La Nuova Sardegna
Il Pigliaru bis
in settimana incertezza per ex Sel e Cd Barbara Argiolas alla cultura o al
turismo. Filippo Spanu agli affari generali. Tra i nomi sicuri c’è il
commercialista Pierluigi Caria, Pd: andrà all’agricoltura.
CAGLIARI Il conto alla rovescia comincia oggi. Per
il rimpasto è solo questione di giorni: la giunta «Pigliaru-bis» in
settimana (o al massimo all’inizio della prossima) potrebbe essere presentata.
Non tutte le caselle sono ancora completate, ma venerdì il rientro del governatore
a Villa Devoto ha confermato che il percorso della verifica politica sta per
arrivare al capolinea. Il cambio in corsa degli assessori, due nuovi ma
potrebbero essere anche tre gli esordienti, avverrà tra l’altro in giorni densi
di appuntamenti.
Nell’agenda del Pd, è annunciato il confronto fra
i tre candidati alla segreteria regionale e la corrente che un
candidato non l’ha presentato, i popolari-riformisti dell’area Cabras-Fadda.
Con un dubbio all’orizzonte: il congresso regionale del 19 marzo potrebbe essere sospeso o rinviato se oggi, a Roma, l’ex
premier dovesse presentarsi dimissionario alla direzione nazionale. Ancora più
a sinistra del Pd bisognerà vedere come evolverà la nascita del Campo
progressista di Pisapia e più.
Dopo aver riunito le anime sarde dell’ex Sel, col
trasloco del deputato Michele Piras da Sinistra Italiana, potrebbe riportare a
casa anche i tre consiglieri regionali – Daniele Cocco, Eugenio Lai e Luca
Pizzuto – che di recente hanno sfiduciato l’assessore di riferimento, Claudia
Firino (istruzione). Rimpasto. I tre nuovi assessori dovrebbero essere Filippo
Spanu, Pierluigi Caria e Barbara Argiolas. Il primo è l’attuale capo di gabinetto
del governatore, che tra l’altro simpatizza per la corrente renziana nazionale,
avrà la delega per gli affari generali, dove succederà al dimissionario
Gianmario Demuro. Anche Pierluigi Caria, renziano, dovrebbe prendere il posto
di chi, sempre a dicembre, s’è dimesso: Elisabetta Falchi dei Rossomori.
Per l’ex consigliere regionale e commercialista
gallurese dovrebbe esserci l’assessorato all’agricoltura, mentre sembra sfumata
l’ipotesi dell’industria. Chi non sa ancora se avrà la delega al turismo o alla
cultura è l’ex assessore comunale di Cagliari Barbara Argiolas, indicata dalla corrente
soriana del Pd.
La scelta di Pigliaru dipenderà dalla conferma o
meno di Francesco Morandi, Centro democratico, e di Claudia Firino, ex Sel. Per
il primo, è legata al fatto se miglioreranno i rapporti fra Pigliaru e il
deputato del Cd Roberto Capelli, che nono sono buoni. Ma l’annunciato ingresso
di Capelli nel movimento Campo progressista potrebbe servire a ricucire lo
strappo. Il futuro di Claudia Firino è invece legato a come si concluderà la
disputa dentro Sel fra il gruppo del senatore Luciano Uras, anche lui fra i
fondatori del Campo, e i tre consiglieri regionali dissidenti.
La conta. Se gli ingressi in giunta dovessero
essere solo i tre ipotizzati, i rapporti di forza cambierebbero così. Il
presidente avrebbe dalla sua un uomo in più, passando da tre a quattro. Filippo
Spanu si aggiungerebbe al vicepresidente Raffaele Paci (bilancio), Donatella
Spano (ambiente) e Luigi Arru (sanità). Ma alcune indiscrezioni danno Arru preso
in carico dalla corrente soriana del Pd. Anche il Partito democratico aumenterebbe
la forza in giunta: da quattro a cinque assessori.
Nel dettaglio: due in quota
alla corrente Cabras-Fadda (Cristiano Erriu all’urbanistica e Massimo Deiana ai
trasporti), uno a testa per renziani (Caria all’agricoltura), ex Diesse
(Virginia Mura al lavoro) e soriani (Argiolas al turismo o alla cultura).
Usciti i Rossomori, subito dopo il referendum di dicembre, e in forse il Centro
democratico, agli alleati del Pd rimarrebbero tre deleghe.
A cominciare dalla conferma di Paolo Maninchedda,
Partito dei sardi, ai lavori pubblici, poi Maria Grazia Piras all’industria e
alla quale l’Upc ha confermato piena fiducia e infine la casella destinata agli
ex di Sel. Che è ancora da riempire: vincerà Uras, con la riconferma di Claudia
Firino, o il trio dei consiglieri regionali con un nome nuovo? È questo
l’ultimo dubbio della seconda giunta di Francesco Pigliaru. (ua)
Unione Sarda
Renzi,
il passo indietro
La
minoranza all'attacco su Jobs Act, Buona Scuola e Montepaschi
La
tentazione di dimettersi oggi in Direzione Pd
ROMA Fibrilla, il Partito
democratico, alla vigilia della direzione in
cui il segretario Matteo Renzi
potrebbe rassegnare le dimissioni. La
mossa di oggi non trova conferme
ufficiali, tanto che ieri il Pd ha
smentito i virgolettati attribuiti
da alcuni giornali allo stesso
Renzi. Il passo indietro in realtà
servirebbe a rilanciare la
possibilità di andare al voto in
giugno, magari dopo un congresso
lampo in aprile.
SPERANZA E in attesa delle possibili
dimissioni di oggi, la minoranza
attacca Renzi sulle sue riforme
simbolo. «Dobbiamo recuperare la
fiducia di milioni di italiani che
non hanno condiviso molte delle
scelte fatte negli ultimi anni -
attacca Roberto Speranza. Dal Jobs
Act alla Buona Scuola, dalle
politiche economiche e fiscali alle
riforme istituzionali, abbiamo
sommato rotture a rotture e perso un
pezzo del nostro popolo. Ora si
tratta di capire, a partire dalla
direzione di domani, se siamo in
grado, tutti insieme, di rimettere il
treno sui binari ed evitare che
questo straordinario patrimonio di
energie che è il Pd perda
definitivamente la sua anima».
«GENTILONI GOVERNI» Toni simili a
Firenze, all'iniziativa della
sinistra Pd “Può nascere un fiore.
Di nuovo, la sinistra” preparata
dal deputato dem Francesco Laforgia,
che invita tutti a lasciar
governare Paolo Gentiloni «fino a
scadenza naturale» per «prendersi il
tempo» per fare la legge elettorale
in modo che «l'Italia non resti
nella palude alle prossime elezioni
politiche».
BANCHIERI E GOLFISTI Più duro il
lettiano Francesco Boccia, presidente
della Commissione Bilancio a
Montecitorio: «Non ho visto la sinistra
quando Jp Morgan ha nominato
l'amministratore di Monte Paschi». Simile
la linea di un candidato alla
segreteria, il governatore pugliese
Michele Emiliano: «siamo stati
attentissimi alle esigenze di
petrolieri, finanzieri, banchieri e
anche golfisti».
Un altro aspirante segretario, il
presidente della Toscana Enrico
Rossi, chiede che Renzi «dia le
dimissioni come ha annunciato, poi una
segreteria di garanzia come quella
di Epifani che ci porti a fare il
congresso.
«STATUTO» Una formula che non piace
al vicesegretario Lorenzo Guerini:
«Ora spunta la segreteria di
garanzia. A tutti vorrei rispondere così:
se si anticipa il congresso, lo si
anticipa davvero, senza formule
fantasiose, ma con le procedure e la
strada indicata dallo statuto, e
cioè convenzioni nei circoli e poi
elezione del segretario con
primarie aperte. Punto».
Quartu
Nicola
Selloni e la posizione del Centro democratico
«I
singoli non fanno scelte politiche»
«Ognuno parla a titolo personale, le
scelte politiche vengono prese
dalla segreteria». Il segretario
regionale del Centro democratico
Nicola Selloni cerca di fare
chiarezza sul sostegno a Delunas. La
consigliera regionale Anna Maria
Busia è dell'idea che il partito
debba riavvicinarsi alle altre forze
di centrosinistra per fare fronte
comune mentre il consigliere
comunale Marco Ghiani difende il suo
ruolo tra i responsabili.
«Ho piena fiducia nell'assessora Del
Zompo, come ho precisato durante
un incontro col sindaco cui ho detto
che lo abbiamo appoggiato e siamo
per andare avanti», precisa Selloni,
«dagli esponenti del partito sono
arrivate posizioni personali che
rispetto: condivido il ragionamento
di Busia sulla necessità di restare
uniti, credo che a livello
regionale non si debbano perdere i
Rossomori». Ma ci sono gli
equilibri incerti a Roma e Cagliari.
«Le decisioni di carattere
politico vengono prese dalla
segreteria regionale, non dai singoli. Ma
la politica è in continua
evoluzione». (m. z.)
Regioni
ai ferri corti
La
Sardegna alza la voce per i tagli, giovedì si apre il tavolo a Roma
Scontro
sulle risorse per sanità ed enti locali
«Lo Stato centrale si comporta come
un Robin Hood al contrario».
L'assessore agli Enti locali,
Cristiano Erriu, lo ha detto a proposito
del Fondo per le province, ma la
stessa considerazione vale per la
Sanità e gli accantonamenti, cioè il
contributo che bisogna dare al
disavanzo dei conti pubblici. E tra
le Regioni è scontro aperto: le
risorse sono sempre meno, i tagli
pesano, le accuse vengono lanciate
da più parti, con le “ordinarie”
contro le “speciali” che non
farebbero «la loro parte». La
Sardegna ha aperto una vertenza nei
confronti dello Stato, ha impugnato
la Legge di Stabilità (anche dove
è chiamata a implementare il fondo
sanitario nazionale dal quale però
è esclusa), chiede di avere una
quota di copertura per i farmaci
innovativi (difficilissima da
ottenere) e rivendica i soldi per
mandare avanti Province e Città
metropolitana (che alle altre Regioni,
invece, spetterebbero). Giovedì
prossimo a Roma l'assessore al
Bilancio Raffaele Paci incontrerà il
sottosegretario agli Affari
regionali e alle Autonomie
Gianclaudio Bressa per avviare il tavolo di
confronto.
L'IMPUGNAZIONE Giovedì scorso, i
governatori e Bressa hanno firmato
l'accordo sul riparto dei 2,7
miliardi di “contributi alla finanza
pubblica” ancora da coprire.
Sardegna, Valle d'Aosta, Sicilia e Friuli
Venezia Giulia, che hanno presentato
ricorso alla Consulta contro la
manovra, si sono opposte e non
intendono esaudire le richieste di
Roma. Così si è espresso il
presidente Pigliaru: «La Giunta ha
impugnato la Finanziaria dello Stato
rispetto agli accantonamenti, un
contributo straordinario
all'equilibrio della finanza pubblica statale
che si è trasformato in un prelievo
costante ai danni della Sardegna
che consideriamo ingiusto».
LE PROVINCE «La scelta del governo
di perseverare nell'esclusione
della Sardegna dal riparto dei fondi
a favore della Città
metropolitana e delle Province
conferma una precisa e unilaterale
volontà, che non ho difficoltà a
definire persecutoria, e una plateale
ingiustizia che obbliga ad una
opposizione ferma e unanime»,
sottolinea Erriu, in riferimento
alla esclusione dal riparto dei 900
milioni annui stanziati dallo Stato
come contributo agli enti locali.
Il paradosso è che gli tutti gli
enti locali intermedi della Sardegna,
i più disastrati d'Italia e tutti
con bilancio in disequilibrio,
sarebbero chiamati a contribuire,
con oltre 102 milioni di euro
all'anno e per sempre, al
risanamento del debito pubblico dello Stato,
con buona pace del principio di
leale collaborazione».
Red. Pol.
COMUNE.
Anche Polo civico, Riformatori e M5S spingono per elezioni anticipate
«Tornare
subito alle urne» Il Pd contesta la maggioranza che sostiene il sindaco Delunas
L'opposizione vuole tornare alle
urne e il Pd lancia un appello a chi
sostiene Delunas: «Chi ha a cuore
questa città, chiuda questa stagione
infausta: sediamoci a un tavolo
tutti insieme per un nuovo progetto».
Il Partito democratico cerca di
affondare il colpo sui punti deboli
della coalizione. «La situazione è
tragicomica, pur di rimanere
abbarbicati in posizioni politiche
allucinanti si stanno inventando di
tutto - commenta il capogruppo Marco
Piras - è una maggioranza che ha
sempre vacillato, costruita per
traghettare questo sindaco non si sa
per quanto tempo e sperando in non
so cosa visto che c'è stato un anno
e mezzo di fallimenti».
Secondo il leader del gruppo Dem la
situazione sta andando a rotoli:
«Non riescono a chiudere una
partita, l'esempio peggiore è quello del
piano-parcheggi in alto mare. Il
sindaco poi dice che tra qualche
tempo ci sarà il nuovo bando di
igiene urbana ma servono tempi tecnici
lunghi - spiega Piras - tra un anno
rischiamo di trovarci con la città
invasa dai rifiuti». Questo è un dei
punti cruciali che stanno
agitando l'opposizione e il Pd
insiste perché ci sia un cambio
radicale nella geografia del
Consiglio. «Serve un tavolo di confronto
per dare un vero governo di salute
pubblica a questa città che è in
ginocchio - attacca - se ne stanno
andando tutti dalla Giunta perché
il sindaco gioca a fare
l'accentratore senza esserne capace».
Anche dal Polo civico arriva
l'invito a voltare pagina, a prescindere
dai rapporti nella coalizione.
«Questa amministrazione deve andare a
casa per il fallimento politico e
amministrativo, non per le mutazioni
sugli equilibri regionali: la nostra
città è da sempre serbatoio di
voti per chi poi neppure si ricorda
di ringraziare - commenta Tonio
Pani - Quartu merita ben altra
considerazione e solo chi vive
quotidianamente i suoi problemi, le
sue criticità, le sue priorità,
può incidere favorevolmente a una
vera e propria rinascita».
Sperano che si torni al voto in
primavera anche i Riformatori. «Oggi
più che mai sono sempre più convinta
che la soluzione migliore sia
andare al voto quanto prima -
commenta la capogruppo Marcella Marini -
questa striminzita e variegata
maggioranza, non avendo un idea comune
sulle cose da fare, non ha margini
di miglioramento, anzi ogni giorno
che passa aggrava una situazione già
fortemente deficitaria, creando
un immobilismo amministrativo fuori
da ogni controllo». Secondo Marini
la coalizione non è salda da tempo:
«Le tensioni tra i vari alleati
non sono una novità, a scadenza
regolare ci troviamo di fronte a
questa realtà - conclude - perché
l'opportunismo e gli interessi dei
singoli personaggi ormai da tempo
prendono il sopravvento rispetto al
bene della città».
Da più parti c'è il timore che il
ritorno alle urne possa favorire i
Cinque stelle. «La maggioranza non
ha un progetto definito per la
città di Quartu - commenta il
capogruppo M5S Guido Sbandi - le
consultazioni di questi giorni non
sono altro che un maldestro
espediente per non tornare al voto.
Si stanno dividendo le briciole di
una città distrutta da un sistema
politico obsoleto. La parola torni
ai cittadini che saranno i veri
responsabili del futuro di Quartu».
Marcello Zasso
La Nuova Sardegna
Renzi:
«Congresso o primarie, chi perde rispetti il voto». La
minoranza:
segreteria di garanzia Direzione Pd per la resa dei conti
di Maria Berlinguer wROMA Per il Pd
è arrivato il momento della
verità. Oggi in direzione Matteo
Renzi scoprirà le sue carte mettendo
il partito di fronte a due
possibilità: elezioni anticipate a giugno
(e comunque entro ottobre) o
congresso in tempi strettissimi, da
convocare e chiudere prima delle
amministrative e del referendum della
Cgil. E se, tramite l’ufficio stampa
dem, l’ex premier fa smentire i
virgolettati usciti domenica sui
giornali che davano per certe le sue
dimissioni, Renzi oggi si giocherà
anche questa carta se sarà
indispensabile per ottenere un
congresso lampo e una nuova investitura
popolare con le primarie. Come
prevede lo statuto. In una lettera che
sarà inviata oggi a tutti gli
iscritti, il segretario mette i primi
paletti: per rilanciare l'idea del
Pd come «motore del cambiamento» in
una Italia che «sembra tornata alla
prima Repubblica» e in un’Europa
minacciata da lepenismo e populismo
- scrive Renzi - servono «un
grande coinvolgimento popolare e una
leadership legittimata da un
passaggio popolare. Ma abbiamo anche
bisogno che chi perde un
congresso o le primarie il giorno
dopo rispetti l'esito del voto». La
minoranza affila le armi e continua
a temere un blitz dell’ex premier
per celebrare un congresso «farsa» e
andare a elezioni anticipate. Il
partito del voto subito è in netto
calo, anche tra i renziani della
seconda ora. E anche Romano Prodi si
è schierato in favore delle
elezioni a scadenza naturale, nel
2018. «Non sono iscritto al Pd da
tre anni, mai disturbare il
conducente», dice Prodi a Giovanni Floris.
Ma il fondatore dell’Ulivo si
inserisce gioco forza nel dibattito
interno al centrosinistra,
confessando di provare «stima» per Giuliano
Pisapia impegnato nel tentativo di
riunire la sinistra per un’alleanza
con il Pd capace di raggiungere il
40%. La smentita dell’ufficio
stampa dem sulle dimissioni del
segretario agita le acque. Da Firenze,
dove si sono ritrovati alcuni dei
leader della sinistra, Michele
Emiliano e Enrico Rossi riescono a
far saltare i nervi al mite
vicesegretario del partito con la
richiesta di un congresso vero, da
celebrare con tutti i riti del caso.
«Renzi dia le dimissioni come ha
annunciato e come ha già fatto
Bersani, poi una segreteria di garanzia
come quella di Epifani ci porti a
fare il congresso e a discutere di
politica» chiede il governatore
della Toscana, pronto a sfidare Renzi.
«Renzi si dimette? Ma è vero che si
dimette? Magari stanotte ci
ripensa. Lui il congresso non lo
voleva fare adesso lo vuole», spiega
Emiliano. «Renzi abbia il coraggio di
dirci che cosa ha in testa, non
possiamo essere il partito di quelli
che prendono le decisioni nei
salotti e negli ultimi tempi siamo
stati attentissimi alle esigenze di
petrolieri, finanzieri, banchieri e
perfino golfisti», infierisce
Emiliano. Parole che insieme a
quelle contenute nel messaggio inviato
da Speranza a Firenze che invitano
il partito a ricucire con milioni
di elettori che se ne sono andati,
fanno arrabbiare Guerini.
«Ora spunta la segreteria di
garanzia: se si anticipa il congresso lo si
anticipa davvero, con la procedura
indicata dallo statuto: punto»,
ribatte Guerini. «Il resto mi sembra
solo un voler perdere tempo con
il tentativo vano di voler logorare
il segretario, correndo il rischio
di logorare il nostro partito»,
aggiunge. «Se si chiede il congresso-
rincara Matteo Orfini, presidente
del Pd - si chiede il congresso non
una segreteria di garanzia».
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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