16 anni fa.
Lacrimogeni, manganellate, violenze, torture, e Carlo ucciso da un colpo di
pistola. In questi giorni ogni anno cresce il numero di coloro che con ritardo
riconoscono che a Genova vi fu sospensione dei diritti democratici e una
colpevole gestione dell'ordine pubblico. Ma è sul discorso
politico dei tanti che riempirono le strade di Genova che cala invece un
silenzio sempre più profondo. Si capisce perché. Perché parlarne significa
ammettere che quei giovani tacciati di estremismo, dileggiati, accusati di ogni
nefandezza possibile, in fondo avevano ragione su molte cose.
Ragione sui danni
dell'intollerabile squilibrio tra nord e sud del mondo, ragione sui rischi
della finanziarizzazione dell'economia, ragione sulle storture di una
Costituzione Europea scritta per i mercati e non per le persone, ragione sulla
centralità della questione dei migranti e la chiusura dei Cpt, ragione sul
disastro della privatizzazione dei servizi pubblici locali, ragione sulla pace
e sulle prevedibili conseguenze nefaste degli interventi militari in Medio
Oriente, e infine sulla precarietà del lavoro, che all'epoca i più chiamavano
flessibilità e che era osannata come l'avvio di una fase ricca di opportunità e
dinamismo delle giovani generazioni.
Pensare a come sarebbe potuto
essere diverso questo nostro paese se soltanto una minima percentuale di quelle
denunce e di quelle proposte fosse stata accolta per tempo è sempre doloroso.
Per il semplice motivo che questo è il cuore della sconfitta che dura da allora
e che non riusciamo a superare: avere tante ragioni e non esser riusciti a
farle valere. E oggi, oggi che ci toccano kilometri di restroscena assai
deprimenti sui nuovi ulivi arcobaleni in formazione, oggi capita di sentirsi
allibiti e attoniti, estraniati, spettatori di un tempo surreale. Un tempo per
cui la storia del mondo è solo un album di fotografie politiche da guardare una
per volta e non un grande groviglio di processi sociali concatenati.
Un tempo senza memoria
e senza progetto di futuro. Un tempo in cui si può passare la giornata ad
evocare ulivi, sinistre estremiste, assistenti di Forlani, spiriti della prima
e della seconda repubblica, cose viste e riviste e dimenticarsi completamente
che la buona politica è fatta prima di tutto di idee sui problemi del mondo, di
persone che si mobilitano per affermarle, di soluzioni alternative e
coraggiose. È fatta di vita e per fortuna che ieri era il 20 luglio. E che il
20 luglio certo politicismo non può che scivolarci addosso. Guardiamo lontano,
indietro e avanti.
Di Elisabetta Piccolotti
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