. «Non sono d’accordo. Tutti gli
investimenti fatti in Sardegna, ogni euro che viene speso per quest’isola
va in questa direzione. I 3 miliardi del patto servono a creare lavoro,
infrastrutture, ricerca: cioè le condizioni per lo sviluppo della
Sardegna. Ma entriamo nello specifico. Per quanto riguarda le zone
interne, nel Patto per la Sardegna abbiamo concordato per la prima volta
un intervento di 150 milioni per contrastare il fenomeno dello spopolamento.
È un lavoro nel quale è essenziale il ruolo delle comunità locali che
avranno risorse per programmare il loro futuro. Questo senza contare
le centinaia di milioni che dedicheremo al rafforzamento
strutturale delle scuole ed al miglioramento della viabilità interna. Va
anche detto che occorre incoraggiare e accompagnare alcune tendenze,
come quella che pone l'isola al secondo posto in Italia per la mole
di investimenti ricevuti nel settore delle imprese innovative e dellestart
up». Torniamo sul referendum: in caso di sconfitta al referendum
cosa potrebbe succedere il 5 dicembre? «La cosa peggiore: nulla. Chetutto
rimanga come prima, che si perda una clamorosa occasione di cambiamento e
di sviluppo per il paese». (l.roj)
Unione Sarda
Lotti e Pigliaru oggi a Sassari a
sostegno del Sì
A poco più di un mese e mezzo dal
referendum costituzionale, si scaldano i motori e si
moltiplicano gli appuntamenti per la grande campagna. Oggi a Sassari ci sarà
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti.
Appuntamento alle 18 alla Camera di commercio, in via Roma 74, per un
incontro promosso dal Comitato per il Sì di Sassari, al quale
parteciperanno anche il presidente della Regione Francesco Pigliaru, il
presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, Carla Bassu,
docente di diritto pubblico comparato. Giovanna Sanna e Giuseppe Luigi
Cucca, deputata e senatore Pd, approfondiranno le ragioni del
voto favorevole in sede parlamentare. Ci saranno, inoltre, Giampiero
Cordedda, segretario provinciale del Pd e Gianluca Giordo, presidente del
Comitato per il Sì di Sassari. Conclusioni a cura del
sottosegretario Lotti. Domani, sempre a Sassari, alle
17, nel Palazzo della Provincia in piazza d'Italia, si terrà uincontro-dibattito sul tema “Le ragioni del no”, illustrate da Omar
Chessa, ordinario di dirittocostituzionale.
L'iniziativa è
dell'Anpi di Sassari. Domani a Cagliari, alle 18.30
alla Fondazione Berlinguer (via Emilia 59) ci sarà un incontro
organizzato dal partito Possibile in collaborazione con il comitato
Domani l'Anpi di Cagliari, in collaborazione con La Cernita
Teatro di Carbonia organizza nell'Hostel Marina (scalette San Sepolcro,
ore 20.30) lo spettacolo “Ventuno” Storie di migrazione tra ieri e
oggi, di e con Monica Porcedda, inserito all'interno della
campagna referendaria del Comitato per il No.
Ancora domani, alle 18 a Olbia al
Centro convegni Blue Marine, ci sarà un incontro a sostegno del Sì
organizzato dall'Associazione Sardegna Europa, con Renato Soru, i
deputati Pd Francesco Sanna e Giampiero Scanu, il presidente dei senatori
Pd Luigi Zanda.
Unione Sarda
Cambio al vertice
dell'associazione dopo l'addio di Fabio Meloni, chiamato a Roma Marras lancia la nuova era Acli:
«Da noi si fa pratica di solidarietà»
«Credo sia tornato il tempo di
fare percorsi di alfabetizzazione al senso civico, di ricostruire
luoghi di partecipazione e di formazione della coscienza critica, di
educare alla politica, intesa nel senso dell'attenzione reale e della
solidarietà verso chi ha bisogno», dice il neo presidente regionale delle
Acli, Franco Marras - eletto nei giorni scorsi a Oristano dal
Consiglio regionale dell'Associazione - che prende il posto di Fabio
Meloni, primo sardo dopo diversi decenni chiamato nell'ufficio di
presidenza nazionale. CHI È Cinquantacinque anni,
componente dell'assemblea regionale del Pd, capo di gabinetto
dell'assessorato dei Trasporti, ha lavorato per 25 anni nella formazione
professionale, «fino a quando Soru ci ha rottamato, e non mi stanco di
ripetere che da allora la dispersione scolastica è aumentata e gli
iscritti all'università sono diminuiti, segno che il problema non era
certo la formazione». Poi dipendente regionale (attualmente in
aspettativa), Marras milita nelle Acli
(Associazioni cristiane
lavoratori italiani) dal 1983 e racconta di «bellissimi ricordi».
LA MILITANZA «Cominciai con
l'organizzazione di una fiaccolata per la pace a Cagliari, poi partecipai a
un campeggio a Comiso contro la base Nato, mi sono occupato dei
giovani e di mettere in piedi un servizio per l'orientamento al lavoro.
Ancora, un'esperienza elettrizzante: insieme con quattro amici (Gabor
Pinna, allora segretario dei giovani comunisti, Gianni Ruggeri dei
sardisti, Enrico Euli del movimento ecologista e Mimmo Melis dei
giovani socialisti) raccogliemmo le firme per un referendum contro la base
americana alla Maddalena, poi il governo nazionale decretò che
quella non era materia da referendum, non si votò dunque, ma la
campagna e il veto di Roma ci fece sentire comunque molto orgogliosi». Aggiunge:
«Su questi temi non ho cambiato idea».
GLI OBIETTIVI Marras ha assunto
l'incarico pensando soprattutto al suo successore. «Lo faccio con grande
entusiasmo, intendiamoci, ma in due
anni vorrei che si formasse un
nuovo presidente, giovane, che rappresenti con autorevolezza il
gruppo dirigente che ha un'età media bassa».
IL PROGRAMMA «Le Acli devono
essere un'organizzazione “prepolitica”, il luogo dove si impara e si
insegna a occuparsi dell'altro, ad accorgerci che spesso è chi ci
sta accanto ad aver bisogno di aiuto e sostegno. Mi piacerebbe che si
ritagliassero un ruolo che oggi non hanno più i partiti e i
sindacati. Non da sole, perché l'autoreferenzialità è un male,
ma assieme a tutto quello che di positivo c'è nell'Isola,
l'associazionismo cattolico e civile, i piccoli movimenti. Vorrei
contribuire a creare un circuito virtuoso di collaborazione che sia un punto
di riferimento costante per i cittadini istituzioni e
arricchisca la crescita sociale».
Cristina Cossu
La nuova.
l’intervista - Cuperlo: «Il nostro
Pd vive momenti difficili»
Per l’ufficialità bisognerà
aspettare qualche giorno e la nota della Cassazione, ma pare certo che il
referendum per abrogare 4 norme della legge 107, la cosiddetta «Buona
Scuola», non ci sarà. Lo ha comunicato al Comitato referendario il
tribunale supremo dopo aver constatato che per i quesiti sono state raccolte
poco meno delle 500.000 firme valide. E poche migliaia di firme in
meno non consentono di giungere
alla prova referendaria. Il mancato
raggiungimento del tetto minimo arriva a sorpresa perché fino a
pochi giorni fa i promotori hanno sempre ribadito che le firme avevano
superato il mezzo milione.di Maria Berlinguer wROMA «Sono
soddisfazioni, lo scriverò nel mio curriculum insieme ai 38 giorni in
cui sono stato presidente del Pd, scherzi a parte credo che il
tentativo vada fatto al netto di tutte le cautele legittime e anzi ovvie per
come sono andate le cose in questi ultimi mesi». Gianni Cuperlo è il
dirigente scelto dalla sinistra del Pd come rappresentante nella
commissione che ha il compito di rivedere l’Italicum condizione posta dalla
minoranza per votare Sì al
Referendum, costituzionale. Ed
evitare gli effetti che il «combinato disposto», la definizione è di
Bersani, tra legge elettorale e monocameralismo potrebbero avere
sull’assetto democratico. All’ultima direzione ha messo sul tavolo anche
le sue dimissioni da deputato, nel caso dovesse votare No. Conferma? «E
un fatto di coerenza al quale non dò peso. Di fronte a una spaccatura
le mie dimissioni sono l’ultimo dei problemi, Ne sono consapevole»..
Davvero pensa che questa commissione presieduta da Guerini e
della quale lei fa parte riuscirà a produrre una nuova legge
elettorale prima del 4 dicembre? «No. Non è quello che mi aspetto. E certamente
non auspicherei che il Pd mettesse la fiducia, come ha fatto
sull’Italicum che io non ho votato. Si tratta di capire però se davvero c’è
la volontà di cambiare l’Italicum. Oggi con le crisi delle
democrazie il problema è quello della rappresentanza. Renzi non può
continuare a dire che l’Italicum è una buona legge ma se il Parlamento
ha una proposta sono disposto a cambiarlo. Il Pd deve definire con
chiarezza i capisaldi e i principi della nuova legge elettorale, perchè
quello che è in gioco non è un tecnicismo ma un problema di
rappresentanza». Bersani però resta scettico. Una commssione non si nega
a nessuno, dice. Ci sono ancora margini per evitare la spaccatura al
referendum del Pd? «Il mio impegno per evitare rotture
drammatiche sarà totale, spero ci sia la stessa volontà politica e lo stesso
impegnoche è stato messo sull’Italicum da parte di Renzi». Ma
a Raitre il segretario premier in
tv non è sembrato affatto
preoccupato dalla rottura interna. Se la minoranza non si fida voti no, ha
detto. La minoranza dice che non ci sarà alcuna scissione. A furia di
strappi non sarà inevitabile arrivarci? «Non mi è piaciuto
affatto l’atteggiamento di Renzi in tv.
So bene anche io che l’assillo degli
italiani non è nè la legge elettorale nè la riforma della
Costituzione ma la situazione economica, il lavoro dei figli, i
soldi che non bastano mai. Di questo ci dovremmo occupare, minoranza e
maggioranza. Ma l’assetto democratico non è affatto
secondario, riguarda la rappresentanza dei cittadini. Non la minoranza del Pd.
E le nostre preoccupazioni sono quelle di una larga fetta del nostro
elettorato che ci segue con sospetto e in qualche caso ci ha
abbandonato». Colpa di Renzi? «Il
compito di un leader, di un capo
politico, è quello di tenere unita la sua gente, di saper trovare la
ragioni di sintesi. La nostra comunità oggi invece vive tempi difficili».
Bersani dice mi devono cacciare con l’esercito, noi restiamo è casa
nostra. Esclude scissioni anche lei? «Non è dietro l’angolo ma dobbiamo
lavorare seriamente a una ricomposizione».
-----------------
Federico Marini
skype: federico1970ca
Nessun commento:
Posta un commento