La
Nuova
Il
Partito dei sardi rilancia: noi guida della coalizione,di Luca Rojch
ALGHERO. Da piccolo satellite nella
galassia sterminata dei partiti indipendentisti a stella di prima grandezza. Il
primo congresso del Partito dei Sardi è una muscolare affermazione di potenza.
In quattro anni il Pds ha piazzato 5 consiglieri regionali, un assessore,
diversi sindaci. Ma sarebbe riduttivo pensare al Partito dei sardi come prima forza
indipendentista dell'isola. Il congresso ha fatto capire qualcosa di più nel
panorama politico dell'isola. Il Pds è il pilastro intorno a cui costruire una
coalizione di maggioranza. Un progetto di governo.
Parole e gesti. Il glossario lo
fornisce il presidente Franciscu Sedda. «Noi siamo indipendentisti e ci
dobbiamo rivolgere ancora a chi non lo è. In questi anni si è chiesto
autonomismo. Non più libertà, ma più soldi. Ora serve altro. Serve uno Stato
sovrano, una repubblica. Un processo da costruire attraverso il governo anche con
chi ancora non la pensa come noi. Abbiamo dei temi portati avanti che hanno
dato dei risultati. L'Agenzia sarda delle entrate. La vertenza sugli
accantonamenti, le servitù militari. Nulla ci impedisce di fare come in
Corsica, creare una coalizione indipendentista. In Corsica vince. Potrebbe
accadere anche qua- Siamo pronti a dialogare con tutti».
Corteggiatissimo. Ma la vera notizia
la si vede nella prima fila che sul palco. Uno dopo l'altro prendono la parola
il leader di Forza Italia Ugo Cappellacci, quello dei Riformatori, Pietrino
Fois, il segretario del Pd Giuseppe Luigi Cucca, quello del Psd'Az Christian Solinas.
Poi Bustianu Cumopstu di Sardigna Natzione e Gianluca Collu di Progres. Tutti
mostrano una grande apertura verso le proposte politiche del Pds. Cappellacci
ha ricordato i punti che uniscono Forza Italia e il Pds, come l'Agenzia delle
Entrate sarda e la questione accantonamenti. Fois ha ricordato la battaglia dei
Riformatori per l'insularità e per la stessa Aes. Ma le aperture maggiori sono arrivate
dal segretario del Pd Cucca. Appena 24 ore prima la direzione del Pd era finita
in una feroce polemica con Renato Soru, proprio sulla questione alleanze.
La maggioranza ha dato mandato a
Cucca per discutere delle alleanze. Soru puntava su una delegazione. Ma sottobanco
lo scontro era anche con chi allearsi, con i soriani che non gradivano il Pds e
i Riformatori. Cucca ha parlato di «unità delle forze politiche sarde e del
risultato che in Parlamento hanno avuto quando si sono portate battaglie
comuni».
Collu e Cumpostu hanno naturalmente
sposato la causa indipendentista e si sono detti pronti al dialogo. Ci sono
anche il sindaco di Alghero Mario Bruno e Nanni Campus, a capo di un progetto
per guidare Sassari. Il segretario del Psd'Az. Christian Solinas, ha parlato di
convergenza di linguaggio, obiettivi e ideali. «Nel patrimonio linguistico
comune sono entrati termini introdotti dal Psd'Az. Il dialogo è in corso da
tempo, in alcune realtà si governa insieme al Pds. Ora serve una linea politica
comune e un grande progetto di governo». In altre parole il Pds scopre di
essere una dama bellissima e corteggiatissima da tutti i partiti, da destra a
sinistra. Scopre anche di poter avere un ruolo chiave in qualsiasi alleanza. Se
riuscirà a fare massa critica e creare un "pacchetto indipendentista"
da mettere sul tavolo con gli altri partiti.
Maninchedda. A guidare le grandi
manovre elettorali sarà il nuovo segretario Paolo Maninchedda, che da tempo
lavora per proporre una sua leadership come candidato governatore. E nel suo
intervento introduttivo l'ex assessore della giunta Pigliaru parla già da protagonista.
«La cosa più inattesa per l'Italia è l'unità della Sardegna - dice -. Abbiamo
dimostrato che sappiamo governare e abbiamo un'idea precisa di governo e di
Stato. Ma governeremo con responsabilità. E proprio sulla
difesa dei diritti e del lavoro vogliamo partire in un progetto che sia davvero
condiviso».
Elezioni,
le soglie della discordia
Congiu,
Pds, e Deriu, Pd, contrari all'ipotesi di uno sbarramento
nelle
coalizioni
CAGLIARI Nessun allarme, «su ogni
passaggio della riforma elettorale
non ci saranno forzature, e sarà
fondamentale marciare sempre uniti».
È questa la replicata misurata del
presidente della commissione
autonomie del Consiglio regionale,
Francesco Agus, Campo progressista,
alle polemiche sollevate dopo
l'ipotesi che la prossima correzione
della legge regionale dovrebbe
essere su un possibile sbarramento
interno alle coalizioni. Gianfranco
Congiu, capogruppo del Partito dei
sardi ha attaccato: «L'introduzione
di quella soglia - scrive - non è
un passaggio banale, tradisce una
vocazione verticistica e
centralista, propria di chi vide le
coalizioni imperniate su un
monoblocco, un partito egemone, con
attorno le costellazioni minori,
preferibilmente mute e silenti, a
portare consensi».
Per concludere: «Noi del Partito dei
sardi siamo ostili a questa visione che, a ben
vedere, non riguarda solo noi ma
tutte quelle formazioni, penso alle
liste civiche e ai movimenti, che
prese singolarmente, avrebbero
serissime difficoltà a superare lo
sbarramento interno, anche se
contenuto al 2 per cento. Se questo
è l'orizzonte politico che
intravvede l'attuale maggioranza nei
rapporti con gli alleati, basta
dirlo e trarremo le nostre
conclusioni». Il vicecapogruppo del Pd,
Roberto Deriu, ha scritto in un post
su Facebook: «Sono contrario a
qualunque modifica del sistema
elettorale che desertifichi il panorama
politico e modifichi il pluralismo
all'interno del Consiglio, e in
commissione salvaguarderò la
possibilità di accesso alle cariche
pubbliche da parte dei cittadini e
all'assemblea regionale da parte
delle forze politiche».
Ma il presidente Francesco Agus è
deciso nello
smorzare le polemiche: «Tutti sappiamo,
com'è stato detto in aula al
momento dell'approvazione della
doppia preferenza di genere, che la
riforma elettorale non è un
argomento esaurito. Ma sia chiaro:
qualunque futura modifica sarà
condivisa». Proprio la condivisione è
il punto centrale delle due prese di
posizione contro le possibili
fughe in avanti anche sulle soglie
di sbarramento all'interno delle
coalizioni. «Il pluralismo di
partiti nel Consiglio regionale va
salvaguardato sempre e comunque», ha
scritto Deriu. Mentre da parte
del Partito dei sardi è evidente la
richiesta che «sulla riforma della
legge elettorale regionale sia
indispensabile prima far chiarezza nel
centrosinistra».
Un anno
fa il referendum che avrebbe dovuto sopprimerle
Oggi
hanno le casse vuote e non possono garantire i servizi
Province,
è un'agonia - Senza i fondi statali si rischia la bancarotta
di Alessandro PirinawSASSARI. Hanno
provato in tutti i modi a
cancellarle, erano considerate il
simbolo della casta, dello spreco
pubblico. Eppure quando si è
presentata l'occasione gli italiani hanno
scelto di salvarle. Esattamente un
anno fa, il 4 dicembre 2016, una
valanga di no ha seppellito la
riforma costituzionale Renzi-Boschi che
avrebbe dovuto spazzare via le
province. E così dodici mesi dopo
continuano a vivere. O meglio a
sopravvivere tra casse sempre più
vuote, funzioni ridotte al minimo e
personale demotivato. Ma se nel
resto d'Italia il governo prova a
mettere una pezza con iniezioni di
finanziamenti statali, in Sardegna
quei soldi non arriveranno.
L'isola, insieme alla Sicilia, è
stata tagliata fuori. Le 4 sarde sono
state escluse dalla ripartizione dei
352 milioni stanziati per le
province. Uno schiaffo che rischia
di mettere l'isola in ginocchio,
non permettendo agli enti intermedi
di garantire la manutenzione di
strade, scuole e verde.
Funzioni che finora le province,
guidate da
commissari in scadenza ma prossimi a
una terza proroga, sono riuscite
a garantire con difficoltà.
Referendum del 2012. Sì, perché in realtà
l'agonia delle province in Sardegna
ha avuto inizio nel 2012, con il
referendum regionale che di fatto le
aveva cancellate tutte. Le
quattro storiche e le quattro di
nuovo conio. Ma se per le seconde
bastava il responso del referendum,
per le prime era necessario
mettere mano alla Costituzione. E,
infatti, Olbia Tempio, Ogliastra,
Medio Campidano e Carbonia Iglesias
hanno cessato di esistere il 30
giugno 2016, mentre il destino delle
altre era appeso al responso del
referendum costituzionale del 4
dicembre. Ma la bocciatura della
riforma Renzi-Boschi le ha messe in
salvo.
Il no di un anno fa era di
rango superiore al sì del 2012 e
così Sassari (che ha assorbito la
Gallura, dove però si sta già
lavorando a una nuova autonomia), Nuoro
(che si è ripresa l'Ogliastra) e
Oristano hanno ricominciato a vivere.
Cagliari, invece, nel frattempo è
diventata Città metropolitana ed è
stata così istituita la Provincia
del Sud che raccoglie Sulcis, Medio
Campidano e quasi tutto il vecchio
territorio di Cagliari.Casse vuote.
Province salve, ma senza soldi.
Perché dal 2013 lo Stato ha prima
ridotto i trasferimenti poi li ha
azzerati. Da allora alla Sardegna
mancano circa 46 milioni all'anno
per permettere agli enti di
funzionare. Con l'introduzione del
Fondo unico di solidarietà,
infatti, le province come gli altri
enti locali sono chiamati a dare
il loro contributo: la Sardegna
dovrebbe dare 102 milioni di euro
all'anno, di cui circa 36 delle
Province.
Che, però, hanno le casse
vuote e vanno avanti con gli avanzi
di bilancio. A quel punto lo Stato
trattiene le uniche due entrate che
spettano alle province: gli
incassi dell'imposta di trascrizione
e della Rc auto. Circa 26 milioni
di euro che vengono sottratti ogni
anno alla manutenzione di strade,
scuole e verde pubblico. Rischio
bancarotta. Ecco perché oggi nelle
casse delle province non resta quasi
nulla. Finora sono andate avanti
con gli avanzi di bilancio. L'unica
senza obblighi è la Provincia del
Sud, considerata di nuova
istituzione. Sassari, grazie al ritorno a
casa di una Gallura in piena salute,
ha fatto ricorso agli avanzi
quest'anno per la prima volta.
Diverso il caso di Oristano, al
terzi
anno di fila. Peggio è andata a
Nuoro, che qualche settimana fa ha
ricevuto dalla Regione un
finanziamento di 2,5 milioni proprio per
evitare il dissesto. Soldi che però
consentono al massimo di
provvedere all'ordinaria
amministrazione. Vietato fare programmi. Ma
nel 2018 sarà anche impossibile
garantire i servizi principali, ormai
neanche le più virtuose dispongono
di avanzi di bilancio. Dunque, o il
governo cambia rotta ed equipara la
Sardegna al resto d'Italia oppure
le province sarde saranno costrette
a dichiarare bancarotta.
Grasso in
campo per l'alternativa
Di Maio a
Milano: «La classe media è al nostro fianco»
Tiene il punto Luigi Di Maio
convinto che dalle elezioni di primavera
il Movimento 5 Stelle uscirà come la
prima forza del nuovo Parlamento
e l'unica in grado di governare. Il
candidato premier, ancora
impegnato nel tour al Nord, che dopo
la Lombardia lo porterà in
Veneto, resta convinto che sarà lui
a condurre la partita post-voto se
non ci saranno accordi che
potrebbero sopperire all'eventuale mancanza
di una maggioranza predefinita. «Non
so che cosa sia un governo del
presidente», ha replicato Di Maio alla
ricostruzione del Corriere
della Sera, secondo la quale il suo
partito appoggerebbe un'iniziativa
del Quirinale. «L'ho letto, ma non
credo che rientri neanche nelle sue
prerogative». Un'altra cosa, il
candidato del M5S, ritiene sicura. Che
la partita sarà con il centrodestra.
Perché «il centrosinistra è
spaccato almeno in due, e questo lo
pone fuori dalla partita per
andare al governo», ha detto dopo
l'investitura di Pietro Grasso. Per
Di Maio, nemmeno è ipotizzabile un
dialogo con le forze alla sinistra
del Pd sul ripristino dell'articolo
18. «Tutte queste sedicenti realtà
di sinistra, inclusi alcuni
sindacati, le ho viste all'opera in questi
anni -. ha sostenuto prima di una
visita al Pio Albergo Trivulzio di
Milano - e sono quelle che
promettevano di stare dalla parte dei
lavoratori dipendenti e poi li hanno
traditi. Io con queste persone
non ho molto da dire, voglio parlare
coi cittadini».
Se la sfida è con
il centrodestra, il candidato
premier del M5S non ha perso tempo e ha
iniziato a replicare alle accuse di
inaffidabilità espresse da Silvio
Berlusconi. Al Trivulzio, Di Maio ha
garantito che fra le sue priorità
c'è l'aumento delle pensioni minime
«sopra i 780 euro, con tutte le
coperture economiche», mettendo in
dubbio che Berlusconi le abbia
(accusa ribaltata da Lucio Malan,
secondo il quale nel programma
grillino «neppure una parola» è
spesa per le pensioni). Poi, in un
post sul blog di Grillo, l'affondo:
l'ex premier «non ha fatto
praticamente nulla di quello che
promise» nel 1994, ha scritto Di
Maio, mentre ora il M5S «è al 30%,
quindi basta fare i calcoli, in cui
Berlusconi è bravissimo, per capire
che la classe media sta con
noi».di Serenella MatterawROMA«Le
dimissioni dal Pd sono nate da
un'esigenza interiore.
Poi mi hanno offerto seggi sicuri,
mi hanno
chiesto di fermarmi un giro, di fare
la riserva della Repubblica. Mi
dispiace, questi calcoli non fanno
per me». Si presenta così, Pietro
Grasso. È il giorno della sua
discesa in campo, davanti a una platea
gremita che lo acclama leader tra
standing ovation e applausi
scroscianti. «Io ci sono!», esclama.
E tiene a battesimo la nuova
«cosa» della sinistra. «Liberi e
uguali», il nome lo ripete tre volte
sul finale, commosso. La lista che
sfiderà la coalizione a trazione
Pd, la destra e il M5s, nasce dalla
fusione di Mdp, Si e Possibile, ma
non sarà solo «rossa», promette il
presidente del Senato. «Il nostro è
un progetto più grande» che ambisce
a raccogliere «l'unico voto
veramente utile», quello della «metà
d'Italia che non vota».
All'Atlantico di Roma affluiscono
«cinquemila persone», molti restano
fuori. Nessuna scenografia, solo tre
vele colorate. Sfilano i «big»
della sinistra, ma nessuno di loro
ha un posto in prima fila: Pier
Luigi Bersani che sventola «la
bandiera dei valori», Nichi Vendola,
Antonio Bassolino, Vincenzo Visco,
Guglielmo Epifani. Massimo D'Alema
scommette su un «10% ora più
vicino», respinge «l'inutile piagnisteo
di appelli all'unità tardivi e
contraddittori, visto che - rimarca -ci
avevano detto che eravamo
irrilevanti». E (dopo una stoccata a De
Benedetti: «Non ho interesse per
lui, non avendo io insider trading»),
assicura che il nuovo soggetto è di
sinistra ma va oltre.
In sala ci sono il cattolico Enzo
Carra e la leader della Cgil Susanna Camusso.
In prima fila, i tre «ragazzi»
Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e
Pippo Civati, segretari dei partiti
fondatori. Sul palco fanno
staffetta rappresentanti della
società civile e i tre giovani leader.
«Renzi e Berlusconi, facce della
stessa medaglia, stanno allestendo
coalizioni da incubo. Pisapia, dove
campo vai?», gioca con le parole
Civati, che lancia un appello a
quelli del Brancaccio e ai promotori
del «no» al referendum di un anno
fa. «Il Pd ha demolito cattolicesimo
democratico e sinistra», attacca Fratoianni.
E Speranza, che già
scommette sulla nascita di un
partito dopo la lista elettorale, tira
la volata a Grasso: «Se tu sei con
noi, siamo dalla parte giusta». Il
presidente del Senato, accompagnato
dalla moglie Maria, sale sul palco
schivo: «È un'emozione grande».
In un discorso lungo mezz'ora, parla
alla «base» e a chi vorrebbe
includere nel soggetto «largo e aperto»
(«Società civile, sinistra,
cattolici, democratici e progressisti»).
Dice «sinistra» una sola volta.
Disegna una proposta di «radicale
cambiamento e discontinuità», «senza
rancori o nostalgie». Ma, in
ossequio al proprio ruolo
istituzionale, evita attacchi agli
avversari. Ricorda la propria storia
di lotta alla mafia e promette di
battersi per i «valori». Ma aggiunge
che «mai» si farà «scudo del
passato». Non sarà, promette, «un
uomo solo al comando circondato da
yes man». A giorni sarà svelato il
simbolo, poi, tra metà dicembre e
gennaio, un programma «partecipato»
fatto «con i migliori». I
Pisapiani e il Pd accolgono la
discesa in campo di Grasso con un
gelido silenzio: c'è «amarezza»,
spiegano, per chi «decide di dividere
il centrosinistra» ma «nessun
rancore».
Sardos si
prepara alle "regionali
Primo
incontro pubblico a Sassari con i gruppi dell'area identitaria
SASSARI
Sardos, la nuova associazione
politico-culturale nel panorama isolano,
si presenta ai sassaresi e scalda i
motori per le prossime elezioni
regionali e amministrative. Solo la
settimana scorsa Sardos, i cui
promotori girano la Sardegna da mesi
per raccogliere le idee dei sardi
e condividere le proprie, ha messo
le carte in tavola e si è
presentato come pilastro del «Polo
dell'autodeterminazione»,
raggruppamento dell'area identitaria
che comprende Rossomori, Liberu,
Irs, Sardigna Natzione, Gentes,
Comunidades e Sardegna Possibile, che
nel 2014 avevano sostenuto la
candidatura di Michela Murgia alla
presidenza della Regione.
Nei giorni scorsi l'associazione, il
cui
portavoce è Anthony Muroni, ex
direttore di L'Unione Sarda, ha fatto
la sua prima uscita ufficiale a
Sassari, dove l'associazione si è
fatta promotrice del convegno «La
vivibilità a Sassari e il suo ruolo
di città guida nella rete
metropolitana», ospitata nella sala convegni
della Camera di commercio, in via
Roma. Con Muroni hanno fatto gli
onori di casa gli ex consiglieri
comunali Antonio Cardin,
vicepresidente dell'associazione, e
Mariolino Andria e l'avvocato
Luigi Satta, coordinatore di
«Sassari Libera», soggetto politico nato
la scorsa estate e associato dai più
alla figura dell'ex sindaco,
senatore e consigliere regionale
Nanni Campus.Si sono puntati i fari
sul malessere di un capoluogo in
declino, dalla disoccupazione
giovanile alla crisi delle imprese,
dal problema dell'accoglienza ai
migranti alle difficoltà sociali,
urbanistiche e programmatiche.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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