L’ex segretario del Partito Democratico e la sfida a distanza col premier:
«Il no al referendum è un time out, un anno di tregua. Il risultato ottenuto da
Donald Trump dice che l’onda è ormai quella. È successo negli Usa e così andrà da noi il 4 dicembre»
«Quando ci sono andato io in Sicilia, i posti a sedere erano sempre un terzo
delle persone in piedi...». La sfida tra Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi
procede anche a distanza, con il premier impegnato fino a ieri nel suo tour
siciliano per la rimonta del Sì e l’ex segretario che, da un divanetto di
Montecitorio, pregusta la vittoria del No: «Il risultato di Trump dice che
l’onda ormai è quella. È successo negli Stati Uniti l’8 novembre e così andrà
da noi il 4 dicembre». Anche gli italiani voteranno con la pancia? «La gente
vota con la testa». Ed è per questo, teorizza Bersani, che la riforma alla
quale Renzi ha legato le sorti del governo verrà bocciata.
«Vince Grillo?»
Sono le tre del pomeriggio, dall’Aula sbuca Alessandro Di Battista e si
ferma a omaggiare Bersani: «Ciao Pier Luigi, noi ci stiamo facendo un mazzo
così per il No! Di più non si può fare, davvero». La pacca sulla spalla con cui
il leader della minoranza dem ringrazia la «star» del M5S dice che anche lui ce
la sta mettendo tutta per sbaragliare il fronte del Sì, convinto com’è che la vittoria di Renzi consegnerebbe l’Italia
al caos e i mercati finanziari alla speculazione: «Il 5 dicembre comincerebbe
la corsa verso le urne e il mondo intero si farebbe la stessa domanda, “e
adesso che succede, vince Grillo?”».
«Il No è il time out» Dunque Bersani fa suo l’allarme dei renziani e lo
ribalta, presentando il No come argine ai populisti e alla destra xenofoba. «Il
Sì porta instabilità, il No invece è il time out, è un anno di tregua in cui, buttato
a mare l’Italicum, fai le leggi elettorali per Camera e Senato, plachi il Paese
e ti riorganizzi». Con l’attuale premier, o senza? «Dunque — e qui gli scappa
qualche parola in “bersanese” — Se vince il No per me Renzi può anche restare a
Palazzo Chigi, magari un po’ acciaccatino... Io non ho problemi, basta che
stiamo meno chiusi, meno comandini, meno arroganti e meno inchinati. Se invece
Renzi se ne vuole andare, sarà il presidente Mattarella a decidere il da
farsi». E c’è una cosa, tra le tante, che Pier Luigi non perdona a Matteo.
L’aver «esposto» il Pd e il governo «fino a un punto di non ritorno» sulla
riforma costituzionale, dando al referendum il peso di una elezione di metà
mandato: «È stato un errore gigantesco, perché non siamo un Paese di costituzionalisti e molti italiani non voteranno sulla
riforma, ma su altro». Se è così, perché voi della minoranza non date una mano
per salvare il salvabile? «Il dentifricio dentro il
tubetto non si può rimettere».
«Troveremo il nostro Belotti» Ovviamente nel gioco dell’oca che l’ex
segretario ha in mente c’è una casella anche per il congresso del Pd, destinato
ad aprirsi il giorno dopo. La minoranza non ha ancora un candidato, eppure
Bersani ostenta ottimismo e azzarda una metafora calcistica: «La nazionale di
Ventura ce l’abbiamo dentro, vedrete che il nostro Belotti lo troviamo».
Enrico Rossi è in corsa da mesi, unico sfidante di Renzi ufficialmente in
campo. Ma il presidente della Toscana non è, per Bersani, il Bernie Sanders
italiano. «Troppo mediatore... Io dico che Sanders avrebbe fatto una figura
migliore della Clinton».
Serve più sinistra, anche in Italia? «Il Pd deve stare largo con le
alleanze, altrimenti se ci passa un giovane Prodi sotto i piedi rischiamo di
non vederlo».
Trump figlio della globalizzazione
La valanga Trump non ha colto di sorpresa Bersani, che da mesi aveva fiutato
il vento: «La destra non è un partito, è un’area. Trump è il prodotto della
crisi della globalizzazione, è il frutto delle diseguaglianze. Lui ha detto
agli operai “io vi difendo” e loro lo hanno votato, perché la sinistra non li
difende più». E quando si voterà in Italia, chi sarà l’avversario del Pd? Il
Movimento di Grillo, o la destra di Salvini? «Io lo dico da un anno — conclude Bersani,
tradendo preoccupazione e amarezza —. Adesso Berlusconi, Salvini e gli altri
sono divisi, ma quando sarà il momento si faranno trovare uniti. A Pordenone,
Trieste e Monfalcone ha vinto il centrodestra, giusto?».
Ecco l’incubo che turba le notti di Bersani, mentre fuori dai nostri
confini e dentro monta la rabbia di chi non arriva a fine mese. La «mucca nel
corridoio» di cui parla l’ex segretario è la «nuova destra» che bussa alle
porte dell’Occidente, «cattiva, xenofoba e razzista». Un fenomeno che solo una
«nuova sinistra» può fermare.
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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