Il più agguerrito
di tutti era Mario l’elettricista.
Insultava Veltroni senza soluzione di continuità, e alle sue imprecazioni
seguivano una serie interminabile d’applausi. Piras lo guardava incuriosito,
forse domandandosi da quale maledetto tugurio fosse sbucato quel topo di
fogna... Del resto, non poteva conoscere i segreti del caro Mario. Tutti lo
conoscevano col nomignolo de “l'
elettricista”, ma in realtà elettricista non lo era affatto. Forse
sapeva fare qualche lavoretto negli impianti elettrici, ma Mario non aveva mai
acquisito una professionalità determinata, e da anni non aveva nemmeno uno
straccio d'occupazione.
Era un disoccupato cronico, uno dei tanti, ma sopratutto era un
alcolizzato cronico, al secolo un ubriacone, e la cosa ai più poteva anche
apparire preoccupante. Beveva come una spugna sino al totale disconoscimento di
se stesso, e la cosa capitava con una precisa ragolarità scandida da date ed
orari precisi.
Ricordo perfettamente il giorno in cui lo conobbi. Avevamo
organizzato una riunione all’associazione per discutere dell’aumento delle
tasse voluto dal Rettore e dal resto della ciurmaglia finanziaria. La
discussione era ben avviata, non eravamo in molti ma c’era comunque otto o nove
disgraziati e per i tempi poteva bastare.
Alessandra mi aveva chiesto di coordinare la riunione, quindi
ero stato io ad introdurre, ero stato io a dare e ridare la parola, ero stato
io a moderare ed infine sarei stato io a concludere la discussione con un breve
riassunto di tutto quel marasma di questioni.
Mentre mi trovavo nel mezzo delle mie insipide conclusioni,
dalla porta biombò di corsa Mario l’elettricista,
che cadde rovinosamente su alcuni pannelli in cui erano state sistemate le foto
di Carletto. Alcuni l’aiutarono immediatamente a rialzarsi (io no, rimasto
folgorato dall'evento), ma a lui sembrava importare soltanto del grande
bottiglione di vino nero che l'aveva accompagnato fedele. Non appena sollevato
alzò lo stesso bottiglione verso l’alto, in un gesto collocato tra un’ulteriore
azione di salvataggio ed una benedizione al cielo per quella che poteva essere
considerata la sua salvezza, l’unica medicina benefica in grado di rafforzarlo,
la sua poesia, la sua redenzione, la sua ultima e disperata canzone...
Come me Alessandra s'era tramutata in una statua di cera, ma
prima di farlo aveva esclamato "cazzo", come sua abitudine.
Quell'entrata ci aveva letteralmente immobilizzato mentre altri, come lo stesso
Carletto, sembravano più avezzi a "codesti" comportamenti, ed in
qualche modo cercavano di fermarlo, o quantomeno calmarlo. Tuttavia, e soltanto
dopo qualche secondo, l’elettricista
vide sulla sua maglietta azzurrina alcune gocce di vino, e fu in quel preciso
istante che sprofondò in un clima d'esaltazione mistica. Posò il bottiglione
per terra, si inginocchiò, e con le braccia aperte cominciò ad urlare che
quello non era affatto vino, ma il sacro sangue della Madonna.
“SU
SAMBINI DE SA MAMMA E DEU” gridava a squarciagola, con un urlo
agghicciante, angosciante, straziante, un urlo che non avevo mai udito prima
d'allora. Quell'urlo fu come una scarica elettrica, e non appena terminò tirai
un sospiro di sollievo, nonostante l'atmosfera stesse lentamente acquisendo un
pizzico di misticismo orientale spruzzato da un cristianesimo visionario stile
Fatima.
Nell’associazione
questi eventi erano la norma, ma questo mi stupì in maniera
particolare. Soltanto in seguito seppi la storia di Mario, grazie ad un
bizzarro anarchico che lo conosceva dai tempi delle scuole medie. Un tempo
Mario era stata una persona che viveva alla luce del sole, ma alcuni eventi
negativi lo catapultarono senza possibilità di resistenza nell'immensa cerchia
degli ultimi della
terra. La sua vita era stata particolarmente dura, ed aveva
lavorato come uno schiavo in tutto il mondo (aveva fatto diversi lavori,
dall'idraulico all'elettricista, dal cuoco al magazziniere, dall'operaio al
bracciante agricolo...)
In una Provincia turca ai margini della nazione conobbe sua
moglie, da cui ebbe un figlio che ben presto divenne la sua unica ragione di
vita. Un bel giorno la turca decise d'abbandonarlo di punto in bianco,
portandogli via il bambino senza pensarci più di tanto. S’era innamorata d'un
altro uomo, un mozzo di cambusa sovietico che le aveva giurato eterna fedeltà
(e felicità compresa nel prezzo).
Mario non riuscì a superare il trauma, e gli alcolici divennero
la salvezza, l’unica via che poteva dargli un briciolo di speranza. Lentamente
la sua esistenza scivolò in un baratro, smise di lavorare, di lavarsi, smise di
fare tutto. Pochi giorni prima dell’arresto Mario viveva in un tugurio di
Mulinu Becciu, in cui un cane bastardo gli rubava i pochi pasti ed i topi gli
rosicchivano il cuscino. Talvolta potevi incontrarlo alle cene che
l’associazione organizzava il Sabato sera, potevi scambiare con lui un dialogo
che non aveva nè capo nè coda (l'intervento all'assemblea risale a questo
periodo), dialoghi assurdi, senza logica, che non dicevano un benemerito
niente. Poi lo persi di vista.
Dopo qualche mese, mentre guardavo il telegiornale locale, una
notizia mi fece sobbalzare dalla poltrona. Il giornalista parlò di un omicidio
in Via S., proprio dinanzi alla sede che eravamo soliti frequentare. Conoscevo
numerose persone che bazzicavano tra quelle quattro mura, ed attesi preoccupato
che si facesse il nome della vittima. Mentre il cameramen inquadrava quei marciapiedi
semidistrutti che conoscevo alla perfezione, mostrò una grande macchia di
sangue sul selciato, e tra gli oggetti rimasti per terra notai una catenina
d’oro con la foto d'un Santo dallo sguardo stralunato. Allora compresi tutto,
conoscevo bene quella catenina (nei suoi momenti d'esaltazione, Mario
utilizzava quell'icona per potenziare le sue maledizioni). Telefonai a Carlo
per avere una conferma, e lui me la diede, raccontandomi l’accaduto con un
dispiacere immenso.
Era stata una rissa tra alcolizzati a causare la morte de l'elettricista,
un accoltellamento avvenuto per cause assolutamente futili. Insomma, uno di
quei classici eventi che non hanno alcuna umana motivazione, nessuna
spiegazione, nessuna risposta. Del resto, conoscevo personalmente anche
l’accoltellatore, ed anche lui era un vittima, una vittima come tutti noi,
forse anche in misura maggiore (cosa per altro affatto semplice...). Negli
ambienti in cui regna sovrana la miseria talvolta dominano anche l’alcool e le
droghe, che mischiate alla disperazione giornaliera formano un cocktail
devastante.
La vicenda di Mario è una storia triste, che m'impressionò,
anzi, mi sconvolse. Col passare del tempo, e restando tra queste case, ho
imparato che quotidianamente si consumano delle storie terribili, storie di
miseria, sangue, devastazione psichica e spirituale. Queste storie compaiono di
sfuggita nei giornali o nei telegiornali, e poi sono risucchiate
automaticamente nel buio, in una sorta di cestino dell’immondezza insanguinato
stracolmo di corpi, anime, vomito e ricordi da dimenticare. Questa è la società
che abbiamo voluto, questa è la società che ogni giorno scegliamo. Questa è la
società che odiamo, ma da cui non riusciamo a liberarci. Questa è la società a
cui ci teniamo avvinghiati, prigionieri delle nostre paure e della necessità di
procurarci i nostri ripugnanti trastulli quotidiani. Tutto, e dico tutto, ha
comunque un prezzo, che è questo... Può bastare?
Vincenzo Maria D'Ascanio.
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