Ogni mattina una persona di
sinistra si sveglia e deve decidere che direzione prendere. Di lui nessuno si
preoccupa più di tanto, è solo un oggetto da convincere con brevi interviste o
con grandi proclami. Il ragionamento è ridotto all'osso e l'analisi diventa
puro orpello: sinistra di governo, campo largo e progressista, nuovo programma,
nuova agenda, nuovo centro-sinistra, nuovo ulivo, quarto polo, polo
anticapitalista, lista civica del No, sinistra del No, sinistra del Si,
comitati del Ni, e perfino del So. Tante formule, poche spiegazioni.
Sopratutto poca capacità di fare i conti con la realtà sociale che cambia e
tanta voglia di rifugiarsi nella manovra politica. Ogni mattina una personalità della
sinistra si sveglia e si candida a leader di qualcosa, il più delle volte senza
nemmeno spiegare con chiarezza di cosa.
Stamattina quelle personalità e
quegli attivisti si sono svegliati con una nuova drammatica notizia: a Berlino
un gigantesco camion si è lanciato sui Mercatini di Natale, ha ucciso molte
persone come fu a Nizza, e probabilmente a guidarlo era un pakistano, entrato
in Germania come rifugiato.
Quei dirigenti e quei militanti
avranno pensato tutti unanimemente che siamo in un mondo impazzito,
attraversato da guerre senza tregua, da un terrorismo incontrollabile, da un
razzismo destinato a crescere, dentro uno scontro di civiltà in cui la pace è
diventata una parola impronunciabile. Si saranno chiesti come è potuto accadere
che si sia arrivati fin qui. Ma i pensieri gli si saranno confusi: nei loro
occhi troppe immagini si saranno sovrapposte. Quelle dell'orrore di Berlino e
di Nizza, dei bambini di Aleppo, di Trump che aizza le folle contro gli
islamici, della Le Pen che corre verso l'Eliseo, del muro di Orban, dei poveri
delle periferie abbandonati a se stessi, della bambina che sviene in Friuli
perchè non mangiava da giorni, dei licenziati di Almaviva, dei ragazzi italiani
emigrati a cui Poletti rivolge parole di scherno.
Saranno tutti molto preoccupati,
le nubi, penseranno, non sono più all'orizzonte, ma sono sopra di noi.
Apriranno i social per leggere cosa pensano gli altri. E vedranno il solito
groviglio incomprensibile: il cordoglio accanto agli insulti, lo sdegno accanto
alla violenza, la ribellione accanto al sopruso, la dignità sommersa dal
pensiero della vendetta.
Qua e là troveranno anche accenni
al dibattito di questi giorni sulla legge elettorale: leggeranno che Matteo
Renzi e Pisapia spingono insieme sul Mattarellum, e che il secondo chiede di
ridurre la quota proporzionale, per ridurre l'ampiezza dei collegi, in nome
dell'unità per battere le destre. Molti di loro passeranno oltre,
hanno problemi più gravi a cui pensare, alcuni invece si soffermeranno a
immaginare che Italia avremmo fra un anno, dopo le elezioni.
Alcuni, come me, si chiederanno in
che tipo di paese vuole portarci questa continua ricerca del maggioritario, in
quale sistema di rappresentanza, in quale sistema sociale. E cominceranno a
fare i conti e fare scenari, per capire se davvero nel mattarellum del nuovo
centro-sinistra c'è un principio speranza, oppure se c'è il suo contrario, cioè
un principio disperazione, una mossa kamikaze, un furore volontaristico che
nega il principio di realtà.
Perché il mattarellum, con quota
proporzionale sempre più ridotta, in un sistema tripolare, è la guerra dei
mondi nella trincea dei collegi. Non è un caso se Salvini si è detto subito
d'accordo: città per città, collegio per collegio, i tre poli maggiori si
affronteranno senza esclusione di colpi, alla ricerca del singolo voto che
basta per prevalere sull'altro e conquistare un parlamentare. I leader
riempiranno le piazze invocando l'ultima occasione utile per vincere e
annientare l'avversario, chiameranno il voto utile contro i populismi, quello utile
contro la casta, quello utile contro i migranti, asfalteranno il pluralismo
cercando di uccidere i più piccoli, i meno attrezzati alla gara di urla e di
paure: si rinfacceranno di tutto, metteranno in moto le macchine del fango,
setacceranno i curriculum di ogni singolo candidato, faranno il conto degli
avvisi di garanzia, le analisi del sangue alle famiglie, i video con l'inglese
traballante e il congiuntivo sbagliato. I programmi spariranno, come spesso è
sparito il merito della riforma nella recente campagna referendaria. Sarà
un'ordalia: il mondo perfetto di Grillo, Renzi e Salvini.
La costituzione materiale di
questa Terza Repubblica in cui il vero padrone è il flusso emotivo, prenderà di
nuovo il sopravvento sulla costituzione formale che abbiamo appena salvato.
Si può ragionevolmente affermare
che non ci sarà un vincitore la notte delle elezioni: nel profondo nord vincerà
il centro-destra trainato dalla Lega, nel centro-Italia il centro-sinistra del
'partito stato', nel profondo sud il movimento cinque stelle della rivolta
contro la casta. Ma la mappa non sarà chiara: ovunque ci saranno collegi con
vittorie inaspettate, bocciati autorevoli, sorprese che smentiscono i sondaggi.
Alla fine in Parlamento si parlerà
sulle macerie del paese, stanchi e sfiniti, e si farà l'unica cosa che con quei
risultati si potrà fare: un pattuglia di berlusconiani responsabili lascerà il
proprio campo e nasceranno le Larghe Intese all'italiana, con un accordo di
legislatura tra due mondi -quello renziano e quello berlusconiano - che sono
divisi per storia e identità, ma rappresentano gli stessi interessi economici.
Gli italiani un minuto prima
galvanizzati per la propria parte, si convinceranno che il voto serve a poco,
che tutto è già scritto e non c'è alternativa. Tutti gli altri nel
centro-sinistra, tutti coloro dalle belle speranze progressiste, dovranno
seguire e subire, per non riportare l'Italia al voto, per non lasciare il campo
ad una convergenza a quel punto non impossibile tra le forze anti-sistema
leghista e grilline.
E' a questo punto che stamattina
ha fatto capolino in me un pensiero e un terrore, ho avuto paura per la vita di
tutti noi e subito dopo per il destino del nostro paese e dell'occidente: e se
poche settimane prima del voto dovesse accadere in Italia qualcosa di simile a
ciò che è accaduto a Berlino, a Nizza, a Parigi, e prima ancora a Londra e a
Madrid?
Preferisco non pensarci, mentre
dentro di me invoco la pace, ripeto come un mantra le parole di Capitini che da
ragazza ho appreso lungo la Perugia-Assisi, cerco di comprendere cosa sia
giusto fare per uscire da quest'incubo.
E quando torno con un balzo alle
imminenti elezioni, penso a cosa sarebbero invece con una legge proporzionale.
A come sarebbe la campagna elettorale se nessuno potesse raccontare al paese la
favola di una vittoria che neutralizzi tutti gli altri, a come risponderebbero
i segretari di partito alle domande dei giornalisti sul necessario dialogo dopo
le elezioni, alle convergenze programmatiche possibili tra diversi, ai
cuscinetti che potrebbero formarsi tra un polo e l'altro per evitare la guerra
dei mondi. Penso che si, probabilmente le larghe intese ci sarebbero lo stesso
perché lo chiede un rapporto di forze extra-politico che oggi nessuno pare in
grado di ribaltare, ma il paese fuori dal palazzo ne uscirebbe un po' più
tutelato e rappresentato.
Ci sarebbero meno macerie:
nonostante il trasformismo e i cosiddetti 'inciucio' resterebbero ancora dei
punti di riferimento, la possibilità di scegliere in un'offerta politica più
ampia e meno forsennata, ascolterebbe parole più misurate e maturerebbe la
necessaria consapevolezza che la democrazia non è dare tutto il potere alla più
forte delle minoranze, ma è cercare di costruire una maggioranza. Questa
maggioranza potrebbe dare voce a quella visibile dei poteri economici e delle
elites finanziarie, ma forse con un leader credibile e illuminato potrebbe
anche tentare di fondarsi su quella maggioranza invisibile formata da
generazioni dei giovani precari e generazioni di classi medie impoverite.
A seconda dei risultati, potrebbe
anche tornare la possibilità di uno schema diverso, come quello a cui la Linke
guarda in Germania: potrebbe esserci una pattuglia non irrilevante di persone
di sinistra (riformista e radicale) in parlamento, un pattuglia di grillini non
fanatici e tendenzialmente di sinistra, una pattuglia di cattolici-democratici
o cattolici-liberali disposti a ragionare sulle suggestioni di Papa Francesco.
Penso che sarebbe molto difficile tessere legami e ricostruire uno spazio
politico, ma che almeno 'sulla carta' potrebbe darsi la possibilità di un'alternativa
alla Larghe Intese della subalternità all'ideologia liberista che ha distrutto
l'Occidente.
E comunque anche se tutto ciò
dovesse risultare impossibile e velleitario, com'è altamente probabile, ci
sarebbero ancora luoghi e soggettività in cui costruire speranze per il futuro
e coltivare pensiero critico.
Se fossi Pisapia, il sindaco
gentile, ci rifletterei meglio prima di buttarmi nella giungla di una campagna
elettorale con il mattarellum nella Terza Repubblica. Mi guarderei un po'
indietro, considerando i risultati di chi ci ha provato in una situazione molto
più semplice, in un'Italia bipolare in cui ancora movimenti, società civile e
corpi intermedi svolgevano un ruolo, con leader di coalizione ben più
saldamente progressisti di Matteo Renzi.
Non c'è due senza tre, è vero. Ma
pensare che ancora una volta si possa percorrere la stessa strada, su cui già
altre due personalità provenienti dalle file della Rifondazione dei primi anni
2000 hanno incontrato brucianti sconfitte, mi appare come una scelta lunare.
Già Fausto Bertinotti e Nichi Vendola infatti decisero di percorrere la strada
della sfida nel campo largo di centro-sinistra dentro un sistema maggioritario:
i risultati sono quelli che tutti conosciamo. Bertinotti guadagnò il 14,69 alle
primarie e poi il suo partito prese il 5,84%, il governo nacque e si schiantò
molto presto per un'avviso di garanzia a Mastella. Vendola alle primarie
conquistò il 15,6% dei consensi e poi Sel alle elezioni si fermò al 3,2%, e
quel governo di cambiamento non nacque mai.
Oggi tutto è ancora più difficile:
dietro di noi ci sono 10 anni di crisi economica e una frantumazione sociale di
cui in molti paiono non voler vedere la reale portata. Le identità sono
schiantate, la polarizzazione è totale, l'astensionismo è diventato una scelta
elettorale come un'altra, anche per tanti di sinistra.La macchina del tempo che
riporta indietro le lancette in politica non esiste. Dovremmo averlo imparato,
proprio noi, quelli del gettone telefonico.
E a chi mi dice che tutto questo ragionamento lo
faccio solo per me stessa, per tutelare la sopravvivenza del mio micro-partito,
posso giurare e dimostrare mille volte che non è così. Ben più facile sarebbe
la scelta di far eleggere alcuni di noi con i voti degli altri, in un listone
di centro-sinistra, in una coalizione in cui lo sbarramento fosse ridotto quasi
a nulla. Esponenti del Movimento 5 Stelle sui social ce lo consigliano ogni
giorno, annunciando la fine della contrapposizione destra/sinistra in Italia.
Ma la mia coscienza mi dice che
no, non è giusto. La mia razionalità mi dice che è inutile. La mia speranza mi
dice che non vuole morire, perché se ci rassegniamo a questo modo terribile, se
ci arrendiamo ai progetti senz'anima e alle suggestioni senza solido costrutto,
allora si, per la sinistra che vuole cambiare il mondo, per quella che vuole
riconquistare le persone deluse, per quella che vuole governare risolvendo
davvero i problemi degli ultimi non ci sarà più spazio, senso e futuro.
E' testimonianza? No, è ricerca di
una strada diversa dopo che tutte le altre hanno fallito. Diversa anche dal
2008, per essere precisi. E se c'è un senso nel fare politica, se c'è un
progressismo possibile al tempo presente, se tra un sistema economico che
affama e la rivolta senza prospettive si può infilare un progetto politico,
ecco quel progetto non può che essere l'avvio di una ricerca inedita, possibile
solo a partire da un sistema proporzionale.
Nella mia città si dice che tra il
correre e il fuggire spesso non vi è differenza. Abbiamo un compito storico da
svolgere, per parte mia non correrò e non fuggirò verso una scorciatoia che in
tutta franchezza a me pare proprio non esistere. Perché, per paradosso, è
proprio per quella via che i 'barbari' passeranno sul campo da seminare
distruggendo quasi tutto.
Di Elisabetta Piccolotti.
Esecutivo nazionale Sinistra
Italiana
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