Unione
Sarda
All'Isola
due miliardi Ue Il rischio di restituirli è un incubo del passato
Sospesi in un punto imprecisato tra
verità e leggenda, come nelle sere al bar del porto, alcuni vecchi lupi di mare
del sindacalismo sardo raccontano di quando, sbarcati a Bruxelles per reclamare
soldi per l'Isola, furono condotti da un funzionario Ue davanti a una parete dominata
dalla grande foto di un ponte. «È in Portogallo», disse l'eurocrate: «Lo hanno
realizzato con i fondi restituiti da Sardegna e Sicilia, perché non erano stati
spesi in tempo».
Ammesso che sia andata davvero così,
sono comunque storie del passato: la proverbiale lentezza della spesa dei fondi
europei sembra superata. I report della Commissione europea spiegano che, nel
Sud Italia, due regioni svettano sulle altre per la velocità raggiunta
nell'utilizzo degli aiuti comunitari: la Sardegna e la Calabria.
PERFORMANCE Addirittura nel ciclo di
programmazione 2007-2013 la spesa finale del Fesr (Fondo europeo di sviluppo
regionale) è stata del 104 per cento, rispetto alla dotazione finanziaria
iniziale: da 1 miliardo e 361 milioni teorici si è passati a 1 miliardo e 415
milioni concreti. Un piccolo surplus dovuto alla decisione della Regione di aggiungere
risorse proprie, sul finire del ciclo, per rimediare a eventuali
definanziamenti, che poi non si sono verificati. E il ciclo 2014-2020 sta
seguendo le stesse tracce: stavolta i soldi a disposizione sono un po' meno,
quasi 931 milioni, ma la somma che un mese fa doveva ancora essere programmata
è inferiore al 10 per cento del totale, appena 89,29 milioni. Le procedure già
avviate riguardano oltre 591,6 milioni, e ce ne sono altre di imminente avvio
per 250 milioni.
Considerando anche i 444,8 milioni
del Fondo sociale europeo (Fse), gli oltre 628 del Feasr (sviluppo rurale) e i
18 del Feamp (pesca), in sette anni la dote dei cosiddetti aiuti strutturali
concessi alla Sardegna dall'Ue supererà di poco i due miliardi. In passato
giravano cifre più cospicue, quando l'Isola figurava tra le regioni italiane più
in ritardo di sviluppo (ora è tra quelle “in transizione”, perché il Pil pro
capite ha superato il 75 per cento della media europea).
GLI EFFETTI Ma viene da chiedersi:
tutti questi soldi, a maggior ragione se spesi davvero, quali effetti hanno
prodotto? Perché non sembra che abbiano aiutato granché la Sardegna a superare
il divario con le regioni europee economicamente più avanzate. «Beh, però
starei attento a dire che non sono serviti a niente», mette le mani avanti Raffaele
Paci, assessore regionale alla Programmazione: «Nelle nostre città e nei nostri
paesi siamo circondati da interventi realizzati con le risorse europee, basta
citare a Cagliari la Mem, o il Lazzaretto, giusto per dire alcuni dei più
vistosi».
Soprattutto, ragiona il
vicepresidente della Giunta, bisogna chiedersi «che cosa sarebbe successo,
negli anni della crisi più grave della storia recente, senza quelle risorse. È
stato speso molto, per esempio, del Fondo sociale, che ha dato una mano a
combattere le nuove povertà e gli effetti della disoccupazione. Anche i recenti
dati positivi sul mercato del lavoro beneficiano di quegli interventi».
MONITORAGGIO Resta però da tenere
alta l'attenzione sulla qualità e rapidità della spesa: «Siamo riusciti a
recuperare molto del tempo perduto», sottolinea Paci, «e ora le nuove regole
della programmazione 2014-2020 ci impongono giustamente dei monitoraggi
continui e più stringenti sull'andamento della spesa». Già a fine 2018, non più
solo alla fine dell'intero periodo, si devono raggiungere dei target prefissati:
«E se non li centrassimo saremmo penalizzati. Ma siamo ottimisti», confida
l'assessore. «La scorsa settimana abbiamo riunito le autorità di gestione dei
fondi e i dirigenti degli assessorati per fare il punto: ci sono poche linee di
intervento un po' in ritardo, se non riusciremo a sbloccarle sposteremo subito
le risorse là dove la spesa è più efficace». (g. m.)
La
Nuova
Verso il
patto di ferro tra Pd, Pds e Psd'Az
Insieme
alle Politiche si preparano anche per le Regionali
SASSARI
La strada a sinistra somiglia sempre
più a un vicolo cieco. Ma il Pd
continua le grandi manovre per la
corsa con un doppio traguardo. Prima
le Politiche in primavera, poi le
Regionali nel 2019. Una strategia di
lungo respiro in cui le basi
dell'alleanza per guidare la Regione si
gettano prima delle politiche. Le
frizioni a livello nazionale tra il
Pd, Mdp e Pisapia inquinano anche il
dialogo nell'isola. La variabile.
Ma in Sardegna c'è un'altra
variabile, quella della galassia
indipendentista. Per arrivare in
Parlamento i piccoli partiti
regionali hanno bisogno di un
sostegno di uno nazionale. E il Pd
lavora proprio su questo.
L'alleanza con il Psd'Az e il
Partito dei
Sardi per le Politiche è a un passo.
Psd'Az e Pds provano a dialogare
per chiudere un accordo tra loro che
nello stesso tempo apra le porte
anche a un intesa con il Pd. Il
congresso del Partito dei Sardi di
Alghero è stato un segnale forte del
fermento nel mondo
indipendentista e di possibili
convergenze. Le due segreterie sarde
vogliono stringere un patto con
quella nazionale del Pd. Questo da una
parte consentirebbe ai Dem di
incamerare nella coalizione il voto di
una parte del mondo sardista. E ai
partiti indipendentisti di mettere
qualche rappresentante in
parlamento. Un po' quello che da sempre fa
il Südtiroler Volkspartei.La
trattativa.
Si è andati avanti a lungo a
fari spenti. Ora l'accordo sembra
vicino. Si discuterebbe anche su
alcuni aspetti, come la possibilità
di candidare alcuni rappresentanti
dei partiti indipendentisti in
collegi sicuri, magari a Roma o a
Milano, in cui la grande
concentrazione di immigrati sardi sarebbe il
carburante naturale capace di
spingere il partito anche fuori
dall'isola. Il resto della rosa. Il
resto della coalizione è ancora in
fase di costruzione. Un aiuto solido
arriverà dal gruppo guidato dal
sindaco di Cagliari Massimo Zedda,
che di questo gruppo degli
Arancioni sarà uno dei testimonial
nazionali, con lui anche il
senatore Luciano Uras.
Gli altri alleati sono ancora da
scoprire. Ap
nell'isola è quasi inesistente, poi
ci sono i Centristi di Casini, i
Radicali e i Socialisti. Ma i tavoli
di confronto sono ancora aperti.I
nomi. Difficile entrare nei dettagli
del totonomi in casa Pd. Quasi
scontato che sui 13 deputati uscenti
si ricandideranno in 12. Pare che
solo Siro Marrocu abbia deciso di
non ricandidarsi. Anche le
dichiarazioni di Renato Soru, che ha
negato qualsiasi interesse per un
posto alla Camera, sembrano avere
spianato la strada alla conferma di
Francesco Sanna. Anche i senatori
uscenti del Pd, Silvio Lai, Giuseppe
Luigi Cucca, Luigi Manconi e Ignazio
Angioni hanno un posto
assicurato. Tra i possibili
consiglieri regionali candidati si fanno i
nomi sicuri di Gavino Manca e
Salvatore Demontis. (l.roj)
Il
centrodestra a caccia di alleati Primarie nel M5s
SASSARI. Anche a destra si lavora
per mettere su una coalizione la più
ampia possibile. Una squadra che
nell'isola ha il suo perno in Forza
Italia. E che guarda a destra verso
Fratelli d'Italia e gli sparuti
gruppi salviniani sardi, e al centro
verso i Riformatori, l'Udc e le
Energie per l'Italia di Stefano
Parisi. Un nuovo centrodestra che
vuole piazzare più parlamentari
della volta scorsa. Missione non così
impossibile, visto che oggi Forza
Italia conta solo il senatore Emilio
Floris e il deputato Paolo Vella.
Gli altri due, Mauro Pili e Bruno
Murgia, si sono accasati
rispettivamente nel gruppo misto e in
Fratelli d'Italia. In queste
settimane circolano diversi nomi sui
possibili candidati del
centrodestra. Nomi che dovranno passare al
vaglio di Silvio Berlusconi, che
chiede una alleanza il più larga
possibile per tentare di conquistare
più collegi uninominali ai danni
del Pd e dei 5stelle.
Tra i nomi dati per sicuri alla
Camera ci sono
l'ex governatore Ugo Cappellacci a
Cagliari, il capogruppo Pietro
Pittalis a Nuoro, i consiglieri
regionali Marco Tedde a Sassari e
Giuseppe Fasolino a Olbia.
Ovviamente però i forzisti devono fare i
conti con gli alleati. L'unica
certezza sembra essere che il collegio
del Sulcis dovrebbe andare all'Udc,
e quasi sicuramente al suo leader
storico Giorgio Oppi. I Riformatori
puntano al collegio di Oristano,
mentre Fratelli d'Italia, che punta
a riconfermare l'uscente Bruno
Murgia vorrebbe Nuoro. Alcuni nomi
già presenti all'uninominale
potrebbero essere presenti anche nel
proporzionale, in modo da
garantirsi, o quasi, l'elezione.
Il listino del sud dovrebbe essere
guidato da Cappellacci, o in
alternativa dalla ex assessore Alessandra
Zedda, quello del centronord da
Pittalis. In casa grillina si lavora
alle Parlamentarie, ovvero le
primarie sul web per scegliere i
candidati alle politiche. Un
referendum a cui si dovranno sottoporre
anche gli uscenti, tutti in corsa
per un secondo mandato a Roma, anche
se è a rischio la riconferma di
Nicola Bianchi, perché il regolamento
del Movimento vieta due mandati
elettivi di fila. E lui, deputato dal
2013, due anni prima era stato
eletto al consiglio comunale di
Sennori. Sarà comunque Mario Puddu,
sindaco di Assemini, a gestire
tutta la questione parlamentarie, su
mandato del candidato premier
Luigi Di Maio. (al.pi.)
Unione
Sarda
Renzi
esclude intese con FI
Grasso da
Fazio: ecco il simbolo di Liberi e
uguali
ROMA Pietro Grasso ha presentato il
simbolo “Liberi e uguali per
Grasso” e chiarito: «Comanderà
D'Alema? È una vita che ho posizioni di
guida: credo di poter guidare una
formazione politica». Il presidente
del Senato ha ribadito la sua
leadership ieri, ospite a “Che tempo che
fa”, su Rai 1.
«Penso a una ricostruzione della
sinistra e quindi del Paese», ha
detto inoltre Grasso. «Nessuna
preclusione verso il Pd». Poi la
presentazione del simbolo: «Non
volevo il nome nel simbolo, ma mi
hanno detto che è come il
braccialetto che si mette al polso dei
neonati». Nelle sue parole un
riferimento a Renzi: «Gli faccio i
migliori auguri. Io non ho passato
politico, guardo al futuro. Lui ha
finito la fase zen, ma forse ha un
domani poco roseo».
Parole in replica a quanto detto da
Matteo Renzi, intervistato ieri da
La Repubblica. «È sorprendente», ha
detto Renzi, «la discesa in campo
dei presidenti delle Camere. I loro
predecessori non hanno brillato
nelle urne». Il leader dem ha anche
ribadito che il Pd non farà un
governo con Forza Italia,
aggiungendo: «La contesa per il primo
partito è tra noi e M5S, non faremo
accordi con mister Spread
Berlusconi».
La sfida
di Di Maio
«Governo
M5S o si tornerà subito alle urne»
ROMA «Il Movimento 5 Stelle è
l'unica forza politica che da sola
raggiunge adesso la soglia del 30%.
Il nostro obiettivo alla fine del
#Rally è di superare questa
percentuale, ma già dai numeri odierni si
capisce che l'unico governo
possibile è quello del MoVimento 5
Stelle».
Così Luigi Di Maio in un post
rilanciato dal blog di Grillo. «Gli
ultimi sondaggi pubblicati ieri -
prosegue il candidato premier dei
grillini - riportano una situazione
molto chiara. Il centrosinistra è
fuori dai giochi con il Pd in caduta
libera, sprofondato sotto la
“soglia Bersani” e con poche
possibilità di risalita. Oggi dicono che
non faranno di nuovo l'alleanza con
FI. E certo: insieme arriveranno
forse al 40% quindi non potranno
fare alcun governo. Il centrodestra
unito non ha i numeri per
governare».
Dalle difficoltà vere o presunte
degli altri due poli, Di Maio fa
discendere la necessità di votare per
i pentastellati per evitare un
ritorno alle urne subito dopo il voto
di marzo. «Tutte le forze politiche,
dopo le elezioni dovranno
decidere se far partire il nostro
governo o se preferiscono tornare
subito al voto. Queste sono le due
uniche opzioni possibili. Fatevi i
calcoli».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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