mercoledì 26 ottobre 2016

Storia di Mario l'elettricista. Storia di un alcolizzato.


Il più agguerrito di tutti era Mario l’elettricista. Insultava Veltroni senza soluzione di continuità, e alle sue imprecazioni seguivano una serie interminabile d’applausi. Piras lo guardava incuriosito, forse domandandosi da quale maledetto tugurio fosse sbucato quel topo di fogna... Del resto, non poteva conoscere i segreti del caro Mario. Tutti lo conoscevano col nomignolo de “l' elettricista”, ma in realtà elettricista non lo era affatto. Forse sapeva fare qualche lavoretto negli impianti elettrici, ma Mario non aveva mai acquisito una professionalità determinata, e da anni non aveva nemmeno uno straccio d'occupazione.

Era un disoccupato cronico, uno dei tanti, ma sopratutto era un alcolizzato cronico, al secolo un ubriacone, e la cosa ai più poteva anche apparire preoccupante. Beveva come una spugna sino al totale disconoscimento di se stesso, e la cosa capitava con una precisa ragolarità scandida da date ed orari precisi.

Ricordo perfettamente il giorno in cui lo conobbi. Avevamo organizzato una riunione all’associazione per discutere dell’aumento delle tasse voluto dal Rettore e dal resto della ciurmaglia finanziaria. La discussione era ben avviata, non eravamo in molti ma c’era comunque otto o nove disgraziati e per i tempi poteva bastare.

Alessandra mi aveva chiesto di coordinare la riunione, quindi ero stato io ad introdurre, ero stato io a dare e ridare la parola, ero stato io a moderare ed infine sarei stato io a concludere la discussione con un breve riassunto di tutto quel marasma di questioni.

Mentre mi trovavo nel mezzo delle mie insipide conclusioni, dalla porta biombò di corsa Mario l’elettricista, che cadde rovinosamente su alcuni pannelli in cui erano state sistemate le foto di Carletto. Alcuni l’aiutarono immediatamente a rialzarsi (io no, rimasto folgorato dall'evento), ma a lui sembrava importare soltanto del grande bottiglione di vino nero che l'aveva accompagnato fedele. Non appena sollevato alzò lo stesso bottiglione verso l’alto, in un gesto collocato tra un’ulteriore azione di salvataggio ed una benedizione al cielo per quella che poteva essere considerata la sua salvezza, l’unica medicina benefica in grado di rafforzarlo, la sua poesia, la sua redenzione, la sua ultima e disperata canzone...

Come me Alessandra s'era tramutata in una statua di cera, ma prima di farlo aveva esclamato "cazzo", come sua abitudine. Quell'entrata ci aveva letteralmente immobilizzato mentre altri, come lo stesso Carletto, sembravano più avezzi a "codesti" comportamenti, ed in qualche modo cercavano di fermarlo, o quantomeno calmarlo. Tuttavia, e soltanto dopo qualche secondo, l’elettricista vide sulla sua maglietta azzurrina alcune gocce di vino, e fu in quel preciso istante che sprofondò in un clima d'esaltazione mistica. Posò il bottiglione per terra, si inginocchiò, e con le braccia aperte cominciò ad urlare che quello non era affatto vino, ma il sacro sangue della Madonna.

SU SAMBINI DE SA MAMMA E DEU” gridava a squarciagola, con un urlo agghicciante, angosciante, straziante, un urlo che non avevo mai udito prima d'allora. Quell'urlo fu come una scarica elettrica, e non appena terminò tirai un sospiro di sollievo, nonostante l'atmosfera stesse lentamente acquisendo un pizzico di misticismo orientale spruzzato da un cristianesimo visionario stile Fatima.

Nell’associazione questi eventi erano la norma, ma questo mi stupì in maniera particolare. Soltanto in seguito seppi la storia di Mario, grazie ad un bizzarro anarchico che lo conosceva dai tempi delle scuole medie. Un tempo Mario era stata una persona che viveva alla luce del sole, ma alcuni eventi negativi lo catapultarono senza possibilità di resistenza nell'immensa cerchia degli ultimi della terra. La sua vita era stata particolarmente dura, ed aveva lavorato come uno schiavo in tutto il mondo (aveva fatto diversi lavori, dall'idraulico all'elettricista, dal cuoco al magazziniere, dall'operaio al bracciante agricolo...)

In una Provincia turca ai margini della nazione conobbe sua moglie, da cui ebbe un figlio che ben presto divenne la sua unica ragione di vita. Un bel giorno la turca decise d'abbandonarlo di punto in bianco, portandogli via il bambino senza pensarci più di tanto. S’era innamorata d'un altro uomo, un mozzo di cambusa sovietico che le aveva giurato eterna fedeltà (e felicità compresa nel prezzo).

Mario non riuscì a superare il trauma, e gli alcolici divennero la salvezza, l’unica via che poteva dargli un briciolo di speranza. Lentamente la sua esistenza scivolò in un baratro, smise di lavorare, di lavarsi, smise di fare tutto. Pochi giorni prima dell’arresto Mario viveva in un tugurio di Mulinu Becciu, in cui un cane bastardo gli rubava i pochi pasti ed i topi gli rosicchivano il cuscino. Talvolta potevi incontrarlo alle cene che l’associazione organizzava il Sabato sera, potevi scambiare con lui un dialogo che non aveva nè capo nè coda (l'intervento all'assemblea risale a questo periodo), dialoghi assurdi, senza logica, che non dicevano un benemerito niente. Poi lo persi di vista.

Dopo qualche mese, mentre guardavo il telegiornale locale, una notizia mi fece sobbalzare dalla poltrona. Il giornalista parlò di un omicidio in Via S., proprio dinanzi alla sede che eravamo soliti frequentare. Conoscevo numerose persone che bazzicavano tra quelle quattro mura, ed attesi preoccupato che si facesse il nome della vittima. Mentre il cameramen inquadrava quei marciapiedi semidistrutti che conoscevo alla perfezione, mostrò una grande macchia di sangue sul selciato, e tra gli oggetti rimasti per terra notai una catenina d’oro con la foto d'un Santo dallo sguardo stralunato. Allora compresi tutto, conoscevo bene quella catenina (nei suoi momenti d'esaltazione, Mario utilizzava quell'icona per potenziare le sue maledizioni). Telefonai a Carlo per avere una conferma, e lui me la diede, raccontandomi l’accaduto con un dispiacere immenso.


Era stata una rissa tra alcolizzati a causare la morte de l'elettricista, un accoltellamento avvenuto per cause assolutamente futili. Insomma, uno di quei classici eventi che non hanno alcuna umana motivazione, nessuna spiegazione, nessuna risposta. Del resto, conoscevo personalmente anche l’accoltellatore, ed anche lui era un vittima, una vittima come tutti noi, forse anche in misura maggiore (cosa per altro affatto semplice...). Negli ambienti in cui regna sovrana la miseria talvolta dominano anche l’alcool e le droghe, che mischiate alla disperazione giornaliera formano un cocktail devastante.


La vicenda di Mario è una storia triste, che m'impressionò, anzi, mi sconvolse. Col passare del tempo, e restando tra queste case, ho imparato che quotidianamente si consumano delle storie terribili, storie di miseria, sangue, devastazione psichica e spirituale. Queste storie compaiono di sfuggita nei giornali o nei telegiornali, e poi sono risucchiate automaticamente nel buio, in una sorta di cestino dell’immondezza insanguinato stracolmo di corpi, anime, vomito e ricordi da dimenticare. Questa è la società che abbiamo voluto, questa è la società che ogni giorno scegliamo. Questa è la società che odiamo, ma da cui non riusciamo a liberarci. Questa è la società a cui ci teniamo avvinghiati, prigionieri delle nostre paure e della necessità di procurarci i nostri ripugnanti trastulli quotidiani. Tutto, e dico tutto, ha comunque un prezzo, che è questo... Può bastare?

Vincenzo Maria D'Ascanio.

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