La prima è che per una volta i
sondaggi non avevano sbagliato di molto. Marine Le Pen ha
un consenso vero. La candidata dell'estrema destra, che vorrebbe uscire
dall'euro, chiudere le frontiere
all'immigrazione e che nel corso della sua campagna elettorale
ha persino messo in discussione il diritto degli ebrei francesi a indossare la
kippah, ottiene il voto di più di un francese su cinque.
È un dato di fatto reale, che va
indagato e preso sul serio. Al tradizionale voto neofascista si sono sommati
disagi nuovi, un senso di sofferenza e incertezza che è il frutto avvelenato di
anni di politiche classiste e di rigore finanziario. Una sinistra di governo
che voglia fare i conti con la realtà, e non con i sogni, prima rimette i piedi
dentro le piaghe del disagio di una società ferita e disgregata e prima la
smetterà di sorprendersi rispetto all'avanzata imponente delle destre più
pericolose, dagli Stati Uniti alla Francia.
La seconda considerazione è ancora
più banale. In politica l'aritmetica non vale ma è del tutto verosimile che se
i due candidati della sinistra (Mélenchon, il quale ha ottenuto un risultato
straordinario, e Hamon) avessero trovato un accordo e si fossero uniti, ora la
sinistra avrebbe un suo candidato al ballottaggio.
Non l'estrema sinistra, come gran
parte dei giornali faziosamente indica, ma una sinistra coerente e radicale dal
punto di vista dei principi e dei programmi e con una chiara vocazione al governo.
Sul tema di fondo di questa competizione presidenziale – il rapporto con
l'Europa – tanto Hamon quanto Mélenchon hanno nel corso della campagna
elettorale precisato una posizione perfettamente condivisibile: la proposta di
modificare radicalmente i trattati europei, di restituire l'euro ai popoli
europei modificando in radice il ruolo della Bce. Dentro l'Unione Europea,
quindi, ma non sotto il tacco dei potentati finanziari.
La terza attiene al socialismo
europeo. Perché lo schiaffo preso da Hamon nelle urne è più di una campana
d'allarme. Quando le sinistre moderate abbandonano strutturalmente le classi
popolari e quando sono e ancora più vengono percepite come la mano che allarga
la forbice delle diseguaglianze ed erode le certezze sociali, esse tracollano.
Persino in presenza di un candidato coraggioso, che aveva vinto le primarie del
Psf proprio su di una linea di discontinuità e di autocritica. A proposito di
credibilità e di coerenza, necessità imprescindibili.
L'ultima considerazione riguarda il secondo turno, sul
quale, come nel 2002, nessuno può permettersi di scherzare. Soprattutto i
campioni della "sinistra degli altri", fenomeni nell'intestarsi le
vittorie oltre confine o nel suggerire la linea sul divano di casa con il
roaming internazionale. E un po' più scarsi, a quanto sembra, nel dirigere la
sinistra italiana.
Pierre Laurent, segretario del
Partito comunista francese, sostenitore di Mélenchon ma a capo di un partito
autonomo e radicato in tutto il Paese, ha immediatamente fatto appello al voto per Macron contro Marine Le Pen,
perché la sua elezione "sarebbe un pericolo troppo grande per il Paese e
per la sicurezza del mondo". Si tornerà a combattere Macron dal giorno
dopo la sua elezione. Per dire cose semplici e giuste non servono consultazioni
on line o formule pasticciate. Basta una solida cultura politica.
L'idea del socialfascismo ha già prodotto lutti
inenarrabili nella storia del Novecento europeo. La sua caricatura fuori tempo
massimo sarebbe grottesca. Di fronte ai fascismi, il fronte democratico.
Sempre.
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