giovedì 2 febbraio 2017

Rassegna stampa 02 Febbraio 2017


Partiti senza soluzione. Nostalgia di uomo forte.

«C’è nostalgia di un nuovo Mussolini» è la notizia inquietante che spiccava ieri tra le notizie dell’agenzia AdnKronos. E se c’è questa nostalgia, «la colpa è di Gentiloni e Boldrini» dice, interpellato, Matteo Salvini. Lasciamo stare l’accusa a Gentiloni e Boldrini, che sa tanto di propaganda elettorale, e guardiamo al resto: c’è nostalgia di Mussolini.

Domandiamoci perché, e in che senso. C’è nostalgia e voglia e attesa di un uomo forte, che faccia subito quel che il governo rimanda continuamente. Noi dobbiamo votare, e prima o poi voteremo. Più probabile “poi” che “prima”. Perché non abbiamo una legge elettorale che metta d’accordo tutti, e ci troviamo in questa condizione: o votiamo presto con una legge imperfetta o rimandiamo le votazioni in attesa della legge.

Siamo una democrazia paralizzata. La gente non capisce come mai, a settant’anni dalla nascita della repubblica, non abbiamo ancora una legge condivisa, che ci permetta di votare. La gente ha ragione. E non capisce perché questa legge non si faccia in fretta. Anche qui ha ragione.

Il fatto è che le forze politiche esaminano le diverse formule di leggi calcolando a priori chi vincerebbe secondo l’una o secondo l’altra. Ogni schieramento politico è pronto a votare la legge che farebbe vincere lui. La legge prima o poi si farà, perché è indispensabile, ma il fatto è che in questo momento abbiamo nel nostro Paese due e forse tre schieramenti che si equivalgono, individuarne uno prevalente è difficile, e per questa difficoltà la legge slitta. La gente aspetta invano. La vanità dell’attesa la esaspera. Vorrebbe la legge subito. E chi potrebbe accontentarla?

Un nuovo Mussolini. Ma ci sono altri interventi che la gente vorrebbe con priorità anche maggiore. Lavoro agli italiani prima che agli stranieri, assistenza ai terremotati immediata, e immediata soluzione del problema delle banche insolventi. Il problema delle banche insolventi suscita nella gente due reazioni avverse, una economica (ci han rubato i nostri soldi) e una giuridica (non vogliono punire nessuno, si proteggono tra loro).

La gente si fa un’idea dei governanti e dei giudicanti come inattivi perché deboli o incapaci o corrotti. Anche questo contribuisce a creare la voglia di un nuovo Mussolini. La gente pensa (non a torto) che il groviglio di problemi che impastoia la nostra politica sia come il nodo di Gordio: c’è un nodo da sciogliere, non si troverà mai il capo o la coda del nodo per scioglierlo, l’unica soluzione è tagliarlo con un colpo di spada.

Ci vuole l’uomo forte, che abbia la spada e sappia usarla. Non abbiamo idee chiare sull’uscita dall’euro, leggiamo che restare nell’euro è una rovina ma che uscire dall’euro sarebbe una catastrofe. Non comprendiamo perché, per entrare nell’euro, ci han fatto pagare perfino una tassa in più, come se l’euro fosse la medicina per i nostri mali, e perché adesso sia la fonte della nostra miseria. O la classe politica che ci ha portato nell’euro non sapeva quel che faceva, o la classe politica che adesso non ci porta fuori non è in grado di fare niente. Ci vorrebbe un uomo forte.  Che battesse moneta da un conio italiano.

Non riusciamo a capire se l’immigrazione sia un dovere morale o un disastro sociale, economico, civile, perché disgrega la nostra società, impoverisce i comuni ospitanti, scardina la nostra civiltà, introducendo civiltà incompatibili. L’immigrazione è una guerra e noi siamo vinti senza combatterla: ci vorrebbe un uomo forte, che la combattesse e la vincesse. Ma l’uomo forte non vince le guerre, le perde. Lo sappiamo per esperienza.

A chi chiede un uomo forte, la risposta migliore è: “Un altro?”. La voglia di un uomo forte è una delega ad altri di un potere nostro: non sapendo cosa fare, vorremmo passare la decisione ad altri. È una democrazia insicura. Non di un uomo forte abbiamo bisogno, ma di un popolo maturo.




Unione Sarda



l vuoto politico L'assessore regionale? Fantasma

« I piani alti non danno mai tutte le risposte. È una storia che sento
dell'epoca di mio nonno. Eccoci qui, la storia continua». Daniele, 33
anni, imprenditore agricolo di Osilo, l'ha detto al TG di Videolina
mentre marciava verso il Palazzo con tanti altri giovani accanto. Una
sintesi, la sua, di un mondo che vuole guardare avanti anche con
ottimismo, ma che sbatte contro i piani alti. Con i politici e i
burocrati, corresponsabili - da generazioni - di un mondo che fa un
passo avanti e due indietro.

Il prezzo del latte di pecora era il nervo più scoperto anche con
l'euro lontanissimo dagli incubi dei pastori. Quanti blocchi stradali
per un litro pagato mille lire! Oggi, a conti fatti, va persino
peggio. Eppure abbiamo versato fiumi di latte e di parole, negli
ultimi trent'anni, invocando la diversificazione. Tradotto: produciamo
meno Pecorino romano (la grandi forme che vanno in America e subiscono
gli umori del dollaro e del mercato) e più formaggi “piccoli”. Decenni
di chiacchiere. Inutili, visto che ancora non si parla d'altro.
Daniele da Osilo il suo latte lo trasforma in azienda, ai grandi
caseifici non dà nulla. Per molti è una strada in salita.
A Cagliari, presi per mano, c'erano tre generazioni di pastori e di
agricoltori, il nostro mondo. Nei piani alti non sono stati capaci
nemmeno di fargli trovare il “loro” assessore. Caro Daniele, la storia
continua. Tieni duro.
Emanuele Dessì

Il partito verso il congresso
Segreteria Pd, prove d'unità ma tanti nomi

Prove di intesa in casa Pd alla ricerca di un candidato unitario.
Dall'area popolare-riformista che fa riferimento a Cabras e Fadda
difficilmente arriverà l'indicazione di un nome, proprio per
sottolineare la volontà di mantenere fede agli impegni per trovare un
candidato che piaccia a tutti. Eppure, tra i numerosi papabili si fa
anche il nome della deputata, Romina Mura, che non dispiacerebbe alla
minoranza che comunque potrebbe decidere di proporre figure interne.
Nei giorni scorsi è circolato il nome del senatore Luigi Cucca che
però avrebbe scelto di declinare l'invito.

Aumentano le quotazioni di
Davide Burchi, dirigente ogliastrino del partito anche lui vicino
all'area dell'ex minoranza dem. Una girandola che potrebbe avere anche
in Yuri Marcialis uno dei candidati, scelto attraverso il dialogo
della sinistra Pd e della corrente della Traversata. Lunedì prossimo
le candidature dovranno essere ufficializzate e in questi giorni si
continua a discutere per riuscire a capire chi otterrà l'indice di
gradimento maggiore. Infatti, l'ipotesi di una candidatura di
Francesco Sanna, maturata nell'area soriana, deve ottenere il lascia
passare da parte delle altre correnti dem che, al momento non sembra
facciano salti di gioia.

Questa mattina ci dovrebbe essere un incontro
tra soriani, ex minoranza e popolari-riformisti, proprio per
verificare i margini di manovra per evitare l'ennesima prova di forza
all'interno del partito. Tutto avviene con un orecchio puntato su Roma
dove la crisi dem potrebbe sparigliare le carte anche in Sardegna. (m.s.)

Cocco, Lai e Pizzuto: l'assessora vada a casa. Uras e Agus: no al
valzer delle poltrone Rimpasto,
è guerra tra ex Sel Tre consiglieri sfiduciano Firino

Volano stracci dentro quello che fino a poco tempo fa si chiamava Sel.
Tre dei quattro consiglieri regionali - Daniele Cocco, Eugenio Lai e
Luca Pizzuto - hanno sfiduciato la “loro” assessora (alla pubblica
istruzione e cultura), chiedendo al presidente Pigliaru di mandarla a
casa, mentre a difenderla sono intervenuti il senatore Luciano Uras e
il quarto consigliere, Francesco Agus.

Sciolto il partito a livello nazionale e confluiti in Sinistra
italiana alcuni suoi esponenti (non Uras né il sindaco di Cagliari
Massimo Zedda), nell'Assemblea sarda non ci sono state ancora
ricollocazioni ufficiali e da ieri (in vista anche del rimpasto
dell'esecutivo che dovrebbe andare avanti non appena il governatore
tornerà al comando) la spaccatura è definitiva.

LA NOTA «Molte delle scelte fatte e non fatte, dal piano straordinario
degli scavi archeologici mai decollato, sino alla mancata approvazione
del piano di dimensionamento scolastico, urgente e non più
prorogabile, portano alla definitiva rottura del rapporto
fiduciario-politico con l'assessore Claudia Firino, a cui va il nostro
affetto ma non più il nostro sostegno politico», scrivono Daniele
Cocco, Eugenio Lai e Luca Pizzuto. «Pertanto chiediamo al presidente
di prendere immediati provvedimenti e di agire urgentemente per
effettuare una ridefinizione della squadra di governo che possa essere
all'altezza delle aspettative dei cittadini sardi».

IL SENATORE Ecco su Facebook il senatore Uras: «L'assessora Firino è
una tra le giovani donne più coraggiose impegnate in politica. È stata
diffusa strumentalmente l'idea che sia possibile la sua sostituzione.
Sarebbe cosa molto sbagliata». E aggiunge: «Tutti noi dell'area
democratica, progressista, sardista e indipendentista avremo bisogno
di riflettere sul tempo che viviamo, sull'esigenza di rafforzare la
piattaforma programmatica per la Sardegna, di intensificare il
confronto con lo Stato, di coinvolgere tutte le istituzioni sociali e
politiche dell'autonomia. Nel frattempo non preoccupiamoci di
sostituire chi con impegno lavora. Piuttosto diamo una risposta forte
designando gli assessori vacanti, dell'Agricoltura e degli Affari
Generali».

IN DIFESA Il consigliere Agus ricorda che «il partito che insieme a
tanti compagni e compagne sarde abbiamo contribuito a fondare, è stato
sciolto contro la nostra volontà», dunque, «le posizioni espresse
dagli ex iscritti sono da ritenersi a titolo personale». Tutto ciò
premesso, «leggo non senza stupore il comunicato dei colleghi.
Opinioni che non possono non sorprendermi per l'affastellamento di
temi che meriterebbero una più puntuale riflessione e che per la loro
importanza non andrebbero coinvolti in discorsi che sembrano invece
più legati alle scelte di organizzazione interna dell'assessorato
perpetrate giusto ieri (martedì, in riferimento al cambio del capo di
gabinetto, ndr.) dall'assessore Firino, a cui va il mio sostegno».
Continua Agus: «Rinnovo la mia totale contrarietà all'idea che la fase
di verifica possa limitarsi a una mera sostituzione di poltrone, alla
conta tra partiti, gruppi e correnti e alla soddisfazione di ambizioni
personali, pur legittime. Lo sguardo va rivolto all'esterno del
palazzo: non è di un giro di valzer che ha bisogno la Sardegna ma di
un nuovo slancio per concludere la legislatura».

LA COLLOCAZIONE E poi di nuovo Uras: «Chiariscano Cocco, Lai e
Pizzuto, se appartengono al progetto di Sinistra italiana,
incompatibile con alleanze di centrosinistra. Noi stiamo lavorando per
rilanciare l'unità delle forze democratiche e popolari». La risposta
dei tre non si è fatta attendere: «Noi siamo nel centrosinistra. Siamo
e saremo disponibili a lavorare per ricomporre l'unità della nostra
comunità politica in modo paritario e equitario, ribadendo il rispetto
per tutti i compagni che insieme a noi sono stati in Sel. Non cadremo
nella logica fratricida dell'insulto: per noi la polemica si ferma
qui». Cr. Co.

D'Alema a Cagliari ripete: rischio scissione se si vota subito, prima
il congresso «Caro Renzi, non siamo stupidi Cambia o il Pd va a sbattere»

Chiedetegli di Renzi, tanto per provare. Parlategli del decisionismo
che l'ex Rottamatore ha portato in un centrosinistra a volte
inconcludente. «Guardi, io apprezzo la determinazione di Renzi»,
risponde Massimo D'Alema sgranando gli occhi, come se non fosse troppo
convinto: «Però è quella che ha portato il Pd a sbattere contro un
muro. E questo lo apprezzo meno».

A Cagliari per il meeting di Assadakah sulle politiche mediterranee,
dove si confronta su temi a lui ben noti con interlocutori locali
(Antonello Cabras e Raimondo Schiavone) e internazionali, D'Alema non
si sottrae alle domande sulla situazione italiana. Anzi: ci tiene a
spiegare bene il nuovo movimento Consenso, appena battezzato. «Non ho
nessuna voglia di fondare un mio partito», giura: «È un movimento di
cittadini, molti fuori dai partiti, che vogliono rinnovare un
centrosinistra asfittico, incapace di convincere i giovani, i
lavoratori, il mondo della scuola».

Ma si può rifare il centrosinistra senza il Pd, o senza la parte che
ha sostenuto le riforme renziane?
«Senza il Pd? Mai detto. Ho dedicato 40 minuti del mio intervento,
l'altro giorno, a dire che vorrei un congresso del Pd. Non ho avuto
risposte, tranne insulti e una risposta burocratica: il congresso è
previsto a ottobre».

Beh, è la verità.
«Sì, ma perché si pensava che le Politiche fossero nel 2018. C'era una
logica. Se però si vuole anticipare il voto bisogna anticipare anche
il congresso. Perché ci devono rispondere in quel modo? Non siamo
stupidi, non siamo bambini».
Perché è contrario al voto anticipato?

«Con questa legge elettorale, consegnerebbe il Paese alla più assoluta
ingovernabilità».
Napolitano dice: in un Paese civile si voterebbe a scadenza naturale.
«Già, mi fa molto piacere. Frase drastica: se l'avessi detta io, sarei
stato coperto di insulti. Tuttavia mi sento di sottoscriverla».
Prima di votare, serve una nuova legge elettorale?
«Sì: senza le assurdità dell'Italicum bocciate dalla Corte
costituzionale, e con una ragionevole correzione maggioritaria. Certo
non basta armonizzare il proporzionale tra Camera e Senato».

E sulle modalità di scelta dei parlamentari?
«È doveroso cancellare i capilista bloccati. Con questa frammentazione
politica, si calcola che sarebbero 435 i deputati nominati. E
vorrebbero estendere la regola al Senato: una vergogna».
Se non verrete ascoltati, sarà scissione?
«Io ho posto problemi concreti e li ho posti al Pd. Poi dico: se non
verranno risposte, se non ci sarà nessuna discussione politica, se
tutto si ridurrà a un ultimatum per arrivare al voto quanto prima,
questo avrà un effetto scardinante. A quel punto ognuno si sentirà
libero».

Liste alternative, quindi.
«Forse. Ma questo è stato presentato come la voglia di fare il partito
di D'Alema. Una falsificazione propagandistica. Capisco che dal
Nazareno si mandino veline, ma i giornali non sono obbligati a
riportarle, è un Paese libero... Anche Bersani in un'intervista ha
detto, giustamente, che non serve il partito di Tizio o di Caio: ma è
stata titolata “no al partitino di D'Alema”. Una provocazione. È
chiaro che un'eventuale alternativa a Renzi non sarei io».

Lei critica Renzi, ma non pensa che al centrosinistra servisse un
leader energico?
«Gli riconosco di aver suscitato tante speranze. Molte però sono state
tradite e il Pd ha subìto varie sconfitte di cui il gruppo dirigente
deve rispondere. Abbiamo perso Roma e Torino, e la metà dei Comuni che
governavamo. Abbiamo perduto il referendum con 20 punti di distacco, e
ha votato No l'82% dei giovani. Ci sarà materia per discutere, o no?»

Non salva niente di Renzi? Per dire: il governo Prodi discusse
vanamente di Pacs e Dico, con Renzi è passata la legge sulle unioni civili.
«Ho apprezzato la legge sulle unioni civili e l'ho detto. E apprezzo
la determinazione di Renzi, ma è quella con cui siamo andati a sbattere».

Però il Paese aveva bisogno di riforme incisive.
«Certo. Ma la grande riforma costituzionale è stata bocciata dagli
italiani. La grande riforma elettorale è stata bocciata dalla
Consulta. La grande riforma della pubblica amministrazione l'ha
bloccata il Consiglio di Stato. La grande riforma della scuola ci ha
fatto perdere i voti di molti insegnanti e studenti. Gli ultimi dati
sull'occupazione ci dimostrano che anche il Jobs act non funziona
tanto bene. Quindi: determinazione, sì, ma forse c'è qualcosa da
cambiare. Mi pare invece che si insista sulla stessa linea, senza un
minimo di riflessione».
Giuseppe Meloni

La Nuova

L’ex premier a un convegno a Cagliari: «Non penso a un nuovo partito,
ma voglio il congresso del Pd» D’Alema riunisce i Ds, da Cabras a Zedda

di Stefano Ambu wCAGLIARI Pci, Ulivo, Ds, Pd, Sel. Sembra una canzone
di Rino Gaetano. Invece sono le sigle di vecchia e nuova sinistra che
Massimo D'Alema riesce a mettere d'accordo quando parla di politica.
Estera. Congresso adesso, congresso dopo, voto adesso o voto dopo,
tutti insieme o liberi tutti: questioni che rimangono sullo sfondo
quando l'ex Primo ministro parla di delegazione politica che va a
cercare di lavorare per la pace a Baghdad o, con nomi, cognomi e
grandi competenze, di scenari siriani o costituzioni libanesi.
L'occasione è stata ieri sera a Cagliari il V Meeting Internazionale
delle Politiche del Mediterraneo. Il titolo dell'evento: "I nuovi
scenari geopolitici nel Mediterraneo.

Le politiche dell'UE e
dell'Italia in Medio e Vicino Oriente". A fare gli onori di casa il
presidente della Federazione Assadakah Italia - Centro Italo Arabo e
del Mediterraneo Onlus, Raimondo Schiavone. Argomenti: la guerra in
Siria, la lotta al terrorismo, il ruolo del Libano nel contesto
regionale, le prospettive di crescita della Tunisia, i rapporti con la
sponda sud del Mediterraneo e i flussi migratori. Sala gremita. Per
ascoltare il D'Alema versione "fuori casa" c'erano pezzi da novanta
della storia della sinistra in Sardegna: da Antonello Cabras,
presidente della Fondazione Sardegna, nel tavolo dei relatori al
sindaco di Cagliari Massimo Zedda, nelle "giovanili" degli antenati
del Pd quando D'Alema se la vedeva con Berlusconi. Poi Piersandro
Scano e tanti altri. Nelle ultime file anche qualcuno che con il
pianeta "rosso" non c'entra nulla. Più azzurro che rosso, ma
innamorato della politica. E quindi anche di D'Alema. Si è parlato. E
non si poteva proprio farne a meno anche di politica italiana. Ma,
come si dice, "a margine".

Un po' di Sardegna. «Il voto sardo – ha
detto D'Alema prima del via al convegno riferendosi al referendum – è
significativo anche perché manifesta un profondo malessere. C'è uno
studio dell'istituto Cattaneo che nella fascia di reddito medio bassa
vince il no. I poveri, gli emarginati, la gente arrabbiata vota contro
il governo. E la Sardegna è una regione che vive una situazione
sociale e occupazionale di grande difficoltà. Nel voto del referendum
si riflette anche questo». Poi, per forza di cose, l'Italia. «Non
voglio formare nuovi partiti – ha precisato –. Io ho chiesto il
congresso del Pd. Se non ci sarà una discussione democratica
all'interno del Pd inevitabilmente ognuno si sentirà libero di fare
altre cose. Mai riferito a fondazione di partiti ho parlato di un
movimento per la rinascita del centrosinistra un po' nei termini che
oggi Bersani ha sviluppato in modo convincente.

Mi piacerebbe
discutere democraticamente nel mio partito. Ma questo purtroppo non ci
viene consentito». Situazione un po' così: «Io ho chiesto il
congresso. Non ho ricevuto nessuna riposta nel merito, ma solo
insulti. Li ho segnati, per memoria...». Il presente e l'immediato
futuro? «Del tutto d'accordo con il presidente Giorgio Napolitano.
Credo che sarebbe utile a tutti che il Parlamento avesse modo di
lavorare a una legge elettorale tendendo conto di quello che ancora
non sappiamo, cioè delle motivazioni della sentenza della Corte
costituzionale».

Solo Agus non firma la richiesta di dimissioni dell’esponente della
sinistra in giunta Al centro della rottura la scelta di Uras di imporre il cambio del
capo di gabinetto. I tre consiglieri di Sel: «Via l’assessore Firino»

CAGLIARI I compagni di Sel non sono più uno zoccolo duro e compatto.
Senza avere ancora in tasca un’altra tessera, Sinistra, ecologia e
libertà è svanita nel nulla a fine anno, il fu partito di Vendola si è
sfilacciato e oggi da quelle parti può accadere qualunque cosa. Come
questa: dopo il cambio pare brutale del capo di gabinetto
dell’assessore alla cultura, Claudia Firino è la quota Sel in giunta,
tre consiglieri regionali su quattro sono sbottati. Fino al punto da
sfiduciare in pubblico chi li rappresenta nel governo della Regione:
«Firino non ha più la nostra fiducia», è stata la loro sentenza. Con
un effetto immediato e dirompente sulla squadra azzoppata del
presidente Francesco Pigliaru.

Da dicembre le deleghe all’agricoltura
e al personale sono vacanti, e ora rischia di perdere in corsa un
terzo assessore. Sarebbe un altro violento scossone, destinato per
forza ad accelerare quel rimpasto ormai prossimo. Fra sette giorni? È
possibile. L’antefatto. Serve un passo indietro per spiegare meglio
cos’ha scatenato lo scontro fra il gruppo dei “cittadini”, Luciano
Uras, senatore della Repubblica e Francesco Agus, consigliere
regionale, contro i “rurali”: Daniele Cocco, Eugenio Lai e Luca
Pizzuto, anche loro consiglieri regionali. Il senatore avrebbe deciso
e imposto la staffetta nell’ufficio del capo di gabinetto
dell’assessorato. Nel dettaglio: il cagliaritano Sandro Serreli al
posto del nuorese Giuseppe Dessena. Apriti cielo: quel cambio –
secondo Pizzuto e più – sarebbe stato un colpo di mano, o meglio una
provocazione. L’attacco. La risposta dei “rurali” è stata immediata e
dura, con la rottura – testuale – del «rapporto politico e fiduciario
con l’assessore Firino, alla quale va il nostro affetto ma non più il
nostro sostegno».

Con in chiusura «l’invito al presidente della
Regione di prendere immediati provvedimenti e agire per ridefinire la
squadra di governo». In una sola frase: Claudia Firino dev’essere
sollevata dall’incarico, perché non rappresenta più «tutta Sel», ma
«solo una parte», quella dei “cittadini”. Un affondo così forte che,
in serata, il governatore (appena dimesso dall’ospedale) convocherà a
casa sua Pizzuto, che è anche coordinatore regionale dell’ex partito,
e Lai. Per dir loro cosa? Con molta probabilità questo: di
soprassedere per una settimana, perché a breve ci sarà il rimpasto e
molto cambierà. Pare che i “rurali” abbiano accettato l’invito. No
alla sfiducia. Ma il senatore Uras non è rimasto certo a guardare.
Anzi, com’è nel suo carattere ha contrattaccato. «La sfiducia – scrive
– sarebbe molto sbagliata. Non preoccupiamoci di sostituire chi c’è e
chi con impegno lavora.

Soprattutto Claudia Firino, che è una delle
giovani donne più coraggiose impegnate in politica». Con una
traduzione forse ancora più semplice: la reazione dei “rurali” è stata
esagerata. Però anche inevitabile in un ex partito alla ricerca di un
futuro: entrerà nel Pd, oppure fonderà un nuovo soggetto politico? È
un mistero. Che è restato tale anche dopo l’intervento del consigliere
regionale Francesco Agus, il secondo dopo Uras a prendere le distanze
dalla sfiducia via lettera. «Il governo regionale – scrive – ha
bisogno di una svolta complessiva, ma attraverso un ragionamento».
Perché «se – continua – la verifica, per diversi motivi, è stata
interrotta nel mese di settembre, deve riprendere subito il dialogo
interno alla coalizione, senza però limitarsi alla sola sostituzione
di poltrone, alla conta tra partiti, gruppi e correnti e alla
soddisfazione delle ambizioni personali, pur legittime». È evidente:
non basterà un semplice rimpasto per rimettere in carreggiata la
giunta. Pigliaru dovrà fare molto altro, anche per riportare un po’ di
pace dentro Sel e perché no nel Pd. (ua)


L’assessore all’attacco: «Il no del Mibac contraddice quanto sostenuto
dal governo. Ora rischia di saltare tutto» Eurallumina, Erriu contro il ministero

di Tamara Peddis wPORTOVESME Occupazione permanente degli operai
Eurallumina di Portovesme dentro e fuori il palazzo regionale di viale
Trento a Cagliari. Il presidio andrà avanti fino all' 8 febbraio, data
in cui è stata aggiornata la conferenza di servizi per il riavvio
della fabbrica. Nell'ultima fase della lunga riunione di due giorni
fa, i rappresentanti del ministero dei Beni e le attività culturali
hanno espresso parere negativo su un aspetto paesaggistico.

Sull'interpretazione del Ppr, Regione e Stato durante la conferenza
erano in contrapposizione. Sul tema specifico ieri è intervenuto
l'assessore regionale all'Urbanistica, Cristiano Erriu, che dopo
un'analisi dei resoconti della riunione ha criticato la presa di
posizione del Mibac: «In attesa dell'esito della conferenza
sull'ampliamento della vasca di deposito dei fanghi di lavorazione
dell'Eurallumina, rimane la forte preoccupazione per la posizione
espressa dal ministero che potrebbe metterla in discussione o
addirittura vanificarla». L'assessore sottolinea che la Regione,
attraverso gli uffici della tutela del paesaggio e nelle sue funzioni
in materia paesaggistica, ha dato parere positivo così come le altre
amministrazioni presenti.

E poi ha spiegato: «Nonostante la Regione,
il Mise e il comune di Portoscuso, abbiano escluso la presenza nel
sito di reperti nel Piano paesaggistico regionale, il ministero per i
beni culturali si ostina a voler applicare un regime di salvaguardia a
tutela di beni che non esistono solo perché tale assenza non è stata
ancora recepita formalmente dal Puc». Un aspetto che ha suscitato
l'indignazione anche dei consiglieri regionali di Forza Italia. «Lo
Stato centrale cerca il pelo nell'uovo, da un lato dichiara strategica
l'industria, dall'altro interpreta il Ppr a suo uso e consumo», hanno
dichiarato gli azzurri Ignazio Locci, Pietro Pittalis, Oscar Cherchi e
Stefano Tunis in delegazione al presidio dei lavoratori per
manifestare la loro solidarietà. Gli operai stanchi e pieni di rabbia
non intendono arrendersi. Dalla notte del 31 gennaio occupano la sala
riunioni del palazzo regionale di viale Trento e da ieri hanno
allestito anche un presidio esterno permanente.

«Non molliamo, e
continueremo a vigilare fino alla fine», hanno spiegato con la voce
affievolita dalla stanchezza i lavoratori che lottano da anni per la
ripresa produttiva della fabbrica e speravano di porre fine al lungo
iter burocratico con la conferenza di servizi decisiva e vincolate per
dare avvio del progetto di investimento dell'azienda presentato alla
regione nel 2014 per ottenere le necessarie autorizzazioni.
L'assessore all'Urbanistica Cristiano Erriu ha messo in forte
discussione l'atteggiamento del ministero dei Beni culturali e
sollecita delle risposte per il territorio.

«In questo modo i
rappresentanti del governo italiano, con atteggiamento schizofrenico,
contraddicono le parole e i comportamenti di apertura, in direzione
del consolidamento del polo dell'alluminio del Sulcis, alla cui difesa
da molti mesi sono impegnati direttamente il ministero dello Sviluppo
economico e la stessa presidenza del Consiglio dei ministri, oggetto
per altro di accordi e intese proposti e sottoscritti dallo stesso
governo nazionale. Ciascuno – conclude Erriu – deve essere ora
chiamato alla responsabilità delle proprie scelte amministrative di
fronte a territori che attendono risposte in modo univoco, chiaro e
coerente

Unione Sarda

La burocrazia frena Eurallumina Presidio a oltranza degli operai. L'assessore Erriu: lo Stato disconosce decisioni precedenti
È scontro Regione-Ministero sull'autorizzazione paesaggistica

A un metro dal traguardo, l'arrivo si è spostato in avanti. La
decisione finale su Eurallumina slitta alla prossima settimana e tra
gli operai esplode la protesta: occupazione permanente della sala
riunioni del palazzo della Regione di viale Trento, decisa nel cuore
della notte dopo la notizia dello slittamento della conferenza dei
servizi che deve dare il via libera al riavvio della fabbrica, e
presidio h24 nella grande tenda montata ieri mattina nel prato verde
all'esterno del palazzo. Dentro la sede della Regione, invece, esplode
lo scontro istituzionale.

GUERRA DI PALAZZO Il via libera al progetto di rilancio non è
inciampato in un ostacolo ambientale, come si potrebbe immaginare
visto che c'è in gioco la costruzione di una centrale a carbone. A
sollevare obiezioni, dopo due giornate molto intense di conferenza di
servizi, è il ministero dei Beni culturali, per questioni
paesaggistiche, su una materia in cui la Regione aveva dato il via
libera. Dura l'analisi dell'assessore degli Enti locali Cristiano
Erriu: «È emersa una contrapposizione tra i due rami
dell'amministrazione», dice Erriu, «regionale da una parte, statale
dall'altra. La prima, attraverso gli uffici per la Tutela, ha dato il
via libera, mentre la seconda si è assunta la responsabilità di
interpretare unilateralmente le disposizioni del Piano paesaggistico
regionale, disconoscendo peraltro precedenti proprie decisioni ».

Insomma, un vero conflitto tra Regione e Ministero. «Ciascuno»,
aggiunge l'assessore, «deve essere ora chiamato alla responsabilità
delle proprie scelte amministrative di fronte a territori che
attendono risposte in modo univoco, chiaro e coerente».
IL PRESIDIO Ieri mattina, dopo un'assemblea con tutti i lavoratori a
Cagliari, sul prato viene montata una tenda. Il presidio sarà doppio:
uno dentro il palazzo, l'altro all'esterno.

«Dopo tutto questo tempo
noi ci crediamo ancora», dicono gli operai in tuta verde, «non può
essere che ci siano altri rinvii e slittamenti. Vogliamo la
decisione». I lavoratori non hanno alcuna intenzione di abbassare la
guardia: si respirano tensione, stanchezza ma ancora tanta
determinazione. «Dopo due anni di procedimento, con 24 enti ad avere
voce in capitolo, è possibile che si arrivi a questo punto e spunti un
nuovo ostacolo?», commenta Giacomo Guadagnini, dirigente regionale del
Pd, «siamo ostaggio di una burocrazia eccessiva che sta mettendo
seriamente a rischio un investimento prezioso per il nostro
territorio. La politica, a iniziare dalla mia parte, deve sollevarsi e
riappropriarsi del suo ruolo».

LE REAZIONI Anche l'opposizione in Consiglio regionale punta il dito
contro la burocrazia. «Oggi scopriamo che il ministero per i Beni
culturali si sta soffermando a cercare granelli di polvere in un
agglomerato industriale», dice Ignazio Locci, consigliere di Forza
Italia. «Senza tentennamenti e ipocrisie bisogna intervenire per
semplificare le procedure. I cittadini non credono più nella politica
e hanno l'incubo della burocrazia».

Dalla parte opposta dei banchi del
Consiglio, Luca Pizzuto ribadisce il sostegno agli operai. «Attendiamo
nuovi sviluppi», dice Pizzuto, «e anche oggi esprimiamo vicinanza al
presidio permanente dei lavoratori. Non li lasceremo soli neanche
questa volta». Rispetto al progetto di rilancio dell'Eurallumina, in
particolare sulla nuova centrale a carbone, Sardegna Pulita,
associazione ambientalista, si è sempre dimostrata scettica,
presentando osservazioni nell'ambito del Via. «Siamo solidali con chi
deve decidere», si legge in una nota di Angelo Cremone, «da un lato ci
sono gli operai che protestano, a ragione, per il loro posto di
lavoro. Dall'altra c'è una maggioranza silenziosa che , seppur non
manifestando la propria opinione, ha diritto di poter vivere e
respirare aria pulita».

Il Comune di Portoscuso, con il sindaco
Giorgio Alimonda, sottolinea di aver confermato con i fatti la volontà
del riavvio dell'Eurallumina. «Abbiamo concretizzato tutti i
provvedimenti per garantire norme e prescrizioni», dice il sindaco,
«con la classificazione degli usi civici che gravavano sul bacino, le
autorizzazioni alle modifiche dell'impianto Tari, le misure per
abbattere la polverosità». A Cagliari, intanto, l'occupazione continua
ad oltranza.
Antonella Pani

CARBONIA. In Consiglio la maggioranza lascia l'aula mentre parla il vicesindaco
La Giunta perde un altro pezzo Si dimette l'assessore Cireddu

La Giunta pentastellata di Paola Massidda perde un altro pezzo. Era
già accaduto lo scorso autunno con Arianna Vinci (Politiche sociali),
il bis ieri con Riccardo Cireddu (Lavori pubblici e Urbanistica):
l'amministratore ha lasciato l'incarico facendo intravedere
motivazioni che, stavolta, non sono strettamente personali come quelle
che erano state fornite dalla sua ex collega.

LO STRAPPO «Sono entrato come tecnico, esco da tecnico», ha voluto
laconicamente commentare ieri sera Riccardo Cireddu, in attesa di
analizzare molto più a fondo le cause del suo abbandono che, invece,
stando alla nota diffusa dal sindaco in tarda serata, sono proprio
riconducibili a un dissenso. Uno strappo che secondo l'opposizione
rappresenta una crisi del Movimento cinque stelle. La forza grillina
ha vinto le elezioni nel ballottaggio contro il sindaco uscente del Pd
Giuseppe Casti. Per Carbonia, da oltre 70 anni guidata da coalizioni
di sinistra o al limite di centrosinistra, è stato un momento storico.
La Giunta del M5S, però, a fine estate aveva già dovuto fare i conti
con la prima defezione: per questioni personali Arianna Vinci aveva
lasciato il posto a Loredana La Barbera. Due mesi dopo secondo
campanello d'allarme: il consigliere Mauro Uccheddu aveva lasciato
l'incarico di presidente della commissione Lavori Pubblici, adducendo
cause personali ma senza mai smentire che potessero essersi
manifestati dissapori. Normale dialettica come nelle migliori
famiglie, ma il consigliere non partecipa a molte sedute
dell'assemblea civica.

I DUBBI Il nuovo caso dell'ormai ex assessore Cireddu potrebbe essere
legato all'esito dell'assemblea civica di martedì, quando la
maggioranza ha abbandonato l'aula mentre l'assessore Gian Luca Lai
(Cireddu era assente) illustrava il piano particolareggiato di Campo
Frassolis (un investimento privato ricettivo e commerciale).
L'opposizione, davanti ai banchi rimasti completamente vuoti senza
alcuna spiegazione, ha parlato di delegittimazione dell'assessore e
dell'intera Giunta e, ieri, la maggioranza ha accusato di
«speculazioni politiche chi malignamente pensa alla sfiducia».

Poi, la notizia delle dimissioni di Cireddu: «Nella lettera di dimissioni -
scrive il sindaco - leggo con dispiacere un presunto allontanamento
dal progetto iniziale che ci anima, ma non condivido perché
abnegazione, competenza e consapevolezza delle difficoltà sarebbero
dovute essere alla base della decisione di tutti: continuiamo il
lavoro forti della fiducia ricevuta lo scorso giugno e che
quotidianamente incassiamo dai cittadini».
Andrea Scano

La Nuova

Oggi il vertice a Roma tra Regione, Anci e governo per ottenere le risorse
Zedda: «Un paradosso, lo Stato preleva più soldi di quanti ce ne trasferisce»
Province, incontro decisivo 100 milioni o sarà il crack

di Luca Rojch wCAGLIARI L’ultima sfida per le immortali è riuscire a
garantirsi un tesoretto per la sopravvivenza. Le Province, cancellate
e risorte, da oggi potrebbero avere anche un minimo di dotazione
finanziaria. Per questa mattina è fissato l’incontro a Roma tra il
governo le Regioni e l’Anci per discutere della distribuzione delle
risorse alle Province fatte sopravvivere con la vittoria del no al
referendum. Nel primo documento Sardegna e Sicilia erano state
escluse. Ma dopo la rivolta della giunta regionale, su tutti
l’assessore agli Enti locali Cristiano Erriu, e dei vertici dell’Anci,
con in testa il presidente nazionale Antonio Decaro, l’approvazione
era stata sospesa.

Oggi ci si riprova e si capirà se anche l’isola
sarà ricompresa tra le Regioni che avranno risorse per le Province.
Erriu guiderà la delegazione sarda, pronta alla rivolta. Allarme
rosso. Il motivo si è capito in tutta la sua drammaticità nelle
audizioni in commissione Finanza del consiglio regionale. Uno dopo
l’altro hanno sfilato i presidenti delle Province. E uno dopo l’altro
hanno raccontato una storia fotocopia. Nelle casse non c’è più un
euro. Un po’ come la macchina rimasta senza benzina. Anche perché
all’orizzonte si prevede un 2017 da orrore. Con nuovi prelievi per gli
enti locali sardi da parte dello Stato. Il totale è già fissato a 107
milioni di euro. L’Sos. Il primo a spiegare gli effetti paradossali
del pasticcio delle Province è il sindaco della città metropolitana di
Cagliari Massimo Zedda. «La città metropolitana trasferisce allo Stato
più di ciò che gli viene trasferito dallo Stato in termini di risorse
– spiega –.

Di fatto finanziamo lo Stato, I trasferimenti che arrivano
da Roma valgono appena il 16 per cento del bilancio della città
metropolitana. Dobbiamo gestire funzioni e competenze delicate, alcune
straordinarie, come l’accoglienza dei migranti. Sosteniamo a nostre
spese l’assistenza a circa mille minori non accompagnati». Alla canna
del gas. Ma la sua è quasi una situazione privilegiata. Le altre
Province vivono in uno stato di asfissia finanziaria. «Non abbiamo le
risorse per le manutenzione delle strade – spiega il commissario della
Provincia di Sassari, Guido Sechi –, né per gli edifici scolastici.
Per comprendere il quadro finanziario della nostra amministrazione è
sufficiente considerare che se anche tagliassimo tutte le spese il
nostro bilancio chiuderebbe lo stesso in passivo». Identiche le
dichiarazioni degli amministratori della provincia del Sud e di quella
di Nuoro, Giorgio Sanna e Costantino Tidu. Gli amministratori delle
province hanno anche messo nero su bianco il fabbisogno economico per
scongiurare il dissesto finanziario: servono più o meno 100 milioni di
euro. I bilanci del 2016 sono stati chiusi solo grazie a peripezie
contabili. A confermare il rischio dissesto finanziario per il 2017 è
lo stesso assessore Erriu.

L’esponente della giunta non ha nascosto le
difficoltà degli enti intermedi: «forse solo la città metropolitana di
Cagliari non sarà in dissesto nel 2017». Erriu ha ricordato i diversi
tagli milionari dei trasferimenti statali: «oltre 102 milioni di euro
in totale per il 2017». L’assessore ha confermato la volontà di
ricorre alla Corte costituzionale contro l’esclusione delle Province
sarde nella ripartizione delle risorse del fondo per gli enti
territoriali.

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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