mercoledì 17 maggio 2017

Rassegna stampa 17 Maggio 2017

Unione Sarda

L'INCHIESTA. L'accusa è associazione a delinquere e inquinamento Emissioni pericolose:in cella i vertici Fluorsid

Pur di ottenere «la massimizzazione della produzione e del profitto» la Flurosid di Macchiareddu (specializzata nella produzione di acido solforico e derivati dal fluoro, di proprietà di Tommaso Giulini, patron del Cagliari calcio, non coinvolto nell'inchiesta) aveva messo da parte «le più elementari regole» di sicurezza e ambientali «superando sistematicamente e notevolmente i limiti massimi di emissione» delle sostanze pericolose «e omettendo di adottare misure» che riducessero il rischio di inquinamento, arrivato a «livelli sconcertanti».

IL DISASTRO Così, secondo la gip Cristina Ornano, mentre gli operai spesso «privi di protezione» frantumavano il gesso «dalle 6 alle 20 ogni giorno, a volte anche nel weekend e sino alle 22», il vento trasportava le polveri derivanti dalla lavorazione nelle case, nelle aree coltivate e in quelle adibite al pascolo; le bestie mangiavano l'erba, subivano una «abnorme crescita dei denti e delle ossa che si fratturavano spontaneamente» e, per «il forte dolore», si «nutrivano meno» o non mangiavano; i fanghi «contaminati» venivano «sversati nella laguna di Santa Gilla»; i rifiuti «tossici in prevalenza derivati dal processo produttivo della Fluorsid», compreso «l'amianto», venivano «interrati in località Terrasili, nello stabilimento e in altre zone per 160 mila metri quadrati»; chi viveva lì intorno subiva «disturbi alle vie respiratorie, bruciore agli occhi e alla gola».

ARRESTI Un comportamento «andato avanti per anni», che ha «deteriorato l'aria, il suolo e le acque», ha provocato un elevato «pericolo per l'incolumità pubblica» ed è infine sfociato ieri nell'esecuzione di 7 arresti per altrettante persone accusate a vario titolo dal pm Marco Cocco di associazione per delinquere, inquinamento e disastro ambientale. Su sua richiesta, e ordine della gip, gli uomini del Nucleo investigativo provinciale della forestale al comando dei commissari Fabrizio Madeddu e Maria Onnis hanno portato in carcere Michele Lavanga (54 anni, direttore dello stabilimento Fluorsid), Sandro Cossu (58, responsabile sicurezza e ambiente della società), Alessio Farci (44, responsabile della Fluorsid per la produzione dei sottoprodotti a base di solfato di calcio e responsabile del cantiere Terrasili), Marcello Pitzalis (42, dal 2016 coordinatore delle attività delle società di Armando Benvenuto Bollani, del quale era dipendente, svolte per conto della Fluorsid) e Simone Nonnis (41, dipendente della Ineco di Bollani, fino al 2015 coordinatore delle attività nei lavori per conto della Fluorsid). Arresti domiciliari per lo stesso Bollani (74, titolare di diverse società che svolgono attività di logistica e servizi per la Fluorsid) e Giancarlo Lecis (56, funzionario dipendente della Fluorsid). Semplice indagato Fabrizio Caschili (48, direttore tecnico dell'impianto Fluorsid). Inoltre sono stati sequestrati 5 ettari a Terrasili e i «cumuli di materiale per la produzione industriale stoccati all'aperto» in 3 ettari alla Fluorsid.

L'INCHIESTA L'indagine era stata avviata dopo un esposto e la pubblicazione di un articolo su L'Unione Sarda (marzo 2014) nel quale si dava conto del sopralluogo dei veterinari della Asl negli allevamenti del territorio: alcuni capi ovini erano affetti da una malattia che «provoca gravissime malformazioni nei feti e negli animali adulti» causata dall'elevata assunzione di fluoro. Gli investigatori collegano l'inquinamento «all'occultamento, all'interramento e allo sversamento di amianto, olii, rifiuti di varia natura e fanghi acidi», alla dispersione nell'aria delle polveri «anche sottili» e allo «stoccaggio all'aperto, alla movimentazione e alle lavorazioni di materie prime e sottoprodotti». Le «falde acquifere» sarebbero state «contaminate da metalli pesanti», mentre è «pressoché scomparsa la vegetazione nelle aree adibite a discarica».

Le polveri, col vento, «si infilavano in casa anche attraverso gli infissi creando una densa patina biancastra su auto, biancheria, pavimento». Il tutto anche grazie a «una rete di protezione o a una distratta connivenza» di chi doveva controllare. Inoltre «andrà approfondito il livello di coinvolgimento dell'intera dirigenza e della stessa proprietà della Fluorsid, aspetto sinora non sufficientemente sondato».

Andrea Manunza


Rosy Bindi e la Commissione parlamentare nell'Isola. Oggi visita all'Asinara
«La mafia non abita qui ma teniamo alta la guardia»

«La Sardegna può restare un'Isola felice, ma non bisogna mai abbassare
la guardia, perché la mafia non ha confini, e anche questa è terra
d'attenzione per la criminalità organizzata. Per il traffico di droga
e per il riciclaggio di denaro sporco, che può finire negli
investimenti turistici e immobiliari grazie alla complicità di
interlocutori locali».

LA GIORNATA Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare
antimafia, ha fatto un primo bilancio della visita a Cagliari, dove,
ieri mattina, insieme con Claudio Fava (Movimento democratico
progressista), Luigi Gaetti (M5S), Marcello Taglialatela (FdI), Enrico
Buemi (Gruppo misto) e Stefano Vaccari (Pd), ha tenuto una serie di
audizioni con i prefetti, il procuratore generale, le forze
dell'ordine. Obiettivo: fare il punto su eventuali infiltrazioni e
verificare la situazione delle carceri.

«La Sardegna non desta
preoccupazione, e anche la presenza di detenuti in regime di 41 bis
non crea particolari problemi», aggiunge la senatrice. Dopo l'incontro
con i giornalisti, la delegazione si è diretta verso la prigione di
Uta. Oggi invece farà tappa al penitenziario di Bancali (Sassari) e
all'Asinara - «un santuario della lotta alla mafia», dove «non c'è
nessuna intenzione di riaprire il penitenziario», spiega Bindi, «ma
l'intenzione di rendere omaggio, a venticinque anni dalla scomparsa,
alla memoria dei giudici Falcone e Borsellino, che lì hanno vissuto
un'estate a preparare atti preziosissimi per il primo maxi-processo».
IL BILANCIO Nel complesso, non c'è allarme.

L'arrivo della Commissione
rientra in un tour tra le Distrettuali antimafia del Paese. «Le
emergenze e le cronicità del fenomeno sono molto più forti e
preoccupanti in altre zone, non solo in quelle tradizionali, Sicilia,
Calabria, Campania, Puglia, ma anche a nord, Lombardia, Liguria,
Emilia Romagna», sottolinea la presidente. «Naturalmente la vigilanza
non deve mai mancare, anche qui è necessario ricordare che la mafia ha
una straordinaria capacità di reinvestire i soldi.

Il territorio è
particolarmente appetibile per la sua principale ricchezza, il
turismo, e per gli investimenti immobiliari, e le occasioni non
mancano se ci sono complicità da parte di banche, commercialisti,
imprenditori. Per questo occorre che ognuno sia sentinella».
LA DROGA Prosegue Bindi: «Da tempo la Sardegna è una piattaforma
logistica per lo scambio di stupefacenti provenienti dal Nord Africa e
dal Centro e Sud America. Soprattutto la 'ndrangheta realizza lo
scambio qui, poi lo spaccio è affidato ai locali. Che, mi risulta,
hanno anche avviato coltivazioni importanti di canapa, principalmente
nel Nuorese».

LE CARCERI Bancali è considerato «un carcere modello, forse l'unico a
norma», e ospita 90 detenuti in regime di 41 bis, a Uta, in regime
speciale, ce ne sono 38. Secondo il vicepresidente della Commissione,
Claudio Fava, a Sassari «è difficile che ne arrivino altri, perché la
capienza è praticamente utilizzata al 100 per cento. Mentre ne
manderanno a Uta, ma solo quando si concluderanno i lavori dell'ala
riservata. Quanti non lo sappiamo, ne parleremo con il Dap, stiamo
andando anche a capire lo stato di avanzamento delle opere.
D'altronde, il governo ha deciso di tenere questi detenuti per quanto
possibile nella case di reclusioni insulari, fisicamente lontani dai
luoghi di provenienza».

I MIGRANTI Tra le questioni affrontate durante le audizioni di ieri
mattina c'è anche quella che riguarda l'immigrazione. «È stata fatta
una valutazione di non pericolosità del fenomeno», ha sottolineato
Buemi, «certo, potrebbero esserci delle evoluzioni, ma attualmente non
ci sono riscontri. Piuttosto rimane ancora senza risposta
l'interrogativo su come piccole imbarcazioni di fortuna riescano a
fare un percorso di 130, 140 miglia».

SINDACI NEL MIRINO L'allarme esiste invece per la quantità di minacce,
intimidazioni e attentati agli amministratori. «Dal 2014 al 2015,
mentre nel resto d'Italia sono cresciuti del 30 per cento, in Sardegna
sono aumentati del 118%», avverte Vaccari. «La Sardegna è la quinta
regione, dopo Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, per entità del
fenomeno, e il tema va ulteriormente approfondito, anche per i
rapporti che questi gesti possono avere con la criminalità
organizzata».

OPERE PUBBLICHE Per quanto riguarda cantieri e appalti, la prefetta
(uscente) Giuliana Perrotta ha ricordato che «sono stati avviati
controlli sui lavori pubblici nelle strade, a marzo sono scattati gli
accertamenti sulla “195” Sulcitana, in grave ritardo. Era previsto che
quel cantiere fosse concluso entro l'anno, ma lo stato di avanzamento
è di appena il 30%. Accertamenti sono stati disposti, inoltre, dalla
prefettura di Sassari sui lavori per la nuova Sassari-Olbia». Più in
generale, «si attende che i Comuni sottoscrivano il protocollo sulla
legalità, già siglato dalla Regione dopo l'inchiesta “Sindacopoli”
della procura di Oristano».
Cristina Cossu

Il governatore incontra i consiglieri Dem con Arru e Moirano. I timori
dei territori Sanità, Pigliaru richiama il Pd - «Approvare la nuova rete
ospedaliera»: ma rimangono dubbi

«Andiamo avanti. La riforma della rete ospedaliera deve essere portata
a termine». Il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, scrive
l'ultimo capitolo di una vicenda che potrebbe avere una trama più
intricata. I consiglieri regionali del Pd che ieri hanno incontrato,
oltre il presidente, anche l'assessore Luigi Arru e il manager
dell'Ats Fulvio Moirano, non rinunciano a mettere qualche paletto. La
riforma va conclusa, certo, ma questo non può avvenire senza la rete
delle cure territoriali. A due anni dalle elezioni, in pochi
gradiscono l'ipotesi di andare nei territori a spiegare soppressioni e
accorpamenti senza una contropartita.

I DUBBI Da un lato una spesa sanitaria da ridurre, dall'altro la
necessità di far capire che nessun territorio rimarrà isolato sotto il
profilo sanitario. Questo è il grande cruccio evidenziato più o meno
da tutti, e se Moirano definisce la riforma della rete ospedaliera «di
una dolcezza assoluta», ossia al di sotto degli standard imposti a
livello nazionale, Cesare Moriconi ribatte, sostenendo che «non si
deve trattare di una mera operazione burocratica».

Moriconi, insieme al collega Roberto Deriu, ha chiesto all'assessore
le risposte alle numerose interrogazioni presentate. Per trovare la
mediazione tra le posizioni serve, come ha più volte sottolineato
l'assessore Arru, «una narrazione corretta», che spieghi ai sardi che
il servizio sanitario migliorerà. Per fare questo il responsabile
della sanità ha tenuto già 42 incontri nei territori, ricevendo 60
richieste di modifica di cui 32 accolte.

I PASSAGGI Il bivio è tra la voglia di passare agli annali come la
coalizione riformista e l'ambizione di un'altra legislatura in
Consiglio regionale. «La Regione deve garantire la parità di accesso
alle cure per tutti i sardi e per ogni Comune della Sardegna»,
sostiene Moriconi.

Come lui anche Franco Sabatini che, però, assume un'apertura di
credito maggiore nei confronti di Moirano: «Sta facendo un buon lavoro
sulle diseconomie. Noi dobbiamo supportare con l'approvazione della
rete che, però, deve tenere conto delle aree più disagiate». Per
questo motivo diventa dirimente il meccanismo di compensazione che
vede le case della salute o i poliambulatori come gli avamposti delle
cure territoriali.

I CONTI Moirano è arrivato in Sardegna con il compito di mettere un
freno al disavanzo della sanità sarda. «La rete ospedaliera è
fondamentale, deve essere fatta, ma io proseguo il mio lavoro anche
senza». Tradotto in cifre, significa che a fronte di un obiettivo di
risparmio di 90 milioni di euro, imposto dalla Giunta al manager,
senza la rete ospedaliera «se ne risparmieranno circa 40 perché la
riorganizzazione vale un taglio di circa 55 milioni», spiega in
maniera pragmatica il direttore generale dell'Ats.
Altra questione riguarda il personale, soprattutto quei primariati
considerati in esubero. Ancora presto per avere i numeri, ma la cifra
delle strutture complesse si aggira intorno al centinaio.
IL CORI Intanto la Giunta su proposta di Arru ha dato il via libera
all'istituzione del Comitato di organizzazione delle reti integrate.
L'organismo avrà il compito di definire i metodi per l'accreditamento
dei centri specialistici nelle reti di cura, in termini di competenze,
processi e casistica prodotta.

L'ATTACCO La riunione ristretta in casa Pd crea qualche malumore anche
in maggioranza. Il capogruppo dell'Upc, Pierfranco Zanchetta, parla di
«sgarbo istituzionale nei confronti dell'assemblea e della commissione
competente». Per Zanchetta è il parlamentino la sede dove discutere la
riforma, a meno che «il Pd, Arru e Moirano non ritengano di avere i
numeri sufficienti per approvarsela da soli».

All'attacco anche i consiglieri regionali di Forza Italia Pietro
Pittalis ed Edoardo Tocco: «È inaccettabile che Moirano si sottragga
al confronto con la commissione Sanità. Ci sono regole che pensiamo
vadano rispettate, con una collaborazione della commissione nelle
scelte per trovare una soluzione positiva alle emergenze della sanità
isolana». Pronta la risposta del capogruppo del Pd, Pietro Cocco: «Il
partito ha tutto il diritto di riunirsi e confrontarsi con i vertici
dell'Ats senza dover rendere conto a nessuno».
Matteo Sau

SELARGIUS. Il sindaco dopo due mandati lascerà il Comune
Cappai: Niente politica, ora mi dedicherò solo alla famiglia «Dieci
anni intensi»

È l'unico nella storia di Selargius ad aver fatto due legislature,
complete e consecutive. Sessantadue anni, di cui trentadue trascorsi
in Municipio: consigliere, assessore e, dal 2007 a oggi, sindaco.
Sempre tra le fila dello Scudo crociato, a cui è stato fedele per
tutta la vita. È arrivato il tempo dei bilanci per Gian Franco Cappai,
pronto a lasciare la politica.
Dieci anni alla guida di Selargius.
«Sembrerà strano, ma sono trascorsi velocemente. Dieci anni di impegni
e tantissime scommesse».
Risultati?

«Sono i cittadini a dover giudicare. Posso dire che alcuni sono molto
evidenti, ma ci sono anche progetti che non siamo riusciti a portare a
termine. E ovviamente mi dispiace».
Esempi?

«Mi riferisco al Centro servizi, che avrebbe creato occasione di
occupazione per i giovani, all'utilizzo ancora incompleto del teatro,
e alla viabilità da ultimare».
Mai pensato di mollare?

«Ci sono stati momenti di sconforto, ma ho preso un impegno con i
cittadini, andava rispettato sino alla fine».
Ha qualcosa da rimproverarsi?
«Mi rammarico di non essere riuscito a dare risposte a tutti,
principalmente a chi cercava lavoro».
È un addio alla politica?

«Sì, anche se da cittadino cercherò di essere d'aiuto all'amministrazione».
Tra un anno e mezzo le Regionali.
«Sono contento per chi parteciperà».
Lei no?

«Credo di aver dedicato poco tempo alla famiglia, ai miei figli e
nipoti. Cercherò di rimediare».
Cosa sogna per Selargius?
«Che riesca a diventare un punto di riferimento per l'intera Città
metropolitana».

Che qualità dovrà avere il prossimo sindaco?
«L'esperienza mi porta a dire che bisogna essere impegnati e avere
grandi capacità di ascolto e mediazione».
Pronostico per le Comunali di giugno?

«Non faccio nomi, ma sono convinto che si tratti di un confronto sulle
idee, non di uno scontro tra persone».
Vuol dire qualcosa ai suoi concittadini?
«Sono onorato di aver fatto il sindaco, spero di aver lasciato un buon ricordo».
Sara Marci

La Nuova Sardegna

Disastro ambientale vertici Fluorsid in cella
Sigilli alla fabbrica di Macchiareddu. Sette provvedimenti cautelari
Nelle carte: fluoruri 1.154 volte oltre la soglia, 51 i solfati e 3745
l’alluminio

di Mauro Lissia CAGLIARI «A noi serve produrre... produrre, produrre,
produrre»: così al telefono due dipendenti della Fluorsid di
Macchiareddu. Produrre a qualsiasi costo, a leggere le 168 pagine
dell’ordinanza con cui il gip Cristina Ornano ha spedito in carcere
cinque fra dirigenti e imprenditori legati all’azienda di Tommaso
Giulini, il presidente del Cagliari calcio, e altri due alla custoria
domiciliare. Sono accusati di associazione a delinquere in disastro
ambientale, il nuovo reato entrato due anni fa nel codice penale per
arginare il massacro industriale del territorio: «Un’associazione -
scrive il gip - finalizzata al compimento di una sistematica,
reiterata nel tempo e organizzata attività illecita, legata
all’illegale stoccaggio e trattamento delle materie prime e
sottoprodotti della Fluorsid e all’illegale smaltimento dei rifiuti
prodotti dal ciclo di lavorazione, nella piena consapevolezza della
sistematica violazione delle norme e delle prescrizioni poste a tutela
dell’ambiente e della salute pubblica».

Fra la serie di fatti illegali
riportati nell’ordinanza, l’interramento di una quantità imprecisata
di fluorsilicato, una sostanza la cui ingestione provoca la morte. Due
anni di indagini condotte dal Corpo Forestale del direttore Carlo
Masnata e del commissario Fabrizio Madeddu, ripresi nella richiesta di
misure cautelari firmata dal pm Marco Cocco, hanno messo in luce una
situazione che il giudice Ornano definisce sconcertante: un’area di
160 mila metri quadrati, contigua a case e paesi, invasa da nubi di
polveri biancastre a base di fluorite, solfati e calcio nocive per la
salute, una sorta di gesso che per l’Arpas, l’agenzia regionale
dell’ambiente, non era altro che «polveri sahariane». Poi amianto,
residui di fluoro, fanghi acidi, ogni sorta di rifiuto interrati in
voragini scavate sui terreni di conoscenti, scaricati nella
delicatissima laguna di Santa Gilla, persino venduti come gesso a
un’ignaro imprenditore nigeriano, che se li è portati in Africa.
Devastanti gli effetti sull’ambiente: valori fuori norma anche per i
fluoruri pari a 1.154 volte oltre la soglia consentita, 51 volte per i
solfati e 3745 volte per l’alluminio.

Per non parlare delle attività
agricole nel compendio di Macchiareddu: sparite. L’inchiesta è
tutt’altro che conclusa ed è il giudice Ornano ad annunciare nel
provvedimento che «andrà approfondito il livello di coinvolgimento in
tali pratiche dell'intera dirigenza e della stessa proprietà della
Fluorsid Spa, aspetto finora non sufficientemente sondato ma che
richiede di essere accertato». Per adesso sono finiti al carcere di
Uta tre ingegneri della Fluorsid: il direttore dello stabilimento
Michele Lavanga (54 anni), il responsabile della sicurezza e ambiente
Sandro Cossu (58) e il responsabile della produzione Alessio Farci
(45). In cella anche il dipendente e l’ex dipendente della società
Ineco Marcello Pitzalis (43) e Simone Nonnis (42), mentre agli arresti
domiciliari sono Armando Bollani (75) titolare della società Ineco che
si occupava di smaltire i residui della lavorazione industriale e il
funzionario tecnico della Fluorsid Giancarlo Lecis (58).

È indagato ma
libero il direttore tecnico dello stabilimento Fabrizio Caschili. Non
c’è Giulini, patron dell’industria di Macchiareddu: da tempo ha
delegato ogni potere interno alla Fluorsid per dedicarsi alla gestione
del Cagliari. È sotto sequestro preventivo l’area di Terrasili, dove
venivano stoccati i residui di lavorazione del fluoro e i cumuli di
materiale lasciati all’aperto nella parte nord dello stabilimento: gli
uomini di Madeddu hanno eseguito i provvedimenti nel primo mattino di
ieri, mentre venivano notificate le misure cautelari agli indagati.
L’inchiesta della Forestale riguarda due anni di attività
dell’industria, dal 2014 al 2016.

Anni in cui per il giudice si è
realizzato un «patto scellerato» tra i dirigenti della Fluorsid e la
società di Bollani, disposta a far sparire sotto terra quella che
nelle conversazioni intercettate viene definita «merda» con la «piena
consapevolezza - scrive il gip - e nella dolosa preordinazione
dell’omissione in funzione della massimizzazione della produzione e
del profitto». Una «produzione frenetica» condotta in barba a
qualsiasi precauzione, incurante delle proteste di chi ha la sventura
di abitare in quell’area e di una sentenza del 1996 con la quale, sul
ricorso dell’azienda agricola dei fratelli Carboni, aveva condannato
la Fluorsid a risarcire i danneggiati per non aver impedito che il
fluoro inquinasse i terreni circostanti, avvelenando anche l’acqua di
falda. Partita da un esposto, r l’inchiesta ha confermato i peggiori
sospetti: consapevoli di correre seri rischi sul piano penale, alla
Fluorsid facevano comparire a puro scopo scenografico il cannone
idrico necessario per bagnare le polveri ed evitare la dispersione, ma
in realtà - come emerge dalle intercettazioni - non lo usavano per
evitare problemi di trasporto del materiale. Poi l’impegno profuso per
nascondere quanto accadeva a Macchiareddu.

La Commissione: ci sono segnali di infiltrazioni, soprattutto in Costa Smeralda
Sardegna a rischio mafia Bindi: tenere alta la guardia
di Umberto Aime

CAGLIARI Non ha messo radici, «essere un’isola vi ha salvato», ma la
criminalità organizzata è in agguato. Ma quando appare, spesso sotto
mentite spoglie, è subdola, viscida. È la realtà purtroppo: in
Sardegna mafia, camorra e ’ndrangheta riciclano il denaro sporco,
attirano in trappola imprenditori in difficoltà e politici deboli,
oppure inviano ambasciatori che sembrano manager, e tutt’insieme fanno
girare l’isola-lavatrice. Come una centrifuga che comincia con
l’acquisto di terreni edificabili sul mercato o grandi proprietà
immobiliari, nelle aste dei tribunali, e finisce con un elenco di
società all’apparenza pulite, intonse, ma marchiate.

È questa la
criminalità organizzata che deve temere la «vostra terra», ha detto
Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, impegnata in una
visita-sopralluogo di due giorni. Non c’è un vero allarme, anche se i
segnali non mancano certo, ma il fenomeno dei colletti bianchi che
girano da Nord a Sud con la valigetta di soldi da ripulire è sempre
più frequente. Poi c’è la Costa Smeralda: è questo il grande terreno
di conquista per i boss. Anzi, i nuovi boss: meno lupara e tanta
tecnologia soprattutto se intrecciata con complicate transazioni
bancarie. «È una nuova mafia che dovete tenere lontano», ha detto la
presidente dopo una prima giornata passata a raccogliere prove su
quanto sta accadendo e ad ascoltare i rapporti di prefetti, magistrati
e investigatori. «I segnali delle infiltrazioni economiche ci sono –
ha aggiunto la deputata – e bisogna vigilare.

L’attenzione dev’essere
massima. Le forze dell’ordine hanno scoperto più di un caso, ma è la
società civile che deve tenersi alla larga, non cadere in tentazione».
Perché – ha ricordato – «i milioni come i voti della mafia hanno da
subito un cattivo odore e bisogna diffidare da chi promette o dispensa
gadagni facili». Con un avvertimento in più: «Lo dico agli
imprenditori ma anche a chiunque si occupi di affari: le
organizzazioni criminali non si accontentano, prima o poi vogliono
tutto, compresa la dignità di cade nella loro trappola». Trappole
sottili, pensate e realizzate con maestria, dove alcuni ignari possono
finirci per disperazione o altri «spinti da una voracità senza
confini». Il turismo, «la vostra ricchezza più sana», sarà sempre un
bersaglio per questi smacchiatori seriali del denaro tirato su con la
droga, le armi, la prostituzione, i giochi d’azzardo e tutto l’altro
che la malavita mette assieme.

L’avvertimento di Rosy Bindi è chiaro,
non lascia spazio a dubbi: «Oltre alla repressione, al grande lavoro
di giudici e forze dell’ordine, va difesa e sollevata la protezione
sociale soprattutto quando c’è una crisi economica incalzante. Mai
abbassare la guardia, dobbiamo essere tutti delle sentinelle». Oggi
più che mai, con la Sardegna segnalata anche come «una possibile
piattaforma strategica nelle rotte nel Mediterraneo scelte dai
trafficanti di droga», e in cui «possono contare anche e spesso
sull’appoggio della criminalità locale. Oppure indicata come
«appetibile per le imprese in odore di mafia e decise a prendersi una
fetta importante dei molti appalti che ci sono dalle vostre parti.
Certo, va rifiutata l’equazione lavori pubblici uguale infiltrazione
mafiosa, ma dove ci sono investimenti i pericoli aumentano». È un
altro sistema per ripulire il malloppo, ha aggiunto la presidente, ma
«finora le maglie strette dei controlli hanno evitato infezioni
clamorose».

Però c’è da tenere a bada anche il fenomeno delle
migrazioni clandestine su cui «l’Italia dev’essere sostenuta
dall’Europa con maggior decisione, per evitare il tracollo». Perché –
come ha detto il vicepresidente Claudio Fava – «la criminalità
organizzata è in continua evoluzione e dove scoppia un’emergenza,
fiuta la ricchezza, cerca complici indigeni e si getta a capofitto». O
perché, sono state le parole del senatore Enrico Buemi «le mafie non
hanno confini e sono sempre alla ricerca di nuove conquiste». Ma se la
Sardegna «non desta particolari preoccupazioni – testuale – rispetto
ad altre regioni storiche contaminate o al Nord Italia in via di
contaminazione», perché ci sono ben due carceri di massima sicurezza,
Bancali e Uta, in cui sono richiusi i boss catturati: non c’è il
rischio che il contagio passi attraverso le sbarre? «No – è stata la
replica di Rosy Bindi – Abbiamo verificato e questo rischio ora non
c’è». Per fortuna, ma l’importante è che ci sia un limite invalicabile
nei trasferimenti dei mafiosi in catene.

Scoppia la polemica per l’intercettazione rivelata dal Fatto Quotidiano
L’ex premier: «Gogna mediatica, ma non farò nulla». M5S: «È una cricca»
Renzi incalzò il padre «Devi dire la verità»
di Serenella Mattera ROMA

«Babbo, non puoi dire bugie, devi ricordarti
che non è un gioco. Devi dire tutta la verità». È il 2 marzo, le 9.45
del mattino. Matteo Renzi parla con il padre Tiziano, indagato
nell'inchiesta Consip. Lo incalza sulla «clamorosa intervista» di
Repubblica che svela una cena segreta in una «bettola» con
l'imprenditore Alfredo Romeo. Matteo chiede a Tiziano se è vero. Il
colloquio viene intercettato e la trascrizione giunge al giornalista
del Fatto Marco Lillo, che due mesi dopo la pubblica.

Con l'effetto di
riportare in primo piano la vicenda Consip e il dibattito sulle
intercettazioni. «La pubblicazione è illegittima», si indigna Renzi:
«È una gogna mediatica, chi viola la legge pagherà ma non farò niente»
per inasprire le norme. «Umanamente la vicenda mi fa male ma
politicamente mi fanno un regalo: dimostrano la mia serietà». Il
colloquio tra l'ex premier e il padre Tiziano, pubblicato sul Fatto e
riportato nel libro di Lillo «Di padre in figlio», è stato
intercettato a marzo dal Noe per conto della procura di Napoli.

L'inchiesta Consip è stata poi trasferita alla procura di Roma ma la
conversazione è stata ritenuta irrilevante: i pm romani Paolo Ielo e
Mario Palazzi, che proprio ora aprono un nuovo filone d'indagine per
gli appalti Grandi Stazioni, dicono di non avere neanche le
trascrizioni. E dopo la divulgazione, i magistrati della capitale
aprono un fascicolo per violazione del segreto istruttorio. Il
ministro della Giustizia Andrea Orlando avvia accertamenti
preliminari. Nella telefonata Tiziano assicura di non aver mai cenato
con Romeo, mentre dice di non ricordare eventuali incontri al bar.

«Devi ricordare tutto, non è più la questione della Madonnina e del
giro di merda di Firenze per Medjugorje», lo incalza Renzi. «Devi dire
la verità in quanto in passato la verità non l'hai detta a Luca»
Lotti, aggiunge. «Andrai a processo, ci vorranno tre anni e io lascerò
le primarie», paventa il leader Dem. Che in mattinata - riletta la
conversazione - affida a un lungo post la sua versione dei fatti, che
ribadisce poi in una diretta Facebook e in una Enews. Mentre il padre
Tiziano, incalzato dai cronisti, li allontana bruscamente. È provato,
spiega Matteo, perché «c'è stata una caccia all'uomo»: ha subito,
racconta, due piccoli interventi al cuore. La divulgazione del
colloquio è «una gogna che mostra i rapporti tra alcune redazioni e
procure.

Qualcuno per questo si è tolto la vita in passato. Umanamente
mi spiace perché sono stato duro con mio padre, ho dubitato di lui. Ma
da uomo delle istituzioni - scrive Renzi - voglio la verità. Qualcuno
sta violando la legge e non siamo noi». Il segretario Pd, che
preannuncia querele, aggiunge che «politicamente» il Fatto gli fa un
«favore» perché dimostra che lui era estraneo alla vicenda. E aggiunge
che il tempismo della pubblicazione è sospetto: «Ogni volta che il Pd
risale nei sondaggi c'è uno scandaletto», sottolinea con riferimento
anche al caso di Banca Etruria. Il «favore» politico alimenta battute
e sospetti in transatlantico e Francesco Rutelli, citato come amico di
Romeo, nello smentire la «falsità» dice di non poter giudicare se il
colloquio fosse «mosso dall'ira o studiato a tavolino». Ma la
maggioranza (escluso Mdp, che parla di familismo) e FI esprime
solidarietà al leader Dem: «Spero che il Fatto abbia cambiato
fornitore di intercettazioni», dice Matteo Orfini, con riferimento
alla falsificazione degli atti di Consip per cui è indagato un
capitano dei Carabinieri.

Ma il M5s attacca: «Troppi aspetti opachi, è
una cricca», dicono i capigruppo. Renzi «infanga le istituzioni»,
secondo Di Maio. La prossima settimana arriverà in Aula alla Camera
per il via libera definitivo la riforma del processo penale, che
include una delega al governo - da attuare entro tre mesi - per una
stretta sulle intercettazioni, perché non vengano pubblicate quelle
irrilevanti. «Sono 20 anni che c'è il malcostume di pubblicarle -
afferma Renzi - è vergognoso ma io lascio al codice deontologico dei
giornalisti, non chiedo alcunché». Nessuna intenzione di «rivalersi»
sul piano legislativo: «Non cerco vendette».


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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