Unione Sarda
L'INCHIESTA.
L'accusa è associazione a delinquere e inquinamento Emissioni pericolose:in
cella i vertici Fluorsid
Pur di ottenere «la massimizzazione della
produzione e del profitto» la Flurosid di Macchiareddu (specializzata nella
produzione di acido solforico e derivati dal fluoro, di proprietà di Tommaso
Giulini, patron del Cagliari calcio, non coinvolto nell'inchiesta) aveva messo da
parte «le più elementari regole» di sicurezza e ambientali «superando
sistematicamente e notevolmente i limiti massimi di emissione» delle sostanze
pericolose «e omettendo di adottare misure» che riducessero il rischio di
inquinamento, arrivato a «livelli sconcertanti».
IL DISASTRO Così, secondo la gip Cristina Ornano,
mentre gli operai spesso «privi di protezione» frantumavano il gesso «dalle 6
alle 20 ogni giorno, a volte anche nel weekend e sino alle 22», il vento trasportava
le polveri derivanti dalla lavorazione nelle case, nelle aree coltivate e in
quelle adibite al pascolo; le bestie mangiavano l'erba, subivano una «abnorme
crescita dei denti e delle ossa che si fratturavano spontaneamente» e, per «il
forte dolore», si «nutrivano meno» o non mangiavano; i fanghi «contaminati»
venivano «sversati nella laguna di Santa Gilla»; i rifiuti «tossici
in prevalenza derivati dal processo produttivo della Fluorsid», compreso «l'amianto»,
venivano «interrati in località Terrasili, nello stabilimento e in altre zone
per 160 mila metri quadrati»; chi viveva lì intorno subiva «disturbi alle vie
respiratorie, bruciore agli occhi e alla gola».
ARRESTI Un comportamento «andato avanti per anni»,
che ha «deteriorato l'aria, il suolo e le acque», ha provocato un elevato
«pericolo per l'incolumità pubblica» ed è infine sfociato ieri nell'esecuzione
di 7 arresti per altrettante persone accusate a vario titolo dal pm Marco Cocco
di associazione per delinquere, inquinamento e disastro ambientale. Su sua
richiesta, e ordine della gip, gli uomini del Nucleo investigativo provinciale
della forestale al comando dei commissari Fabrizio Madeddu e Maria Onnis hanno
portato in carcere Michele Lavanga (54 anni, direttore dello stabilimento
Fluorsid), Sandro Cossu (58, responsabile sicurezza e ambiente della società), Alessio
Farci (44, responsabile della Fluorsid per la produzione dei sottoprodotti a
base di solfato di calcio e responsabile del cantiere Terrasili), Marcello
Pitzalis (42, dal 2016 coordinatore delle attività delle società di Armando
Benvenuto Bollani, del quale era dipendente, svolte per conto della Fluorsid) e
Simone Nonnis (41, dipendente della Ineco di Bollani, fino al 2015 coordinatore
delle attività nei lavori per conto della Fluorsid). Arresti domiciliari per lo
stesso Bollani (74, titolare di diverse società che svolgono attività di
logistica e servizi per la Fluorsid) e Giancarlo Lecis (56, funzionario
dipendente della Fluorsid). Semplice indagato Fabrizio Caschili (48, direttore tecnico
dell'impianto Fluorsid). Inoltre sono stati sequestrati 5 ettari a Terrasili e
i «cumuli di materiale per la produzione industriale stoccati all'aperto» in 3 ettari
alla Fluorsid.
L'INCHIESTA L'indagine era stata avviata dopo un
esposto e la pubblicazione di un articolo su L'Unione Sarda (marzo 2014) nel
quale si dava conto del sopralluogo dei veterinari della Asl negli allevamenti
del territorio: alcuni capi ovini erano affetti da una malattia che «provoca
gravissime malformazioni nei feti e negli animali adulti» causata dall'elevata
assunzione di fluoro. Gli investigatori collegano l'inquinamento
«all'occultamento, all'interramento e allo sversamento di amianto, olii,
rifiuti di varia natura e fanghi acidi», alla dispersione nell'aria delle
polveri «anche sottili» e allo «stoccaggio all'aperto, alla movimentazione e alle lavorazioni di materie prime e
sottoprodotti». Le «falde acquifere» sarebbero state «contaminate da metalli
pesanti», mentre è «pressoché scomparsa la vegetazione nelle aree adibite a
discarica».
Le polveri, col vento, «si infilavano in casa
anche attraverso gli infissi creando una densa patina biancastra su auto, biancheria,
pavimento». Il tutto anche grazie a «una rete di protezione o a una distratta connivenza» di chi doveva controllare.
Inoltre «andrà approfondito il livello di coinvolgimento dell'intera dirigenza
e della stessa proprietà della Fluorsid, aspetto sinora non sufficientemente
sondato».
Andrea Manunza
Rosy
Bindi e la Commissione parlamentare nell'Isola. Oggi visita all'Asinara
«La
mafia non abita qui ma teniamo alta la guardia»
«La Sardegna può restare un'Isola
felice, ma non bisogna mai abbassare
la guardia, perché la mafia non ha
confini, e anche questa è terra
d'attenzione per la criminalità
organizzata. Per il traffico di droga
e per il riciclaggio di denaro
sporco, che può finire negli
investimenti turistici e immobiliari
grazie alla complicità di
interlocutori locali».
LA GIORNATA Rosy Bindi, presidente
della Commissione parlamentare
antimafia, ha fatto un primo
bilancio della visita a Cagliari, dove,
ieri mattina, insieme con Claudio
Fava (Movimento democratico
progressista), Luigi Gaetti (M5S),
Marcello Taglialatela (FdI), Enrico
Buemi (Gruppo misto) e Stefano
Vaccari (Pd), ha tenuto una serie di
audizioni con i prefetti, il
procuratore generale, le forze
dell'ordine. Obiettivo: fare il
punto su eventuali infiltrazioni e
verificare la situazione delle
carceri.
«La Sardegna non desta
preoccupazione, e anche la presenza
di detenuti in regime di 41 bis
non crea particolari problemi»,
aggiunge la senatrice. Dopo l'incontro
con i giornalisti, la delegazione si
è diretta verso la prigione di
Uta. Oggi invece farà tappa al
penitenziario di Bancali (Sassari) e
all'Asinara - «un santuario della
lotta alla mafia», dove «non c'è
nessuna intenzione di riaprire il
penitenziario», spiega Bindi, «ma
l'intenzione di rendere omaggio, a
venticinque anni dalla scomparsa,
alla memoria dei giudici Falcone e
Borsellino, che lì hanno vissuto
un'estate a preparare atti
preziosissimi per il primo maxi-processo».
IL BILANCIO Nel complesso, non c'è
allarme.
L'arrivo della Commissione
rientra in un tour tra le
Distrettuali antimafia del Paese. «Le
emergenze e le cronicità del
fenomeno sono molto più forti e
preoccupanti in altre zone, non solo
in quelle tradizionali, Sicilia,
Calabria, Campania, Puglia, ma anche
a nord, Lombardia, Liguria,
Emilia Romagna», sottolinea la presidente.
«Naturalmente la vigilanza
non deve mai mancare, anche qui è
necessario ricordare che la mafia ha
una straordinaria capacità di
reinvestire i soldi.
Il territorio è
particolarmente appetibile per la
sua principale ricchezza, il
turismo, e per gli investimenti
immobiliari, e le occasioni non
mancano se ci sono complicità da
parte di banche, commercialisti,
imprenditori. Per questo occorre che
ognuno sia sentinella».
LA DROGA Prosegue Bindi: «Da tempo
la Sardegna è una piattaforma
logistica per lo scambio di
stupefacenti provenienti dal Nord Africa e
dal Centro e Sud America.
Soprattutto la 'ndrangheta realizza lo
scambio qui, poi lo spaccio è
affidato ai locali. Che, mi risulta,
hanno anche avviato coltivazioni
importanti di canapa, principalmente
nel Nuorese».
LE CARCERI Bancali è considerato «un
carcere modello, forse l'unico a
norma», e ospita 90 detenuti in
regime di 41 bis, a Uta, in regime
speciale, ce ne sono 38. Secondo il
vicepresidente della Commissione,
Claudio Fava, a Sassari «è difficile
che ne arrivino altri, perché la
capienza è praticamente utilizzata
al 100 per cento. Mentre ne
manderanno a Uta, ma solo quando si
concluderanno i lavori dell'ala
riservata. Quanti non lo sappiamo,
ne parleremo con il Dap, stiamo
andando anche a capire lo stato di
avanzamento delle opere.
D'altronde, il governo ha deciso di
tenere questi detenuti per quanto
possibile nella case di reclusioni
insulari, fisicamente lontani dai
luoghi di provenienza».
I MIGRANTI Tra le questioni
affrontate durante le audizioni di ieri
mattina c'è anche quella che
riguarda l'immigrazione. «È stata fatta
una valutazione di non pericolosità
del fenomeno», ha sottolineato
Buemi, «certo, potrebbero esserci
delle evoluzioni, ma attualmente non
ci sono riscontri. Piuttosto rimane
ancora senza risposta
l'interrogativo su come piccole
imbarcazioni di fortuna riescano a
fare un percorso di 130, 140
miglia».
SINDACI NEL MIRINO L'allarme esiste
invece per la quantità di minacce,
intimidazioni e attentati agli
amministratori. «Dal 2014 al 2015,
mentre nel resto d'Italia sono
cresciuti del 30 per cento, in Sardegna
sono aumentati del 118%», avverte
Vaccari. «La Sardegna è la quinta
regione, dopo Sicilia, Campania,
Puglia e Calabria, per entità del
fenomeno, e il tema va ulteriormente
approfondito, anche per i
rapporti che questi gesti possono
avere con la criminalità
organizzata».
OPERE PUBBLICHE Per quanto riguarda
cantieri e appalti, la prefetta
(uscente) Giuliana Perrotta ha
ricordato che «sono stati avviati
controlli sui lavori pubblici nelle
strade, a marzo sono scattati gli
accertamenti sulla “195” Sulcitana,
in grave ritardo. Era previsto che
quel cantiere fosse concluso entro
l'anno, ma lo stato di avanzamento
è di appena il 30%. Accertamenti
sono stati disposti, inoltre, dalla
prefettura di Sassari sui lavori per
la nuova Sassari-Olbia». Più in
generale, «si attende che i Comuni
sottoscrivano il protocollo sulla
legalità, già siglato dalla Regione
dopo l'inchiesta “Sindacopoli”
della procura di Oristano».
Cristina Cossu
Il
governatore incontra i consiglieri Dem con Arru e Moirano. I timori
dei
territori Sanità, Pigliaru richiama il Pd - «Approvare la nuova rete
ospedaliera»:
ma rimangono dubbi
«Andiamo avanti. La riforma della
rete ospedaliera deve essere portata
a termine». Il presidente della
Regione, Francesco Pigliaru, scrive
l'ultimo capitolo di una vicenda che
potrebbe avere una trama più
intricata. I consiglieri regionali
del Pd che ieri hanno incontrato,
oltre il presidente, anche
l'assessore Luigi Arru e il manager
dell'Ats Fulvio Moirano, non
rinunciano a mettere qualche paletto. La
riforma va conclusa, certo, ma
questo non può avvenire senza la rete
delle cure territoriali. A due anni
dalle elezioni, in pochi
gradiscono l'ipotesi di andare nei
territori a spiegare soppressioni e
accorpamenti senza una
contropartita.
I DUBBI Da un lato una spesa
sanitaria da ridurre, dall'altro la
necessità di far capire che nessun
territorio rimarrà isolato sotto il
profilo sanitario. Questo è il
grande cruccio evidenziato più o meno
da tutti, e se Moirano definisce la
riforma della rete ospedaliera «di
una dolcezza assoluta», ossia al di
sotto degli standard imposti a
livello nazionale, Cesare Moriconi
ribatte, sostenendo che «non si
deve trattare di una mera operazione
burocratica».
Moriconi, insieme al collega Roberto
Deriu, ha chiesto all'assessore
le risposte alle numerose
interrogazioni presentate. Per trovare la
mediazione tra le posizioni serve,
come ha più volte sottolineato
l'assessore Arru, «una narrazione
corretta», che spieghi ai sardi che
il servizio sanitario migliorerà.
Per fare questo il responsabile
della sanità ha tenuto già 42
incontri nei territori, ricevendo 60
richieste di modifica di cui 32
accolte.
I PASSAGGI Il bivio è tra la voglia
di passare agli annali come la
coalizione riformista e l'ambizione
di un'altra legislatura in
Consiglio regionale. «La Regione
deve garantire la parità di accesso
alle cure per tutti i sardi e per
ogni Comune della Sardegna»,
sostiene Moriconi.
Come lui anche Franco Sabatini che,
però, assume un'apertura di
credito maggiore nei confronti di
Moirano: «Sta facendo un buon lavoro
sulle diseconomie. Noi dobbiamo
supportare con l'approvazione della
rete che, però, deve tenere conto
delle aree più disagiate». Per
questo motivo diventa dirimente il
meccanismo di compensazione che
vede le case della salute o i
poliambulatori come gli avamposti delle
cure territoriali.
I CONTI Moirano è arrivato in
Sardegna con il compito di mettere un
freno al disavanzo della sanità
sarda. «La rete ospedaliera è
fondamentale, deve essere fatta, ma
io proseguo il mio lavoro anche
senza». Tradotto in cifre, significa
che a fronte di un obiettivo di
risparmio di 90 milioni di euro,
imposto dalla Giunta al manager,
senza la rete ospedaliera «se ne
risparmieranno circa 40 perché la
riorganizzazione vale un taglio di
circa 55 milioni», spiega in
maniera pragmatica il direttore
generale dell'Ats.
Altra questione riguarda il
personale, soprattutto quei primariati
considerati in esubero. Ancora
presto per avere i numeri, ma la cifra
delle strutture complesse si aggira
intorno al centinaio.
IL CORI Intanto la Giunta su
proposta di Arru ha dato il via libera
all'istituzione del Comitato di
organizzazione delle reti integrate.
L'organismo avrà il compito di
definire i metodi per l'accreditamento
dei centri specialistici nelle reti
di cura, in termini di competenze,
processi e casistica prodotta.
L'ATTACCO La riunione ristretta in
casa Pd crea qualche malumore anche
in maggioranza. Il capogruppo
dell'Upc, Pierfranco Zanchetta, parla di
«sgarbo istituzionale nei confronti
dell'assemblea e della commissione
competente». Per Zanchetta è il
parlamentino la sede dove discutere la
riforma, a meno che «il Pd, Arru e
Moirano non ritengano di avere i
numeri sufficienti per approvarsela
da soli».
All'attacco anche i consiglieri
regionali di Forza Italia Pietro
Pittalis ed Edoardo Tocco: «È
inaccettabile che Moirano si sottragga
al confronto con la commissione
Sanità. Ci sono regole che pensiamo
vadano rispettate, con una
collaborazione della commissione nelle
scelte per trovare una soluzione
positiva alle emergenze della sanità
isolana». Pronta la risposta del
capogruppo del Pd, Pietro Cocco: «Il
partito ha tutto il diritto di
riunirsi e confrontarsi con i vertici
dell'Ats senza dover rendere conto a
nessuno».
Matteo Sau
SELARGIUS.
Il sindaco dopo due mandati lascerà il Comune
Cappai:
Niente politica, ora mi dedicherò solo alla famiglia «Dieci
anni
intensi»
È l'unico nella storia di Selargius
ad aver fatto due legislature,
complete e consecutive. Sessantadue
anni, di cui trentadue trascorsi
in Municipio: consigliere, assessore
e, dal 2007 a oggi, sindaco.
Sempre tra le fila dello Scudo
crociato, a cui è stato fedele per
tutta la vita. È arrivato il tempo
dei bilanci per Gian Franco Cappai,
pronto a lasciare la politica.
Dieci anni alla guida di Selargius.
«Sembrerà strano, ma sono trascorsi
velocemente. Dieci anni di impegni
e tantissime scommesse».
Risultati?
«Sono i cittadini a dover giudicare.
Posso dire che alcuni sono molto
evidenti, ma ci sono anche progetti
che non siamo riusciti a portare a
termine. E ovviamente mi dispiace».
Esempi?
«Mi riferisco al Centro servizi, che
avrebbe creato occasione di
occupazione per i giovani,
all'utilizzo ancora incompleto del teatro,
e alla viabilità da ultimare».
Mai pensato di mollare?
«Ci sono stati momenti di sconforto,
ma ho preso un impegno con i
cittadini, andava rispettato sino
alla fine».
Ha qualcosa da rimproverarsi?
«Mi rammarico di non essere riuscito
a dare risposte a tutti,
principalmente a chi cercava
lavoro».
È un addio alla politica?
«Sì, anche se da cittadino cercherò
di essere d'aiuto all'amministrazione».
Tra un anno e mezzo le Regionali.
«Sono contento per chi parteciperà».
Lei no?
«Credo di aver dedicato poco tempo
alla famiglia, ai miei figli e
nipoti. Cercherò di rimediare».
Cosa sogna per Selargius?
«Che riesca a diventare un punto di
riferimento per l'intera Città
metropolitana».
Che qualità dovrà avere il prossimo
sindaco?
«L'esperienza mi porta a dire che
bisogna essere impegnati e avere
grandi capacità di ascolto e
mediazione».
Pronostico per le Comunali di
giugno?
«Non faccio nomi, ma sono convinto
che si tratti di un confronto sulle
idee, non di uno scontro tra
persone».
Vuol dire qualcosa ai suoi
concittadini?
«Sono onorato di aver fatto il
sindaco, spero di aver lasciato un buon ricordo».
Sara Marci
La Nuova
Sardegna
Disastro
ambientale vertici Fluorsid in cella
Sigilli
alla fabbrica di Macchiareddu. Sette provvedimenti cautelari
Nelle
carte: fluoruri 1.154 volte oltre la soglia, 51 i solfati e 3745
l’alluminio
di Mauro Lissia CAGLIARI «A noi
serve produrre... produrre, produrre,
produrre»: così al telefono due
dipendenti della Fluorsid di
Macchiareddu. Produrre a qualsiasi
costo, a leggere le 168 pagine
dell’ordinanza con cui il gip
Cristina Ornano ha spedito in carcere
cinque fra dirigenti e imprenditori
legati all’azienda di Tommaso
Giulini, il presidente del Cagliari
calcio, e altri due alla custoria
domiciliare. Sono accusati di
associazione a delinquere in disastro
ambientale, il nuovo reato entrato
due anni fa nel codice penale per
arginare il massacro industriale del
territorio: «Un’associazione -
scrive il gip - finalizzata al
compimento di una sistematica,
reiterata nel tempo e organizzata
attività illecita, legata
all’illegale stoccaggio e
trattamento delle materie prime e
sottoprodotti della Fluorsid e
all’illegale smaltimento dei rifiuti
prodotti dal ciclo di lavorazione,
nella piena consapevolezza della
sistematica violazione delle norme e
delle prescrizioni poste a tutela
dell’ambiente e della salute
pubblica».
Fra la serie di fatti illegali
riportati nell’ordinanza,
l’interramento di una quantità imprecisata
di fluorsilicato, una sostanza la
cui ingestione provoca la morte. Due
anni di indagini condotte dal Corpo
Forestale del direttore Carlo
Masnata e del commissario Fabrizio
Madeddu, ripresi nella richiesta di
misure cautelari firmata dal pm
Marco Cocco, hanno messo in luce una
situazione che il giudice Ornano
definisce sconcertante: un’area di
160 mila metri quadrati, contigua a
case e paesi, invasa da nubi di
polveri biancastre a base di
fluorite, solfati e calcio nocive per la
salute, una sorta di gesso che per
l’Arpas, l’agenzia regionale
dell’ambiente, non era altro che
«polveri sahariane». Poi amianto,
residui di fluoro, fanghi acidi,
ogni sorta di rifiuto interrati in
voragini scavate sui terreni di
conoscenti, scaricati nella
delicatissima laguna di Santa Gilla,
persino venduti come gesso a
un’ignaro imprenditore nigeriano,
che se li è portati in Africa.
Devastanti gli effetti
sull’ambiente: valori fuori norma anche per i
fluoruri pari a 1.154 volte oltre la
soglia consentita, 51 volte per i
solfati e 3745 volte per
l’alluminio.
Per non parlare delle attività
agricole nel compendio di Macchiareddu:
sparite. L’inchiesta è
tutt’altro che conclusa ed è il
giudice Ornano ad annunciare nel
provvedimento che «andrà
approfondito il livello di coinvolgimento in
tali pratiche dell'intera dirigenza
e della stessa proprietà della
Fluorsid Spa, aspetto finora non
sufficientemente sondato ma che
richiede di essere accertato». Per
adesso sono finiti al carcere di
Uta tre ingegneri della Fluorsid: il
direttore dello stabilimento
Michele Lavanga (54 anni), il
responsabile della sicurezza e ambiente
Sandro Cossu (58) e il responsabile
della produzione Alessio Farci
(45). In cella anche il dipendente e
l’ex dipendente della società
Ineco Marcello Pitzalis (43) e
Simone Nonnis (42), mentre agli arresti
domiciliari sono Armando Bollani
(75) titolare della società Ineco che
si occupava di smaltire i residui
della lavorazione industriale e il
funzionario tecnico della Fluorsid
Giancarlo Lecis (58).
È indagato ma
libero il direttore tecnico dello
stabilimento Fabrizio Caschili. Non
c’è Giulini, patron dell’industria
di Macchiareddu: da tempo ha
delegato ogni potere interno alla
Fluorsid per dedicarsi alla gestione
del Cagliari. È sotto sequestro
preventivo l’area di Terrasili, dove
venivano stoccati i residui di
lavorazione del fluoro e i cumuli di
materiale lasciati all’aperto nella
parte nord dello stabilimento: gli
uomini di Madeddu hanno eseguito i
provvedimenti nel primo mattino di
ieri, mentre venivano notificate le
misure cautelari agli indagati.
L’inchiesta della Forestale riguarda
due anni di attività
dell’industria, dal 2014 al 2016.
Anni in cui per il giudice si è
realizzato un «patto scellerato» tra
i dirigenti della Fluorsid e la
società di Bollani, disposta a far
sparire sotto terra quella che
nelle conversazioni intercettate
viene definita «merda» con la «piena
consapevolezza - scrive il gip - e
nella dolosa preordinazione
dell’omissione in funzione della
massimizzazione della produzione e
del profitto». Una «produzione
frenetica» condotta in barba a
qualsiasi precauzione, incurante
delle proteste di chi ha la sventura
di abitare in quell’area e di una
sentenza del 1996 con la quale, sul
ricorso dell’azienda agricola dei
fratelli Carboni, aveva condannato
la Fluorsid a risarcire i
danneggiati per non aver impedito che il
fluoro inquinasse i terreni circostanti,
avvelenando anche l’acqua di
falda. Partita da un esposto, r
l’inchiesta ha confermato i peggiori
sospetti: consapevoli di correre
seri rischi sul piano penale, alla
Fluorsid facevano comparire a puro
scopo scenografico il cannone
idrico necessario per bagnare le
polveri ed evitare la dispersione, ma
in realtà - come emerge dalle
intercettazioni - non lo usavano per
evitare problemi di trasporto del
materiale. Poi l’impegno profuso per
nascondere quanto accadeva a
Macchiareddu.
La
Commissione: ci sono segnali di infiltrazioni, soprattutto in Costa Smeralda
Sardegna
a rischio mafia Bindi: tenere alta la guardia
di
Umberto Aime
CAGLIARI Non ha messo radici,
«essere un’isola vi ha salvato», ma la
criminalità organizzata è in
agguato. Ma quando appare, spesso sotto
mentite spoglie, è subdola, viscida.
È la realtà purtroppo: in
Sardegna mafia, camorra e
’ndrangheta riciclano il denaro sporco,
attirano in trappola imprenditori in
difficoltà e politici deboli,
oppure inviano ambasciatori che
sembrano manager, e tutt’insieme fanno
girare l’isola-lavatrice. Come una
centrifuga che comincia con
l’acquisto di terreni edificabili
sul mercato o grandi proprietà
immobiliari, nelle aste dei
tribunali, e finisce con un elenco di
società all’apparenza pulite, intonse,
ma marchiate.
È questa la
criminalità organizzata che deve
temere la «vostra terra», ha detto
Rosy Bindi, presidente della
Commissione Antimafia, impegnata in una
visita-sopralluogo di due giorni.
Non c’è un vero allarme, anche se i
segnali non mancano certo, ma il
fenomeno dei colletti bianchi che
girano da Nord a Sud con la
valigetta di soldi da ripulire è sempre
più frequente. Poi c’è la Costa
Smeralda: è questo il grande terreno
di conquista per i boss. Anzi, i
nuovi boss: meno lupara e tanta
tecnologia soprattutto se
intrecciata con complicate transazioni
bancarie. «È una nuova mafia che
dovete tenere lontano», ha detto la
presidente dopo una prima giornata
passata a raccogliere prove su
quanto sta accadendo e ad ascoltare
i rapporti di prefetti, magistrati
e investigatori. «I segnali delle
infiltrazioni economiche ci sono –
ha aggiunto la deputata – e bisogna
vigilare.
L’attenzione dev’essere
massima. Le forze dell’ordine hanno
scoperto più di un caso, ma è la
società civile che deve tenersi alla
larga, non cadere in tentazione».
Perché – ha ricordato – «i milioni
come i voti della mafia hanno da
subito un cattivo odore e bisogna
diffidare da chi promette o dispensa
gadagni facili». Con un avvertimento
in più: «Lo dico agli
imprenditori ma anche a chiunque si
occupi di affari: le
organizzazioni criminali non si
accontentano, prima o poi vogliono
tutto, compresa la dignità di cade
nella loro trappola». Trappole
sottili, pensate e realizzate con
maestria, dove alcuni ignari possono
finirci per disperazione o altri
«spinti da una voracità senza
confini». Il turismo, «la vostra
ricchezza più sana», sarà sempre un
bersaglio per questi smacchiatori
seriali del denaro tirato su con la
droga, le armi, la prostituzione, i
giochi d’azzardo e tutto l’altro
che la malavita mette assieme.
L’avvertimento di Rosy Bindi è
chiaro,
non lascia spazio a dubbi: «Oltre
alla repressione, al grande lavoro
di giudici e forze dell’ordine, va
difesa e sollevata la protezione
sociale soprattutto quando c’è una
crisi economica incalzante. Mai
abbassare la guardia, dobbiamo
essere tutti delle sentinelle». Oggi
più che mai, con la Sardegna
segnalata anche come «una possibile
piattaforma strategica nelle rotte
nel Mediterraneo scelte dai
trafficanti di droga», e in cui
«possono contare anche e spesso
sull’appoggio della criminalità
locale. Oppure indicata come
«appetibile per le imprese in odore
di mafia e decise a prendersi una
fetta importante dei molti appalti
che ci sono dalle vostre parti.
Certo, va rifiutata l’equazione
lavori pubblici uguale infiltrazione
mafiosa, ma dove ci sono
investimenti i pericoli aumentano». È un
altro sistema per ripulire il
malloppo, ha aggiunto la presidente, ma
«finora le maglie strette dei
controlli hanno evitato infezioni
clamorose».
Però c’è da tenere a bada anche il
fenomeno delle
migrazioni clandestine su cui
«l’Italia dev’essere sostenuta
dall’Europa con maggior decisione,
per evitare il tracollo». Perché –
come ha detto il vicepresidente
Claudio Fava – «la criminalità
organizzata è in continua evoluzione
e dove scoppia un’emergenza,
fiuta la ricchezza, cerca complici
indigeni e si getta a capofitto». O
perché, sono state le parole del
senatore Enrico Buemi «le mafie non
hanno confini e sono sempre alla
ricerca di nuove conquiste». Ma se la
Sardegna «non desta particolari
preoccupazioni – testuale – rispetto
ad altre regioni storiche
contaminate o al Nord Italia in via di
contaminazione», perché ci sono ben
due carceri di massima sicurezza,
Bancali e Uta, in cui sono richiusi
i boss catturati: non c’è il
rischio che il contagio passi
attraverso le sbarre? «No – è stata la
replica di Rosy Bindi – Abbiamo
verificato e questo rischio ora non
c’è». Per fortuna, ma l’importante è
che ci sia un limite invalicabile
nei trasferimenti dei mafiosi in
catene.
Scoppia
la polemica per l’intercettazione rivelata dal Fatto Quotidiano
L’ex
premier: «Gogna mediatica, ma non farò nulla». M5S: «È una cricca»
Renzi
incalzò il padre «Devi dire la verità»
di Serenella Mattera ROMA
«Babbo, non puoi dire bugie, devi
ricordarti
che non è un gioco. Devi dire tutta
la verità». È il 2 marzo, le 9.45
del mattino. Matteo Renzi parla con
il padre Tiziano, indagato
nell'inchiesta Consip. Lo incalza
sulla «clamorosa intervista» di
Repubblica che svela una cena
segreta in una «bettola» con
l'imprenditore Alfredo Romeo. Matteo
chiede a Tiziano se è vero. Il
colloquio viene intercettato e la
trascrizione giunge al giornalista
del Fatto Marco Lillo, che due mesi
dopo la pubblica.
Con l'effetto di
riportare in primo piano la vicenda
Consip e il dibattito sulle
intercettazioni. «La pubblicazione è
illegittima», si indigna Renzi:
«È una gogna mediatica, chi viola la
legge pagherà ma non farò niente»
per inasprire le norme. «Umanamente
la vicenda mi fa male ma
politicamente mi fanno un regalo:
dimostrano la mia serietà». Il
colloquio tra l'ex premier e il
padre Tiziano, pubblicato sul Fatto e
riportato nel libro di Lillo «Di
padre in figlio», è stato
intercettato a marzo dal Noe per
conto della procura di Napoli.
L'inchiesta Consip è stata poi
trasferita alla procura di Roma ma la
conversazione è stata ritenuta
irrilevante: i pm romani Paolo Ielo e
Mario Palazzi, che proprio ora
aprono un nuovo filone d'indagine per
gli appalti Grandi Stazioni, dicono
di non avere neanche le
trascrizioni. E dopo la
divulgazione, i magistrati della capitale
aprono un fascicolo per violazione
del segreto istruttorio. Il
ministro della Giustizia Andrea
Orlando avvia accertamenti
preliminari. Nella telefonata
Tiziano assicura di non aver mai cenato
con Romeo, mentre dice di non
ricordare eventuali incontri al bar.
«Devi ricordare tutto, non è più la
questione della Madonnina e del
giro di merda di Firenze per
Medjugorje», lo incalza Renzi. «Devi dire
la verità in quanto in passato la
verità non l'hai detta a Luca»
Lotti, aggiunge. «Andrai a processo,
ci vorranno tre anni e io lascerò
le primarie», paventa il leader Dem.
Che in mattinata - riletta la
conversazione - affida a un lungo
post la sua versione dei fatti, che
ribadisce poi in una diretta
Facebook e in una Enews. Mentre il padre
Tiziano, incalzato dai cronisti, li
allontana bruscamente. È provato,
spiega Matteo, perché «c'è stata una
caccia all'uomo»: ha subito,
racconta, due piccoli interventi al
cuore. La divulgazione del
colloquio è «una gogna che mostra i
rapporti tra alcune redazioni e
procure.
Qualcuno per questo si è tolto la
vita in passato. Umanamente
mi spiace perché sono stato duro con
mio padre, ho dubitato di lui. Ma
da uomo delle istituzioni - scrive
Renzi - voglio la verità. Qualcuno
sta violando la legge e non siamo
noi». Il segretario Pd, che
preannuncia querele, aggiunge che
«politicamente» il Fatto gli fa un
«favore» perché dimostra che lui era
estraneo alla vicenda. E aggiunge
che il tempismo della pubblicazione
è sospetto: «Ogni volta che il Pd
risale nei sondaggi c'è uno
scandaletto», sottolinea con riferimento
anche al caso di Banca Etruria. Il
«favore» politico alimenta battute
e sospetti in transatlantico e
Francesco Rutelli, citato come amico di
Romeo, nello smentire la «falsità»
dice di non poter giudicare se il
colloquio fosse «mosso dall'ira o
studiato a tavolino». Ma la
maggioranza (escluso Mdp, che parla
di familismo) e FI esprime
solidarietà al leader Dem: «Spero
che il Fatto abbia cambiato
fornitore di intercettazioni», dice
Matteo Orfini, con riferimento
alla falsificazione degli atti di
Consip per cui è indagato un
capitano dei Carabinieri.
Ma il M5s attacca: «Troppi aspetti
opachi, è
una cricca», dicono i capigruppo.
Renzi «infanga le istituzioni»,
secondo Di Maio. La prossima settimana
arriverà in Aula alla Camera
per il via libera definitivo la
riforma del processo penale, che
include una delega al governo - da
attuare entro tre mesi - per una
stretta sulle intercettazioni,
perché non vengano pubblicate quelle
irrilevanti. «Sono 20 anni che c'è
il malcostume di pubblicarle -
afferma Renzi - è vergognoso ma io
lascio al codice deontologico dei
giornalisti, non chiedo alcunché».
Nessuna intenzione di «rivalersi»
sul piano legislativo: «Non cerco
vendette».
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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