La
Nuova Sardegna
Il
Consiglio di Stato sta per decidere se dare il via libera al progetto
immobiliare dei Cualbu Tuvixeddu, il piano potrebbe rinascere.
CAGLIARI Bocciato nel 2011 da una
sentenza tombale del Consiglio di Stato, il piano immobiliare di Nuova
Iniziative Coimpresa per il colle punico di Tuvixeddu potrebbe resuscitare
almeno in parte se gli stessi giudici di palazzo Spada dovessero accogliere il
ricorso presentato dall’impresa dei costruttori Gualtiero e Giuseppe Cualbu il
10 aprile 2013 contro lo stop imposto il primo febbraio 2012 dal direttore del servizio
per la tutela paesaggistica al completamento delle opere di urbanizzazione.
Il provvedimento era basato sul
parere negativo espresso il 10 giugno 2011 dalla Soprintendenza per i beni paesaggistici
e architettonici: l’autorizzazione paesaggistica risultava scaduta. La
decisione dei giudici amministrativi di Roma, dopo che il Tar sardo ha dato
ragione alla Soprintendenza, è data per imminente e potrebbe coincidere con
un’altra sentenza attesissima, che riguarda l’appello al lodo arbitrale in base
al quale la Regione ha dovuto versare all’imprenditore circa 80 milioni di euro
a titolo di risarcimento per il blocco imposto al progetto dall’amministrazione Soru.
Se la Corte d’appello civile di Roma
dovesse respingere il ricorso presentato dall’ufficio legale della Regione la
somma passerà definitivamente nelle tasche dei Cualbu senza che questo
garantisca la conclusione di un contenzioso ormai più che decennale, giocato
sul filo del diritto amministrativo e delle norme paesaggistiche con l’intervento di associazioni
autorevoli come Italia Nostra e Legambiente.
Il costruttore infatti non ha mai
rinunciato alla possibilità di realizzare il progetto edificatorio attorno
all’area della necropoli punico-romana, i milioni di euro che gli arbitri gli hanno
assegnato sono legati soltanto agli anni di ritardo accumulati sul programma
dei lavori, perché - a leggere la sequenza di ricorsi ai tribunali
amministrativi e i vari atti della contesa legale – gli accordi di programma
firmati nel 2000 che davano il via libera all’intervento per la Regione non
sarebbero più validi, ma per l’imprenditore sì.
Nelle 95 pagine del ricorso ora
sotto giudizio del Consiglio di Stato i legali dei Cualbu ripercorrono
analiticamente le fasi del contenzioso per concludere con una tesi del tutto
esterna agli aspetti del diritto, ma utile per rendere l’idea di quanto - secondo
il costruttore - è avvenuto finora a Tuvixeddu: se la torre Eiffel o il
Pantheon fossero stati costruiti soltanto in parte, non sarebbero monumenti
storici ma elementi d’offesa per il paesaggio.
Completi come sono, rappresentano
esempi fondamentali di alta architettura. Per questa ragione - secondo i legali
- aver interrotto la validità dell’autorizzazione paesaggistica per le opere di
urbanizzazione a Tuvixeddu non sarebbe un atto di difesa del paesaggio ma al
contrario un danno. Opposta la tesi dell’ufficio legale della Regione, fondata
all’origine su una circostanza considerata insuperabile: le autorizzazioni
concesse nel 2000 a Nuova Iniziative Coimpresa sono precedenti alle norme del
Codice Urbani e alla scoperta all’interno dell’area di Tuvixeddu di centinaia
di sepolture sconosciute all’epoca dell’accordo fra Regione, Comune di Cagliari
e impresa.
In altre parole: negli anni in cui i
Cualbu avrebbero potuto costruire è maturata una sensibilità nuova nei
confronti del paesaggio storico tradotta in una legge dello Stato, che ha
indotto la Regione a dichiarare il notevole interesse pubblico del compendio.
Con quello è arrivato il vincolo sull’area,
esteso fino a 120 ettari. Un vincolo la cui legittimità è stata confermata
finora in ogni grado di giudizio. (m.l)
Debutto
in aula della nuova giunta: nessuna crisi, adesso riprendiamo la corsa
Pigliaru:
delusi dallo Stato ora la sfida del rimpasto
di
Umberto Aime
CAGLIARI Il centrosinistra c’è e
lotterà ancora insieme al suo
presidente. Ad esempio contro uno
Stato – parole del governatore – che
«su alcune partite ha dato molto o
abbastanza, ma su altre ci ha
deluso». Per ora è così, un domani
si vedrà se gli strappi degli
ultimi giorni si trasformeranno in
squarci. Ma se accadesse, se la
crisi scoppiasse per davvero e fosse
senza ritorno, tutti sanno che,
in un battibaleno, andrebbero a casa
dal primo all’ultimo, amici o
nemici che siano. Francesco Pigliaru
è uscito bene dal dibattito sul
rimpasto di un terzo della giunta,
quattro assessori su dodici. Anche
gli alleati più critici, a
cominciare dal Partito dei Sardi, gli hanno
rinnovato la fiducia (che in Regione
non si vota, come accade invece
in Parlamento), mentre quelli ormai
lontani, lo sono i fondatori sardi
del Campo progressista, hanno
preferito il silenzio al possibile
litigio in piazza. Dalla parte del
presidente si sono schierati senza
se e neanche un ma il Pd e i tre
consiglieri ex Sel prossimi a far
nascere il Movimento dei Democratici
progressisti, in Italia zeppo di
chi contesta il segretario Renzi. Il
presidente.
«La sfida che ci
aspetta – ha detto Francesco
Pigliaru – è di quelle avvincenti e non
possiamo perderla. Escludo
categoricamente che ci sia una crisi
politica all’interno della
maggioranza. Qualcuno dai banchi
dell’opposizione la auspica, ma non
esiste». Chiusa parentesi, chiuso
il rimpasto: «Riprendiamo a
camminare uniti», ha detto Pigliaru. Il
Pd. Dietro le quinte e anche prima
del confronto in aula, nel partito
di maggioranza relativa qualche
malumore c’è stato. Non tanto per la
suddivisione dei posti in giunta,
ogni corrente è rappresentata da due
assessori a testa, quanto per
l’esclusione di alcuni territori. Chi è
stato tagliato fuori, sarà
ricompensato in futuro. Di certo la
manutenzione è finita, ha detto il
capogruppo Pietro Cocco. «Serviva
una scossa all’azione di governo –
ha aggiunto – e l’abbiamo data. È
arrivato il momento di superare le
divisioni, puntare ai risultati
dopo l’importante stagione delle
riforme, erano tutte necessarie, e
trovare insieme la strada per far
uscire la Sardegna dalla crisi». Il
Pd ha preso l’impegno di «essere di
nuovo un collante», ma ha ancora
diversi problemi, troppi, da
risolvere al suo interno.
Gli ex Sel. I
tre rimasti all’interno della giunta,
hanno scelto un assessore, sono
sicuri che «i risultati arriveranno
anche se saranno due anni
durissimi, ma dobbiamo essere
ottimisti», ha detto il capogruppo
Daniele Cocco, a nome di Eugenio Lai
e Luca Pizzuto. Il quarto ex Sel,
Francesco Agus, che ha aderito al
Campo progressista di Pisapia e
passato al Gruppo Misto, invece in
aula non ha parlato. Ma si sa che
da quelle parti la cacciata dalla
giunta mai sarà accettata. I
sovranisti. Alla vigilia del
dibattito, il Partito dei sardi non aveva
salutato il rimpasto con un applauso
corale, anzi. Il capogruppo
Gianfranco Congiu ha confermato che
«l’aria del dissenso esiste», ma
«restiamo in maggioranza e vogliamo
concludere la legislatura senza
che nessun territorio si senta
tagliato fuori e ancora meno le zone
interne finora rimaste invece
schiacciate nel confronto fra Nord e Sud
della Sardegna».
Gli altri. L’Upc, con Pierfranco
Zanchetta, ha
ribadito che «la lettera di mandato
consegnata ai nuovi assessori vale
come un contratto. I contratti si
rispettano e noi vigileremo».
Gaetano Ledda (La Base) ha
sottolineato che «i problemi aperti sono
tanti, ma possiamo risolverli se
Consiglio e giunta riprenderanno a
dialogare». Per Fabrizio Anedda
(Sinistra sarda): «In questi primi tre
anni, c’è stato poco lavoro di
squadra ed è invece fondamentale
coinvolgere di più anche gli
amministratori locali nelle decisioni,
perché la gente deve capire quello
che la giunta fa». Infine chi in
maggioranza c’era fino a pochi mesi
fa, i Rossomori. Emilio Usula ha
detto: «Siamo lontani mille miglia
da quello che è stato solo un
restauro uscito male».
il
giuramento
Ecco
i quattro neo-assessori
Il GIURAMENTO. I quattro nuovi
assessori Filippo Spanu, Barbara
Argiolas, Giuseppe Dessena e Pier
Luigi Caria hanno giurato, in piedi,
fedeltà alla Repubblica Italiana, ma
Attilio Dedoni, capogruppo dei
Riformatori, ha auspicato che «un
domani chiunque entri in quest’aula,
eletto o nominato, giuri fedeltà
anche al bene dei sardi». GLI
ASSENTI. Dieci assessori schierati
insieme al presidente Pigliaru
davanti al Consiglio, due non
presenti e pare giustificati: Paolo
Maninchedda e Massimo Deiana. Anche
se sull’assenza di Maninchedda
sono stati diversi i commenti. La
sintesi è questa: «È un altro
segnale del malumore del Partito dei
sardi dopo il rimpasto». LE
DIMISSIONI. Sono ufficiali quelle di
Anna Maria Busia dalla giunta per
le elezioni, che – si fa per dire –
è il tribunale interno e si occupa
delle possibili incompatibilità
degli eletti. La consigliera del
Centro democratico-Campo
progressista le aveva presentata a dicembre
dopo essere stata bocciata da un
centrosinistra confuso nella corsa
verso la vicepresidenza del
Consiglio.
Carta
parla di questione morale: «Presidente, lei è onesto e noi
confidiamo
in lei» A sorpresa l’apertura del Psd’Az
CAGLIARI Il Consiglio regionale, si
sa, ha di suo diverse condanne e
carichi pendenti sulle spalle. Le
ultime sentenze sull’incredibile
utilizzo, in passato, dei fondi ai
gruppi non sono state ancora
metabolizzate dal Palazzo e altri
verdetti arriveranno presto. La
questione morale interna può essere
sintetizzata così, ma c’è anche
l’allarme lanciato, in aula, sulla
questione morale esterna. Non per
far dimenticare la prima, ma
destinata invece a far puntare
l’attenzione sui «troppi squali che
non vengono da fuori eppure
nuotano da tempo nel Mar di
Sardegna», ha detto Angelo Carta,
capogruppo del Psd’Az. Senza fare i
nomi degli ultimi predatori, ha
messo assieme diversi fatti
preoccupanti, secondo la sua
ricostruzione. «Ci sono in atto – ha
detto – troppe operazioni
sottotraccia che continuano ad
allargare la frattura fra i partiti e
il mondo reale».
Poi per zittire il brusio intorno a
sé, ha riletto le
storiche frasi dette, in un lontano
1981, dall’allora segretario del
Pci Enrico Berlinguer e raccolte da
Eugenio Scalfari, al tempo
direttore de La Repubblica: «I
partiti non fanno più politica.
Gestiscono interessi, i più
disparati e contraddittori, comunque senza
alcun rapporto con le esigenze e i
bisogni umano emergenti, oppure
distorcendoli, senza perseguire il
bene comune. Hanno degenerato nel
potere, nel clientelismo ed è questa
l’origine dei malanni d’Italia».
Dalla citazione Carta è passato in
un attimo all’attualità: «Anche in
Sardegna è accaduto, accade e
potrebbe accadere questo nuovo
schiavismo della politica verso i
cittadini». Per spiegarlo in quella
che è stata una requisitoria: «C’è
chi dispensa soldi non suoi senza
essere controllato.
C’è chi, attraverso le assunzioni
interinali, si
costruisce una schiera di devoti.
C’è chi dispensa favori e in cambio
ottiene tessere di partito». Sono
gli «ultimi squali sardi» – ha
sottolineato – che «stringono
l’isola in una morsa micidiale». Certo,
le accuse sono state generiche e
neanche sostenute da precise notizie
di reato, ma – sempre citando
Berlinguer – Carta ha aggiunto: «Lo
sappiamo, esistono boss e sotto-boss
dal potere infinito». A stanarli,
scoprirli e perseguirli non devono
essere i magistrati: «È un dovere
della politica liberarsene», ha
sottolineato. Fino a guardare dritto
negli occhi Pigliaru e domandargli:
«S’è chiesto se tutto questo male
abbia radici anche in Sardegna? Se
non l’ha fatto, lo faccia. Lei è
onesto e in lei confidiamo perché
sia fermata la piovra maledetta».
Per chiudere così: «Se vuole e lo
vuole scacciare gli squali, non deve
sentirsi solo: noi siamo pronti a
schierarci al suo fianco». Alla fine
della seduta, Pigliaru s’è
avvicinato a Carta e gli ha stretto la
mano. (ua)
La Nuova Sardegna
Pigliaru,
guerra ai tagli: «Fardello inaccettabile»
Il
caso accantonamenti al centro del programma di fine legislatura
Nella sua versione aggiornata,
post-rimpasto, la Giunta Pigliaru non
crede più alla collaborazione leale
con lo Stato. O meglio: crede
ancora al principio di lealtà ma si
fida meno, e soprattutto ha capito
che senza mostrare i denti non si
ottiene granché. Il discorso
programmatico del governatore in
Consiglio regionale, in occasione
della presentazione dei nuovi
assessori, conferma questo scatto
reattivo, per altro già emerso negli
ultimi mesi. La parola magica che
lo determina è: accantonamenti.
È un concetto tecnico ma si può
tradurre in soldoni (e stavolta non è
un modo di dire): quasi 700 milioni
che il governo nega alla Sardegna.
Risorse che Roma trattiene - come fa
con tutte le regioni - per
mettere una pezza al suo debito
pubblico. «Quella cifra per noi è
assolutamente inaccettabile», dice
Pigliaru in aula, «e per questo
siamo impegnati in una vertenza
molto seria con Palazzo Chigi: voglio
ribadire che non cederemo di un
passo».
LA SVOLTA Non è chiaramente il
frutto di una conversione tardiva,
questa voglia di litigare col
governo. Semmai, le parole pronunciate
dal presidente in aula appaiono come
il completamento di un cambio di
registro che è iniziato almeno un
anno fa.
Il buon rapporto con il premier
Renzi aveva consentito alla Giunta di
portare a casa alcuni risultati (la
chiusura della vertenza entrate
con la definizione delle norme di
attuazione, il superamento del patto
di stabilità, e più di recente il
Patto per la Sardegna). Ma Pigliaru
si aspettava assai di più.
Ora è arrivato il tempo di dirlo
senza giri di parole. «Su vari
fronti, le risposte arrivate dal
governo sono state insufficienti. Dal
cantiere della Maddalena alla
chimica verde», confessa ai consiglieri.
«Abbiamo perciò aumentato la
pressione sui nostri interlocutori
politici e su quelli che, come l'Eni
per Porto Torres, possono
aiutarci a chiudere quelle
vertenze». E non finiscono qua i motivi di
delusione: «Speravamo in una ripresa
dell'economia, che non c'è stata,
ma anche in un sostegno più deciso
delle politiche nazionali per
l'occupazione», prosegue Pigliaru.
«Queste ultime hanno aiutato solo
in minima parte le nostre iniziative
sul fronte dell'inclusione
sociale».
IL LAVORO Proprio su quest'ultimo
aspetto il governatore promette un
deciso rilancio dell'azione di
governo. «Parleremo presto di nuovi
strumenti per il welfare», annuncia,
iniziando a elencare gli impegni
per l'ultima parte della
legislatura. Uno di quelli a realizzazione
più immediata dovrebbe essere la
legge urbanistica: «Abbiamo un testo
ormai pronto, presto lo approveremo
in Giunta e poi lo discuteremo con
il Consiglio». Serviranno invece
tempi più lunghi - ma l'operazione
partirà al più presto - per centrare
un altro grande obiettivo: la
riforma della macchina amministrativa
regionale.
E poi, nel programma per i prossimi
due anni, riappare la forte
attenzione per le zone interne di
cui Pigliaru parla spesso da alcuni
mesi: «Contiamo di varare un piano
in grado di varare finalmente una
vera lotta allo spopolamento. Ci sono
150 milioni di euro, nel Patto
per la Sardegna, per finanziare
azioni efficaci in tale direzione».
Non saranno interventi generici,
come a volte è capitato in passato,
promette il presidente: «È nostra
intenzione discuterli anzitutto con
i sindaci».
LA NUOVA AGRICOLTURA Al rilancio
delle zone interne dovrà affiancarsi
anche quello dell'agricoltura:
«Intendiamo affrontare le cause che
tengono bassa la redditività delle
imprese in questo settore, in
particolare puntando sulle nuove
tecnologie e la cosiddetta
agricoltura di precisione». Con
questa impostazione, secondo Pigliaru,
«sarà possibile attirare molti più
giovani istruiti verso l'impegno in
questo tipo di attività, che possono
essere molto moderne».
Impegni che il presidente assume in
prima persona, ma che mette in
carico anche a tutta la sua
maggioranza, cui rinnova l'appello alla
coesione: «Avremo successo solo se
eviteremo liti miopi e
incomprensibili», avverte. Nel farsi
male da solo il centrosinistra ha
una lunga esperienza: Pigliaru, per
una volta, vorrebbe sfatare la
tradizione.
Giuseppe Meloni
Che
cos'è la trattativa sugli accantonamenti
Braccio
di ferro da 684 milioni: «Soldi dell'Isola»
Sono soldi che spettano a te, ma li
tengo io per pagare i miei debiti.
Terra terra, ecco che cosa sono gli
accantonamenti. Storia vecchia, ma
che ha raggiunto livelli tali da
provocare la dura reazione della
Giunta. Quando Francesco Pigliaru
dice in Consiglio regionale che «non
cederemo di un passo» nella
trattativa, fa riferimento a una partita
che finora sta costando alla
Sardegna 684 milioni all'anno.
LA DEFINIZIONE Gli accantonamenti
sono somme che spetterebbero alla
Regione, in base alle regole sulle
sue entrate fiscali, ma che lo
Stato non trasferisce. Le trattiene
per contribuire alla riduzione del
proprio debito pubblico. Avviene con
tutte le regioni dal 2012, quando
il governo Monti resisteva ai rischi
di default provocati dalla
speculazione internazionale. La
Corte costituzionale disse che era
legittimo. Alla Sardegna fu imposto
un sacrificio da 268 milioni,
salito in due anni a 578. Dal 2015
paga 97 milioni in più, regalo del
governo Renzi.
La cifra di 684 milioni è quella
versata lo scorso anno e che sarà
versata nel 2017. Dovrebbe restare
invariata nel 2018, ma qui si
inserisce la trattativa tra
l'assessore al Bilancio, Raffaele Paci, e
il sottosegretario alla presidenza
del Consiglio Gianclaudio Bressa.
«Puntiamo a una drastica riduzione
di quella somma», dice Paci: anche
se non quantifica, l'aggettivo
drastica fa pensare alle centinaia di
milioni, non certo alle decine.
LA TRATTATIVA La speranza non è
legata alla benevolenza del governo,
ma ad alcune buone ragioni. Lunedì
13 Paci sarà nuovamente a Roma da
Bressa, e gli consegnerà un dossier
che illustra quanto gli
accantonamenti hanno pesato
sull'economia sarda, già frenata
dall'insularità. I 684 milioni
corrispondono più o meno al 2% del Pil
della Sardegna. Ma non solo: «È come
se lo Stato avesse riscritto il
nostro Statuto speciale, senza
seguire le rigide procedure previste,
togliendoci parte delle nostre
entrate», obietta Paci. All'Isola, in
base all'accordo Soru-Prodi del 2006
sulle entrate, spettano i sette
decimi dell'Irpef riscossa nel
territorio regionale. «Un decimo sono
circa 325 milioni», calcola
l'assessore: «In pratica è come se
avessero modificato la norma, da
sette decimi a cinque». E non si può
fare.
RICORSI E ci sono altre
considerazioni. Circa 101 milioni di
accantonamenti riguardano la sanità:
una sentenza della Consulta (per
la Val d'Aosta) lo giudica
illegittimo per le regioni speciali, che si
pagano tutto il servizio sanitario.
Per alcune voci, invece, vale un
altro dettato della Consulta: devono
avere un limite temporale, ma non
è previsto. Materia per nuovi
ricorsi, dopo che la Giunta ha già
impugnato, su questi temi. le ultime
due leggi di stabilità.
Queste buone ragioni potrebbero
convincere il governo a trovare un
accordo (quello del 2014 sul
bilancio scade quest'anno, quindi va
comunque rivisto). «Se non accadrà,
servirà la mobilitazione di tutte
le forze politiche e sociali»,
conclude Paci, che però sembra
ottimista. Il vertice di lunedì non
sarà risolutivo, «ma l'importante
è trovare un'intesa prima della
legge di stabilità del 2018. Abbiamo
iniziato a discutere per tempo:
siamo fiduciosi». (g. m.)
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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