Unione
sarda.
Legge
elettorale "congelata" A 10 mesi dalle Regionali è stallo, ma dopo
Pasqua riprenderà la discussione
Non è dimenticata, ma la legge
elettorale regionale sembra non essere ancora fra le priorità di questo scorcio
della legislatura, anche se un'accelerazione potrebbe esserci dopo Pasqua. Un
passo indietro. Era fine novembre, quattro mesi fa, quando il Consiglio
approvava a larghissima maggioranza la doppia preferenza di genere e in più la parità
esatta, cinquanta e cinquanta fra candidate e candidati, nella composizione
delle liste. Ma da allora i della legge elettorale pasticcio, quella delle
elezioni regionali del 2014, nessuno ha più parlato o quasi. Eppure, dopo
quello storico passaggio, tutti i partiti erano stati decisi nel dire: «Le
correzioni da fare sono ancora molte». Invece la legge è ancora quella vecchia.
Tempi stretti. A neanche un anno
dalle Regionali, dovrebbero essere fra febbraio e marzo 2019, ormai il tempo è
diventato poco per rimettere in carreggiata una legge sempre criticata e
stravolta più volte dalla magistratura amministrativa nell'assegnazione dei
seggi. Qualche mese fa c'è stato un primo tentativo di metterci mano, poi
arenatosi nell'aula della commissione riforme del Consiglio. Ora qualcosa
sembra muoversi di nuovo. Di legge elettorale ha discusso pochi giorni fa il gruppo
del Pd in Consiglio regionale e Francesco Agus, Campo progressista, presidente
della commissione, starebbe per riprendere le fila del confronto.
Effetto 5 stelle. Anche il trionfo
in Sardegna del Movimento alle Politiche, seppure di sponda, è servito a
riaccendere il dibattito sulla legge. I 5 stelle, si sa, non hanno partecipato alle
elezioni del 2014, infatti non sono presenti in Consiglio, ma saranno di sicuro
in campo nel 2019. Dunque, nei prossimi mesi, saranno spettatori di una riforma
che comunque sarà fatta. In altre parole, centrosinistra e centrodestra
dovranno stare attenti ad approvare una legge che poi non sia interpretata come
ostile dai prossimi avversari.
I punti critici. Detto che non
dovrebbe essere modificata l'elezione diretta del governatore, nonostante
qualche pressione in tal senso ci sia, il confronto in Consiglio dovrebbe limitarsi
a un punto. Questo: la soglia di sbarramento all'interno delle coalizioni. Una
scelta quasi inevitabile dopo che, nel 2015, il Consiglio di Stato ha
modificato l'assegnazione dei seggi, escludendo dalla cosiddetta ripartizione
dei resti i partiti che, nelle coalizioni, non avevano raggiunto almeno un
quoziente pieno. La correzione annunciata dovrebbe colmare proprio questa zona
grigia, anche se non c'è ancora l'accordo, neppure nel centrosinistra, su quale
potrebbe essere lo sbarramento.
Che andrebbe ad aggiungersi ai due
già esistenti: il 5 per cento per i partiti che si presentano da soli e del
doppio per le coalizioni. Un'altra possibile correzione potrebbe riguardare il
premio di maggioranza, considerato troppo alto - è del 55 per cento se il
vincitore conquista dal 25 al 40 per cento dei voti, per poi salire al 60 se
ottiene più del 40, in un sistema politico che non è più il bipolarismo. Nel
2019 i blocchi in campo dovrebbero essere invece quattro: centrosinistra,
centrodestra, 5 Stelle e gli indipendentisti. E quindi il premio di maggioranza
dovrà essere per forza ricalibrato. (ua)
La
Nuova
Paci: Il
vicepresidente della Regione: «La Sardegna deve chiedere e
avere più
poteri
Le
riforme non hanno dato risposte immediate, ma arriveranno nel tempo»
«Più
autonomia per l'isola basta con i burocrati»
di Luca Rojch
SASSARI
Autonomista, con venature quasi
indipendentiste. All'assalto dei
burocrati di Stato e d'Europa, veri
nemici delle rivendicazioni della
Sardegna. Raffaele Paci, l'assessore
più apollineo della giunta
Pigliaru rivela il suo spirito
guerriero. Rivendica i risultati
raggiunti dalla giunta, di cui è
vicepresidente. Spiega cosa si deve
fare nei 10 mesi che mancano alla
fine della legislatura. E non
risparmia affondi al Pd: «Basta a
questa tripartizione tra
correnti».Assessore, partiamo dalla
fine. Dall'impugnazione della
Finanziaria nazionale. Perché lo
avete fatto?«Avevamo impugnato anche
le Finanziarie del 2016 e del 2017.
Il motivo è sempre lo stesso: la
questione degli accantonamenti. Per
il 2018 dovevamo firmare un nuovo
accordo. Abbiamo iniziato a
discutere da febbraio dell'anno scorso.
Nessuna risposta. La richiesta di
accantonamenti nel frattempo è
passata da 684 a oltre 800 milioni
di euro. La Sardegna vive ancora il
peso della crisi, e non riesce nello
stesso tempo a contribuire in
modo così massiccio agli
accantonamenti, a pagare i farmaci innovativi
e i livelli essenziali di assistenza
sanitaria, oltre a tutta la spesa
sanitaria. Sappiamo di dover pagare
gli accantonamenti per contribuire
al risanamento del debito pubblico
nazionale ma contestiamo con forza
la cifra, troppo alta rispetto al
nostro Pil e superiore a quella
chiesta ad altre regioni spesso più
ricche della nostra.
La Corte
Costituzionale ha detto con
chiarezza che la cifra va stabilita con un
accordo politico e che gli
accantonamenti non possono essere senza
fine, perché altrimenti è come se
venisse unilateralmente modificato
lo Statuto. Come se la nostra
compartecipazione all'Irpef non fosse
più di 7 decimi, ma di 5 decimi. Da
qui siamo partiti alla ricerca di
un accordo. Siamo andati al tavolo
con il premier Gentiloni ma,
nonostante i richiami e i dossier
che abbiamo portato a sostegno delle
nostre ragioni, non abbiamo avuto
risposte. Lo Stato non ha rispettato
il rapporto di leale collaborazione».
C'è il ritiro dei ricorsi.«Siamo
stati accusati di averlo fatto. Ma
voglio spiegare una volta per tutte
che non sarebbe cambiato nulla, non
avremmo incassato un solo euro
perché i soldi non arrivano in
automatico con le sentenze.
La Corte ci
dice solo che la soluzione deve
essere politica e condivisa. Quando
abbiamo fatto l'accordo col governo
sul superamento del Patto di
stabilità e la chiusura della
Vertenza Entrate con il riconoscimento
di 900 milioni per la Sardegna,
abbiamo accettato di ritirare i
ricorsi, facendo la nostra parte
come succede in tutte le trattative».
A proposito di accordi, quello della
sanità fatto da Soru e Prodi sui
costi ci è convenuto?«In quel
momento sì. Era stato fatto prima della
crisi, nel 2006. Oggi molte cose
sono cambiate. La fine delle
politiche sociali dello Stato.
L'arrivo di nuovi farmaci a carico
nostro. Se avessimo i 684 milioni
degli accantonamenti sicuramente non
ci sarebbero le difficoltà che il
bilancio della Regione vive
oggi».Condivide la riforma della
sanità? «Certo. È giusto cancellare
le piccole otto repubbliche e creare
una asl unica. Sono convinto che
nel tempo porterà un risparmio delle
spese, ma soprattutto un
miglioramento della qualità
dell'offerta sanitaria, che è il vero
obiettivo di questa riforma. Dare a
tutti i sardi lo stesso diritto
alla salute. Ovunque vivano». La
riforma sanitaria è il simbolo della
difficoltà delle persone a capire
l'importanza delle Riforme fatte
dalla Giunta.«Credo che la crisi
abbia cambiato in modo strutturale i
sardi e l'isola.
La chiusura a catena delle realtà
industriali in
molte parti dell'isola. Il turismo
che ha conosciuto 5 anni di crisi
profonda. Davanti a una crisi
generalizzata, le riforme non hanno dato
risposte immediate. Ma le daranno
nel tempo. Turismo, agroindustria,
artigianato vanno nella direzione
giusta. È chiaro però che
nell'immediato il rischio è di
alimentare il malcontento e non dare
risposte. E chi è al governo in quel
momento ne paga le conseguenze,
forse anche per non aver saputo
spiegare il senso profondo delle
riforme e i benefici che
arriveranno. Poi c'è la crisi che il
centrosinistra vive in tutta Europa.
Ma gran parte del nostro
programma elettorale, che ho
contribuito a scrivere quattro anni fa, è
stato realizzato. Non abbiamo fatto
promesse, abbiamo scelto la
politica dei risultati». E il ruolo
della maggioranza?«Da subito la
maggioranza variegata è stata
investita da una serie di cambiamenti.
Faccio l'esempio di Sel, che è
scomparsa a livello nazionale ed è
andata all'opposizione, ma in
Regione è rimasta col Pd. A questo va
aggiunta la presenza di un partito
indipendentista, che a mio avviso è
molto apprezzabile, ma che ha temi e
dinamiche differenti rispetto a
quelle nazionali. C'è poi il Pd che
non ha mai avuto pace al suo
interno. Dalla segreteria di Soru
fino a oggi. Questa situazione così
complessa non ha fatto bene alla
giunta, spesso esposta a critiche e
attacchi». Come considera l'agenzia
sarda delle entrate? «È una
conquista di questa legislatura.
Abbiamo nominato il direttore
generale, ora è operativa e avrà il
ruolo di controllore dei conti e
delle nostre entrate, per garantire
che lo Stato versi nelle nostre
casse il dovuto».Si è spesso parlato
di una Giunta debole perché
tecnica e non politica. «Non ho mai
capito questo. Cosa vuol dire? Io
sono consapevole del mio ruolo
politico. So che devo portare risposte
alle esigenze della Sardegna, della
popolazione, della polis. Le
nostre decisioni sono sempre state
politiche».Teme che con un governo
di centrodestra possa cambiare il
Patto per la Sardegna?«No. In questi
anni abbiamo avuto rapporti ottimi
con i ministri, le vere difficoltà
sono state con gli apparati
ministeriali.
Renzi ha firmato con noi il
Patto per la Sardegna, ma questo non
ci ha impedito di impugnare le
finanziarie che ritenevamo lesive
dei nostri diritti. Come ho detto,
le vere difficoltà sono con gli
apparati che non sempre hanno avuto
comportamenti leali». La stessa
situazione si viva con l'Europa sui
trasporti.«Certo. È l'emblema della
nostra difficoltà. Nessuno conosce
il nome del ministro europeo dei
Trasporti. Il motivo è semplice, lui
non sceglie. Chi governa sono gli
apparati. E non capiscono che la
Sardegna è un'isola. L'unica vera
isola dell'Italia lontana dalla
terraferma. Gli aerei devono essere
i nostri treni.
Sulla continuità
ci siamo trovati in situazioni
paradossali. Con i bandi bloccati dai
burocrati Ue. Ma se si va avanti con
i veti il vero rischio è di non
avere compagnie disposte a
partecipare ai bandi per la paura di dover
restituire i soldi ricevuti. Come il
caso della legge 10. Come il caso
di Ryanair che deve restituire 13
milioni di euro». Il tema
dell'insularità. «È questo il tema
centrale. Ho anche firmato per il
referendum, per me serviva per
capire che c'è un'urgenza sentita da
un'intera isola. La stessa Europa
deve capire che anche la Sardegna è
una regione ultraperiferica, come
Azzorre o Fær Øer. Perché alla
distanza dal resto della penisola si
deve aggiungere la scarsa densità
abitativa che la rende scarsamente
appetibile per i grandi
investimenti delle infrastrutture.
Il metano sarebbe realtà se fossimo
5 milioni. Ecco a cosa serve
l'insularità. Senza un sostegno del
governo nazionale non possiamo
andare da soli a Bruxelles a
rivendicare i nostri diritti e a
negoziare.
In questi ultimi 10 anni i
diversi governi di diversi colori
politici hanno sempre disatteso le
nostre richieste. Ecco perché serve
maggiore autonomia. Che si può
declinare in modo diverso a seconda
della propria sensibilità
politica. Dall'autonomismo, al
federalismo, all'indipendentismo. In
Corsica e in Scozia governano gli
indipendentisti, ma non chiedono di
separarsi dallo Stato».
Ma insomma è diventato
indipendentista?«Lasciamo stare le
definizioni. Dico che deve arrivare
una forte richiesta di maggiori
poteri da parte della Sardegna e di
chi la guida. Se devo dire cosa ho
imparato in questi 4 anni è proprio
questo. La necessità di un maggiore
potere e di una maggiore autonomia
della Sardegna».
Mancano 10 mesi al voto, cosa deve
fare la giunta?
«Dobbiamo ultimare il risanamento
del bilancio, per lasciare un futuro
solido. Al nostro arrivo c'erano 5
miliardi di residui passivi e solo
4 attivi. 2,3 miliardi di perenzioni
(debiti della Regione non pagati
e scaduti ndr). Abbiamo chiuso il
Patto per la Sardegna, chiuso il
piano di rinascita e incassato 90
milioni che lo Stato ci doveva dal
1999. E dobbiamo affrontare con
decisione il tema del lavoro, che
rimane la nostra emergenza, come
abbiamo iniziato a fare con LavoRas».
Cosa pensa della legge urbanistica?
«Su questo tema c'è una
contrapposizione ideologica. Noi
vogliamo salvaguardare l'ambiente che
è il vero valore aggiunto della
Sardegna. Nessuna nuova costruzione
nei 300 metri. Semplicemente se ho
un hotel che non ha usufruito di
leggi precedenti e che non ha
servizi e lavora solo 2 mesi all'anno, è
giusto che si possano consentire
intervenire nel rispetto delle leggi
e dell'ambiente per creare spa o
altri servizi che consentano di
allungare la stagione. Sui grandi
investimenti non si vuole derogare
al Ppr, ma vogliamo progettare con
il Mibact su opere mirate. Pigliaru
ed Erriu si sono detti disponibili a
parlare di questo. Ma senza
barriere ideologiche». Si è parlato
di rimpasto dopo il flop
elettorale.«A meno di un anno dal
voto credo sia inutile e
controproducente. Ma deciderà
Pigliaru. Il mandato di tutti gli
assessori come sempre è a
disposizione del presidente. Ma credo che
ora sia il momento di lavorare
insieme per portare a casa i risultati
di questa legislatura».
Cosa ne pensa di una ricandidatura
di
Pigliaru?«Sono scelte personali.
Penso che sarà il presidente Pigliaru
a dire come la pensa e a ragionare
insieme alla coalizione. Vale per
lui e per tutti i nomi fatti in
questo periodo. Non credo sia una
scelta individuale, ma il risultato
di un ragionamento. E ricordo a
tutti che il centrosinistra da 20
anni si avvale del sistema delle
primarie».
Il Pd resta il grande malato, cosa
deve fare per
riprendersi? «Il Pd sardo deve superare
la tripartizione correntizia
che si porta dietro da troppo tempo.
Lo sta distruggendo. Senza una
reale unità il Pd è destinato a
morire. Chi è fuori dalle correnti
sembra non abbia diritto a fare
politica. È necessario un forte
rinnovamento: serve un confronto sui
temi e sugli obiettivi. Serve una
coalizione ampia, che comprenda le
forze del centrosinistra, degli
autonomisti e del sardismo
democratico».
Unione
Sarda
Guerini e
Marcucci
Oggi il
Pd elegge i capigruppo: i renziani in pole
ROMA Prima chiamata per il Pd di
opposizione, oggi, con l'elezione a
voto segreto dei capigruppo di
Camera e Senato: l'appuntamento darà
una chiara indicazione sui rapporti
di forza interni.
L'appuntamento è alle 15,30 per i
deputati e alle 17,30 per i
senatori, dove dovrebbe essere
presente Matteo Renzi. In pole restano
Lorenzo Guerini alla Camera e Andrea
Marcucci al Senato: su di loro i
renziani continuano a fare quadrato
sbandierando numeri blindati:
32/40 voti su 54 a Palazzo Madama e
75/80 voti su 112 a Montecitorio.
«Hanno le caratteristiche giuste e
non possono essere penalizzati in
quanto renziani», ha spiegato Ettore
Rosato.
Intanto, Maria Elena
Boschi ha si è tirata fuori ancora
una volta dal totonomi: «Non sono
in ballo per nessun incarico, farò
la deputata di opposizione».
Rinnovamento anche per Forza Italia,
che per sostituire Renato
Brunetta e Paolo Romani punta su
Mariastella Gelmini (fino a oggi
vicecapogruppo) e Anna Maria Bernini,
che ha mostrato una lelatà a 24
carati verso Berlusconi respingendo
il progetto leghista di eleggerla
presidente del Senato senza il
consenso di FI.
Il
neopresidente
Fico in
autobus a Montecitorio, ma è polemica
ROMA Roberto Fico in metropolitana,
sul Frecciarossa Napoli-Roma, sul
bus dell'Atac tra la gente comune.
Hanno fatto il giro dei social le
foto del neo-presidente della Camera
che usa i mezzi pubblici per
recarsi a Montecitorio. Un gesto che
viene salutato come una svolta
dal popolo del Movimento 5 Stelle,
tantopiù che il presidente di lì a
poco, intervistato dal Tg1 sul
taglio ai costi della politica,
annuncia: «Bisogna tagliare e
razionalizzare, rinuncerò integralmente
alla indennità di funzione».
Intanto però è già polemica sullo
stile sobrio del presidente in
autobus: spulciando l'elenco delle
spese sostenute dai parlamentari
M5S nella passata legislatura,
pubblicato sul sito maquantospendi. it
(che calcola le spese complessive
degli eletti M5S presenti sul
portale tirendiconto.it), si scopre
che Fico ha sborsato per i viaggi
in taxi oltre 15.mila euro e poche
centinaia per bus e metro.
Ce n'è abbastanza per incuriosire
Alessia Marania (Pd), che twitta:
«Se ha continuato a venire a
Montecitorio con l'autobus, in questi 5
anni come ha fatto a spendere
15.180,60 euro di taxi e solo 314 di bus
e metro?».
E sul
premier precisa: non dico “o io o morte”. FI: ci siamo anche noi
Salvini,
apertura al M5S «Reddito di cittadinanza? Sì a certe condizioni»
ROMA «Io sono pronto, la squadra
pure. A me interessa cambiare
l'Italia e sono pronto a metterci la
faccia, ma non è “o Salvini o la
morte”. Non è che se non faccio il
premier porto via il pallone».
L'apertura del segretario della Lega
è chiara. Si può dialogare con i
Cinquestelle, che «devono decidere
se rimanere a vita all'opposizione
o assumersi delle responsabilità».
DIALOGANTE Salvini, da parte sua,
potrebbe pure fare un passo di lato,
e intanto apre uno spiraglio al
reddito di cittadinanza. Una misura
finora criticata da tutto il
centrodestra, ma ora il leader del
Carroccio precisa: «Se significa
pagare la gente per stare a casa,
dico di no. Ma se fosse uno
strumento per reintrodurre nel mondo del
lavoro chi oggi ne è uscito, allora
direi di sì». Evidente
l'intenzione di dialogare con il
M5S.
Ma è forse ancora più significativa
l'apertura sul tema della guida
del governo. Dopo aver detto che il
presidente del Consiglio deve
essere espresso dal centrodestra, il
leader del Carroccio ribadisce di
sentirsi pronto per quell'incarico
ma senza porre alcuna condizione in
tal senso. C'è anzi chi ipotizza che
possa accettare di lasciare
Palazzo Chigi a un collega fedele e
preparato sui dossier economici,
come Giancarlo Giorgetti.
PRIORITÀ Il capo del Carroccio ha
comunque in mente «un calendario
dove mettere le leggi che ci
interessano», dalla Fornero da azzerare
alla «riduzione delle tasse» (il
termine flat tax non è più così
ricorrente). E ancora: nuove norme
sulla legittima difesa e sui flussi
migratori.
Magari pure una riforma
costituzionale. Certo, «ci ha provato Renzi a
colpi di maggioranza, con scelte che
non ho condiviso», sottolinea il
senatore, aggiungendo che «serve più
attenzione ai territori, e
parlamentari che non cambino 25
partiti». Salvini sogna un'Italia
«federale e presidenziale».
Su tutto ciò potrebbe trovare sponda
nel M5S? In un'intervista al
Messaggero, Salvini dice che «con Di
Maio non abbiamo mai parlato di
governo», ma «ora cominceremo a
farlo». Per adesso il clima sembra
propizio a un'intesa giallo-verde.
FORZA ITALIA Ad Arcore intanto
Silvio Berlusconi segue con attenzione
gli sviluppi della situazione,
sempre convinto che il Paese ha bisogno
di un governo, possibilmente di
centrodestra, con chi ci sta. Grillini
inclusi, ma senza patti che lascino
fuori Forza Italia.
Un esecutivo fatto solo da Lega e
M5S, secondo l'ex Cav, sarebbe un
«ircocervo», qualcosa di innaturale.
L'ex premier farà di tutto per
non restare fuori dalla partita.
Serve stabilità e senso di
responsabilità, non nuove elezioni
subito, va ripetendo come un mantra
il leader azzurro, che in queste ore
ragiona su uno schema di governo
M5S-Carroccio con l'innesto di
ministri azzurri, dal profilo
istituzionale, anche giovani, non
troppo caratterizzati dal punto di
vista politico. Figure che possano
essere digerite dai grillini, sul
modello dell'elezione della
Casellati alla presidenza del Senato.
Il tentativo di un esecutivo di
centrodestra passa necessariamente
dall'unità della coalizione. Ma per
mettere alla prova gli alleati
Berlusconi preferirebbe andare al
Colle per le consultazioni con
delegazioni separate. Una strategia
che troverebbe anche il consenso
della presidente di Fratelli
d'Italia, Giorgia Meloni.
Cicu:
puntiamo sui sindaci
Centrodestra,
cercasi candidato fuori dai partiti
L'elezione diretta del presidente
della Regione impone, anche ai
partiti del centrodestra, una
riflessione sulla scelta. Una persona
che sia l'incarnazione di un
programma che i partiti della coalizione
dovranno presentare agli elettori.
Un primo passo in questa direzione
lo ha fatto l'eurodeputato di Forza
Italia, Salvatore Cicu, che ha
deciso di puntare sui sindaci per
restituire agli amministratori
locali la prima fila nella vita
politica regionale. Ma la coalizione è
ancora da costruire e non è detto
che i confini siano quelli che
storicamente circoscrivono il
centrodestra e gli equilibri siano
immutati.
C'è l'idea di aprire l'alleanza ad
altre forze soprattutto quelle
autonomiste, una suggestione che il
leader dell'Udc, Giorgio Oppi, ha
più volte rilanciato. Il leader
centrista sulla scelta del nome punta
a «una persona fuori dalla politica,
credibile e apprezzata». Resta da
verificare quanto la tenuta della
coalizione sia solida
nell'attraversare i tre passaggi
chiave: alleanza, programma e scelta
del candidato.
Su quest'ultimo aspetto non tutti la
vedono allo stesso
modo visto che i partiti più piccoli
non accettano più la nomina
romana. Il metodo delle primarie è
un obbligo per i Riformatori e
potrebbe essere un'opportunità anche
tra gli azzurri. Alessandra Zedda
ha ricordato la necessità di «uscire
dalla logica dei personalismi» e
Cicu ha detto che «il tempo dei nomi
calati dall'alto deve finire».
Interrogativi sui quali i partiti si
dovranno confrontare per cercare
di ritornare alla guida della
Regione.
M. S.
Puddu:
«Non sarà un libro dei sogni ma conterrà progetti per il
rilancio
della Sardegna»
M5S,
incontri per il programma
Il Movimento 5 Stelle «c'è e ci sarà
anche alla prossime regionali».
Mario Puddu, coordinatore della
recente campagna elettorale sarda dei
pentastellati, annuncia che «dopo le
amministrative ingraneremo la
marcia per prepararci a questo
importante appuntamento».
VIA AI PRIMI INCONTRI I
pentastellati, in verità, hanno già cominciato
ad aprire il cantiere per la
costruzione del programma, attraverso gli
incontri dal titolo “La Sardegna che
vogliamo”, che si sono tenuti a
Dorgali e Assemini. L'occasione per
focalizzare innanzitutto le
emergenze dell'Isola, discuterne con
gli attivisti per poi
«perfezionarle e preparare un
programma di governo per la Sardegna».
Per i nomi c'è ancora tempo, l'unica
certezza è che i portavoce
saranno scelti con la consultazione
in rete delle “regionarie”, quando
il popolo a Cinque stelle sarà
interpellato per decidere la squadra.
DIECI MACRO ARGOMENTI L'idea di
Sardegna dell'M5S fonda le sue radici
su 10 macro argomenti scelti per
individuare le emergenze dell'Isola:
lavoro, ambiente, identità e
riforme, turismo, trasporti,
programmazione ed economia,
infrastrutture, industria ed energia,
diritto alla salute, solidarietà e
terzo settore, istruzione,
formazione, ricerca e innovazione,
agricoltura, allevamento e pesca.
Ambiti sui quali cominciare a
costruire la proposta per presentarsi
alle regionali dopo l'assenza in
occasione dell'ultima consultazione
del 2014. «Il nostro obiettivo»,
spiega Mario Puddu, «non è scrivere
un libro dei sogni, ma dare vita a
un programma che contenga una
proposta di rilancio concreto per la
Sardegna».
Nelle prossime
settimane ci potrebbe essere un
nuovo incontro per discutere e
raccogliere proposte. Di sicuro dopo
le amministrative comincerà una
fase più intensa di attività per
cercare di arrivare preparati alle
regionali, sfruttando la scia del
risultato ottenuto, alle ultime
politiche, dal Movimento 5 stelle,
primo partito in Sardegna. (m. s.)
CARBONIA.
Duro il sindaco: «Occorre dare un peso ai ruoli istituzionali»
Paola
Argiolas: «Dimissioni presentate per motivi politici»
Quasi per esorcizzarla, la parola
crisi i Cinque stelle non la
pronunciano. Ma dopo che anche
l'assessore al Personale si è dimesso
«per - rivela-questioni politiche»,
la crisi sta nei fatti. Tanto che
il sindaco Paola Massidda passa al
contrattacco: «Ai ruoli
istituzionali occorre dare un peso».
PROBLEMI POLITICI La dimissionaria
Paola Argiolas ha riflettuto a
lungo prima di ammettere, con uno
stringato messaggio, il motivo
“politico” per cui venerdì scorso ha
rassegnato la delega che aveva
ricevuto nell'estate del 2016,
quando l'M5S vinse le elezioni e lei
venne eletta consigliere. Una
pentastellata, quindi, della prima ora,
che non va oltre il laconico sms di
conferma di quello che in realtà
si percepiva da giorni, stando ai
rumors di Palazzo che spesso, negli
ultimi tempi, ci azzeccano.
Paola Argiolas è però il quinto
assessore
a dare forfait: prima di lei i
tecnici esterni Arianna Vinci, Riccardo
Cireddu e Emanuela Rubiu e, tra gli
eletti, Carla Mario (addusse
motivi personali ma poi sottoscrisse
una lettera di protesta di
attivisti M5S contro il sindaco).
LA CRISI Le cause vanno ricercate
nel bilancio sotto esame? O nei
rapporti interpersonali? Vale un po'
tutto e la conferma arriva da una
delusa Paola Massidda:
«Profondamente sorpresa e perplessa - accusa -
non fa piacere assistere ad azioni
di pancia: al contrario di chi non
dà peso ai ruoli istituzionali, io
resto per rispetto della città e
degli elettori, quindi sino a quando
avrò l'appoggio del Consiglio
andrò avanti». Appoggio che il capogruppo
M5S Manolo Cossu ribadisce:
«Il sindaco ha la nostra fiducia:
ufficialmente continuano ad esserci
oscure le motivazioni di Paola
Argiolas». Ma è Paola Massidda a
lanciare messaggi di fuoco: «Per
quanto logorante possa essere
amministrare una città come
Carbonia, credo nella parola data,
pertanto spero che questa sia
davvero la quinta e ultima defezione».
L'OPPOSIZIONE Lo auspicano anche
componenti dell'opposizione che vanno
giù pesanti nei confronti di Paola
Argiolas: «Non ho avvertito da
parte sua sensibilità verso la città
- fa notare Daniela Garau - che
ha diritto ad avere un esecutivo
stabile: con il silenzio non si va da
nessuna parte». Critico pure Michele
Stivaletta: «Caduta la quinta
stella della Giunta - commenta
ironico - ma ormai non fa più sorridere
e preoccupa la poca chiarezza».
Stesse valutazioni, anche più
severe,
quella della segreteria Pd con Fabio
Desogus: «Paola Massidda è
inadeguata a ricoprire l'incarico
che sta svolgendo e i consiglieri
comunali che continuano a sostenerla
sono complici di questo sfascio:
si dimetta».
Andrea Scano
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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