Il futuro
metropolitano: «Risorse già disponibili,
faremo una super città»
C'è una cosa che accomuna il sindaco della città
metropolitana Massimo Zedda e il ministro della Coesione territoriale Claudio
De Vincenti: il dono di semplificare le cose o, almeno, di farle apparire
semplici. Accade così che avviare i progetti milionari che trasformeranno 17 comuni
in una super-città del sud Sardegna possa apparire una cosa facile facile.
«Perché - e questa è la notizia vera - i 168 milioni stanziati per le opere
sono già disponibili».
LA CONFERENZA L'incontro nella sala consiliare al
primo piano del Palazzo Viceregio arriva dopo un'ora di analisi «tecnica» a
porte chiuse e il dibattito con i primi cittadini dell'area vasta ha da subito
una connotazione pratica: una riunione per fornire le istruzioni d'uso
necessarie a usufruire delle risorse a sei zeri. Per mettere in moto la
macchina sarà sufficiente che «il responsabile di ogni procedimento si registri
alla Banca dati unitaria e segua le indicazioni riportate nella lettera che è
stata inviata dal ministero», spiega il rappresentante del governo Gentiloni.
Come fosse il progetto di un cantiere qualunque, il referente dovrà attivare il
codice unico e chiedere l'anticipazione del 10 per cento dell'importo totale
per avviare la pratica. Tutto qua. Poi si andrà avanti per stati di avanzamento
lavori.
I PROGETTI Quindi, a conti fatti, se tutti i
responsabili attivassero subito le procedure per i progetti contemplati ne l
piano della Città metropolitana ci sarebbero già 16,8 milioni di euro pronti da
spendere. Soldi destinati alla riduzione del rischio idrogeologico, la mobilità sostenibile, i parchi urbani, l'edilizia
scolastica e le strade extra-urbane, questo a volersi fermare all'agenda
descritta dal ministro che ha indicato i temi cruciali del piano. E proprio
sulla questione del rischio idrogeologico il sindaco di Quartu Stefano Delunas
ha voluto sensibilizzare De Vincenti.
«Si tratta di un tema particolarmente delicato per
noi amministratori che viviamo nel timore di ricevere un avviso di garanzia».
Fedele alla capacità di semplificazione mostrata fin dall'inizio, il ministro
ha ringraziato per l'osservazione e invitato tutti a «avvisarci subito se qualcosa non dovesse andare come previsto, così
potremo intervenire».
Soddisfatto il sindaco Massimo Zedda, reduce
dall'incontro di sabato mattina con il premier Paolo Gentiloni che ha portato
18 milioni alla città di Cagliari grazie al bando per le
periferie. «Non posso che ringraziare il ministro per aver mantenuto l'impegno
ed essere venuto a verificare tutti i progetti e lo stato di avanzamento delle procedure
di gara. Ma soprattutto è venuto a fare chiarezza sulla perplessità legata alle
risorse, sul quando arriveranno i soldi».
Messo da parte il capitolo, per nulla secondario,
delle risorse da spendere, il sindaco ha spiegato che dovranno essere i singoli
Comuni a portare avanti le pratiche. «Di certo partiamo in vantaggio su molti punti
e in alcuni casi i progetti potranno basarsi sull'esperienza passata». Il primo
pensiero è per il lungomare Poetto.
L'IMPEGNO DEI COMUNI «Il Comune di Quartu non
dovrà fare altro che usare tutto quel che è già stato fatto dal Comune
di Cagliari e uniformarlo perché il lungomare è unico». Progettazione, autorizzazioni
e persino la scelta dei materiali da utilizzare per la riqualificazione del
litorale sono già stabiliti. «I progetti sono presentati dalla Città
metropolitana e dai 17 Comuni, come stazioni appaltanti perché questo
consentirà di snellire le procedure».
L'invito del sindaco metropolitano ai colleghi è
dunque quello di darsi da fare. «Le priorità sono date dalla bravura e dalla
tempistica
di ogni singola amministrazione».
Mariella Careddu
Unione Sarda
E
nell'Isola il congresso potrebbe slittare a maggio
I
democratici sardi si preparano alla scissione e pensano a rinviare le primarie
Lo slittamento del congresso del Pd
sardo è sempre più probabile.
Dipende tutto da ciò che accadrà
oggi nella direzione nazionale
convocata da Matteo Orfini. Ma se,
come sembra, il congresso nazionale
dovesse essere fissato per il 7
maggio, allora, sostiene il deputato
Dem dell'ex minoranza Pd, Siro
Marrocu, «non c'è ragione per chiamare
gli elettori al voto due volte a
distanza di nemmeno due mesi». Così,
invece che il 19 marzo, le primarie
potrebbero essere celebrate
direttamente a maggio. Lo stesso
potrebbe accadere agli altri due
congressi regionali convocati
(Liguria e Veneto).
L'ATTESA «Abbiamo sospeso gli
incontri già calendarizzati con i tre
candidati alla segreteria sarda,
siamo appesi per la situazione che si
è venuta a creare a livello
nazionale», ha detto il portavoce
dell'area dei Popolari riformisti
(Cabras-Fadda), Giacomo Spissu. Che
aggiunge: «Chiamare per due volte al
voto il popolo delle primarie e
degli iscritti comporta anche
problemi dal punto di vista
organizzativo».
GLI ARGOMENTI Comunque sia, ha
commentato il senatore Ignazio Angioni,
«il congresso sardo dovrà essere
focalizzato sui problemi reali
dell'Isola, sull'operato della
Giunta regionale». Angioni ha
partecipato alla drammatica
assemblea di due giorni fa: «Per la verità
- ha ammesso - tutti in sala abbiamo
pensato ad un allontanamento
dell'ombra della scissione quando ha
parlato Michele Emiliano, per poi
scoprire con sconcerto che la
posizione della minoranza non era in
realtà cambiata». Ancora, però, il
senatore preferisce tenere il
giudizio sospeso, almeno fino alla
direzione nazionale di oggi. Nella
speranza che la rottura venga
evitata.
Intanto, non sembra che al momento
ci sia qualcuno in Sardegna
disposto a seguire la minoranza
rappresentata da Emiliano, Rossi e
Speranza. Almeno per il momento. La
scissione, infatti, comporterebbe
la nascita di un nuovo soggetto politico.
Si aprirebbe uno spazio e
questo potrebbe suscitare interesse.
Roberto Murgia
La Nuova
In Sardegna nessuna fuga dal partito
Restano tre i candidati alla
segreteria, il congresso verso lo slittamento
SASSARI Nessuna fuga. Il Pd sardo
davanti al rischio scissione si
mostra compatto. Gli scissionisti
non abitano in Sardegna. Ma qualche
effetto sul congresso regionale
sembra inevitabile. I tre candidati
non fanno passi indietro. Ma il voto
per scegliere il nuovo segretario
dovrebbe slittare al 7 maggio, lo
stesso giorno delle primarie. La
direzione nazionale questa mattina
prenderà la decisione definitiva.
Con quello sardo devono svolgersi
anche i congressi in Veneto e
Liguria ed è probabile che ci sarà
una sorta di election day del Pd. I
tre candidati. Per ora nessuno dei
tre candidati mostra incertezze.
Il senatore Giuseppe Cucca stronca
sul nascere una voce incontrollata che
lo dava tra i senatori scissionisti.
«Tutto falso – spiega –, mai
condiviso nulla del percorso di chi
vuole andare via dal Pd. Al
contrario io lavoro per l’unità».
Cucca parla del Pd sardo.
«Nell’isola non c’è la stessa
agitazione che si registra a livello
nazionale. Abbiamo la stessa idea
della necessità di un’azione
politica forte per il rilancio del partito.
Credo che per evitare
eventuali tensioni congressuali ci
sarà una concomitanza con quello
nazionale». Il deputato Francesco
Sanna, che fa parte della direzione
nazionale continua il suo lavoro di
cucitura. «Farò tutto il possibile
per evitare la scissione – spiega –.
Secondo me sarebbe una sciagura.
Nel mio piccolo continuo a lavorare
su questo aspetto. Credo che lo
strappo sarebbe una sproporzione. Se
avviene l’uscita di amici e
compagni che hanno un loro
significato nella storia del partito io
penso che sia un atto grave che
ferisce in modo profonda chi resta».
E sul Pd isolano. «Io penso che il
pd sardo abbia una relazione
indissolubile con quello nazionale.
se e dovesse accadere la scissione
il congresso regionale dovrà
fermarsi e capire se la straordinarietà
possa influire sulle cose sarde. Non
si tratta di date, ma di
mantenere un patto di lealtà. Se
qualcuno ha dubbi meglio lo dica
prima del congresso e non dopo».
Anche il terzo candidato, Yuri
Marcialis, non ha dubbi. «Io faccio
parte del Pd. Dico di più –
afferma – per me la data del
congresso e le regole non devono essere
messe in discussione. Sento voci di
possibili slittamenti. Non
concordo. Noi abbiamo presentato un
progetto.
Un programma molto chiaro, un
partito sardo autonomo e federato con Roma, questo è il progetto migliore per
tenere unito il Pd sardo. Siamo convinti che se
quel progetto vincerà il partito
sarà più forte e più unito. C’è un
problema di gruppo dirigente sardo.
Noi abbiamo lanciato l’idea e
abbiamo fatto l’esempio di Cagliari.
Abbiamo vinto grazie al
cambiamento. Dall’altra parte ci
hanno risposto candidando un deputato
e un senatore». (l.roj)
Pd,
il divorzio è inevitabile Appello del ministro Orlando: «Se serve, mi candido».
Letta: «Non può finire così» Oggi la direzione del partito si riunisce senza la
minoranza
ROMA Il giorno dopo l'assemblea dei
veleni, non c'è tregua in casa Pd.
Alla direzione convocata oggi per
scrivere le regole del congresso non
parteciperà la minoranza rumorosa
riunita da Pier Luigi Bersani, che
però non annuncia ancora l'addio a
un partito ormai spaccato. E mentre
Enrico Rossi, ala sinistra del
tridente schierato contro Renzi, si
dice pronto a restituire la tessera,
il ministro della Giustizia,
Andrea Orlando, prova a mediare tra
le rissose anime Dem: «Mi candido
- avverte - se serve a evitare la
scissione». In tutto questo marasma,
si leva un nuovo forte appello
all'unità: «Non può finire così»,
implora i litiganti Enrico Letta
invocando «generosità e
ragionevolezza».
LA MEDIAZIONE «Qualunque problema
abbia il partito, l'idea che lo si
possa risolvere con la scissione è
sbagliata: apre un fronte che
consente alla destra di
rafforzarsi». Così Orlando ribadisce un
concetto più volte espresso negli
ultimi giorni. Dice che non c'è
bisogno di «mettere altri candidati
in pista» e di essere pronto a
correre per la segreteria se potrà
essere utile a evitare divisioni.
«Noi – aggiunge - abbiamo troppo
concentrato la nostra attenzione
sulle persone. Se le forze politiche
stanno insieme solo su un leader
e non su un programma alla prima
curva rischiano di ribaltarsi.
Dobbiamo dire prima di tutto come
riposizioniamo il Pd dopo la
sconfitta al referendum del 4
dicembre». Distinti e distanti da Renzi,
ma dentro il partito. Una nuova area
di ex Ds che metterebbe insieme
anche Gianni Cuperlo e Cesare
Damiano. Dall'ex ministro del Lavoro una
mezza conferma: «Ci siamo sentiti
con Cuperlo, Orlando e altri. In
queste ore ci sono moltissimi
contatti. È in corso un ragionamento,
vediamo dove porta».
GLI SCISSIONISTI «Fino a martedì mi
tengo le mani libere, lavoro fino
alla fine per un'intesa», promette
Michele Emiliano, reduce dalla
muscolare assemblea di domenica. «Ma
da Renzi - ammette deluso -
neanche mezzo segnale». Chi sembra
invece avere pochi dubbi sulla
scissione è il tandem
Speranza-Rossi. «Renzi ha alzato un muro e ci ha
dato solo bastonate», commenta amaro
il governatore toscano in
un'intervista al Corriere della Sera
. «La scissione è una sua scelta,
non ci resta che prenderne atto. È
venuto con l'idea di darci una
spinta e pure l'ultimo tentativo di
Emiliano è stato stracciato». E
quindi, «io non voglio stare nel
partito di Renzi. Stavo pensando di
rispedire la tessera alla mia
sezione, con una lettera». Ora
«lavoriamo ad un altro soggetto
politico con l'intento di rafforzare
un nuovo centrosinistra». Nel
futuro, insomma, c'è il divorzio: «Ci
sarà – prevede Rossi - un gruppo
formato da chi esce dal Pd e chi esce
da Sinistra Italiana, ma sosterrà il
governo Gentiloni».
LA MINORANZA Chiudendo l'assemblea
nazionale, dopo le dimissioni di
Renzi, il presidente Matteo Orfini
ha convocato per oggi alle 15 la
direzione nazionale che dovrà
eleggere un'apposita commissione per
fissare le regole della fase
congressuale. Tutto dovrà concludersi
entro quattro mesi con le primarie
che indicheranno il nuovo
segretario del Pd. È stato questo
uno dei punti di frizione tra ex
premier e minoranza, che aveva
chiesto tempi meno veloci e anche una
conferenza programmatica per
decidere la rotta del partito dopo la
batosta del referendum
costituzionale. Alla direzione non ci saranno
gli otto componenti dell'area
bersaniana, anche se non significa
immediata scissione. «Al momento non
si può dire nulla perché niente è
ancora consumato», frena il deputato
Nico Stumpo.
L'APPELLO Dopo l'accorato intervento
di Walter Veltroni all'assemblea
e il nuovo invito all'unità di Piero
Fassino, ieri l'ex presidente del
Consiglio, Enrico Letta –
detronizzato da Matteo Renzi a Palazzo Chigi
– ha voluto affidare il suo
sconforto a un post su Facebook. «Guardo
attonito al cupio dissolvi del Pd»,
scrive Letta. «Mi dico che non può
finire così. Non deve finire così.
Mentre tutto a Roma sembra finire
mi guardo indietro». E qualcosa è
cambiato: «A distruggere ci si mette
un attimo, a costruire una vita.
Ricostruire da tutte queste macerie
sarà lavoro ai limiti
dell'impossibile». Così, conclude Letta «oggi
non ho altro che la mia voce, e non
posso fare altro che usarla così,
per invocare generosità e
ragionevolezza». (p. st.)
In
uscita Floris, Cherchi e Randazzo. Saranno sospesi per 18 mesi secondo la legge
Severino: ma potranno essere reintegrati
La sentenza del tribunale di
Cagliari innesca una reazione a catena
praticamente inarrestabile: l'esito,
entro qualche mese, sarà la
sospensione dei tre consiglieri
regionali condannati. E il
provvedimento, previsto dalla legge
Severino, farà vittime illustri: a
partire dall'ex presidente della
Regione Mario Floris, leader dell'Uds
e decano del parlamento sardo (fu
eletto per la prima volta nel 1974).
E poi l'ex assessore all'Agricoltura
Oscar Cherchi, di Forza Italia, e
un altro esponente azzurro di lunga
esperienza in aula, Alberto
Randazzo.
Al loro posto entreranno i primi dei
non eletti nelle rispettive liste
collegiali: Floris dovrà cedere il
posto a Gennaro Fuoco, Oscar
Cherchi (eletto a Oristano) a
Emanuele Cera, Randazzo (a Cagliari) a
Mariano Contu, anche lui ex
assessore. Non saranno comunque
avvicendamenti immediati, perché il
meccanismo della legge Severino è
alquanto articolato: «Il primo passo
sarà la comunicazione della
sentenza alla prefettura di
Cagliari», spiega il presidente del
Consiglio regionale Gianfranco
Ganau, «poi a sua volta il prefetto la
trasmetterà alla presidenza del
Consiglio dei ministri». Spetta
infatti a Palazzo Chigi il decreto
di sospensione, che verrà
notificato al Consiglio regionale:
«A quel punto noi potremo solo
prenderne atto», ricorda Ganau, «non
è previsto alcun voto da parte
nostra e nessuna discrezionalità».
Si tratta però, come detto, di una
sospensione e non di una decadenza:
i consiglieri condannati perdono il
seggio per 18 mesi. Al termine, se
non è arrivata una sentenza
definitiva, riconquistano il posto. Ma
possono riaverlo anche prima, in
caso di assoluzione in appello. C'è
un precedente di un consigliere
sospeso e reintegrato (per la revoca
di una misura cautelare): l'ex
vicepresidente dell'assemblea Antonello
Peru (FI). Curiosità: i consiglieri
sospesi continuano a ricevere l'indennità di
carica, benché decurtata del 20 per
cento.
La Nuova
Pene
dai 2 anni ai 5 anni e 6 mesi. Assoluzione solo per Giommaria Uggias
Peculato
alla Regione condannati 13 consiglieri di Mauro Lissia wCAGLIARI
Ore tredici in punto, aula del tribunale:
c’è la folla dei grandi processi,
confuse tra avvocati, cronisti e
curiosi le facce pallide di alcuni
ex consiglieri regionali che dopo
tre anni di udienze attendono di
conoscere il proprio destino
giudiziario in un’atmosfera
rarefatta dalla tensione. La lettura del
dispositivo dura meno di quattro
minuti, è il presidente Mauro
Grandesso a scandire nomi e pene
senza tradire alcuna emozione: i
condannati per peculato aggravato
sono tredici, assolto dalla stessa
accusa perché il fatto non
costituisce reato soltanto l’olbiese
Giommaria Uggias. L’altra posizione
che esce alleggerita dal giudizio
è quella di Giuseppe Atzeri,
colpevole di due peculati e di falso, ma
non di maltrattamenti, lesioni e
abuso d’ufficio.
Il tempo di chiedere
conferme e il tribunale si svuota,
col viso stravolto Raimondo Ibba
incassa pacche sulle spalle e
attestati di stima venati dall’imbarazzo
del momento. Carmelo Cachia ha gli
occhi bassi, si alza e se ne va
senza aprire bocca. Non c’è
Mariolino Floris, il decano del consiglio
regionale che dovrà lasciare l’aula
di via Roma dopo una vita
sull’onda del potere, restano i
difensori che si guardano l’un l’altro
in un silenzio esplicito. Il pm
Marco Cocco col Procuratore capo
Gilberto Ganassi si allontanano
impassibili e muti, facendosi strada
tra telecamere e taccuini.
L’accusatrice. È finito il processo per i
fondi ai gruppi, il primo
dibattimento, quello scandito dalla figura
della grande accusatrice Ornella
Piredda, che l’ha aperto con le sue
denunce coraggiose e ha disertato
con rara eleganza la passerella
finale. A saltare agli occhi dei
cronisti è proprio la parte di
sentenza che la riguarda: l’ex capo
del gruppo misto Giuseppe Atzeri è
colpevole di due fatti di peculato e
del falso riferito all’ultimo
bilancio del gruppo - gli altri anni
sono caduti in prescrizione - ma
se la scampa dalle accuse legate
allo scontro con la Piredda.
Prende cinque anni e mezzo, per il
difensore Agostinangelo Marras è un
successo perché saltate le
imputazioni riferite al mobbing sfuma anche
l’obbligo di risarcire la parte
offesa, patrocinata da Andrea
Pogliani. Per Atzeri il pm Cocco
aveva chiesto sette anni. Vince la
Procura. In attesa delle
motivazioni, il nocciolo della sentenza è
qui. Partito dagli esposti dell’ex
funzionaria, l’impianto dell’accusa
ha superato perfettamente la prova
del giudizio: chi non giustifica le
spese compiute con i soldi pubblici
commette un reato perché se ne
appropria senza una ragione
istituzionale certa. È cambiata però la
narrazione del procedimento, si è
spenta la scintilla provocata dal
rapporto fra Atzeri e la Piredda
all’interno del gruppo misto nella
legislatura 2004-2009, quel
tentativo per l’accusa compiuto dal
capogruppo di mettere il bavaglio
alla funzionaria che chiedeva il
rendiconto delle spese.
Niente mobbing. La Piredda ne è
uscita a
pezzi, menomata nella salute: Ma
agli atti del processo i giudici non
hanno trovato abbastanza per mettere
in relazione le condizioni della
funzionaria con quanto, secondo il
pm Cocco, ha dovuto subire. Le sue
parole, pronunciate nel corso della
lunga requisitoria, non sono
bastate a convincere il tribunale:
«Nell’attimo in cui la Piredda ha
chiesto spiegazioni sulle spese al
presidente del gruppo misto
Giuseppe Atzeri e ha rivendicato i
propri diritti, per lei è
cominciato l’inferno, una stagione
da incubo della quale ancor’oggi
porta i segni e le conseguenze anche
nel proprio fisico, come i periti
hanno testimoniato». È come se la
funzionaria avesse detto la verità
su ogni dettaglio di questa vicenda
di malapolitica e di uso
disinvolto del denaro pubblico
esagerando sui dettagli della propria
storia, quella che conosce meglio.
Una lettura sorprendente, da
spiegare nelle motivazioni.
Con l’uscita di quelle, tra novanta
giorni, si saprà come hanno
ragionato i giudici e se la Procura o la
parte civile, o entrambi,
ricorreranno in appello. Assolto. Per adesso
il solo a gioire sino in fondo è
l’ex europarlamentare Uggias, che
esce indenne dal primo giudizio ma
dovrà affrontare l’inchiesta-bis,
dov’è ancora accusato di peculato
per il dopo 2009. Le pene. Restano
gli aspetti tecnici del verdetto:
pene in linea con le richiesta
dell’accusa - da due anni e due mesi
fino a cinque anni e mezzo -
mentre per Atzeri, Caligaris,
Cherchi, Farigu, Cachia, Marracini,
Serra, Alberto e Vittorio Randazzo è
scattata anche l’interdizione
perpetua dai pubblici uffici, per
Amadu, Masia e Ibba solo per la
durata della pena. Altro dettaglio,
significativo per la difesa: il
tribunale ha concesso le attenuanti
generiche soltanto ai due
Randazzo, Masia, Amadu e Ibba.
Le sospensioni. Per tre consiglieri
in
carica l’esperienza legislativa sarà
sospesa: la legge Severino impone
che Floris, Cherchi e Alberto
Randazzo escano dall’assemblea regionale
per diciotto mesi, periodo che
potrebbe allungarsi o accorciarsi a
seconda del giudizio d’appello. Una
curiosità: al posto del condannato
Randazzo dovrebbe entrare nell’aula
di via Roma Mariano Contu,
indagato a sua volta per peculato:
la Procura gli contesta spese
ingiustificate per circa un milione
di euro. Le accuse. Ora le
condanne per il peculato sui fondi
ai gruppi sono diciotto, cui
s’aggiungono due patteggiamenti.
Altri due ex consiglieri - Francesca
Barracciu e Mario Diana - sono sotto
giudizio e una cinquantina di
onorevoli ed ex onorevoli risultano
indagati dal pm Cocco. Come dire:
ne dovremo riparlare.
Il
ministro Claudio De Vincenti in missione a Cagliari: «Ammonta a
277,6
milioni» Il governatore Pigliaru: «Vogliamo spenderli bene e in fretta. I
progetti
ci sono» Patto per la Sardegna, la prima rata all’incasso
di
Umberto Aime
wCAGLIARI Alla faccia di chi finora ha
sghignazzato
sui 2.9 miliardi del Patto per la
Sardegna. Altro che soldi dei
Monopoli, era l’accusa dei gufi: la
Regione sta per incassare il primo
assegno circolare. Sarà di 277,6
milioni. «Siamo pronti, i progetti ci
sono e possiamo spenderlo», ha detto
il governatore Francesco Pigliaru
nel faccia a faccia organizzato, a
Cagliari, col ministro Claudio De
Vincenti. Tempi veloci.
Chi ha la delega per risollevare il
Mezzogiorno dalla recessione, l’ex
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, ha fretta di dimostrare
come non solo Renzi, a suo tempo,
ma anche il governo in carica –
quello guidato da Paolo Gentiloni, che
sabato era a Cagliari – punti molto
se non tutto sullo sviluppo del
Sud. «Perché se l’economia non
cresce da Roma in giù, isole comprese,
sarà più difficile far uscire
l’Italia dalla crisi», è stata la facile
profezia del ministro. Si sa: lui è
impegnato nel mettere assieme un
filotto di risultati concreti, sono
quelli che i «cittadini toccano
con mano», per far lievitare oltre
al Prodotto interno lordo nazionale
anche il consenso popolare, oggi
offuscato, di chi governa. Cabina di regia.
Così appena sette mesi dopo la firma
dell’accordo a Sassari con
l’allora presidente del Consiglio,
Matteo Renzi, il governatore
Pigliaru ha detto al ministro in
trasferta quando e come la Sardegna
investirà i 200 milioni e oltre
caricati quest’anno, tra l’altro con
una velocità sorprendente rispetto
al solito calendario del Bel Paese.
«Nella prima riunione tecnica sul
Patto – è stata la premessa di
Pigliaru – abbiamo stabilito tempi
stretti e le sei grandi aree di
spesa, per evitare che i
finanziamenti extra si perdano in mille
rivoli». La spesa. Il 50 per cento
della prima tranche, 134 milioni e
mezzo, sarà destinato all’edilizia
scolastica, in aggiunta al progetto
regionale Iscol@, e a quella
sanitaria per migliorare la qualità degli ospedali.
Poi ci sono i trasporti, dal ferro
alla gomma, che a marzo
riceveranno in dote altri milioni,
sono all’incirca 300, grazie agli
accordi speciali con il gestore
della rete ferroviaria, la Rfi, e
l’Anas. La lista è ancora lunga per
l’anno in corso: smaltimento dei
rifiuti, distribuzione dell’acqua,
bonifiche dei territori inquinati.
Con a seguire l’immancabile sviluppo
economico e produttivo, poi il
turismo, sempre più indispensabile,
e anche la «necessità di
rafforzare la macchina della pubblica
amministrazione». Senza
dimenticare che 45 milioni sono
serviti per pagare gli ammortizzatori
sociali: erano fermi dal 2014. La
ripresa. «Il Mezzogiorno – sono
state le parole di De Vicenti – dal
2008 al 2014, sono gli anni della
grande crisi, ha bruciato intorno al
13,8 per cento del suo Prodotto
interno contro gli otto punti sempre
in meno delle regioni del
centro-nord. Dunque, con la
recessione, purtroppo la forbice che c’era
s’è allargata ancora. Anche se nel
2015 il Sud ha avuto uno scatto
d’orgoglio e recuperato l’uno per
cento contro lo 0,8 nazionale. Sono
quei segnali di ripresa che con i
Patti vorremmo accelerare». La
scossa. L’unica fetta del
Mezzogiorno a essere rimasta indietro, con
un ulteriore meno 0,7, è la
Sardegna. «Per questo – ha aggiunto il
ministro – qui serve uno sforzo
maggiore. Da sola la prima tranche del
Patto vale infatti l’uno per cento
del Prodotto interno loro regionale
e quindi è davvero un ottimo punto
di partenza».
I progetti del possibile nuovo Piano
di rinascita – ha confermato la Regione – sono
tutti pronti e già sul tavolo.
«Partiamo – ha sottolineato Pigliaru –
con l’obbligo di dimostrare, in
tempi rapidi, che ogni euro speso avrà
una ricaduta immediata sul
territorio, per ricucire, come abbiamo
scritto nel dossier consegnato a
Renzi nel 2015, lo storico strappo
provocato dall’insularità». E
infatti il governatore ha ricordato
altri due temi caldi: la
metanizzazione, con la dorsale sarda presa di
recente in carico dallo Stato, e i
trasporti: 120 milioni spalmati su
quattro anni sono in arrivo da Roma
per migliorare la continuità
territoriale aerea. Altri soldi. C’è
dell’altro ed è la partita
finanziaria con il governo sui
finanziamenti agli enti locali negati e
sugli accantonamenti esagerati,
quest’anno sono 684 milioni. «Confermo
– ha detto De Vincenti – che è in
corso una trattativa istituzionale e
tutti vogliamo trovare l’accordo».
Sarebbe bello immaginare una
Sardegna ricca da un giorno
all’altro di molti milioni nazionali,
ottenuti ex novo o rimborsati, per
sperare in un futuro migliore. Che
per Pigliaru non è lontano:
«Dobbiamo correre – ha detto – e il più in
fretta possibile».
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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