L'idea di
Silvio Lai. Simbolo diverso sul modello del Trentino
Forse non tutti hanno afferrato la
reale portata della proposta avanzata ieri da Silvio Lai nella direzione
regionale. L'ex segretario suggerisce di chiedere agli iscritti, con un
referendum, il consenso alla creazione di un partito sardo federato col Pd nazionale.
E fa riferimento all'articolo 13 dello statuto nazionale, che prevede una situazione
particolare nelle regioni speciali, come la Sardegna. Non si tratta di
aggiungere l'aggettivo «sardo» al nome: si potrebbe arrivare a un nome e un
simbolo diversi da quelli attuali. Alle Politiche e alle Europee resterebbe il
simbolo nazionale. Ma alle Regionali, per esempio, non ci sarebbe il
contrassegno del Pd, bensì quello del partito federato. Il modello è quello del
Trentino-Alto Adige.
«Il referendum potrebbe sancire
l'avvio di un percorso verso un partito regionale della sinistra, utile per
ricucire con il polo autonomista e riaprire il confronto con le forze alla
nostra sinistra», dice Lai. Senza questa svolta, a suo giudizio, il Pd sardo rischia
di perdere altri consensi alle Regionali, rispetto al 14% delle Politiche,
anche perché ci saranno più partiti a fare concorrenza.
«Le buone politiche sviluppate
dall'azione positiva della Giunta Pigliaru sono finite in secondo piano
travolte dal dibattito nazionale», conclude Lai: «Serve una svolta per un nuovo
soggetto che vada oltre il Pd, rivolto a sinistra e indipendente dalle
dinamiche nazionali, che sia più concentrato
sui temi dello sviluppo della Regione». (g. m.)
Unione
Sarda
La
trincea di Pigliaru - «No al rimpasto»
di
Emanuele Dessì
Mettiamoci nei panni di Francesco
Pigliaru. Ha suonato, cantato e
portato la croce per quattro anni,
ma a un quarto d'ora dalla fine
qualcuno vorrebbe affidargli
un'altra squadra. Qualcuno chi? Buona
parte del Pd. Un partito diviso alla
meta il 4 marzo ma, prima ancora
della disfatta, dilaniato dai mal di
pancia. Romani e fiorentini,
certo, ma soprattutto sardi.
Molti ricorderanno l'arrivo del
professore nella sede della
direzione del Partito democratico, a
Oristano. Era la notte della Befana
2014. Pigliaru era stato accolto
come il Mourinho del triplete dopo
che il derby tra le correnti Dem
finì zero a zero, lasciando però
molti infortunati sul campo.
«Possiamo vincere», disse subito un
profetico Pigliaru. Non è stata
una legislatura in discesa, ma il
presidente della Regione, nonostante
lo tsunami di due settimane fa, ha
deciso che terrà duro, tanto più
perché non ha velleità di
ricandidatura. Messaggio agli alleati,
Pd in testa: va bene farsi del male
da soli (succede in tutte le famiglie,
pensate a Cappellacci e Pili alle
ultime regionali), ma rischiare di
crollare prima del 2019, per il
centrosinistra sardo, sarebbe da
dilettanti della politica, visto lo
scenario. Il trionfo dei Cinque
Stelle, con dieci punti percentuali
in più rispetto alla media
nazionale, dice - anche - che i
sardi non hanno apprezzato il gioco di
squadra di Giunta e Consiglio. Non è
forse la coalizione tutta ad
avere approvato l'Azienda unica per
la tutela della salute? Disse sì
anche l'ala più a sinistra, passata
all'incasso con il Reis, il
Reddito di inclusione sociale,
ribattezzato in via Roma “Agiudu
torrau”. È il nome ufficiale, è
scritto sui documenti, non è una
licenza giornalistica. Dall'Ats alla
riforma della rete ospedaliera il
passo è stato necessario e
inevitabile.
Il resto è cronaca di tutti i
giorni, alibi di ferro per la
tranvata, a sentire molti politici del
centrosinistra: hanno l'indice
puntato contro il presidente,
l'assessore alla Sanità e i loro
manager. Oggi fa comodo indicarli
come i mandanti di una rivoluzione
che già sulla carta appariva come
una vetrata da scalare. Eppure,
molti dei politici che vogliono
scaricare tutte le colpe sulla
Giunta, con lo stesso indice accusatore
hanno schiacciato in Aula, più
volte, il tasto “favorevole”.
Pigliaru, Arru e Moirano (rimarrà?)
avranno a disposizione meno di un
anno per modellare le colonne della
riforma. Ovvero, ridurre le spese
e aumentare la qualità dei servizi,
abbattendo la babele nelle torri
locali del potere politico e
sanitario, con Sassari caput mundi per la
gestione della salute dei sardi,
dagli appalti ai concorsi.
Alla vigilia delle prossime
regionali queste colonne reggeranno la nuova
sanità sarda? E schierando subito un
altro Sansone sarebbe più facile
evitare il crollo? Pigliaru ha
deciso di essersi guadagnato il diritto
di decidere, dopo quattro anni
trascorsi a suonare, cantare e portare
la croce. Ha anche promesso di
rottamare (licenza giornalistica,
questa sì) la macchina burocratica.
Tifiamo per lui: lascerebbe una
grande eredità. Ci sarebbe poi la
partita sull'Urbanistica. Certo, con
l'infermeria Dem sempre piena, non
sarà facile vincerla.
Emanuele Dessì
Pd,
svolta “sarda” per non morire?
Cambio al
vertice rinviato all'assemblea regionale. L'area Soru non
vota la
proposta del segretario
Cucca non
si dimette. Al via un dibattito sull'autonomia da Roma
Giuseppe Meloni
INVIATO
ORISTANO I volti sono quelli di un
popolo ferito, le parole tradiscono
il disorientamento. Era il partito
così centrale nel quadro politico
italiano da essere «condannato a
governare», come ricorda Francesco
Sanna: invece il 4 marzo ha scoperto
che gli elettori hanno revocato
la condanna e pennellato un nuovo
quadro, in cui il Pd è finito sullo
sfondo. Elemento di contorno del
protagonismo altrui, come certi
avventori nei caffè dei dipinti
impressionisti.
Logico, dopo un simile ribaltamento,
avere difficoltà a ripartire. La
direzione regionale, convocata a
Oristano per analizzare una sconfitta
ancora più grave di quella del Pd
nazionale, discute per più di cinque
ore ma alla fine rinvia le decisioni
drastiche. Il segretario Giuseppe
Luigi Cucca resta al suo posto:
«Sono a disposizione di quel che
deciderà il partito», dice nella
relazione iniziale, «ma non intendo
fare il capro espiatorio». Niente
dimissioni.
LA DECISIONE Più avanti potranno
anche arrivare, ma non prima che si
riunisca l'assemblea regionale,
forse verso metà aprile. Per ora si
riparte da assemblee nei circoli e
nelle federazioni provinciali, per
chiedere agli iscritti come
rilanciare il partito: è la proposta
finale del segretario, approvata
dalla direzione senza votazione
formale e col dissenso (ma reso
esplicito solo dopo la fine della
riunione) dell'area Soru.
La sintesi di Cucca lascia una porta
aperta anche all'unica proposta
concreta emersa dal dibattito,
avanzata da Silvio Lai: quella di un
referendum tra gli iscritti
sull'ipotesi di trasformare il Pd, in
Sardegna, in un partito federato ma
distinto dal Partito democratico
italiano. Una proposta che, se
accolta fino in fondo, potrebbe
risultare dirompente.
MEA CULPA Non dimettersi non
significa però non fare autocritica:
nella relazione di Cucca ce n'è
molta, sulle scelte a tutti i livelli.
«Non abbiamo elaborato politiche
incisive per contrastare
nell'immediato l'assenza di lavoro,
la crescita della povertà,
l'aumento delle disuguaglianze. Non
siamo riusciti a restituire
speranza a chi l'aveva persa». Il
punto, per Cucca, non è
l'imborghesimento del partito, ma
l'incapacità di dare risposte
all'emergenza. In Italia e
nell'Isola si è puntato «su riforme di
sistema e politiche di ampio raggio,
anziché dare priorità alle
urgenze».
Ora bisogna «ricomporre i pezzi» e
ripartire, anche con una svolta
generazionale («ai giovani dico:
prendetevi gli spazi»). Cucca non
esclude cambi al vertice, ma
richiama la decisione del reggente
nazionale, Maurizio Martina, di
rimandare il congresso all'autunno e
congelare per ora le dimissioni dei
segretari regionali. Quindi nessun
passo indietro immediato, ma una
riflessione da condurre
nell'assemblea regionale: non prima
però di quella nazionale, prevista
attorno al 7-8 aprile.
IL DIBATTITO Molti, a dire il vero,
vorrebbero invece accelerare. I
più decisi a chiedere dimissioni
subito sono i soriani, ma non solo.
Giuseppe Frau, che aveva già rivolto
quell'invito a Cucca dimettendosi
dal proprio ruolo nella segreteria
regionale, ora auspica che «la
nuova generazione trovi il coraggio
per unirsi come non ha fatto
finora: organizziamo degli incontri
per questo». Davide Carta ammette
che le responsabilità sono di tutti,
ma al segretario dice: «Non ho
visto una tua presenza forte per
rivitalizzare il dibattito interno».
Chiede le dimissioni anche Daniela
Porru, mentre Laura Pisano fa un
ragionamento basato sul no ai doppi
incarichi: «Giuseppe Luigi è
senatore, a noi serve un segretario
che stia qui». Altri però non
approvano un gesto traumatico:
Franco Sabatini per esempio invita a
riorganizzarsi per le Regionali,
Gavino Manca ribadisce che «tutti
abbiamo colpe, ma ora non dobbiamo
fare scelte affrettate e fuori
dalle regole nazionali».
Renato Soru fa un'analisi severa, «o
cambiamo radicalmente linguaggi e
modalità o siamo perduti», e parla
di «prepotenza» sulle recenti
candidature alle Politiche: «Non c'è
stata la volontà di comprendere
tutti». Quanto a Cucca, «avrei
preferito parole più chiare: dire che
il mandato è a disposizione non
significa nulla. Renzi si è dimesso
subito».
LA SINTESI Giulio Calvisi chiede una
spinta innovatrice («è una
sconfitta epocale, non come tante
del passato»). Si parla anche della
Giunta regionale, e Antonio Solinas
pensa che per il 2019 si dovrebbe
cercare un candidato alla presidenza
diverso da Pigliaru. Qualcuno
parla di rimpasto. Siro Marrocu
avverte però che «scaricare le colpe
sulla Giunta non ha senso».
Alla fine, su richiesta di Silvio
Lai, dal documento conclusivo salta
il riferimento alla necessità di
«individuare un candidato alla
presidenza». E così i
popolari-riformisti non si oppongono alla
proposta Cucca, che passa senza la
conta dei voti. Ma l'applauso della
platea è tiepido, e poi arriva la
sconfessione dei soriani: «Per noi -
dice Francesco Sanna - il documento
è totalmente insufficiente».
ASSEMINI.
Amministrative: prima che la scelta cadesse su Licheri,
Puddu
puntava su Mandas. M5s, candidatura con polemica
Non
saranno in lista le pentastellate più votate cinque anni fa
Per un anno il sindaco M5s di
Assemini, Mario Puddu, avrebbe lavorato
alla candidatura a primo cittadino
dell'assessore all'Urbanistica
Gianluca Mandas, suo cugino,
appoggiato da un gruppo di iscritti al
Pd. Il tutto sarebbe avvenuto alla
luce del sole, con diversi incontri
in locali della città: lo sostengono
fonti vicine al centrosinistra
che rivelano il retroscena dopo
l'annuncio della candidatura a sindaca
per il Movimento 5 stelle di Sabrina
Licheri, attuale presidente del
Consiglio comunale. Il suo nome era
saltato fuori pochi giorni fa, per
risanare una presunta spaccatura tra
i sostenitori di Mandas e quelli
vicini alla vicesindaca Jessica
Mostallino.
SULL'AVENTINO Seppur appoggiata
all'unanimità dal gruppo, la
candidatura di Licheri avrebbe
tralasciato strascichi: gran parte dei
consiglieri avrebbe deciso di
appoggiare la campagna elettorale ma di
non ripresentarsi in lista. Fra
questi, la stessa Mostallino e
l'assessora alle Politiche sociali,
Ivana Serra, le più votate nel
2013. A loro si aggiungono Mandas e
l'assessore ai Lavori pubblici
Gianluca Di Gioia, già non candidati
alle scorse elezioni.
VALUTAZIONI «Nei prossimi giorni
valuteremo l'opportunità di
ripresentarmi», dice Mostallino.
«C'è stata una discussione politica
emotivamente forte che ha generato
sofferenza e stanchezza, per la
quale si è resa necessaria una
soluzione che ci consentisse di uscire
dall'impasse. Faccio i migliori
auguri a Sabrina e ringrazio chi mi ha
sostenuto».
A DISPOSIZIONE Mandas annuncia: «Non
sarò in lista, così come nel
2013. La mia proposta era
interscambiabile con quella di Licheri:
ritengo le mie competenze
coincidenti con le sue. Ho ritenuto fosse il
tempo di avere un sindaco donna e
appoggiato la candidatura di una
persona competente. Sono un
assessore e credo sia giusto che in
Consiglio venga dato spazio a volti
nuovi. Sono a disposizione
dell'amministrazione che verrà».
L'assessore aggiunge: «Ho ragionato
sulla mia candidatura col gruppo,
così come altri. Non abbiamo avuto
contrasti e tengo a precisare che
non ho avuto dialoghi con iscritti
al Pd e sosterrò la campagna
elettorale M5s».
UNANIMITÀ Interviene Puddu: «Non c'è
stata nessuna esclusione e
abbiamo convenuto all'unanimità
sulla candidatura di Sabrina: nessuna
spaccatura ma normali discussioni
all'interno del gruppo. Ho pensato a
svolgere il mio ruolo di sindaco e
parlato bene di alcuni componenti
del gruppo. Gli altri partiti
pensino ai loro problemi, senza ficcare
il naso in casa nostra». Il sindaco
conclude: «Sono felice della
candidatura. Licheri è la figura
ideale p
er dare continuità alla mia
giunta».
La
Nuova
Cucca
congela le dimissioni «Ripartiamo dal basso»
Il
segretario rimette il mandato all'assemblea che sarà convocata dopo Pasqua
Soru
critico: stop alla stagione degli accordicchi. Lai: referendum
tra i
circoli
di Umberto Aime
CAGLIARI
Se avessero consumato la loro prima
direzione, dopo il disastro del 4
marzo, solo nell'analisi pignola del
voto o nella caccia spietata e
fratricida ai colpevoli, quelli del
Pd forse avrebbero meritato una
seconda punizione quasi corporale.
Ancora più pesante del castigo
subìto nei seggi due domeniche fa.
Spaventati come sono, invece, hanno
evitato di gettarsi fino in fondo
nell'inferno del chi picchia più
duro e del «vediamo quanto resisti
ai colpi e alle provocazioni». Alla
fine il segretario regionale
Giuseppe Luigi Cucca non si è dimesso
seduta stante, come da giorni
volevano in molti.
Dai soriani ai
popolari-riformisti, due correnti su
tre, che erano pronti anche
sfiduciarlo. Ma non lo hanno fatto
perché Cucca, comunque, ha messo
l'incarico nel congelatore: è stata
questa la soluzione temporanea
costruita dal suo gruppo di renziani
assieme agli ex Diesse. E gli
accusatori della vigilia si sono
accontentati, forse per evitare che
il disastro avvenuto nei seggi si
trasformasse in una catastrofe
casalinga e quotidiana. Quelli del
Pd, in sostanza, non hanno pensato
solo a farsi la pelle, a
strapparsela di dosso l'un l'altro. Seppure
fra molte difficoltà e tante
differenze, si sono guardati dentro,
hanno ammesso gli errori fatti e
quelli da non ripetere. Si sono
confrontati per oltre cinque ore di
riunione a porte chiuse (ma si è
sentito tutto anche all'esterno) sul
futuro che li terrorizza: «Se
continuiamo così, alle Regionali
andremo sotto».
Dalle 10.30 in poi è
stata una lunga seduta
psicoanalitica. Cominciata in uno stanzone
pieno come non mai e dentro cui ha
pesato una tensione enorme che però
non è sfociata nella rissa. Giuseppe
Luigi Cucca ha rimesso «il
mandato nelle mani dell'assemblea»,
che sarà convocata «subito dopo
Pasqua o al massimo a ridosso di
quella nazionale, annunciata l'8
aprile», ma nel frattempo «dobbiamo
riunire i circoli e le
federazioni», perché «è dal basso
che dobbiamo ripartire» e non
«consumarci più nei nostri, soliti
litigi, quelli che hanno reso
purtroppo ancora più devastante una
sconfitta forse prevedibile ma non
nelle proporzioni del 4 marzo».
A far da scudo alla scelta delle
dimissioni congelate, è servito
quanto imposto dal segretario
nazionale reggente, Maurizio
Martina, che ha bloccato ogni eventuale
azzeramento per altre due settimane.
«L'unico modo che abbiamo per
ripartire - uno dei passaggi della
relazione di Cucca - è fare
autocritica e ricomporre i pezzi di
un partito che non ha intercettato
i bisogni della gente, nonostante
noi abbiamo messo sul tavolo i
fatti, ma hanno vinto le illusioni
proposte da altri». È un qualcosa
che non deve riaccadere nelle
Regionali - ha aggiunto - «per questo
dobbiamo assumerci oggi le
responsabilità personali e collettive della
sconfitta, senza però cercare un
capro espiatorio, che sia io o un
altro, questo è invece il momento di
rinserrare le fila».
Il posto di
segretario è a disposizione
dell'assemblea, ma «dal caos usciremo solo
se, con umiltà, saremo capaci di
riportare l'armonia dentro il partito
e soprattutto, con coraggio,
c'impegneremo di nuovo ad ascoltare gli
elettori, a ritornare a essere
credibili nel proporre le soluzioni che
la gente si aspetta da noi».
L'applauso è arrivato, anche se non da
tutta la platea.Il dibattito. Gli
interventi sono stati ventuno, più
della metà degli aventi diritto.
Franco Sabatini, sostenitore di
Cucca, ha detto: «La riflessione
dev'essere seria, aprire uno scontro
interno infinito non servirebbe,
cominciamo a parlare invece di come,
servono idee e progetti, e con chi,
riaprendo il dialogo dentro e
fuori la coalizione del 2014,
dobbiamo presentarci alle prossime
elezioni».
Per Giuseppe Frau, soriano, un punto
di partenza dev'essere
la discontinuità: «Nel partito di
sicuro ma anche nella giunta, perché
non ci soddisfa com'è stato svolto
il mandato che abbiamo affidato al
presidente Pigliaru». Con Antonio
Solinas, popolare-riformista, che ha
aggiunto: «Dobbiamo scegliere, non
certo da soli, un nuovo candidato
presidente, non è proponibile una
ricandidatura di Pigliaru». Siro
Marrocu, ex Diesse, è stato fra i
primi a dire no ai processi, ma
anche allo scaricabarile: «Se
finissimo in questo intreccio, vorrebbe
dire che la lezione non ci è
servita». Ma attenzione, a non ragionare
solo sull'ultimo miglio, cioè gli
undici mesi che mancano alle
Regionali.
«C'è una ricostruzione che va fatta
mattone dopo mattone,
ma senza sostenere che tutto nel
passato è stato sbagliato», ha
aggiunto il neo deputato Gavino
Manca, renziano. Una delle prime
strade possibili l'ha tracciata l'ex
senatore Silvio Lai,
popolare-riformista: «Lanciamo un
referendum fra i circoli per sapere
quale sinistra vorrebbero e puntiamo
alla nascita di un nuovo partito
sardo federato con il Pd nazionale,
quindi più autonomo e capace di
essere concentrato sulla Sardegna e
molto meno condizionato dalle
dinamiche nazionali».
Francesco Sanna, ex deputato
dell'area soriana,
ha sottolineato che «dobbiamo essere
capaci di salvarci da soli e non
aspettare che ci salvi Roma». Poi è
stata la volta di Renato Soru:
«Rimettere il mandato, come ha detto
Cucca, non vuol dir nulla. Se
vogliamo ricominciare, non è più la
stagione delle politichette e
degli accordicchi, ci servono nuove
strategie coinvolgenti». Che
«dobbiamo trovare insieme, non
possiamo più permetterci divisioni,
sarebbe un suicidio», è stato
l'allarme lanciato da Laura Pisano,
dalla deputata rieletta Romina Mura e
dalla consigliere regionale
Daniela Forma. Allo scoccare della
quinta ora abbondante, è passata la
linea del rivedersi al più presto in
assemblea, ma senza che la
decisione fosse votata ed è stato un
bene altrimenti, allora sì, che
sarebbe scoppiata la rissa.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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