Salvini:
«Noi siamo pronti Premier al centrodestra». Giorgetti apre al reddito di cittadinanza:
«Vediamo se declinarlo in altro modo» Meloni: «Cerchiamo una cinquantina di
voti». Alta tensione in Forza Italia. di Francesca Chiri
«Parlo con tutti». È il mantra di
Luigi Di Maio che da giorni, e tanto più all'indomani del patto di ferro
stretto con la Lega sulle Presidenze, non intende affatto restare imbrigliato
nella rete di un'alleanza di governo con Matteo Salvini. Una cosa è l'accordo
per le Camere, un'altra il governo, ripete il candidato premier del M5s che sembra
consigliare di non fidarsi della fin troppo facile equazione tra l'accordo
istituzionale e quello politico. «Lasciatelo lavorare bene, in pace,
tranquillo» chiede Beppe Grillo, soddisfatto per i termini dell'intesa
raggiunta fin qui, o perlomeno del ribilanciamento ottenuto con la nomina di
Roberto Fico, «una persona straordinaria».
Di Maio ha inoltre convinto il
garante del M5s sull'affidabilità del Carroccio. «Salvini è uno che quando dice
una cosa la mantiene, il che è una cosa rara» ripete il fondatore del Movimento
riprendendo l'ammissione del candidato premier: «Salvini ha dimostrato di
essere una persona che sa mantenere la parola data» dice dopo aver festeggiato
nella notte l'elezione di Fico con Di Maio, Alessandro Di Battista e, tra gli
altri, l'ex candidato Riccardo Fraccaro. Ma un governo con il Carroccio sarebbe
altro. C'è il nodo di Forza Italia, con cui Salvini non può rompere anche per
non danneggiare le amministrazioni governate dal centrodestra e quello
dell'ingombrante figura di Silvio Berlusconi.
E c'è il nodo Movimento dove,
nonostante le lodi di Di Maio e Grillo e dopo aver digerito il voto alla Casellati,
la prospettiva di un'alleanza in salsa leghista è difficile da mandare giù. Ne
è convinto, ad esempio, Marco Travaglio, direttore del quotidiano a cui
guardano di più gli elettori «grillini». «Se facessero un governo insieme, i 5
stelle sarebbero linciati sulla pubblica piazza» è convinto. Anche gli iscritti
al Movimento che commentano le parole di Di Maio sul blog sono divisi.
«Benissimo usare la Lega, ma enorme
attenzione... a non farsi usare da essa» mette in guardia Di Maio un iscritto.
La senatrice Paola Nugnes lo sottolinea: per le presidenze si è votato «nel
rispetto della volontà popolare» senza «alcun inciucio», «bisogna rimarcare con
forza che queste scelte non hanno nessuna implicazione per la formazione del
futuro governo».
Anche il segretario reggente del Pd
li incalza: «Per i 5 Stelle è la perdita dell'innocenza, perché hanno siglato
un'intesa con Berlusconi» dice Maurizio Martina. Ma il tempo lavorerà per una
soluzione: così come ha reso possibile la quadratura dell'accordo con il
Carroccio che sembrava impossibile, ora potrebbe portare a diversi consigli il
Pd. Oppure spianare la strada ad un governo di tutti. Per ora è tempo di festeggiare
l'elezione di Fico: Alessandro Di Battista è commosso: «la giornata di ieri
resterà nella storia» e Fico «è il M5s fatta persona, è l'etica fatta persona:
se lo merita».
E il neopresidente della Camera non
intende deludere i 5 Stelle e adotta subito un profilo sobrio: giornata in
famiglia e rientro a Napoli in seconda classe. «C'è un affetto delle persone
che mi commuove. È un bel momento per il Paese», assicura.
La
Nuova
L'ex
senatore di Cp dopo il ko: «Puniti per le troppe questioni
aperte:
dall'insularità alle entrate»
Uras: la
sinistra deve riprendere ad ascoltare
CAGLIARI
La batosta di marzo è alle spalle,
ma fa male ancora. Ad ammetterlo è
l'ex senatore Luciano Uras. Alle
Politiche era candidato come
indipendente nel Pd visto che è e
continua a essere un portavoce di
Campo progressista. Ma anche lui,
come tutto il centrosinistra, ha
preso una legnata: solo terzo
classificato.
Peggio di così.«Mi
piacerebbe non iniziare dalla
sconfitta dell'intero centrosinistra, o
dal disastro della sinistra divisa e
auto-dissolta. Preferirei parlare
dei valori che dobbiamo riaffermare
e difendere, dei bisogni dei sardi
e del destino della Sardegna».Un
attimo, il crollo poteva essere
evitato: sì o no?«Non amo ritirarmi
nel momento delle difficoltà. Per
questo ho accettato la candidatura
conoscendo bene dati e sondaggi.
Per me sarebbe stato facile stare a
guardare e poi giudicare. Ma non è
nel mio stile».È caccia ai
colpevoli.
«Le elezioni non sono una
lotteria fra i partiti, riguardano i
cittadini. Per questo mi
preoccupa non la sconfitta, ma le
conseguenze delle nostre
insufficienze fra e con la
gente».Che sono state?«Potrei riassumerle
così. Ci siamo isolati e alla fine
ci hanno etichettato come un corpo
estraneo. Alcuni del centrosinistra
sono stati considerati non più
portatori dell'uguaglianza, ma della
disuguaglianza, e per questo alla
fine siamo stati
travolti».Ricostruire non sarà facile.
«Campo progressista è già al lavoro.
Sabato, a Cagliari, abbiamo organizzato
un'iniziativa con un solo obiettivo:
reagire».Soprattutto in casa.«Noi
ci siamo fatti avanti con il nostro
progetto per la Sardegna. A
presentarlo è stato un gruppo di
giovani donne ed è un altro segnale
di cambiamento».Il secondo passo
sarà?«Ritrovare l'unità del e nel
centrosinistra. È questo il primo
valore da riconquistare».Campo
progressista risorge. «Sì, per
ricostruire una coalizione che in
Sardegna si colora della cultura
autonomista, del sardismo
democratico, di forze serie per
l'autogoverno e personalità dallo
spirito indomito».Le macerie sono
troppe.«Purtroppo giunta, Consiglio
e tutto il centrosinistra non sono
riusciti a convincere gli elettori.
E questo non è colpa dei sardi.
Troppe questioni aperte».Ad
esempio?«Il mancato riconoscimento
della condizione di insularità che
colpisce i diritti dei sardi come
cittadini europei».C'è dell'altro di
sicuro.«È sempre aperta la vertenza
con lo Stato. Nella Legge di
bilancio del governo sono stati
stanziati 15 milioni di simbolica
caparra a giusta memoria della
trattativa che dovrà esserci fra
governo e Regione sugli
accantonamenti. Pigliaru ha fatto bene ad
opporsi all'ultima Legge di stabilità.
Però avrebbe fatto ancora
meglio se, a suo tempo, non avesse
rinunciato al contenzioso già
aperto con Roma».
Cosa non deve più accadere?«Che a
fronte di tante
iniziative legislative e finanziarie
a favore della nostra economia ci
sia un rapporto difficile con i
sardi che lavorano e fanno impresa.
Non potrà neanche più accadere che
quanti vivono nella povertà si
sentano abbandonati dal
centrosinistra. Dobbiamo riprendere ad
ascoltare e condividere problemi e
soluzioni».Chi sarà il vostro
candidato?«Prima di tutto la
coalizione dovrà deciderne le
caratteristiche e dopo cercare la
donna o l'uomo giusto».Proporrete
Massimo Zedda?«Fino al 2021 è
impegnato nel costruire la città
metropolitana di Cagliari».Allora
chi?«Non è il momento delle
lotterie. Oggi ho una sola certezza
ed è questa: Francesco Pigliaru
sarà il governatore fino al 2019».
(ua)
Il
presidente del consiglio regionale racconta l'attualità dello
Statuto
speciale:
l'isola
deve ancora mettere in pratica in modo completo un testo fondamentale
Ganau:
una Carta viva difende i diritti dei sardi
di Luca RojchwSASSARINon scivola
sulla retorica della celebrazione. Il
presidente del Consiglio regionale
Gianfranco Ganau spiega perché lo
Statuto sardo è vivo, dinamico,
pulsante. Non carta ingiallita dai 70
anni di età, ma uno specchio della
realtà. Uno strumento che i sardi
possono usare per far crescere la
loro isola. La Regione ha deciso di
celebrare in modo speciale i 70 anni
dello Statuto. Un nuovo logo e
una serie di manifestazioni che
hanno un obiettivo. Dimostrare il
valore fondamentale che questa sorta
di costituzione sarda ha per
l'isola. Una sorta di testo in cui
sono già rivendicati molti dei
diritti che i sardi vogliono avere
dallo Stato e dall'Europa.
Presidente perché è importante
ancora oggi parlare di autonomia in
Sardegna?«Per prima cosa perché non
è stato un regalo, ma il
riconoscimento della specialità
della Sardegna. Uno status che deriva
da una serie di motivi che
caratterizzavano l'isola 70 anni fa. Il
forte autonomismo, la distanza dal
resto della penisola,
l'arretratezza economica e sociale,
la difficoltà dei collegamenti.
Aspetti che la ponevano in una
condizione oggettiva di isolamento.
Motivi che mettevano in primo piano
la necessità di avere il
riconoscimento di una specialità».
Il messaggio è ancora
attuale?«Certo. La specialità è un
valore attuale. Perché lo Statuto e
l'autonomia ci consentono di
affrontare una condizione che vede la
Sardegna ancora distante rispetto al
resto dell'Italia. Basta pensare
alla difficoltà nei trasporti. Anche
quelli interni. L'isola è lontana
rispetto al resto dell'Italia, ma è
anche difficile muoversi dentro la
Sardegna. L'energia rimane ancora un
ostacolo allo sviluppo delle
imprese. Siamo l'unica regione senza
il metano. Abbiamo un forte
deficit di infrastrutture che hanno
come prima conseguenza una forte
difficoltà anche di collegamenti
interni. Un esempio su tutti è
costituito dalla rete ferroviaria. È
stata abbandonata per oltre 50
anni. Se si fissa a 100 lo standard
nazionale di qualità la Sardegna è
a 17,5. Ma ci sono altri indicatori
poco confortanti.
Il tasso di disoccupazione giovanile
è al 56 per cento, il più alto in Italia.
Quello di dispersione scolastica è
al 18 per cento. Per non parlare
della mancanza di una vera
continuità territoriale marittima e aerea
pe le persone e le merci. Ecco che
ancora oggi l'isola vive una
condizione di forte difficoltà.
Questo la porta a trovare ancora nelle
rivendicazioni presenti nello
Statuto uno strumento attuale, anche a
70 di distanza».Molte Regioni, come
Lombardia e Veneto, cercano il
riconoscimento di una loro
autonomia. Oggi ha ancora senso lo statuto
speciale per la Sardegna?«Su questo
si deve essere chiari e fa testo
quello che dice il titolo V della
Costituzione sulla cui base queste
regioni hanno fatto il referendum.
Non sono nuove regioni speciali, ma
chiedono maggiore autonomia.
Vogliono un tipo di regionalismo diverso
che risponda meglio alle esigenze
dei loro territori. Ma non chiedono
di diventare regioni a statuto speciale.
C'è un aspetto sbagliato
nell'operazione portata avanti da
Lombardia e Veneto che riguarda la
cancellazione della solidarietà tra
le Regioni, uno dei pilastri della
Costituzione». Alcuni sostengono che
lo statuto non sia stato attuato
appieno. È così?«Sì, ci sono alcune
parti che non state sviluppate e
applicate fino in fondo. Serve una
piena attuazione dello Statuto
speciale. Forse è più importante
questo aspetto che le richieste di
modifiche che possono essere
ottenute con altre strade. Come per
esempio il riconoscimento
dell'insularità». Secondo lei lo Statuto
andrebbe aggiornato?«Ci sono parti
che andrebbero potenziate. Non per
esempio presente il tema del diritto
alla mobilità, il tema dei
collegamenti interni, quello delle
reti energetiche. È superficiale su
argomenti fondamentali come scuola,
educazione, lingua. Mancano temi
che 70 anni fa non esistevano come
le reti digitali e internet. Manca
un riferimento all'eccesso di
servitù militari che l'isola deve
sopportare. Da sola la Sardegna ne
ospita oltre il 60 per cento del
totale nazionale. Per questo
servirebbe un adeguamento, ma in questo
momento non ci sono le condizioni
politiche.
Ma lo Statuto resta uno
strumento preziosissimo. Grazie a
questo sono stati avviati i piani di
rinascita. Ci ha consentito di
superare l'analfabetismo, la povertà
diffusa, sconfiggere le malattie. Ha
consentito di affrontare e
superare gli squilibri socio
economici dell'isola. E mette le basi
perché questa condizione possa
essere rivendicata ancora oggi. Nel
1944 il commissario speciale
raccontava che il popolo era nudo e
scalzo. Denunciava una situazione di
arretratezza drammatica. Grazie
allo statuto la Sardegna è uscita
dal medioevo ed è entrata nell'era
moderna. Ma restano criticità». Oggi
si parla molto di principio di
insularità, secondo lei è il tema
centrale per il futuro
dell'isola?«Assolutamente sì. Io ho
anche firmato per il referendum
che chiede il riconoscimento
dell'insularità per la Sardegna. Credo
che il tema identitario vada portato
avanti.
È una battaglia giusta.
L'essere isola condiziona il nostro
sviluppo. Deve essere consentito
alla Regione di agire anche con
interventi straordinari per colmare
questo gap. Siamo l'unica regione di
Italia senza metano. Questo
penalizza le nostre imprese e ne
mina la competitività». Mi pare che
anche il rapporto con l'Europa sia
spesso complicato.«Oggettivamente
ci sono difficoltà. Spesso siamo
trattati come se avessimo possibilità
alternative per spostarci. Ma la
nostra condizione di isola e il
nostro diritto alla mobilità devono
essere garantiti. Per questo la
battaglia sull'insularità deve
essere portata avanti, anche in
Europa». Serve un nuovo piano di
rinascita per superare i gap
dell'isola?«Non lo chiamerei cosi,
certo esiste un Patto per la
Sardegna che è sostenuto anche dallo
Statuto.
Un documento in cui lo
Stato riconosce il gap
infrastrutturale dell'isola e si impegna in
modo concreto, con risorse e
obiettivi, per colmarlo. Credo che questo
da solo sia sufficiente per dimostrare
l'attualità e la forza dello
Statuto. Ecco perché ne celebriamo i
70 anni. Ecco perché porteremo
avanti una serie di manifestazioni
per festeggiare questa nostra
Carta. E faccio una piccola
anticipazione. Il 28 aprile, il giorno di
Sa die de sa Sardigna, faremo un
regalo a tutti i sardi. Qualcosa che
unirà le nostre radici alla
contemporaneità, proprio come il nostro
Statuto».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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