La nuova Sardegna
I sardi sono
sempre più poveri reddito d’inclusione,
7mila in fila
Aumenta la spesa sociale ma non diminuisce la
povertà e, così, delle 7mila domande per il reddito di inclusione sociale
(Reis) ne sono state accolte poco più di 2mila. L’audizione in Commissione bilancio
del direttore regionale dell’Inps, Maurizio Pizzicaroli, sulle attività
dell’istituto che riguardano le prestazioni di sostegno al reddito è stata
l’occasione per descrivere una situazione preoccupante. «Emerge un dato in
controtendenza col trend nazionale sulla Naspi, la nuova prestazione di assicurazione
sociale per l’impiego, che registra una durata molto bassa: 8 mesi, la più
bassa in assoluto – ha spiegato Pizzicaroli –, segno che il mercato del lavoro
locale è caratterizzato da un alto tasso di precarietà in una fascia molto
ampia della popolazione».
Sulla mobilità in deroga, ha proseguito
Pizzicaroli “l’Inps sta definendo insieme alla Regione le procedure per la
chiusura del 2014 che interessano 14mila lavoratori anche se, a fronte di una
disponibilità di 20 milioni, mancano altri 60 milioni per la copertura totale».
L’Inps, ha annunciato inoltre il direttore regionale, “ha costituito una
banca-dati per censire le prestazioni sociali agevolate che provengono dalla
pubblica amministrazione, un processo all’inizio perché finora solo 17 Comuni hanno
mandato le informazioni richieste”.
Pizzicaroli, infine, si è soffermato sul Reis: «Il
piano nazionale – ha precisato – è stato rimodulato per problemi di copertura
finanziaria ed è stata ristretta la platea degli aventi diritto, limitata ai
nuclei familiari dove siano presenti minorenni, figli disabili, donne in stato
di gravidanza accertata». Poi è toccate alle associazioni del Terzo settore.
Per la Fish Sardegna, il presidente Alfio Desogus, ha richiamato l’attenzione sulla
realtà di “oltre 40mila disabili disoccupati, che possono avere un’opportunità
con percorsi formativi e tirocini».
Desogus ha poi sollecitato l’incremento dello
stanziamento di 3 milioni indicato nella Finanziaria 2016 per l’abbattimento
delle barriere architettoniche, “perché è del tutto insufficiente a soddisfare
le circa 1000 domande pervenute all’assessorato dei Lavori Pubblici». Per la
Caritas, don Marco Lai ha evidenzato che “i centri di ascolto dell’associazione
ci dicono che la povertà si è inasprita, riguarda una fascia di età molto ampia
fra i 20 ed i 50 anni ed esprime con forza bisogni primari come quello della
casa».
Un altro Forum, rappresentato da associazioni e
famiglie impegnate per la piena attuazione della legge 162/98 che assicura sostegno
alle persone con disabilità grave, ha lanciato un allarme per il taglio di 4
milioni contenuto nella Legge di Stabilità. Con questo taglio, secondo
associazioni e familiari, perderebbero ogni
sostegno circa 4mila disabili gravi e almeno 1500 persone che si occupano di
loro lasciando spazio a un’alternativa ospedaliera che costerebbe molto di più:
58 milioni, secondo le stime.
UNIONE SARDA
Finanziaria
2017, allarme risorse E si riparla del piano per il lavoro
Appello
di imprese e sindacati: concentrare sui grandi temi i pochi
fondi
“manovrabili”
Non è una vera bocciatura perché,
nelle condizioni date, nessuno
saprebbe fare molto meglio. Ma la
Finanziaria 2017 non suscita neppure
grandi entusiasmi. Il confronto con
sindacati e associazioni degli
imprenditori, nella commissione
Bilancio del Consiglio regionale,
ruota attorno a un dato di fatto,
per altro noto: tolte le spese
obbligatorie, sanità in primo piano,
la massa realmente “manovrabile”
resta esigua. Difficile pensare, con
qualche manciata di milioni, di
mettere in campo grandi strategie di
sviluppo.
PERPLESSITÀ «Manca il salto di
qualità», è il giudizio in chiaroscuro
del segretario della Cgil sarda
Michele Carrus, «soprattutto sulle
politiche del lavoro». Molto più
scuro che chiaro il passaggio
dedicato in particolare
all'assessorato del Lavoro: «Meglio
sopprimerlo, se tutte le politiche
dell'occupazione devono essere
affidate all'Agenzia per il lavoro.
Le spese per le consulenze? Uno
scandalo».
Curiosamente però non sono i
sindacati ma un'associazione datoriale,
la Cna Sardegna, a rispolverare la
vecchia definizione di «piano
straordinario per il lavoro»: il
presidente degli artigiani, Pierpaolo
Piras, e il direttore Francesco
Porcu lo hanno reclamato, ipotizzando
che venga finanziato con «100
milioni di euro dal fondo Sfirs, per
rilanciare gli investimenti mettendo
a bando opere pubbliche di
piccola taglia ad alta densità di
manodopera, elevata redditività e
immediata cantierabilità».
Anche gli altri leader sindacali si
sono soffermati sul nodo risorse,
chiedendo che siano indirizzate su
pochi obiettivi forti: per il
leader Cisl Ignazio Ganga «le
attuali 35 azioni di politica attiva per
il lavoro vanno razionalizzate,
meglio concentrarsi su 3-4 misure che
funzionano». Secondo la segretaria
Uil Francesca Ticca «un campo
d'intervento potrebbe essere quello
ambientale: ma il mezzo miliardo a
disposizione in gran parte viene
assorbito dalle spese correnti di
Forestas e Geoparco».
PROPOSTE Il presidente di
Confindustria Sardegna Alberto Scanu ha
indicato come fondamentale il tema
delle infrastrutture: «Il governo
ha varato “Industria 4.0”,
investimento da 20 miliardi da cui la
Sardegna rischia di rimanere fuori.
E si parla di agenda digitale ma
nei nostri siti manca la banda
larga». Valutazioni condivise dal
presidente di Confapi Mirko Murgia:
«La manovra si occupa delle
emergenze, ma servirebbe un progetto
più ampio e misure per la
riduzione del costo del lavoro».
Qualche sforzo in più per il mondo
della cooperazione è stato invocato
dal presidente di Confcooperative,
Fabio Onnis.
A lui, come a tutti i rappresentanti
convocati in audizione, il
presidente della commissione, Franco
Sabatini (Pd), ha assicurato
massima attenzione e dato un
annuncio: «A breve chiederemo la
convocazione degli stati generali
della Sardegna, chiamando a raccolta
parlamentari, enti locali e forze
sociali per mobilitare la società
sarda e riaprire la vertenza con lo
Stato».
In
campo i parlamentari
Fondi
tagliati agli enti locali: «Sulle barricate»
«Sarà un 2017 a tinte fosche per gli
enti locali della Sardegna».
L'assessore Cristiano Erriu va
davanti alla commissione Autonomia del
Consiglio regionale, a fare il
quadro dei finanziamenti per Province e
Città metropolitana. Dopo la
decisione del governo di escludere
Sardegna e Sicilia dall'elenco dei
beneficiari per la ripartizione dei
fondi, la politica isolana dichiara
guerra allo Stato.
Insieme a Erriu c'erano il sindaco
metropolitano, Massimo Zedda, e gli
amministratori straordinari delle
Province. Oggi a Roma la Conferenza
unificata Stato-Regioni discuterà
l'argomento ed è probabile che
l'Anci nazionale non firmi l'intesa.
«Cercheremo di ribaltare la
situazione», annuncia Erriu, «la
linea del governo colpisce in modo
pesante gli enti locali».
Critico
anche Zedda: «Si è cercato di
aggredire il debito tagliando quasi
esclusivamente sugli enti locali».
Qualcosa si muove anche a Roma con
la presa di posizione dei senatori
Pd, Silvio Lai, Ignazio Angioni e
Giuseppe Luigi Cucca: «Le Province
esistono e soprattutto hanno in
carico una serie di interventi per i
quali è necessario avere a
disposizione risorse economiche». Sui
rapporti tra enti locali e Stato
bisogna tenere conto che «se un ente
partecipa al risanamento dello Stato
è giusto che debba ricevere
uguale trattamento». Si schiera a
favore delle autonomie locali il
deputato del Movimento 5 Stelle,
Andrea Vallascas, che parla di
«discriminazione gravissima». Il
deputato pentastellato ha presentato
un'interrogazione per evitare «una
beffa per una Regione che è stata
progressivamente privata dei
sostegni economici». (m. s.)
Il
primo taglio è per Moirano Bacchettata la Regione: ignorati i parametri
nazionali. Dalla Giunta risposta polemica
Lorenzin:
troppo elevato il compenso del supermanager Ats
I compensi dei manager della sanità
sarda accendono una nuova polemica
tra Stato e Regione. Questo perché
tra le voci da tagliare nella
sanità isolana c'è innanzitutto lo
stipendio da 200mila euro (più un
bonus di 40mila) del direttore
generale dell'Ats, Fulvio Moirano; la
legge nazionale prevede un tetto di
154mila euro.
A usare la penna rossa è la ministra
della Salute, Beatrice Lorenzin
che, ieri pomeriggio alla Camera, ha
bacchettato il presidente della
Regione, Francesco Pigliaru.
L'assessore regionale, Luigi Arru, è
convinto che Lorenzin abbia
«informazioni inesatte» e ricorda che «le
risorse per il nostro sistema
sanitario, stipendi compresi, sono a
carico della Regione e certamente
non del governo nazionale. Le
polemiche sugli stipendi sono mero
esercizio di demagogia».
BACCHETTATA A sollecitare la presa
di posizione della ministra è il
deputato del Centro democratico,
Roberto Capelli, con
un'interrogazione sull'argomento.
«Devo constatare, con grande
rammarico, che ad oggi la Regione
Sardegna non ha provveduto ad
apportare le dovute modifiche alle
disposizioni della legge regionale
concernenti il trattamento economico
dei direttori generali delle
aziende sanitarie», spiega Lorenzin
rispondendo alla Camera.
Da qui la decisione di chiedere
l'intervento del ministro per gli
Affari regionali, Enrico Costa, «nei
confronti del presidente della
Regione Sardegna», per fare in modo
che la Giunta modifichi le voci di
spesa. Nel mirino ci sono dunque i
compensi anche dei direttori
generali delle due Aziende
ospedaliero-universitarie di Cagliari e
Sassari, dell'Azienda ospedaliera Brotzu
e dell'Areus.
«NESSUN PROBLEMA» Dalla presidenza
della Regione ribattono colpo su
colpo alle accuse che arrivano da
Roma. Ce n'è un po' per la ministra
e un po' anche per il deputato
Capelli. Infatti, la risposta
all'interrogazione dell'esponente
del Centro democratico è, secondo la
Regione, «presumibilmente basata su
informazioni inesatte, date alla
ministra Lorenzin, dovute,
probabilmente, a una lettura per lo meno
superficiale delle note intercorse
tra presidenza della Regione e
ministero». I dubbi espressi dal
ministero dell'Economia, attraverso
la Ragioneria generale dello Stato
«sono rientrati e non più reiterati
a fronte di argomentazioni esposte
in una nota inviata al ministero
della Salute». L'assessore Arru,
inoltre, ricorda che «la Regione, con
l'Azienda unica, otterrà un
risparmio di circa due milioni di euro,
oltre che omogeneizzare assistenza e
accesso alle cure a vantaggio dei
pazienti. Questo è ciò che conta».
L'ATTACCO «Mentre la sanità sarda ha
un buco di 400 milioni, le liste
d'attesa si allungano, il personale
medico e paramedico fa turni
massacranti per ovviare ai vuoti di
organico, c'è chi pensa ad
arricchirsi alle spalle dei
cittadini», commenta il deputato Capelli
dopo la risposta di Lorenzin.
Duro anche il capogruppo dell'Upc in
Consiglio regionale, Pierfranco
Zanchetta, che invita l'assessore a
«prendere atto delle parole della
ministra e avviare provvedimenti
seri per evitare figuracce nuove
figuracce nazionali». Per Zanchetta,
sarebbe bene «adeguarsi ai
parametri della legge nazionale,
dare l'esempio e non pretendere
sacrifici solo dei cittadini».
Emilio Usula (Rossomori) parla di
«ennesimo schiaffo che evidenzia
l'errore di una scelta fatta senza
coinvolgere le forze politiche». Il
coordinatore regionale dei
Centristi per l'Italia, Federico
Ibba, dice: «Bene la ministra
Lorenzin quando bacchetta la Regione
sugli stipendi dei direttori Asl.
Non è questa la specialità che
vogliono i sardi».
Matteo Sau
Ora
rischia una perdita di oltre 80mila euro
Una quota fissa più una
maggiorazione del venti per cento in caso del
raggiungimento degli obiettivi. Si
compongono di queste due voci i
compensi che la Regione ha stabilito
per i manager delle aziende
sanitarie. La quota più alta è
quella per il direttore generale
dell'Ats, Fulvio Moirano che
complessivamente raggiunge i 240mila euro
all'anno (200 di fisso più
l'eventuale maggiorazione): secondo i
parametri nazionali non dovrebbe
superare i 154mila.
Sotto la lente
del ministero, però, ci sono anche
gli altri compensi, quelli dei
direttori generali delle Aziende
ospedaliero-universitarie di Cagliari
e Sassari, Azienda Brotzu e l'Areus.
Stesso criterio di calcolo, ossia
una quota fissa più un massimale del
20% per gli obiettivi raggiunti.
Si va da un minimo di 192mila euro
per il manager dell'Areus, a un
massimo di 216mila euro per i due
direttori generali del Brotzu e
dell'Aou di Sassari, mentre quello
di Cagliari ha un massimo di
204mila euro.
Le cifre sono stabilite con dei
parametri precisi, basati su tipologia
di azienda, numero di assistiti,
posti letto e numero di dipendenti.
L'Ats, naturalmente può contare sul
maggior numero di assistiti, ossia
tutti i sardi per un totale di 2.749
posti letto e16.468 dipendenti.
Diversamente da quella di Cagliari,
l'Aou sassarese è considerata una
sede Dea di secondo livello, perché
rientra nella fascia per numero di
assistiti tra 600mila e 1,2 milioni.
I posti letto sono 864 e i
dipendenti 2.454. Stessa cosa per
l'Azienda Brotzu, che posti letto ne
ha 822 per un totale di 3.025
dipendenti.
M. S.
Vivere
costa duemila euro al mese
Acquisti
del ceto medio, i dati dell'Unione nazionale consumatori: si
taglia
su cibo e vestiti
La
media italiana è 2.500, ma nell'Isola i redditi sono più bassi
Costa cara la vita alle famiglie
sarde: oltre duemila euro al mese.
Per l'esattezza 2.083,66 euro, che
confrontati con la media nazionale
(2.499,37 euro) potrebbero indurre a
pensare che ci sia una situazione
più favorevole per chi vive
nell'Isola rispetto al resto del Paese.
«Non è così», spiega Monica Satolli,
segretario regionale dell'Unione
nazionale consumatori,
l'associazione che ha elaborato i dati
dell'Annuario statistico italiano. «Non
si spende meno perché i prezzi
sono più convenienti, ma perché i
redditi sono più bassi: vuol dire
che la crisi colpisce nell'Isola più
duramente che altrove. E questo,
come dimostra la lettura della mappa
regionale della spesa, spinge una
percentuale sempre maggiore di
famiglie in Sardegna», ma anche in
Sicilia, «a frequentare i discount
per fare la spesa».
LA STATISTICA Detto che i duemila
euro rappresentano un valore medio
(alla formazione del dato
contribuiscono sia le persone sole con che
vivono con 1.500 euro sia le
famiglie che arrivano a guadagnare 3.500
euro), resta il fatto che quasi
duemila e cento euro al mese
rappresentano innegabilmente una
cifra elevata. Viene, quindi, da
domandarsi come riesca a
sopravvivere chi invece percepisce stipendi o
pensioni minime, che restano tali
anche di fronte all'aumento dei
prezzi. «È un dramma, perché la
crisi non è finita», spiega Monica
Satolli, «e questi dati lo
testimoniano».
Secondo le rilevazioni Istat, nel
2015 la spesa media mensile per
famiglia è cresciuta dello 0,4%
rispetto all'anno precedente
(addirittura dell'1,1% rispetto al
2013). Sono tre le voci che pesano
di più: la casa (affitto o mutuo,
bollette, arredi e altri servizi), i
generi alimentari, i trasporti. Per
mangiare e bere i sardi spendono
413,50 euro (441,50 euro la media
nazionale). Per la casa vanno via
751,60 euro, che diventano circa 840
se si considerano mobili e altri
servizi. I trasporti, infine,
incidono per 252 euro.
Per compensare
queste spese, il padre di famiglia sardo
destina meno di 37 euro al
mese all'acquisto di bevande
alcoliche e tabacchi (solo la Sicilia
registra un dato inferiore: 32,50
euro) e appena 77 euro (il 3,7% del
bilancio complessivo mensile) per
abbigliamento e calzature.
MENO CARNE Quanto agli alimentari, a
livello nazionale si è arrestata
la diminuzione della spesa per la
carne, che era in atto dal 2011 e si
è attestata a 98,25 euro mensili. E
la Sardegna non fa eccezione. La
spesa per la frutta è aumentata del
4,5% rispetto al 2014 (da 38,71
euro a 40,45 euro al mese), mentre
acqua minerale, bevande
analcoliche, succhi di frutta e
verdura registrano una crescita del
4,2%, passando da 19,66 a 20,48
euro).
Resta invece invariata in
Sardegna la spesa per beni e servizi
non alimentari (1.670,16 euro in
media al mese contro i 2.057,87 euro
nel resto del Paese). Si riducono
le spese per comunicazioni (46 euro
al mese) anche per l'ulteriore
diminuzione dei prezzi mentre
aumentano quelle per servizi ricettivi e
di ristorazione (poco più di 82 euro
al mese) e quelle per beni e
servizi ricreativi, spettacoli e
cultura (95 euro al mese).
I dati confermano, quindi, che anche
in Sardegna la spesa media
mensile è aumentata.
Attenzione,
però: «Non significa aver comprato di
più - avverte Monica Satolli - In
realtà circa il 50% delle famiglie
italiane è stato costretto a
diminuire la quantità e/o la qualità dei
prodotti alimentari acquistati
rispetto all'anno precedente. E se si
riflette sul fatto che in Sardegna
questo dato va oltre il 60%», ma il
discorso vale in generale per il sud
e le isole, «è evidente che siamo
di fronte a un quadro economico
ancora incerto».
In sostanza: aumenta il divario
Nord-Sud, restano le differenze
strutturali sul territorio, legate
ai livelli di reddito, ai prezzi e
ai comportamenti di spesa, con i
valori del Nord più elevati di quelli
del Centro e, soprattutto, di Sud e
Isole.
Mauro Madeddu
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La Nuova
Alla
protesta di Erriu e dei sindaci si aggiunge anche un’iniziativa dei senatori Pd
Arrivano
i primi effetti: rinviato il confronto di oggi tra governo,
Regioni
e Anci Province al collasso Politici sardi in rivolta
SASSARI Province al collasso.
L’allarme rosso arriva dall’assessore
agli Enti Locali Cristiano Erriu. Il
motivo è semplice. Non hanno più
risorse perché lo Stato preleva
dalle loro casse più di quanto
incassino. Il Governo avrebbe dovuto
restituire alla Sardegna 70
milioni di euro dopo la bocciatura
del referendum. La sopravvivenza
degli enti cancellati solo sulla
carta ha imposto il rifinanziamento
delle Province. Ma nella legge
Finanziaria lo Stato ha escluso
Sardegna e Sicilia. Senza quelle
riorse, e con i tagli previsti per il
2017, 107 milioni di euro, per le
Province la bancarotta è certa. Ecco
perché la Regione è in rivolta. Ma
non è sola. Con lei anche l’Anci.
Oggi ci doveva essere il confronto
tra Regioni, governo e Anci proprio
per il via libera alla norma della
Finanziaria che assegnava le
risorse a tutte le Province tranne
che a Sardegna e Sicilia. È stata
rimandata perché il presidente
nazionale dell’Anci, Antonio Decaro,
aveva annunciato che avrebbe votato
no a quell’accordo. La mediazione.
È già partita l’attività di
mediazione tra il governo e le Regioni. I
senatori sardi del Pd Silvio Lai,
Ignazio Angioni e Giuseppe Cucca
hanno scritto al governo e chiesto
che venga rivista la decisione.
«Anche la Sardegna deve poter
accedere ai fondi stanziati dalla
finanziaria 2017 per il risanamento
dei bilanci delle province –
scrivono –. È una vicenda che deve
essere chiarita, evitando che sia
un inutile elemento di conflitto tra
la giunta regionale ed il
governo».
La lettera è inviata al
sottosegretario per gli Affari
regionali e alle autonomie
Gianclaudio Bressa. «Mentre per alcune
Regioni a statuto speciale la
competenza sulla finanza locale è stata
trasferita dallo Stato alle regioni
per altre, Sicilia e Sardegna,
questo non è stato richiesto né è
avvenuto a oggi». Silvio Lai
aggiunge: «I comuni sardi
contribuiscono al fondo di solidarietà
nazionale, e, se ne hanno diritto ne
ricevono una quota parte. Lo
stesso vale per le province sarde».
Secondo i senatori è «un errore
legato ad una diversa
interpretazione degli accordi del 2015, accordi
importanti che hanno chiuso una
vertenza entrate della Sardegna, dopo
anni di trascuratezza regionale e di
indifferenza dei governi
precedenti.
Ma da una attenta
lettura non prevedono in maniera
esplicita il trasferimento delle
competenze sulla finanza locale dallo
Stato alla Regione». «Oggi – afferma
Silvio Lai – le Province esistono
e hanno in carico una serie di
interventi per cui è necessario avere a
disposizione risorse economiche. Un
ulteriore sacrificio andrebbe a
colpire non gli enti, ma i cittadini
sardi». M5s. Critico il
parlamentare dei 5 stelle Andrea
Vallascas. «Una discriminazione
gravissima e incomprensibile si
abbatte su regioni e comunità già
fortemente colpite dalla crisi
economica e dai tagli ai trasferimenti
dello Stato – dice Vallascas, che ha
presentato un’interrogazione –.
Le Province e la Città metropolitana
di Cagliari vengono cancellate
dalla ripartizione di 900 milioni di
euro. Oltre a contenere elementi
di estrema gravità per la disparità
di trattamento tra regioni
speciali e ordinarie, il
provvedimento metterebbe gli Enti
territoriali in una situazione di
grave difficoltà finanziaria e
gestionale, col rischio di
compromettere la qualità e i livelli dei
servizi erogati. Se confermato
sarebbe una beffa per una regione che è
stata progressivamente privata di sostegni
economici e dove si è
assottigliata la stessa presenza
dello Stato, con la chiusura di
scuole, ospedali e uffici postali».
Ora si apre uno spiraglio perché
le province sarde non muoiano per
mancanza di risorse. (l.roj)
finanziaria
I
sindacati sulla manovra
«Più
attenzione al lavoro»
CAGLIARI Lavoro e diritto allo
studio, sono questi i nodi critici
della Finanziaria secondo il
segretario generale della Cgil Michele
Carrus, ascoltato ieri dalla
Commissione finanze del Consiglio
regionale. «Non c’è un salto di
qualità – afferma – le misure sono
sempre le stesse nonostante i
risultati insoddisfacenti. Sembra che la
soluzione ai problemi occupazionali
sia affidata quasi unicamente a
un’ipotetica ripresa che però se
c’è, è debolissima».
Sulle entrate
Carrus ha rilevato che la manovra si
basa su una previsione di
crescita ottimistica che il
sindacato teme sovrastimata. Per
rilanciare il lavoro «servirebbero
investimenti pubblici in cantieri
che si aprano con procedure
semplificate e misure di premialità o
condizionalità per chi impiega prima
di tutto lavoratori del bacino
territoriale fuoriusciti ormai dagli
ammortizzatori sociali. Servono
inoltre nuove misure mirate per le
aree deboli, i giovani, le donne».
Sul fronte del diritto allo studio
la Cgil chiede un aumento degli
assegni che oggi sono ancora circa
la metà di quel che ricevono gli
studenti di altre regioni. E ancora,
il segretario Cgil chiede più
fondi per gli specializzandi di
medicina e, in generale, per le
università e la ricerca sarde. «Sono
misure che si possono realizzare
con i 25 milioni disponibili nella
Finanziaria e ancora non
programmati». Sulla Finanziaria
interviene anche il numero uno della
Cisl, Ignazio Ganga (foto).
«Le
politiche del lavoro e della
formazione devono rimanere centrali
nella manovra». È questo uno dei
punti fermi della Cisl illustrato
alla Commissione finanze. Per la
Cisl sarda i sono ormai maturi i
tempi per rilanciare «una vertenza di
popolo nei confronti di uno Stato
che, nonostante il superamento dei
limiti del Patto di Stabilità
continua a generare criticità in ordine
alle spettanze di competenza
regionale». La Cisl evidenzia i punti
principali. «Sugli Enti locali non
va sottovalutata la questione del
costo delle province che nel
frattempo hanno subito da parte dello
Stato un furto con destrezza di
oltre 80 milioni di euro. Questo
aspetto dovrà essere necessariamente
recuperato nel confronto con lo
Stato, pena continuare a sollecitare
il fondo unico per gli enti
locali».
Tema sanità. «Contribuisce
a generare Pil per la nostra isola
e a dare lavoro a 22mila operatori
diretti più l'indotto, nonostante
un turnover bloccato da molti anni.
Ma, tolta la sanità, le spese per
investimenti con risorse regionali
sono sempre più limitate e non va
bene che debbano essere totalmente
sostituite dai fondi comunitari o
nazionali, che rischiano di assumere
il carattere di ordinarietà».
Lavoro,
Forza Italia all’attacco
«I
numeri sono drammatici»
CAGLIARI «La propaganda della giunta
si schianta davanti all’evidenza
dei dati del Sil». I consiglieri di
Forza Italiia Ignazio Locci, Ugo
Cappellacci e Pietro Pittalis
commentando le cifre diffuse dal Sistema
informativo lavoro. «Nonostante gli
artifici del jobs act si
registrano 358.671 iscritti Sil, tra
cui 290.514 disoccupati: oltre
88mila nella provincia di Cagliari,
25mila per Carbonia-Iglesias, con
dati drammatici anche per il Nuorese
(29mila), Oristano (28mila),
Sassari (54mila), Olbia
Tempio(35mila), il Medio Campidano (18mila) e
l’Ogliastra (11mila).
È questo –
attaccano gli azzurri – il vero
bilancio di metà mandato della
giunta Pigliaru e del centrosinistra,
sedicente sovranista. Per tre anni
la giunta da salotto e da convegno
ha straparlato di politiche
keynesiane, di lavoro e di impresa, ma non
ha mosso un solo dito né ha mai
svelato quali mirabolanti soluzioni
fossero nei pensieri di un esecutivo
che giustifica il suo immobilismo
con un continuo rinvio al domani».
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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