Il 28 novembre, un mese
fa esatto, era un lunedì. Quella sera abbiamo tenuto in biblioteca un incontro
pubblico. Tema: la scuola. Più precisamente: davanti alla prospettiva che nel
giro di due o tre anni le nostre medie chiudessero, io e il sindaco di Ussaramanna
ci siamo fatti venire un’idea, da sottoporre alle famiglie. L’idea era che la
scuola media di Ussaramanna e la scuola media di Villanovaforru si mettessero
insieme per rimanere aperte entrambe, ad anni alterni, un anno loro e un anno
noi.
L’idea era già stata
approvata dall’ufficio scolastico regionale e, sabato 26 novembre, dalle
famiglie di Ussaramanna. La sera di lunedì 28, invece, madri e padri di
Villanovaforru hanno bocciato la proposta. Su un piatto della bilancia c’era la
possibilità di tenere aperta la scuola, che significa vita. Sull’altro piatto
c’era il fastidio, nell’anno “no”, di vedere i figli viaggiare fino a
Ussaramanna, tre chilometri più lontano di Lunamatrona, dove i ragazzi dovranno
comunque andare quando la nostra scuola media sarà chiusa per mancanza di
alunni.
Il mio pensierino post
natalizio riguarda quindi una domanda delicata ma impossibile da evitare:
quanta libertà di decisione bisogna lasciare alla “gente” in faccende in cui
l’interesse individuale cozza con l’interesse collettivo? Nei giorni successivi
a quella riunione, ho raccontato l’episodio ad altri sindaci e amministratori
comunali. E da tutti, senza eccezioni, sono stato rimproverato per aver fatto
votare i miei compaesani. A quanto pare, non si fa.
La tesi che gira è
questa: tu sei sindaco e vedi le cose dall’alto, come a nessuno dei cittadini è
consentito, e devi scegliere per loro, soprattutto quando sono in ballo
questioni che toccano molto da vicino interessi particolari. Perché nessuno,
dicono, è davvero capace di cedere all’interesse generale: al momento giusto,
tutti difenderanno il proprio tornaconto e se tu, sindaco, non scegli per loro,
il paese rimarrà sempre molto lontano dalla strada giusta. Autodeterminazione:
dove ho già sentito questa parola? E cosa diavolo significa?
Significa che la mia
gente va bene quando la pensa come me e se invece subodoro, anche solo da
lontano, che non la pensa come me devo informarla, parlarci, discuterci, ma non
farla votare? Bisogna capire bene cos’è in gioco qui. Non è in gioco il
prestigio del sindaco: non m’importa nulla. Non è in gioco la volontà del
sindaco d’imporre ad ogni costo il proprio punto di vista: non servirebbe a
niente. È certamente in gioco la capacità di fare comunità: fare tanta comunità
da spingere il cittadino a sacrificare il proprio interesse personale per
quello collettivo. E questa maturazione può arrivare solo crescendo tutti
assieme.
Decidendo tutti
assieme, sbagliando tutti assieme ed eventualmente, il giorno in cui saremo
diventati grandi, prendendo tutti assieme la decisione migliore, quella che
gioverà all’intero paese. Utopia? Può darsi, ma solo se qualcuno mi dimostra
che uomini e donne di Villanovaforru sono davvero incapaci di ragionare in
termini collettivi. Impossibile. È più facile, per me, dimostrare che questa
gente è da sempre abituata a subire scelte compiute da altri.
La questione della
scuola tornerà a galla. Riproporrò l’argomento nei prossimi mesi. Non c’è
motivo perché la nostra scuola media chiuda, se può rimanere aperta senza nuocere
a nessuno. Mi confronterò con le “mamme della scuola” e con chi non ha figli in
età scolare ma interesse, ugualmente, a mantenere il paese vivo.
E chiederò di nuovo un
voto, in assemblea pubblica, a costo di vedere ancora bocciata la proposta.
Andremo alla conta, su questa come su altre faccende capitali, perché nessuna
decisione imposta dall’alto farà davvero crescere Villanovaforru: un popolo
addomesticato non ci serve. Il paese crescerà solo se i suoi abitanti lo
vorranno. E questa è autodeterminazione vera.
Di Maurizio Onnis
Sindaco di Villanovaforru
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