domenica 18 marzo 2018

Rassegna stampa 18 Marzo 2018


L'idea di Silvio Lai. Simbolo diverso sul modello del Trentino

Forse non tutti hanno afferrato la reale portata della proposta avanzata ieri da Silvio Lai nella direzione regionale. L'ex segretario suggerisce di chiedere agli iscritti, con un referendum, il consenso alla creazione di un partito sardo federato col Pd nazionale. E fa riferimento all'articolo 13 dello statuto nazionale, che prevede una situazione particolare nelle regioni speciali, come la Sardegna. Non si tratta di aggiungere l'aggettivo «sardo» al nome: si potrebbe arrivare a un nome e un simbolo diversi da quelli attuali. Alle Politiche e alle Europee resterebbe il simbolo nazionale. Ma alle Regionali, per esempio, non ci sarebbe il contrassegno del Pd, bensì quello del partito federato. Il modello è quello del Trentino-Alto Adige.

«Il referendum potrebbe sancire l'avvio di un percorso verso un partito regionale della sinistra, utile per ricucire con il polo autonomista e riaprire il confronto con le forze alla nostra sinistra», dice Lai. Senza questa svolta, a suo giudizio, il Pd sardo rischia di perdere altri consensi alle Regionali, rispetto al 14% delle Politiche, anche perché ci saranno più partiti a fare concorrenza.

«Le buone politiche sviluppate dall'azione positiva della Giunta Pigliaru sono finite in secondo piano travolte dal dibattito nazionale», conclude Lai: «Serve una svolta per un nuovo soggetto che vada oltre il Pd, rivolto a sinistra e indipendente dalle dinamiche nazionali, che sia più concentrato sui temi dello sviluppo della Regione». (g. m.)



Unione Sarda

La trincea di Pigliaru - «No al rimpasto»
di Emanuele Dessì

Mettiamoci nei panni di Francesco Pigliaru. Ha suonato, cantato e
portato la croce per quattro anni, ma a un quarto d'ora dalla fine
qualcuno vorrebbe affidargli un'altra squadra. Qualcuno chi? Buona
parte del Pd. Un partito diviso alla meta il 4 marzo ma, prima ancora
della disfatta, dilaniato dai mal di pancia. Romani e fiorentini,
certo, ma soprattutto sardi.

Molti ricorderanno l'arrivo del
professore nella sede della direzione del Partito democratico, a
Oristano. Era la notte della Befana 2014. Pigliaru era stato accolto
come il Mourinho del triplete dopo che il derby tra le correnti Dem
finì zero a zero, lasciando però molti infortunati sul campo.
«Possiamo vincere», disse subito un profetico Pigliaru. Non è stata
una legislatura in discesa, ma il presidente della Regione, nonostante
lo tsunami di due settimane fa, ha deciso che terrà duro, tanto più
perché non ha velleità di ricandidatura. Messaggio agli alleati,

Pd in testa: va bene farsi del male da soli (succede in tutte le famiglie,
pensate a Cappellacci e Pili alle ultime regionali), ma rischiare di
crollare prima del 2019, per il centrosinistra sardo, sarebbe da
dilettanti della politica, visto lo scenario. Il trionfo dei Cinque
Stelle, con dieci punti percentuali in più rispetto alla media
nazionale, dice - anche - che i sardi non hanno apprezzato il gioco di
squadra di Giunta e Consiglio. Non è forse la coalizione tutta ad
avere approvato l'Azienda unica per la tutela della salute? Disse sì
anche l'ala più a sinistra, passata all'incasso con il Reis, il
Reddito di inclusione sociale, ribattezzato in via Roma “Agiudu
torrau”. È il nome ufficiale, è scritto sui documenti, non è una
licenza giornalistica. Dall'Ats alla riforma della rete ospedaliera il
passo è stato necessario e inevitabile.

 Il resto è cronaca di tutti i
giorni, alibi di ferro per la tranvata, a sentire molti politici del
centrosinistra: hanno l'indice puntato contro il presidente,
l'assessore alla Sanità e i loro manager. Oggi fa comodo indicarli
come i mandanti di una rivoluzione che già sulla carta appariva come
una vetrata da scalare. Eppure, molti dei politici che vogliono
scaricare tutte le colpe sulla Giunta, con lo stesso indice accusatore
hanno schiacciato in Aula, più volte, il tasto “favorevole”.
Pigliaru, Arru e Moirano (rimarrà?) avranno a disposizione meno di un
anno per modellare le colonne della riforma. Ovvero, ridurre le spese
e aumentare la qualità dei servizi, abbattendo la babele nelle torri
locali del potere politico e sanitario, con Sassari caput mundi per la
gestione della salute dei sardi, dagli appalti ai concorsi.

Alla vigilia delle prossime regionali queste colonne reggeranno la nuova
sanità sarda? E schierando subito un altro Sansone sarebbe più facile
evitare il crollo? Pigliaru ha deciso di essersi guadagnato il diritto
di decidere, dopo quattro anni trascorsi a suonare, cantare e portare
la croce. Ha anche promesso di rottamare (licenza giornalistica,
questa sì) la macchina burocratica. Tifiamo per lui: lascerebbe una
grande eredità. Ci sarebbe poi la partita sull'Urbanistica. Certo, con
l'infermeria Dem sempre piena, non sarà facile vincerla.
Emanuele Dessì

Pd, svolta “sarda” per non morire?
Cambio al vertice rinviato all'assemblea regionale. L'area Soru non
vota la proposta del segretario
Cucca non si dimette. Al via un dibattito sull'autonomia da Roma

Giuseppe Meloni
INVIATO
ORISTANO I volti sono quelli di un popolo ferito, le parole tradiscono
il disorientamento. Era il partito così centrale nel quadro politico
italiano da essere «condannato a governare», come ricorda Francesco
Sanna: invece il 4 marzo ha scoperto che gli elettori hanno revocato
la condanna e pennellato un nuovo quadro, in cui il Pd è finito sullo
sfondo. Elemento di contorno del protagonismo altrui, come certi
avventori nei caffè dei dipinti impressionisti.

Logico, dopo un simile ribaltamento, avere difficoltà a ripartire. La
direzione regionale, convocata a Oristano per analizzare una sconfitta
ancora più grave di quella del Pd nazionale, discute per più di cinque
ore ma alla fine rinvia le decisioni drastiche. Il segretario Giuseppe
Luigi Cucca resta al suo posto: «Sono a disposizione di quel che
deciderà il partito», dice nella relazione iniziale, «ma non intendo
fare il capro espiatorio». Niente dimissioni.

LA DECISIONE Più avanti potranno anche arrivare, ma non prima che si
riunisca l'assemblea regionale, forse verso metà aprile. Per ora si
riparte da assemblee nei circoli e nelle federazioni provinciali, per
chiedere agli iscritti come rilanciare il partito: è la proposta
finale del segretario, approvata dalla direzione senza votazione
formale e col dissenso (ma reso esplicito solo dopo la fine della
riunione) dell'area Soru.

La sintesi di Cucca lascia una porta aperta anche all'unica proposta
concreta emersa dal dibattito, avanzata da Silvio Lai: quella di un
referendum tra gli iscritti sull'ipotesi di trasformare il Pd, in
Sardegna, in un partito federato ma distinto dal Partito democratico
italiano. Una proposta che, se accolta fino in fondo, potrebbe
risultare dirompente.

MEA CULPA Non dimettersi non significa però non fare autocritica:
nella relazione di Cucca ce n'è molta, sulle scelte a tutti i livelli.
«Non abbiamo elaborato politiche incisive per contrastare
nell'immediato l'assenza di lavoro, la crescita della povertà,
l'aumento delle disuguaglianze. Non siamo riusciti a restituire
speranza a chi l'aveva persa». Il punto, per Cucca, non è
l'imborghesimento del partito, ma l'incapacità di dare risposte
all'emergenza. In Italia e nell'Isola si è puntato «su riforme di
sistema e politiche di ampio raggio, anziché dare priorità alle
urgenze».

Ora bisogna «ricomporre i pezzi» e ripartire, anche con una svolta
generazionale («ai giovani dico: prendetevi gli spazi»). Cucca non
esclude cambi al vertice, ma richiama la decisione del reggente
nazionale, Maurizio Martina, di rimandare il congresso all'autunno e
congelare per ora le dimissioni dei segretari regionali. Quindi nessun
passo indietro immediato, ma una riflessione da condurre
nell'assemblea regionale: non prima però di quella nazionale, prevista
attorno al 7-8 aprile.

IL DIBATTITO Molti, a dire il vero, vorrebbero invece accelerare. I
più decisi a chiedere dimissioni subito sono i soriani, ma non solo.
Giuseppe Frau, che aveva già rivolto quell'invito a Cucca dimettendosi
dal proprio ruolo nella segreteria regionale, ora auspica che «la
nuova generazione trovi il coraggio per unirsi come non ha fatto
finora: organizziamo degli incontri per questo». Davide Carta ammette
che le responsabilità sono di tutti, ma al segretario dice: «Non ho
visto una tua presenza forte per rivitalizzare il dibattito interno».
Chiede le dimissioni anche Daniela Porru, mentre Laura Pisano fa un
ragionamento basato sul no ai doppi incarichi: «Giuseppe Luigi è
senatore, a noi serve un segretario che stia qui». Altri però non
approvano un gesto traumatico: Franco Sabatini per esempio invita a
riorganizzarsi per le Regionali, Gavino Manca ribadisce che «tutti
abbiamo colpe, ma ora non dobbiamo fare scelte affrettate e fuori
dalle regole nazionali».

Renato Soru fa un'analisi severa, «o cambiamo radicalmente linguaggi e
modalità o siamo perduti», e parla di «prepotenza» sulle recenti
candidature alle Politiche: «Non c'è stata la volontà di comprendere
tutti». Quanto a Cucca, «avrei preferito parole più chiare: dire che
il mandato è a disposizione non significa nulla. Renzi si è dimesso
subito».

LA SINTESI Giulio Calvisi chiede una spinta innovatrice («è una
sconfitta epocale, non come tante del passato»). Si parla anche della
Giunta regionale, e Antonio Solinas pensa che per il 2019 si dovrebbe
cercare un candidato alla presidenza diverso da Pigliaru. Qualcuno
parla di rimpasto. Siro Marrocu avverte però che «scaricare le colpe
sulla Giunta non ha senso».

Alla fine, su richiesta di Silvio Lai, dal documento conclusivo salta
il riferimento alla necessità di «individuare un candidato alla
presidenza». E così i popolari-riformisti non si oppongono alla
proposta Cucca, che passa senza la conta dei voti. Ma l'applauso della
platea è tiepido, e poi arriva la sconfessione dei soriani: «Per noi -
dice Francesco Sanna - il documento è totalmente insufficiente».

ASSEMINI. Amministrative: prima che la scelta cadesse su Licheri,
Puddu puntava su Mandas. M5s, candidatura con polemica
Non saranno in lista le pentastellate più votate cinque anni fa

Per un anno il sindaco M5s di Assemini, Mario Puddu, avrebbe lavorato
alla candidatura a primo cittadino dell'assessore all'Urbanistica
Gianluca Mandas, suo cugino, appoggiato da un gruppo di iscritti al
Pd. Il tutto sarebbe avvenuto alla luce del sole, con diversi incontri
in locali della città: lo sostengono fonti vicine al centrosinistra
che rivelano il retroscena dopo l'annuncio della candidatura a sindaca
per il Movimento 5 stelle di Sabrina Licheri, attuale presidente del
Consiglio comunale. Il suo nome era saltato fuori pochi giorni fa, per
risanare una presunta spaccatura tra i sostenitori di Mandas e quelli
vicini alla vicesindaca Jessica Mostallino.

SULL'AVENTINO Seppur appoggiata all'unanimità dal gruppo, la
candidatura di Licheri avrebbe tralasciato strascichi: gran parte dei
consiglieri avrebbe deciso di appoggiare la campagna elettorale ma di
non ripresentarsi in lista. Fra questi, la stessa Mostallino e
l'assessora alle Politiche sociali, Ivana Serra, le più votate nel
2013. A loro si aggiungono Mandas e l'assessore ai Lavori pubblici
Gianluca Di Gioia, già non candidati alle scorse elezioni.

VALUTAZIONI «Nei prossimi giorni valuteremo l'opportunità di
ripresentarmi», dice Mostallino. «C'è stata una discussione politica
emotivamente forte che ha generato sofferenza e stanchezza, per la
quale si è resa necessaria una soluzione che ci consentisse di uscire
dall'impasse. Faccio i migliori auguri a Sabrina e ringrazio chi mi ha
sostenuto».

A DISPOSIZIONE Mandas annuncia: «Non sarò in lista, così come nel
2013. La mia proposta era interscambiabile con quella di Licheri:
ritengo le mie competenze coincidenti con le sue. Ho ritenuto fosse il
tempo di avere un sindaco donna e appoggiato la candidatura di una
persona competente. Sono un assessore e credo sia giusto che in
Consiglio venga dato spazio a volti nuovi. Sono a disposizione
dell'amministrazione che verrà». L'assessore aggiunge: «Ho ragionato
sulla mia candidatura col gruppo, così come altri. Non abbiamo avuto
contrasti e tengo a precisare che non ho avuto dialoghi con iscritti
al Pd e sosterrò la campagna elettorale M5s».

UNANIMITÀ Interviene Puddu: «Non c'è stata nessuna esclusione e
abbiamo convenuto all'unanimità sulla candidatura di Sabrina: nessuna
spaccatura ma normali discussioni all'interno del gruppo. Ho pensato a
svolgere il mio ruolo di sindaco e parlato bene di alcuni componenti
del gruppo. Gli altri partiti pensino ai loro problemi, senza ficcare
il naso in casa nostra». Il sindaco conclude: «Sono felice della
candidatura. Licheri è la figura ideale p
er dare continuità alla mia
giunta».


La Nuova

Cucca congela le dimissioni «Ripartiamo dal basso»
Il segretario rimette il mandato all'assemblea che sarà convocata dopo Pasqua
Soru critico: stop alla stagione degli accordicchi. Lai: referendum
tra i circoli

di Umberto Aime
CAGLIARI

Se avessero consumato la loro prima direzione, dopo il disastro del 4
marzo, solo nell'analisi pignola del voto o nella caccia spietata e
fratricida ai colpevoli, quelli del Pd forse avrebbero meritato una
seconda punizione quasi corporale. Ancora più pesante del castigo
subìto nei seggi due domeniche fa. Spaventati come sono, invece, hanno
evitato di gettarsi fino in fondo nell'inferno del chi picchia più
duro e del «vediamo quanto resisti ai colpi e alle provocazioni». Alla
fine il segretario regionale Giuseppe Luigi Cucca non si è dimesso
seduta stante, come da giorni volevano in molti.

Dai soriani ai
popolari-riformisti, due correnti su tre, che erano pronti anche
sfiduciarlo. Ma non lo hanno fatto perché Cucca, comunque, ha messo
l'incarico nel congelatore: è stata questa la soluzione temporanea
costruita dal suo gruppo di renziani assieme agli ex Diesse. E gli
accusatori della vigilia si sono accontentati, forse per evitare che
il disastro avvenuto nei seggi si trasformasse in una catastrofe
casalinga e quotidiana. Quelli del Pd, in sostanza, non hanno pensato
solo a farsi la pelle, a strapparsela di dosso l'un l'altro. Seppure
fra molte difficoltà e tante differenze, si sono guardati dentro,
hanno ammesso gli errori fatti e quelli da non ripetere. Si sono
confrontati per oltre cinque ore di riunione a porte chiuse (ma si è
sentito tutto anche all'esterno) sul futuro che li terrorizza: «Se
continuiamo così, alle Regionali andremo sotto».

Dalle 10.30 in poi è
stata una lunga seduta psicoanalitica. Cominciata in uno stanzone
pieno come non mai e dentro cui ha pesato una tensione enorme che però
non è sfociata nella rissa. Giuseppe Luigi Cucca ha rimesso «il
mandato nelle mani dell'assemblea», che sarà convocata «subito dopo
Pasqua o al massimo a ridosso di quella nazionale, annunciata l'8
aprile», ma nel frattempo «dobbiamo riunire i circoli e le
federazioni», perché «è dal basso che dobbiamo ripartire» e non
«consumarci più nei nostri, soliti litigi, quelli che hanno reso
purtroppo ancora più devastante una sconfitta forse prevedibile ma non
nelle proporzioni del 4 marzo».

A far da scudo alla scelta delle
dimissioni congelate, è servito quanto imposto dal segretario
nazionale reggente, Maurizio Martina, che ha bloccato ogni eventuale
azzeramento per altre due settimane. «L'unico modo che abbiamo per
ripartire - uno dei passaggi della relazione di Cucca - è fare
autocritica e ricomporre i pezzi di un partito che non ha intercettato
i bisogni della gente, nonostante noi abbiamo messo sul tavolo i
fatti, ma hanno vinto le illusioni proposte da altri». È un qualcosa
che non deve riaccadere nelle Regionali - ha aggiunto - «per questo
dobbiamo assumerci oggi le responsabilità personali e collettive della
sconfitta, senza però cercare un capro espiatorio, che sia io o un
altro, questo è invece il momento di rinserrare le fila».

Il posto di
segretario è a disposizione dell'assemblea, ma «dal caos usciremo solo
se, con umiltà, saremo capaci di riportare l'armonia dentro il partito
e soprattutto, con coraggio, c'impegneremo di nuovo ad ascoltare gli
elettori, a ritornare a essere credibili nel proporre le soluzioni che
la gente si aspetta da noi». L'applauso è arrivato, anche se non da
tutta la platea.Il dibattito. Gli interventi sono stati ventuno, più
della metà degli aventi diritto. Franco Sabatini, sostenitore di
Cucca, ha detto: «La riflessione dev'essere seria, aprire uno scontro
interno infinito non servirebbe, cominciamo a parlare invece di come,
servono idee e progetti, e con chi, riaprendo il dialogo dentro e
fuori la coalizione del 2014, dobbiamo presentarci alle prossime
elezioni».

Per Giuseppe Frau, soriano, un punto di partenza dev'essere
la discontinuità: «Nel partito di sicuro ma anche nella giunta, perché
non ci soddisfa com'è stato svolto il mandato che abbiamo affidato al
presidente Pigliaru». Con Antonio Solinas, popolare-riformista, che ha
aggiunto: «Dobbiamo scegliere, non certo da soli, un nuovo candidato
presidente, non è proponibile una ricandidatura di Pigliaru». Siro
Marrocu, ex Diesse, è stato fra i primi a dire no ai processi, ma
anche allo scaricabarile: «Se finissimo in questo intreccio, vorrebbe
dire che la lezione non ci è servita». Ma attenzione, a non ragionare
solo sull'ultimo miglio, cioè gli undici mesi che mancano alle
Regionali.

«C'è una ricostruzione che va fatta mattone dopo mattone,
ma senza sostenere che tutto nel passato è stato sbagliato», ha
aggiunto il neo deputato Gavino Manca, renziano. Una delle prime
strade possibili l'ha tracciata l'ex senatore Silvio Lai,
popolare-riformista: «Lanciamo un referendum fra i circoli per sapere
quale sinistra vorrebbero e puntiamo alla nascita di un nuovo partito
sardo federato con il Pd nazionale, quindi più autonomo e capace di
essere concentrato sulla Sardegna e molto meno condizionato dalle
dinamiche nazionali».

Francesco Sanna, ex deputato dell'area soriana,
ha sottolineato che «dobbiamo essere capaci di salvarci da soli e non
aspettare che ci salvi Roma». Poi è stata la volta di Renato Soru:
«Rimettere il mandato, come ha detto Cucca, non vuol dir nulla. Se
vogliamo ricominciare, non è più la stagione delle politichette e
degli accordicchi, ci servono nuove strategie coinvolgenti». Che
«dobbiamo trovare insieme, non possiamo più permetterci divisioni,
sarebbe un suicidio», è stato l'allarme lanciato da Laura Pisano,
dalla deputata rieletta Romina Mura e dalla consigliere regionale
Daniela Forma. Allo scoccare della quinta ora abbondante, è passata la
linea del rivedersi al più presto in assemblea, ma senza che la
decisione fosse votata ed è stato un bene altrimenti, allora sì, che
sarebbe scoppiata la rissa.


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Federico Marini
skype: federico1970ca


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