Unione
Sarda
Sardegna,
passo indietro Ue Ma così arriveranno
più soldi Pil sotto il 75% della media europea: l'Isola potrebbe ritornare nell'Obiettivo
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Una retrocessione non fa mai
piacere: ma questa potrebbe essere pressoché indolore, o addirittura vantaggiosa.
Dal 2021 la Sardegna ritornerà, secondo i parametri dell'Unione europea, tra le
regioni più povere, quelle etichettate un tempo come “Obiettivo 1”. E questo,
se da un lato è l'ennesimo effetto della crisi, dall'altro si tradurrà in un
maggiore afflusso di aiuti europei nei sei anni successivi. Non c'è ancora un
verdetto definitivo, perché il regolamento sui fondi Ue 2021-2027 vedrà la luce
non prima del prossimo anno. Ma che la Sardegna stia per essere riaccolta
nell'Obiettivo 1 è una voce che circola da un po' negli ambienti della politica
e dell'economia isolana, e che ora trova conferma nei dati diffusi da Eurostat.
LA CLASSIFICA I conti rivelano che
nel 2016 il Pil pro capite dei sardi era di 20.600 euro, pari al 71% della
media Ue (per poterle paragonare, tutte le cifre sono calcolate a parità di
potere d'acquisto: dieci euro in Italia non valgono come dieci euro in Slovacchia).
Fino alla soglia del 75% si rientra nelle cosiddette “regioni in ritardo di
sviluppo”, che si aggiudicano la fetta maggiore degli aiuti comunitari. Nell'attuale
ciclo di programmazione dei fondi (2014-2020) la Sardegna è ricompresa invece
tra le regioni “in transizione”, l'ex Obiettivo 2, con un Pil che si colloca
tra il 75 e il 90% della media europea. Potremmo definirle le regioni che vanno
bene ma non benissimo: fuori dall'arretratezza peggiore ma non ancora al
livello di quelle più sviluppate.
Solo che, come tutte le statistiche,
i parametri europei tagliano la realtà con l'accetta e spesso finiscono per
tradirla. La Sardegna era uscita dall'Obiettivo 1 agli inizi del terzo
millennio non per una prepotente crescita economica, ma per ragioni per
l'appunto statistiche: l'ingresso nell'Ue di nuovi Paesi meno sviluppati, soprattutto
dall'Est Europa, aveva abbassato la media generale. Il Pil sardo, rimanendo
grosso modo lo stesso, era emerso dalla soglia del 75% (portandosi attorno
all'81%) alla stessa maniera di uno scoglio quando c'è la bassa marea.
Con l'Isola, oggi, tra le regioni in
transizione ci sono Abruzzo e Molise, mentre il Sud è da sempre nell'Obiettivo
1. I dati resi noti da Eurostat sono di fatto decisivi perché i calcoli, per il
futuro ciclo di programmazione, si faranno sui parametri registrati in questi anni:
«Presumibilmente si prenderà come base la media del 2015, 2016 e 2017», prevede
Andrea Murgia, esperto di fondi strutturali presso la Commissione europea. «Non
ci può essere niente di ufficiale, ma darei per scontato il rientro della
Sardegna tra le regioni in ritardo di sviluppo».
CHE COSA CAMBIA Definire le
conseguenze pratiche, per ora, «è assolutamente impossibile», precisa
l'economista barbaricino: «Se il futuro regolamento fosse lo stesso del
2014-2020, i fondi per l'Isola potrebbero persino raddoppiare». C'è però la
probabilità («quasi una certezza») che al prossimo giro gli aiuti di Bruxelles
alle regioni meno sviluppate siano significativamente ridotti, non foss'altro perché
il bilancio Ue farà a meno del contributo del Regno Unito. Quindi rientrare
nell'Obiettivo 1 potrebbe quanto meno servire a contenere i tagli.
Murgia, candidato nel 2013 alle
primarie per la leadership del centrosinistra sardo, si astiene da qualsiasi
valutazione politica sulla questione. Ma ricorda che «è tutta l'Italia che è
calata, dal 106-107% al 96. L'Isola segue la tendenza nazionale». Anche per il declassamento,
insomma, le ragioni sembrerebbero soprattutto statistiche. Ma non è una grande
consolazione, ora che l'Europa ci spiega ciò che sapevamo già: siamo più poveri
di dieci anni fa.
Giuseppe Meloni
Intervista
a Renzi - «Mai così tanto per la Sardegna»
Ormai è fatta, le cartucce da
campagna elettorale sono finite. Ma
restano gli indecisi , figure
mitiche di ogni appuntamento con le
urne, ed è a quelli che mira Matteo
Renzi: «Puntiamo a essere il primo
partito», dice il segretario del Pd,
«ce la possiamo fare». Anche in
Sardegna, terra non toccata dal tour
elettorale dell'ex premier, che
però ricorda: «Mai visti
investimenti per l'Isola come in questi
ultimi anni».
Per molti è la peggiore campagna
elettorale di sempre. Per lei?
«Non so se è la peggiore, so che i
nostri avversari hanno fatto di
tutto per non parlare del futuro del
Paese e dei cittadini. Mentre il
Pd ha messo in campo, da subito, le
sue proposte programmatiche serie
e concrete. Di Maio e Salvini si
sono sottratti ai confronti che per
primi avevano chiesto, negando ai
cittadini di farsi un'idea più
chiara sulle proposte in campo.
Evidentemente scappano perché non
hanno il coraggio delle loro idee».
Che sensazioni ha tratto dai suoi
incontri pubblici?
«Girando per l'Italia ho visto un
entusiasmo crescente attorno al Pd e
una straordinaria partecipazione
alle nostre iniziative. In queste
ultime ore dobbiamo dedicarci a
convincere gli indecisi. Il primo
posto è alla nostra portata».
Quali sono i punti del programma
elettorale a cui tiene di più?
«Lavoro e famiglie. Partendo dalle
100 cose fatte, proponiamo agli
italiani altri 100 impegni concreti
e realizzabili. Dopo aver fatto
ripartire l'Italia vogliamo
dedicarci alle persone con un investimento
di 9 miliardi per le famiglie con
figli e le fasce più deboli della
società. Ci impegniamo a dare 240
euro per ciascun figlio fino ai 18
anni, a fare una carta universale
dei servizi per l'infanzia, a
estendere il reddito d'inclusione
sociale per coprire tutti gli
italiani in difficoltà e ad aiutare
gli under 30 a pagare l'affitto
quando escono di casa».
Per l'occupazione?
«Ridurremo il carico fiscale del 12%
a chi assume a tempo
indeterminato, perché il lavoro
stabile è alla base della crescita del
Paese, vale di più e quindi deve
costare di meno. Inoltre, daremo pari
dignità a tutti i lavoratori con il
salario minimo legale, ed
estenderemo gli 80 euro anche alle
partite Iva e ai lavoratori
autonomi».
Ma in campagna elettorale tutti
promettono di tutto.
«No, queste sono proposte concrete e
fattibili. Non come quelle
fantasmagoriche quanto
irrealizzabili di Berlusconi, con la Flat tax,
e dei Cinquestelle con lo sterile
assistenzialismo del reddito di
cittadinanza. Noi vogliamo dare
lavoro di qualità soprattutto ai
giovani».
A sinistra, sui governi Pd, molti
dicono: bene sui diritti civili, non
sull'economia. Come replica?
«In questi anni abbiamo portato
l'Italia fuori dalla più grave crisi
dal dopoguerra. I numeri parlano
chiaro: la disoccupazione dal 14% del
2014 all'11, e vogliamo scendere
sotto il 9 nell'arco della
legislatura. Così come vogliamo
portare il Pil a crescere più del 2%.
I dati Istat confermano che la
strada intrapresa era quella giusta e
noi vogliamo proseguire in questa
direzione».
In caso di sconfitta del Pd, meglio
Salvini premier o Di Maio? O le
andrebbe meglio Tajani?
«È un problema che non si pone. Il
nostro obiettivo è essere il primo
gruppo parlamentare, risultato alla
nostra portata. Se non accadrà
faremo opposizione. Fa paura il
rischio di un governo estremista o
addirittura con Di Maio e Salvini.
Porterebbero il Paese al disastro
economico e sociale. E anche i
governi di centrodestra hanno già
dimostrato la loro incapacità».
Nel futuro immagina una
ricomposizione del centrosinistra con chi oggi
si riconosce in Leu, o è una
frattura irrimediabile?
«La sinistra radicale di Liberi e
Uguali ha diviso il nostro fronte, e
non ha fatto certo un buon servizio
al Paese. Non ho scelto io la
scissione del centrosinistra e non
ho certo gioito quando è avvenuta.
Però ognuno deve assumersi le sue
responsabilità. Una cosa è certa:
ogni voto al partito di D'Alema
favorisce il centrodestra e gli
estremisti».
Lei ha condannato le fake news e
l'odio “social”. Crede che servano
nuovi strumenti per perseguire la
violenza sul web?
«In questa campagna elettorale
abbiamo assistito a un'aggressione
senza precedenti contro il Pd e il
sottoscritto: violenza verbale,
odio, insulti e una montagna di
menzogne. Adesso rispondiamo con il
sorriso e con la concretezza delle
nostre proposte. Ma dopo le
elezioni chiederò l'istituzione di
una Commissione d'inchiesta
parlamentare, con i poteri della
magistratura, su queste operazioni
organizzate di disinformazione».
Come mai il suo tour elettorale non
ha fatto tappa in Sardegna? La
date già per persa?
«Ma non è così. Sono stato in
Sardegna il 5 dicembre, per le ultime
tappe del tour in treno di
#destinazioneItalia, e ho trovato grande
partecipazione e calore. In Sardegna
avete candidati forti e
autorevoli: un motivo in più per
sostenere che la partita è
assolutamente aperta e che si gioca
fino al novantesimo».
Lei ha firmato un Patto per la
Sardegna da quasi tre miliardi, eppure
pochi mesi dopo l'Isola ha segnato
il record dei no al referendum.
Come se lo spiega?
«L'impegno e gli investimenti dei
governi a guida Pd per il Sud e la
Sardegna non hanno precedenti. Le
soluzioni positive delle vertenze
Alcoa a Meridiana, gli investimenti
sulla metanizzazione, le delibere
del Cipe per le infrastrutture, i
fondi contro il dissesto
idrogeologico sono esempi molto
chiari. Interventi profondi che, sono
certo, col tempo verranno
riconosciuti da tutti i sardi».
Come valuta l'operato della Giunta
Pigliaru?
«Pigliaru sta lavorando bene per la
crescita della Sardegna. Sta
portando avanti riforme importanti
che modificheranno in positivo la
situazione. Come sempre questo può
ingenerare resistenze, ma
l'alternativa non può essere quella
di non cambiare mai nulla. Anche
in questo caso il tempo dimostrerà
la bontà delle sue politiche».
Nell'Isola solo due donne nei nove
collegi uninominali e una capolista
su tre nel proporzionale: per la
parità non si poteva fare di più?
«Sì, si può e si deve fare molto di
più. Ma le ricordo che io sono
stato il primo a fare un governo
paritario con metà donne e metà
uomini. E nel nostro programma ci
impegniamo per la parità di genere,
in particolare nelle retribuzioni:
su cui troppo spesso esiste un
divario ingiustificato».
Nel programma del Pd, quali punti
serviranno al rilancio dello
sviluppo in Sardegna?
«Non possiamo accettare che l'Italia
proceda a due velocità diverse.
Senza un Sud forte non esiste
un'Italia forte e competitiva in Europa.
E le qualità, la bellezza e le
straordinarie potenzialità della vostra
terra devono essere protagoniste di
questo slancio. Bisogna lavorare
su tutti i fronti per favorire il
radicamento territoriale delle
imprese e il rilancio della grande
impresa localizzata in Sardegna».
Come si attirano gli investitori?
«Il nostro governo ha già attivato
incentivi mirati e condizioni di
cornice, a partire dai piani di
infrastrutturazione contenuti nel
Patto con la Sardegna, per esempio
con investimenti nei trasporti
ferroviari e aerei. In questi anni
abbiamo garantito la continuità
territoriale marittima e aerea delle
persone e delle merci,
fondamentale anche per il sostegno
al turismo, e migliorato gli
accordi tra governo, Regione e Ue.
Intendiamo andare avanti in questa
direzione».
La
circoscrizione di Nuoro e Oristano: sfida a dieci per un seggio al Senato
Dalle
campagne alle coste, sfida contro lo spopolamento
Zone costiere, realtà produttive
agricole, Comuni montani, aree
minerarie in cerca di una
riconversione e alcune città di media
grandezza che vogliono giocare un
ruolo da attrattore economico. È una
parte degli aspetti che compongono
il vasto collegio uninominale di
Nuoro per il Senato, in cui si
incrociano tre Province dando vita a un
campo di battaglia eterogeneo e
difficile da sintetizzare. I dieci
candidati del collegio uninominale
hanno dovuto attraversare la
Sardegna centrale da est a ovest.
IL TERRITORIO Con i suoi 513.732
abitanti, quello di Nuoro è il
collegio meno popoloso dei tre
previsti dal Rosatellum per assegnare i
relativi posti al Senato e quello
che, però, comprende il maggior
numero di Comuni. Sono, infatti, 217
i centri che lo compongono e che
fanno parte delle Province di Nuoro,
Oristano e Sud Sardegna.
Il fatto che siano stati necessari
così tanti Comuni dà la cifra di
quanto quello del centro Sardegna
sia il collegio del Senato dei
piccoli paesi. Sulla scheda
troveranno lo stesso nome sia gli abitanti
di Bosa che quelli di Serramanna,
quelli di Dorgali e quelli di
Muravera. Nel collegio, 87 Comuni
fanno parte della Provincia di
Oristano, 70 del Sud Sardegna e 60
rientrano nei confini
della provincia di Nuoro.
LA SINTESI Riuscire a sintetizzare
esigenze, richieste, vocazioni e
necessità di tutte le zone non è
stata una cosa semplice per i
candidati. I piccoli Comuni,
numerosi in questo collegio, affrontano
la loro battaglia quotidiana contro
lo spopolamento, un fenomeno
sempre più diffuso nei centri in cui
le opportunità sono ridotte
all'osso.
Ma agli aspiranti senatori spetta il
compito di garantire una
battaglia, nei limiti delle loro
possibilità, per fare in modo che lo
Stato non sia percepito come il
nemico che taglia i trasferimenti
rendendo difficile la vita nei
paesi. I centri più grossi, come Nuoro
e Oristano chiedono maggiori
strumenti per essere il traino del
proprio circondario, mentre nella
parte alta del Medio Campidano, si
combatte per uscire da una crisi che
va avanti da anni. Il territorio
di questo collegio soffre anche i
collegamenti interni, non sempre
ottimali e che sono alla base anche
delle proteste quando si
verificano fase di riorganizzazioni
di enti o di presìdi sanitari.
COME SI VOTA Sarà eletto al Senato
chi otterrà anche un solo voto in
più dei diretti avversari. Si può
votare tracciando il segno
direttamente sul nome del candidato,
che sarà riportato sopra il
simbolo del partito o dei partiti
che lo sostengono. In questo caso il
voto sarà assegnato sia al candidato
dell'uninominale sia al partito
di riferimento.
Nel caso di più liste, la preferenza
verrà ripartita sulla base del
risultato complessivo. L'altra
possibilità per esprimere il proprio
voto, anche al candidato
dell'uninominale, è tracciando un segno sul
simbolo della lista o su una delle
liste che sono collegate. Per la
sfida all'uninominale non è prevista
la soglia di sbarramento e il
seggio va a chi ottiene il maggior
numero di voti.
IN CORSA A rappresentare il
centrosinistra in questo collegio è
Ignazio Angioni , 50 anni e senatore
uscente del Partito democratico.
Angioni viene dal mondo delle
cooperative, ed è stato componente della
commissione Lavoro e Politiche
Sociali del Senato nell'ultima
legislatura. Sarà invece un
esponente di Lega-Psd'Az il porta bandiera
del centrodestra che ha affidato la
sfida nel collegio a Lorenzo
Palermo , 64 anni avvocato di Nuoro.
Maria Agostina Cabiddu , 55 anni
è la candidata di Liberi e Uguali,
mentre sarà Amedeo Spagnuolo ,
insegnante di Nuoro, il candidato di
Potere al popolo. La scelta del
Movimento 5 Stelle è ricaduta su
Emiliano Fenu , 41 anni di Siniscola
ma residente a Nuoro. Il Progetto
Autodeterminatzione ha scelto Pier
Franco Devias , volto noto
dell'indipendentismo isolano. Devias, 43
anni, nuorese, è il titolare,
assieme alla compagna, di un negozio di
prodotti tipici sardi.
Devias è segretario nazionale di
Liberu,
partito indipendentista. Paola
Marceddu , artigiana tessile in
pensione, è la candidata del Partito
comunista, mentre CasaPound ha
deciso di schierare Patrizia Frau .
Per il Popolo della famiglia,
partito nato sotto la guida di Mario
Adinolfi, la candidata è Angela
Rita Mercedes Pisu . Infine, il
49enne Dino Maccioni , di Serramanna,
dipendente della marina militare, è
il candidato del Partito Valore
umano.
Matteo Sau
La
Nuova
Intervista
a Pietro Grasso
Il leader
di Liberi e uguali: «Intere zone rischiano di morire per la
fuga dei
giovani Troppe disparità tra i cittadini: basta col precariato e sanità
davvero
pubblica» «Lavoro e innovazione le scommesse per l'isola»
di Luca Rojch
SASSARI
Non perde la sua istituzionale
eleganza anche quando attacca i rivali
politici. Pietro Grasso, il leader
di Liberi e Uguali dimostra di
conoscere a fondo la situazione
della Sardegna. E di avere idee e
progetti per intervenire su alcune
delle emergenze storiche
dell'isola, dal lavoro ai trasporti.
Nessun accordo con il
centrodestra, e disponibilità a
dialogare con il Pd, ma su una
piattaforma di idee che guardi a
sinistra.Perché votare per Liberi e
Uguali?«Liberi e Uguali è la vera
novità politica di queste elezioni.
Il resto del panorama politico è
occupato da forze non credibili che
hanno trascorso l'intera campagna
elettorale facendo promesse
irrealizzabili. Noi, al contrario,
abbiamo proposte serie e concrete:
vogliamo rimettere al centro
dell'agenda politica italiana il tema
delle disuguaglianze che stanno
divorando l'Italia. Per farlo bisogna
creare lavoro stabile e garantito,
non la precarietà frutto del Jobs
act. E poi una sanità davvero
pubblica, un'istruzione capace di dare
ai ragazzi strumenti utili per
potersi creare un futuro e un grande
piano di riconversione ecologica del
nostro Paese».
Qual è l'orizzonte
in cui si muove il
partito?«L'orizzonte è quello delle politiche
socialdemocratiche di tipo classico
coniugate con i problemi dei
nostri tempi. Servono investimenti
pubblici e privati per fare
ripartire a ritmi più elevati la
crescita del nostro paese, e non come
quelli attuali che ci vedono ultimi
in Europa. Noi crediamo che il
futuro della sinistra italiana
dipenda da Liberi e Uguali: dal 5 marzo
lavoreremo per costruire il partito,
organizzarlo su tutto il
territorio nazionale, dargli il più
ampio respiro culturale possibile
perché c'è davvero bisogno di
qualcuno che sia dalla parte delle
persone che hanno maggiormente
sofferto gli effetti della crisi
economica».
Spesso si sente parlare di possibili
alleanze con i 5
stelle, ma è possibile?«Mi sembra
difficile al momento, visto che
cambiano opinione in maniera molto
strumentale su temi importantissimi
come il futuro dell'Europa o i
diritti civili. Loro proponevano di
aprire il Parlamento come una
scatoletta di tonno. Io per tutta una
vita ho servito e difeso le
Istituzioni, non mi piace questo
approccio, questo linguaggio. Certo
è che con la destra non andremo
mai. Ma se le altre forze politiche
accetteranno il nostro punto di
vista su lavoro, scuola, sanità e
fisco ci metteremo a discutere».E
con il Pd?«Vale esattamente lo
stesso principio. Finora il Partito
democratico non mi sembra aver
compreso lo stato reale del Paese.
Anzi, tutti i giorni ci dicono che
il Jobs act è stata la migliore
riforma possibile e che l'Italia
cresce grazie ai cambiamenti messi in
moto da Renzi. A me sembra piuttosto
che quel partito abbia smarrito
gli ideali e le proposte della
sinistra che invece noi rappresentiamo
compiutamente».Appoggereste un
governo di larghe intese col Pd e Forza
Italia?«Noi con la destra non
possiamo fare un Governo: siamo divisi
su tutto, sarebbe assurdo solo
pensare a uno scenario simile.
Nel caso in cui nessuno vincesse le
elezioni saremmo disponibili solo per fare
una nuova legge elettorale in grado
di assicurare il principio
costituzionale della rappresentanza
e di coniugarlo con l'esigenza
della governabilità».Nell'isola fate
parte della maggioranza che guida
la Regione, può essere un modello di
collaborazione anche per il
Governo?«Con il Pd governiamo
insieme anche Cagliari, sulla base di un
programma di governo progressista.
Ancora una volta il tema non è
personale ma di politiche: quando
l'agenda politica è una agenda di
sinistra, con proposte che siano
soprattutto in favore delle persone
più deboli, allora ci sono gli
estremi per poter aprire una
collaborazione.
Nel Lazio la nostra assemblea locale
ha deciso di
sostenere Nicola Zingaretti perché
lui ha dato un segnale chiarissimo
di uno spostamento a sinistra del
suo programma per la Regione».Quali
sono secondo lei le priorità per la
Sardegna?«La Sardegna ha bisogno
di produrre nuovi posti di lavoro.
Ma di lavoro buono, soprattutto per
le fasce giovanili. Ma non solo. Non
è da trascurare inoltre il
fenomeno dell'emigrazione da parte
di giovani con alta formazione. Una
piaga che mette a repentaglio il
futuro dell'intero Paese, perché la
Sardegna non è l'unica regione ad
esserne colpita. Credo poi si debba
aprire un serio ragionamento sul
tema delle infrastrutture: la
Sardegna, così come la Sicilia, paga
l'insularità. Bisogna investire
per rendere più agevole e forte il
collegamento con la penisola».
Il ministro Carlo Calenda parla di
una Sardegna che non può fare a meno
dell'industria per poter crescere.
Condivide questa posizione?«Il
sistema industriale è centrale per
far tornare a crescere l'Italia a
ritmi europei. Serve però, a nostro
avviso, coniugare l'industria con
le nuove sfide ambientali. Non si
può pensare che intere zone della
Sardegna muoiano per impoverimento e
fuga dei giovani. Riconversione
in chiave di sostenibilità,
innovazione ed economia circolare, sono
alcuni dei nostri punti fermi su
questo tema». I trasporti sono uno
dei principali temi di dibattito in
Sardegna. La continuità marittima
e aerea sono sempre più complicate.
Come vuole intervenire Liberi e
uguali?«Va ripresa l'idea di
continuità territoriale, garantendo ai
sardi di potersi spostare alle
stesse condizioni di chi vive nel
continente».Sa che il Partito sardo
d'Azione ha fatto un'alleanza con
la Lega di Salvini. Cosa ne pensa?«È
una posizione anti-storica che va
contro i principi fondamentali per i
quali il Partito sardo d'Azione
nacque. Si tratta di un mero accordo
elettorale per garantire un posto
in Parlamento».Un altro grande tema
legato allo sviluppo della
Sardegna è l'urbanistica. Al centro
del dibattito in Regione c'è una
proposta di legge che deve essere
approvata, ma è contestata dagli
ambientalisti. Qual è la posizione
di LeU su questo tema?«Occorre
pensare a un modello che coniughi
sviluppo costiero e delle zone
interne, tenendo assieme la tutela
con la valorizzazione del
territorio. L'abbandono delle zone
interne è uno dei maggiori problemi
che sta colpendo l'Italia.
Vorrei però aggiungere una
riflessione».Prego.«Il nostro paese
ha bisogno di essere riunito. Non
solo territorialmente, dalla qualità
dell'istruzione e della sanità,
fino all'accesso a una pubblica
amministrazione funzionante. Vanno
recuperati i valori della nostra
Carta fondamentale che dal '48 in poi
hanno unito gli italiani. Mi sono
impegnato in Liberi e Uguali proprio
perché credo serva dare piena
applicazione alla Costituzione,
soprattutto al meraviglioso articolo
3, quello che dice che "è compito
della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della
persona umana". È un messaggio di
assoluta contemporaneità, dice tutto
quello per cui vale la pena
battersi».
Unione
Sarda
Intervista
a Berlusconi «L'Isola merita più attenzione»
«Sa che cosa mi ha spinto a tornare
in campo a 81 anni? Il senso del
dovere nei confronti del mio Paese,
lo stesso che nel 1994 mi spinse a
lasciare un lavoro che amavo per
salvare l'Italia dal rischio di una
vittoria della sinistra
post-comunista. Guardi, io porto sempre nel
cuore una frase che mi disse mia
madre proprio in quel 1994. “Io sono
contraria a che tu scenda in
politica, perché te ne faranno di tutti i
colori, ma se tu senti dentro di te
il dovere di farlo, allora non
saresti il figlio che tuo padre ed
io abbiamo educato se non sapessi
trovare anche il coraggio e la forza
necessari”.
Quell'insegnamento di
mia madre, e l'affetto e la fiducia
che gli italiani mi hanno dato per
vent'anni mi hanno fatto sentire in
obbligo si scendere in campo
ancora una volta, per salvare il mio
Paese e per farlo ripartire
davvero. Oggi forse il rischio è
ancora più grave, è quello
dell'affermazione di una setta
ribellista, pauperista, giustizialista,
che parla il linguaggio dell'odio e
nasconde contenuti pericolosi».
Nell'ultimo giorno della campagna
elettorale Silvio Berlusconi sorride
con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e
Raffaele Fitto nel comizio
finale. Poi, a Matrix, su Canale 5,
scarta il regalo atteso da
settimane: l'ufficializzazione di
Antonio Tajani candidato premier.
Perché lui?
«Antonio è un mio amico e
collaboratore da sempre, è stato con me uno
dei fondatori di Forza Italia, ha
grande esperienza internazionale, è
conosciuto, apprezzato e stimato in
tutto il mondo, ricopre in Europa
la più alta carica rappresentativa
eletta direttamente dai cittadini,
quella di presidente del Parlamento
Europeo. Mi hanno detto che è
considerato da tutti il miglior
presidente di quel Parlamento da
quando esiste l'elezione diretta.
Per questo è un peccato spostarlo da
quel ruolo, ma l'interesse nazionale
viene prima. Tajani sarà un
eccellente premier per far ritornare
l'Italia protagonista sulla scena
internazionale».
Ribadisce che se non avrete la
maggioranza non ci saranno larghe
intese e si tornerà al voto?
«Assolutamente sì. Io sono convinto
che la nostra coalizione di
centrodestra otterrà la maggioranza
di seggi sia alla Camera che al
Senato e quindi la possibilità di
governare, e spero che gli italiani
si rendano conto che comunque quello
al centrodestra e a Forza Italia
è il solo voto utile, visto che
siamo l'unica coalizione in grado di
raggiungere una maggioranza
parlamentare e quindi di dare vita a un
Governo stabile e coerente. Per
sintetizzare il concetto, ho
parafrasato Pietro Nenni: “O Forza
Italia o il caos”».
Eppure gli analisti politici
disegnano altri scenari: voi alleati con
il Pd senza Lega e FdI.
«Non avrebbe senso, abbiamo idee
molto diverse su tutto. E poi, come
potremmo mai allearci con chi ha
portato l'Italia nella condizione in
cui ci troviamo ora?»
Alcuni detrattori della flat tax,
provvedimento-cardine del vostro
eventuale governo, sostengono che
farà pagare di più i più poveri e
meno i più ricchi e che per
applicarla occorrono 50 miliardi di euro.
«Con la flat tax i redditi bassi,
fino ai 12.000 euro, non pagheranno
nulla, anzi grazie al reddito di
dignità si vedranno restituire dallo
stato la somma necessaria per
raggiungere un tenore di vita
accettabile, e i redditi medi,
grazie alla esenzione dei primi 12.000
euro, pagheranno pochissimo, molto
meno di oggi. Inoltre, potranno
detrarre le spese mediche, quelle
per i figli a carico e gli interessi
sul mutuo della casa. L'aliquota del
23% in realtà la pagheranno quasi
integralmente solo i redditi più
alti».
L'Italia non riesce ad attirare
investimenti dall'estero e molte
aziende italiane fuggono in altri
Paesi. Come risolverebbe questa
situazione?
«Con la flat tax sarà conveniente
anche investire in Italia, perché
avremo un regime fiscale favorevole
per le imprese. Questo a sua volta
significa capitali che affluiscono
nel nostro Paese e creazione di
nuovi posti di lavoro. Mai più
aziende lasceranno l'Italia attratte da
regimi fiscali migliori all'estero:
al contrario, sarà proprio
l'Italia ad attirare le imprese
straniere».
Torniamo al costo della flat tax.
«La flat tax, a regime, non solo non
costa nulla, quindi non ha
bisogno di coperture, ma anzi porta
un beneficio alle casse dello
stato. Lo dimostrano tutte le
esperienze storiche di Paesi e Governi
che abbiano operato un importante
taglio alle aliquote fiscali, per
tutte l'America di Kennedy e poi
quella di Reagan».
I governi hanno l'abitudine di
finanziare i provvedimenti con ulteriore deficit.
«Noi non vogliamo tagliare le tasse
in deficit, neanche nel primo
anno. Per questo abbiamo individuato
coperture più che adeguate. Esse
verranno attinte ad esempio dalla
revisione delle tax expenditures,
cioè delle detrazioni e delle
deduzioni che pesano per ben 175
miliardi di euro di mancati introiti
nelle casse dello Stato. Solo da
qui contiamo di recuperare 60
miliardi, a cui va aggiunto l'emergere
dell'evasione, che con la flat tax è
quasi automatico, perché con una
tassa così semplice e così
conveniente eludere è quasi impossibile ed
evadere è un rischio inutile e poco
remunerativo».
Lei ha annunciato più volte
l'abbassamento delle tasse ma siamo ancora
tra i Paesi più tassati del mondo.
«È vero. Va comunque ricordato che i
nostri governi, anche se non
nella misura che avrei voluto,
attuarono importanti tagli fiscali,
abolirono la tassazione sulla prima
casa, sulle successioni e le
donazioni, abbassarono il livello
complessivo della pressione fiscale
sotto il 40%, non misero mai - nei
nove anni in cui abbiamo governato
- le mani nelle tasche degli
italiani. Oggi abbiamo una coalizione di
centrodestra collaudata nel corso
degli anni e un programma
sottoscritto da tutti i leader. La
flat tax sarà fra i primi
provvedimenti che adotteremo una
volta al Governo per liberare
famiglie e imprese dall'oppressione
fiscale».
Per abbassare le aliquote azzererete
il contenzioso fra fisco e cittadini?
«Sì. Ci sono 21 milioni di cause
pendenti. Nell'interesse della
collettività e dei singoli
contribuenti, vogliamo chiuderle in modo
equo, riportando la pace fiscale fra
cittadino e Stato. Naturalmente
questo implica anche la chiusura
definitiva, sotto qualsiasi nome e
forme giuridica, della società
Equitalia».
La Sardegna ha alcune vertenze
aperte con lo Stato, come quella del
dimezzamento degli accantonamenti,
del riconoscimento della condizione
di insularità, della riduzione delle
servitù militari. Che impegni
ritiene di poter prendere su questi
fronti?
«Il governo regionale guidato dalla
sinistra e il governo nazionale
anch'esso guidato dalla sinistra non
sono stati in grado di risolvere
neppure una delle vertenze in corso
fra Regione e Stato. È un
fallimento, nonostante l'omogeneità
politica che li lega. Quando
governeremo il Paese e avremo
ripreso la guida della Sardegna ci
siederemo non uno di fronte
all'altro ma uno a fianco all'altro perché
saremo entrambi dalla parte della
Sardegna».
Lei ha un debito con la Sardegna:
quando decise di trasferire il G7 a
L'Aquila si fermò la riconversione
di La Maddalena, che in questi anni
ha sofferto per questo. Come intende
rimediare?
«La Maddalena sarà una delle nostre
assolute priorità, lo merita da
ogni punto di vista. Lo considero un
mio impegno personale, anche
perché la Sardegna è un po' la mia
seconda patria».
La
chiusura della campagna a Roma
Patto di
centrodestra: il Cavaliere, Salvini, Fitto e Meloni insieme
ROMA Dopo tante polemiche
sull'opportunità politica di una
manifestazione unitaria del
centrodestra, ecco l'abbraccio nel Tempio
di Adriano a Roma dove ieri
pomeriggio si sono ritrovati Silvio
Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo
Salvini e Raffaele Fitto. Anche
stavolta però è emerso il braccio di
ferro che dura da mesi tra i
leader di Fi e Lega. In palio c'è la
leadership della coalizione, che
comprende anche Fratelli d'Italia e
Noi con l'Italia, ma soprattutto
la possibilità di sedere da
protagonista al tavolo che conta, sia in
caso di vittoria sia in quello di
stallo, con la prospettiva delle
larghe intese che incombe. In più
c'è l'annuncio dato dallo stesso
Berlusconi ieri sera sulla
disponibilità di Antonio Tajani, presidente
dell'Europarlamento, a candidarsi
premier per il centrodestra.
«Abbiamo la speranza di raggiungere
la maggioranza sia alla Camera sia
al Senato per formare un Governo
solido», ha detto Berlusconi al
tempio di Adriano.
Salvini dal canto suo ha sostenuto
che la Lega
«prenderà un numero di voti mai
avuti nella sua storia. La mia più
grande soddisfazione sarà che i
parlamentari che faranno la differenza
saranno quelli eletti dalla lega al
centro e al sud».
Tra le fila azzurre in effetti si
teme l'exploit della Lega, che
potrebbe intaccare per la prima
volta il primato di Fi all'interno
della coalizione.
Ma anche l'avanzata dei cinque
stelle al Sud, dove
35 collegi vengono indicati
determinanti per l'esito finale. In ogni
caso, ha aggiunto Berlusconi, «alle
consultazioni al Quirinale ci
presenteremo tutti insieme».
Cinquestelle,
ecco i 17 ministri - Nella squadra di governo di Di Maio
anche
cinque donne inserite in dicasteri-chiave
ROMA Diciassette ministri, di cui
cinque donne in posizioni-chiave.
Ieri Luigi Di Maio ha presentato
ufficialmente a Roma la squadra che
lo affiancherà in caso di vittoria
del Movimento alle elezioni di
domenica. Si tratta di Riccardo
Fraccaro , deputato uscente e
ricandidato alla Caera agli Affari
regionali e rapporti con
Parlamento; Giuseppe Conte ,
giurista, alla Pubblica amministrazione;
Domenico Fioravanti , campione
olimpico di nuoto, allo Sport. Agli
Esteri è stata indicata Emanuela Del
Re , docente di Sociologia
politica; all'Interno la criminologa
Paola Giannetakis , alla
Giustizia l'avvocato e deputato
uscente Alfonso Bonafede ; alla Difesa
Elisabetta Trenta , esperta in
intelligence e sicurezza.
All'Economia
Di Maio ha indicato Andrea Roventini
, professore di Economia politica
alla Scuola Superiore Sant'Anna di
Pisa; allo Sviluppo Economico
Lorenzo Fioramonti , ordinario di
Economia politica all'Università di
Pretoria. Alessandra Pesce ,
dirigente del Crea, ente di ricerca del
ministero dell'Agricoltura, è stata
indicata all'Agricoltura; Mauro
Coltorti , geomorfologo, alle
Infrastrutture; al Lavoro Pasquale
Tridico , docente di economia del
lavoro e politica economica a Roma
tre; all'Istruzione Salvatore
Giuliano , preside dell'Istituto
Majorana di Brindisi; ai Beni
culturaliAlberto Bonisoli , manager,
direttore del Napa di Milano; alla
Salute Armando Bartolazzi ,
dirigente medico; all'AmbienteS ergio
Costa , generale dei carabinieri,
alla Qualità della Vita e lo
Sviluppo sostenibile Filomena Magino ,
docente al dipartimento di Scienze
statistiche della Sapienza.
LA REPLICA Intanto Pino Cabras e
Gianni Marilotti, candidati per il
M5S, replicano al presidente
Pigliaru che nei giorni scorsi aveva
polemizzato con Di Battista sul
reddito di inclusione: «Il paragone
che Pigliaru fa con il Reddito di
Cittadinanza non regge, dato che
solo la misura prevista dal M5S è
universale».
Fondi ai
gruppi, il processo - Ignazio Artizzu assolto dal gup: «Incubo finito»
Alla lettura della sentenza che ha
fatto cadere l'accusa di essersi
impossessato e aver speso
illegittimamente 186 mila euro di fondi del
suo gruppo, il giornalista Ignazio
Artizzu, ex consigliere regionale
di Alleanza Nazionale, ieri
pomeriggio ha stretto in un lungo
abbraccio il suo difensore,
l'avvocato Massimiliano Delogu. «Lui è il
mio angelo - ha detto a voce alta -
sono felicissimo è finito un
incubo durato anni».
Nei giorni scorsi, a chiedere
l'assoluzione al Gup Ermengarda
Ferrarese era stato lo stesso pm
Marco Cocco, titolare dell'intera
inchiesta sull'uso dei fondi
consiliari che ha iscritto nel registro
degli indagati un'ottantina di
politici. Durante il processo celebrato
con rito abbreviato, il magistrato
inquirente aveva riconosciuto ad
Artizzu l'assenza dell'elemento
soggettivo e il corretto comportamento
durante le indagini. Il giornalista
si è fatto interrogare più volte,
ha presentato documenti e restituito
al Consiglio circa 180 mila euro.
«La restituzione non estingue il
reato», ha precisato Ignazio Artizzu.
«Oltretutto mi è stato riconosciuto
dal magistrato che molte spese
erano corrette. Ma ho voluto
comunque restituire i soldi per ragioni
personali: non volevo restasse alcun
dubbio sul mio operato». Felice e
soddisfatto anche il difensore
Delogu: «Non c'era nulla di scontato. È
stato un percorso lungo e
approfondito, ma proprio per questo ora non
ci possono essere più dubbi».
Rinviato al 25 maggio, invece, il
processo in abbreviato per gli altri
due ex An, Antonello Liori e
Giovanni Moro. (fr. pi.)
La
Nuova
Bruno:
dovere morale votare Pd- Il sindaco di Alghero ex dem: è l'ora
della
responsabilità contro il vento di destra
di Alessandro PirinawSASSARIIl Pd
resta la sua casa, anche se non ne
fa parte da quattro anni, da quando
i dem lo hanno messo alla porta
per la decisione di candidarsi a
sindaco nonostante il partito avesse
scelto un altro nome. Le elezioni
del 2014 sappiamo tutti come sono
andate: il Pd fuori dal ballottaggio
e lui eletto sindaco di Alghero
al secondo turno. Ora, a quattro
anni da qual clamoroso divorzio,
Mario Bruno invita a votare il Pd e
il centrosinistra alle politiche.
Un voto contro il qualunquismo e i
rigurgiti neofascisti.Bruno, cosa
rappresentano le elezioni di
domenica?«Hanno un valore politico ampio.
Io vedo da una parte il possibile
ritorno al qualunquismo, alla
incompetenza e dall'altra un vento
di destra a tratti neofascista che
non può non preoccuparci. E, dunque,
anche per me, seppure eletto con
una lista civica, è un dovere
schierarmi».
E dunque sceglierà il Pd e
il centrosinistra. «Certo, anche se
in questi anni abbiamo
attraversato momenti di forte
conflittualità, i valori continuano a
essere gli stessi. Spesso c'è la
tendenza dei cittadini ad abdicare al
loro ruolo, ma io credo che questo
sia il momento di difendere i
principi sanciti dalla Costituzione.
È una partita fondamentale in cui
da una parte c'è la democrazia e
dall'altra il vento di destra e il
qualunquismo. Nella mia condizione
sarei il primo a non volere
partecipare alle elezioni, invece
sento il dovere morale di
schierarmi. E questo è un aspetto
fortemente di centrosinistra.
Noi abbiamo la necessità di sentire
una appartenenza».Il centrosinistra ha
la tendenza a dividersi. Il caso
Alghero è stato un esempio.«Vero, ma
anche nei momenti di forte
conflittualità col Pd locale, i governi
regionale e nazionale sono sempre
stati molto vicini ad Alghero. A
testimonianza di quando hai a che
fare con amministratori responsabili
che non stanno a guardare il colore
politico. In questi 4 anni la
città ha raggiunto risultati
importantissimi. Penso ai 5 milioni e
mezzo per costruire le case
popolari, ai 10 milioni per le scuole
della città, alle infrastrutture per
l'area artigianale, al nuovo
centro di aggregazione, al progetto
per rendere fruibile la Grotta
verde, ai finanziamenti per il parco
di Porto Conte. Erano 15 anni che
si chiedeva una soluzione per la
facoltà di Architettura e finalmente
è arrivata. Senza contare la grande
partenza del Giro d'Italia e il
Rally per il quarto anno ad Alghero.
E poi la questione
aeroporto...».
L'aeroporto è uno dei temi caldi
della campagna
elettorale nel nordovest dell'isola:
destra, 5 stelle e
indipendentisti accusano il
centrosinistra di averlo affossato.«Il
Riviera del corallo era sull'orlo
del fallimento e ora non lo è più,
questo è un dato di fatto. Certo,
c'è stato un anno di conflitto con
la Regione sulla questione dei voli
low cost. Ma ora c'è una nuova
consapevolezza sulla necessità di
riportare le compagnie a basso
costo. Si sta riavviando questo
percorso. È stato fatto un primo
bando, a breve ne sarà pubblicato
uno nuovo. Ho chiesto nuovi voli per
Parigi, Dublino, la Germania, c'è la
necessità di estendere la nostra
presenza sulle rotte.
E poi occorre lavorare sui mesi più
critici, da
novembre a febbraio. Dobbiamo
colmare quel gap, ma l'aeroporto c'è,
non esiste alcun tentativo di
chiuderlo». Anche la sanità è stata
motivo di conflitto con la
Regione.«Superato anche quello, abbiamo
ripristinato il primo livello
dell'ospedale. Poi mi ha scritto
l'assessore Arru che vuole
realizzare in città il nuovo ospedale
accorpando il Civile e il Marino: le
risorse le hanno, sono nei fondi
per l'edilizia ospedaliera». A
questo punto potrebbe anche rientrare
nel Pd...«Il mio è un atteggiamento
di responsabilità, perché serve al
Paese, alla mia città.
Non ho secondi fini e non mi aspetto
niente. È
inutile negare che senza il Pd
saremmo stati a casa dopo l'uscita
dell'Udc dalla maggioranza, ma
questo è un voto che non è collegato al
mio percorso ma ai miei valori. Al
di là di questi io il Pd l'ho
sempre sentito il mio partito. Forse
oggi le liste civiche hanno più
appeal, ma solo i partiti hanno una
capacità di selezione autentica,
sono l'ultimo baluardo della
democrazia».Sulle liste c'è stato più di
un malumore tra i dem. Come giudica
i suoi "candidati"?«Tutti di
livello, anche perché nei vari pass
Da Cugini
a Macis, appello per LeU
Intellettuali,
sindacalisti e politici ex Pci-Ds: una prospettiva vera
per la
sinistra
CAGLIARI Classe 1936, s'è iscritto
al Pci ventisei anni dopo, poi
consigliere comunale, regionale e
parlamentare fino al 1992, eppure
Francesco Ciccio Macis questo dubbio
l'ha avuto in questi giorni.
«Domenica era indeciso se andare a
votare. Se non lo avessi fatto,
sarebbe stata la mia prima volta. Mi
ha salvato Liberi e Uguali -
racconta - perché finalmente per la
sinistra, quella vera, c'è una
prospettiva». L'avvocato
cagliaritano è uno dei 26 intellettuali ad
aver firmato l'appello a favore
della lista capeggiata da Piero
Grasso. Insieme a Macis,
sindacalisti, giornalisti, docenti
universitari, ambientalisti e quasi
tutti con un passato a cavallo fra
il Pci e i Diesse.
I Ds: l'ultimo zoccolo duro dei
progressisti prima
della fusione a freddo, insieme ai
centristi della Margherita, nel Pd.
«Ma il Pd di oggi, quello renziano -
dice Macis - non può certo
votarlo chi crede ancora nella
giustizia sociale, nell'uguaglianza,
nei diritti conquistati negli anni
passati con dure lotte e ora
strappati alla gente». Al suo
fianco, nel lanciare l'appello, c'è
Renato Cugini, ex segretario
regionale proprio dei Ds. «Liberi e
Uguali - dice - è solo l'inizio di
un progetto.
Qualsiasi sia il
risultato di domenica, dobbiamo
impegnarci per riportare in Italia una
forza di sinistra che invece manca
da troppo tempo. Dobbiamo
impegnarci a ricostruire la sinistra
su lavoro e solidarietà. Ancora:
sulla sanità per tutti e soprattutto
sul ridare ai giovani la speranza
ai giovani di avere un futuro certo
e non precario. Sono questi i
capisaldi della nostra democrazia,
ma che purtroppo sono stati
spazzati via con un colpo di
spugna».
Con un imputato colpevole ed
evidente, per Massimo Dadea, già
assessore regionale nella giunta di
Renato Soru. «È il Pd, che ha
rinunciato al suo ruolo, per
trasformarsi in un qualcosa
d'indefinito, evanescente, sbiadito e
capace persino di scatenare
un'ennesima frantumazione. È un mondo
invece che, pezzo dopo pezzo,
dobbiamo ricostruire fino a raggiungere
quest'obiettivo: c'è bisogno di una
nuova sinistra moderna e degna nel
portare questo nome».
Nell'appello c'è scritto anche:
«Sostenere
Liberi e Uguali è il vero voto
utile, per fermare il dilettantismo
alle porte delle istituzioni e
bloccare l'avanzata di quei movimenti
che si richiamano al fascismo».
Anche se Dadea non nasconde di essere
rimasto sorpreso dall'apertura del
presidente Grasso a un possibile
governo di larghe intese: «Mi è
apparso quantomeno intempestivo, non
si può dire sì prima che ci sia un
accordo sul programma e poi come si
fa a stare allo stesso tavolo con
Berlusconi, o con chi, come Renzi,
lo ha scimmiottato in questi anni?».
Per poi rivelare, uno dopo
l'altro, quello a loro manca di più
della sinistra. Per Macis la
serietà, secondo Cugini «la difesa,
oggi tradita dal Pd, dell'idea
indispensabile di un'uguaglianza che
guarda con grande attenzione alla
solidarietà». Infine, Dadea: «Le
sane passioni di una volta, ma con
Liberi e Uguali può ritornare la
fiducia».
Fondi ai
gruppi, l'ex capogruppo di An non è colpevole di peculato.
Condotta
limpida nel processo
Artizzu
assolto abbraccia il suo difensore
CAGLIARI
Si è conclusa con l'assoluzione la
vicenda giudiziaria di Ignazio
Artizzu, il giornalista Rai finito
sotto processo con l'accusa di
peculato per l'uso improprio di 169
mila euro destinati all'attività
istituzionale del gruppo di An, nel
corso della legislatura 2004-2009.
Dopo la richiesta avanzata lo scorso
7 febbraio dal pm Marco Cocco al
termine di un intervento lungo e
articolato, la decisione del gup
Ermengarda Ferrarese veniva data per
scontata. Ieri si è conclusa la
discussione del giudizio abbreviato
con l'arringa dell'avvocato
Massimo Delogu.
Il difensore si è allineato agli
argomenti del
pubblico ministero ma ha aggiunto
alcuni elementi di valutazione:
«Sull'uso dei fondi destinati ai
gruppi esisteva una delibera
dell'ufficio di presidenza - ha
sostenuto Delogu - che tutto faceva
tranne chiarezza e che non prevedeva
alcuna rendicontazione delle
spese». L'assoluzione di Artizzu
però - ha detto Delogu - dev'essere
legata al «comportamento sempre
limpido dell'ex consigliere di An» che
fin dalle prime battute del
procedimento - quattro anni fa - ha
chiesto di rispondere a tutte le
contestazioni senza neppure conoscere
gli atti dell'accusa, ha prodotto
memorie e giustificativi, ha
restituito al consiglio regionale
l'intera somma contestata, compresa
la quota riferita a reati
prescritti. Per di più - ha insistito il
difensore - non c'è traccia agli
atti del procedimento di spese
compiute da Artizzu che risultino
incompatibili con gli scopi
istituzionali e coi criteri
stabiliti dalla legge. In altre parole -
secondo l'avvocato Delogu - insieme
all'elemento soggettivo del reato.
vale a dire la consapevolezza di
violare la legge, manca la prova di
condotte illegali.
Il pm Cocco aveva parlato della
posizione di
Artizzu rifacendosi esplicitamente a
quella di Peppino Balia e Renato
Lai, assolti su sua richiesta nel
corso del dibattimento principale
per motivi analoghi. Il magistrato
aveva parlato di condotta
trasparente, di collaborazione
aperta con la polizia giudiziaria nella
ricerca di conti e spese riferite al
gruppo di An, elementi che
l'avevano convinto a escludere la
sussistenza dell'elemento soggettivo
del reato.La sentenza del gup
Ferrarese è stata accolta con grande
soddisfazione dal giornalista, che
visibilmente emozionato ha
abbracciato a lungo l'avvocato
Delogu: «Lui é il mio angelo - ha detto
pochi minuti dopo ai cronisti - e io
sono felicissimo».
La decisione del giudice è
definitiva perché è stato il pm Cocco a chiedere
l'assoluzione e non potrà quindi
esserci alcun ricorso in
appello.Slitta invece al 25 maggio
l'esame della posizione di
Antonello Liori e di Giovanni Moro, gli
altri due ex di An finiti
sotto processo con la stessa accusa
di peculato. Il difensore di
Liori, Michele Loi, ha prodotto
alcuni documenti difensivi che il pm
Cocco si è riservato di valutare e
sui quali potrebbero essere fatti
accertamenti di polizia giudiziaria.
Mentre Moro, difeso dall'avvocato
Lorenzo Galisai, dovrebbe sottoporsi
all'esame del pm o fare
dichiarazioni spontanee.
Si aprirà invece il 18 maggio
davanti alla
seconda sezione del tribunale il
giudizio ordinario per Matteo Sanna -
120 mila euro - difeso da Ivano Iai.
Resta infine la posizione dell'ex
presidente del gruppo di
centrodestra Mario Diana - difeso da Massimo
Delogu e Pierluigi Concas - che
viene processato a parte. Il 23 marzo
il pm Cocco farà le sue richieste a
conclusione del giudizio
immediato, quello in cui rientrano
le famose penne MontBlanc. Lo
stesso giorno si aprirà il
processo-bis nell'altra sezione del
tribunale. (m.l)
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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