Unione
Sarda
Si
profila sempre più l'ipotesi del voto anticipato. Di Maio: andiamo alle urne a
giugno «No a un governo Lega-M5S» Berlusconi: nessun appoggio esterno, non
accettiamo veti
ROMA «Silvio Berlusconi smentisce
fermamente le indiscrezioni secondo le quali sarebbe pronto a dare un appoggio
esterno ad un governo guidato da M5S e Lega». Così, al termine di un'altra
giornata di riunioni, pressing e veti incrociati, il Cavaliere con una nota
chiude a ogni ipotesi di compromesso. «Dopo due mesi di tentativi per dare vita
ad un governo espressione del centrodestra, prima forza politica alle elezioni
del 4 marzo, Forza Italia non può accettare nessun veto».
IL PRESSING Mentre si delinea sempre
di più lo scenario di un ritorno al voto a luglio - e Renzi fa tornare
prepotentemente sulla scena l'ipotesi di Paolo Gentiloni candidato premier
“naturale” del Pd – la Lega, contraria come il M5S a formare un “governo del
presidente”, si è impegnata parecchio per convincere gli Azzurri a un accordo
in extremis con Di Maio. Ma l'operazione non è andata in porto, e il capo politico
pentastellato ha chiesto addirittura «un decreto di emergenza ad hoc che
consenta di modificare un parametro sul voto degli italiani all'estero e quindi
andare a votare anche a giugno».
IL “NO” Dunque, Silvio Berlusconi
non si piega, anzi dopo quasi due giorni di silenzio spazza via dal campo ogni
dubbio. La linea non cambia a dispetto di chi aveva pronosticato una
“giravolta”. Volato ad Arcore, dove ha pranzato con la famiglia a poco meno di
24 ore dall'incontro con il capo dello Stato, il leader azzurro in prima battuta
manda in prima linea i suoi fedelissimi per rispondere ai continui
punzecchiamenti che il Carroccio gli fa recapitare attraverso qualsiasi mezzo di
comunicazione.
LA CRITICA La prima stilettata
arriva da Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega che avverte il leader
azzurro: «A Silvio chiediamo un gesto di responsabilità, favorendo la nascita
di un governo politico con il M5S». Insomma che tra Salvini e Di Maio i
contatti per formare un nuovo governo non si sono mai interrotti. E questo era
chiarissimo a Berlusconi e non solo, ma questa proposta proprio il Cav non l'attendeva.
Irritato, rancoroso, ma comunque irremovibile, l'uomo di Arcore risponde in
tempo reale a una richiesta che è «irricevibile».
È Mariastella Gelmini infatti a
spiegare che «oggi chiedere a FI di dare l'appoggio esterno mi pare una domanda
malposta che non può che avere una risposta negativa». Comunque, sottolinea il
capogruppo alla Camera, «crediamo che non ci siano le condizioni per votare un
governo neutrale».
LA PAURA DELLE URNE Il braccio di
ferro prosegue tra Salvini e Berlusconi, che dopo l'incontro al Colle per le
consultazioni non si sono neanche sentiti per telefono. Continua anche il
pressing che lo stesso leader sta subendo da senatori e deputati affinché
benedica questa alleanza e faccia partire il governo giallo-verde. I parlamentari
azzurri non vogliono tornare a votare e, soprattutto, non vogliono farlo sotto
l'ombrellone. I consensi per Forza Italia crollerebbero drasticamente (si ragiona
anche su un numero ad una sola cifra).
I CINQUE STELLE «Qualunque sarà il
governo, la prossima settimana noi chiederemo di emanare un decreto di
emergenza che consenta di modificare un parametro sul voto degli italiani
all'estero e quindi di andare a votare ancor prima di luglio, anche a giugno,
per chiudere questa partita una volta per tutte», dice a “Di martedì” il leader
del M5S, Luigi Di Maio. «Noi - prosegue - non siamo disposti a votare un governo tecnico: stiamo cercando una
soluzione politica, l'ho cercata fino a ieri anche facendo un passo indietro
io. Se gli altri si svegliano devono andare dal presidente della Repubblica a
dire che cosa vogliono fare».
IL PD Sempre a “Di Martedì”
interviene anche Matteo Renzi: «Stop ai litigi, basta discussioni. C'è una
diversità profonda tra i populisti demagoghi, Lega e M5S, e il Pd», aggiunge
l'ex segretario Pd. «Il presidente della Repubblica è lì, ha la pazienza di
Giobbe. Sono due mesi che chiede “mi portate uno straccio di governo? Un
governo lo devo avere per mandarlo a Bruxelles, per eliminare le salvaguardie Iva”.
Allora sarebbe buon senso anche per i promessi sposi, Salvini e Di Maio, che si
mettessero di buzzo buono e al presidente della Repubblica che chiede uno
sforzo non avessero il coraggio di dire no, perché è dare uno schiaffo alle
istituzioni».
La
Nuova
E ora
Renzi lancia Gentiloni leader
Le urne
costringono un partito diviso all'armistizio fra le correnti
di
Giovanni Innamorati
ROMA
Si lavora a un armistizio nel Pd,
alla luce di possibili urne
imminenti: al termine di una
riunione in cui c'erano i leader di tutte
le componenti Dem, è emersa l'idea
di un patto incentrato
sull'elezione di Maurizio Martina a
segretario da parte dell'Assemblea
nazionale, convocata il 19 maggio,
con l'impegno a presentare liste
con sole poche variazioni rispetto a
quelle del 4 marzo. Questa la
proposta dei renziani, ed è su cosa
consistano quelle «poche
variazioni» che l'accordo può tenere
o saltare.
L'altra novità è il
lancio di Paolo Gentiloni come
leader in caso di urne da parte di
Matteo Renzi. Sin dal mattino il
reggente Martina ha ribadito
l'appoggio del Pd all'iniziativa di
Mattarella per un governo neutro,
e altrettanto hanno fatto il
capogruppo Graziano Delrio e in serata
Matteo Renzi. I Dem avrebbero
bisogno di una legislatura di almeno un
anno per tenere il congresso, al
quale Renzi ha annunciato di non
volersi presentare come segretario.
Il voto a luglio blocca questo
passaggio e una competizione
elettorale non può essere affrontata con
uno scontro interno: di qui l'idea
di un armistizio. I renziani
voterebbero Martina all'Assemblea e
non un loro uomo (come Lorenzo
Guerini) se ci si accorda prima su
una conferma delle liste del 4
marzo, che avevano premiato la
corrente renziana a scapito delle
altre, che chiedono un riequilibrio.
L'altro elemento nuovo è il
lancio di Paolo Gentiloni come
leader del Pd e del centrosinistra,
fatto prima da Boschi («è il leader
naturale») e poi da Renzi. La
leadership di Gentiloni apre
all'ipotesi di una coalizione ampia,
anche a sinistra, tutta da
costruire.
Il
governo del Colle No di Berlusconi al M5s
Oggi il
nuovo premier. Se cadrà, il Quirinale è pronto a far votare a luglio
Nessun
via libera all'accordo fra Salvini e Di Maio per un esecutivo politico
di
Michele Esposito
ROMA
Silvio Berlusconi dice no al passo
di lato per far nascere il governo
M5s-Lega. E la XVIII legislatura
scivola verso il terreno incognito di
un governo neutrale di minoranza.
Oggi il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella darà l'incarico al
futuro premier italiano,
personalità avulsa dai partiti, che
dovrà condurre, con la zavorra di
un voto di sfiducia, l'Italia al
voto. A luglio, o forse a ottobre,
mese sul quale i partiti aprono più
di uno spiraglio di trattativa.
L'altro binario, quello dell'accordo
tra M5S e Lega con il sostegno
esterno di FI, al momento resta
dunque morto. Nel corso della giornata
il pressing della Lega si fa
febbrile, i dubbi tra gli azzurri
crescono, come cresce la speranza
nel M5S per il passo di lato di
Silvio Berlusconi. Ma l'ex Cavaliere
non cede, e risponde con una
ferrea, e al momento, insuperabile
resistenza. Il risultato è uno
stallo quasi simmetrico. Il governo
neutrale, nonostante una pattuglia
di responsabili che potrebbe
palesarsi nel Movimento, non avrà la
fiducia. E sarà tutto il
centrodestra e non solo la Lega a bocciare il
nuovo esecutivo. «Se Berlusconi lo
vota è la fine dell'alleanza», è
l'aut aut che in mattinata dà
Giancarlo Giorgetti. Ma la fiducia, come
certifica la capogruppo alla Camera
Mariastella Gelmini, FI non la
voterà: sarebbe il perfetto casus
belli che permetterebbe alla Lega di
rompere e stringere l'alleanza con
il M5S. E sempre in mattinata
Giorgetti dà il là all'ultimo giro
di trattative.
«Berlusconi consenta
la formazione di un governo
M5S-Lega», è il messaggio del braccio
destro di Salvini. Un messaggio che,
solo in tarda serata, dopo una
giornata di trattative estenuanti e
tesissime, avrà la risposta di
Silvio Berlusconi. «Nessun sostegno
esterno a un governo M5S-Lega, non
accettiamo veti», recita una nota
ufficiale di FI. A questo punto, da
qui alle prossime ore, solo una
rottura su iniziativa del leader della
Lega potrebbe sbloccare l'impasse
anche perché, se Berlusconi non
cede, il M5S non ha alcuna intenzione
di riconoscere un ruolo a FI.
All'ex Cavaliere, raccontano diverse
fonti, Lega e M5S aprono via via
su una serie di punti con il
Movimento pronto a cedere la premiership
a Salvini, fatto che avrebbe
assicurato a Berlusconi un esecutivo non
ostile. Su un punto, invece, i
partiti sembrano avere un minimo di
accordo: il voto a luglio è un
rischio, un «unicum» nella storia della
Repubblica che porta una serie di
temibili incognite. Di Maio annuncia
che verrà chiesto al governo
neutrale di varare un decreto che
intervenga sui tempi per il voto
all'estero per consentire le elezioni
a fine giugno.
Ma in realtà si sta cominciando a
trattare sul voto
autunnale. E lo stesso Di Maio apre
anche alla soluzione alternativa
delle elezioni a ottobre, in caso
anche gli altri partiti siano
d'accordo. «Ci rendiamo conto che il
voto a luglio è un problema»,
spiega il leader del M5S. Ed è un
problema anche per Silvio
Berlusconi. Tuttavia, che una
eventuale richiesta dei partiti di
indire le elezioni a ottobre trovi
il sì del Colle (subordinato
comunque ad una richiesta unanime di
tutti i gruppi) è ancora tutta da
verificare. Nel caso in cui il
governo neutrale sia sfiduciato il
Quirinale sembra sempre orientato a
portare il paese alle urne il
prossimo 22 luglio. «Costringendo»,
di fatto, tutti i partiti ad una
vera e propria corsa elettorale.
E, in effetti, tra i principali
gruppi si comincia a ragionare in
vista di un voto a stretto giro. «Il
candidato premier del Pd sarà
Gentiloni, soprattutto se si voterà
presto»; annuncia in serata Matteo
Renzi. Mentre nel M5S, oramai, è
partito il countdown per la campagna
elettorale. «Il voto sarà un
ballottaggio tra noi e la Lega,
questi 65 giorni sono stati i giorni
della verità, in cui abbiamo capito
perché i partiti stanno finendo»,
è l'attacco di Di Maio. «Il M5S non
vuole il governo», è la replica di
Giorgetti. Ma se voto sarà, per M5S
e Lega il destino sarà
probabilmente ancora comune:
sfidanti nelle piazze, possibili alleati
di governo.
COMUNE.
All'esame del Consiglio duemila emendamenti
Il
bilancio arriva in Aula: cigolii nel centrosinistra
La maratona sul bilancio va avanti.
I lavori in Aula sono cominciati
ieri e proseguiranno oggi e domani
per discutere i quasi duemila
emendamenti presentati soprattutto
dai consiglieri di minoranza. I
primi a essere trattati sono stati
quelli tecnici illustrati dal
sindaco che, nella maggior parte dei
casi, hanno ricevuto anche il via
libera dall'opposizione. È
cominciato poi il lungo esame degli
emendamenti delle minoranze, alcuni
dei quali con i pareri contrari
degli uffici: è intervenuto il
capogruppo del Pd per contestarli in
blocco.
«L'ho detto per il primo presentato,
ma vale per tutti: ho sommato gli
emendamenti in discussione: arrivano
a un totale di un milione e 940
mila euro nonostante tutto il fondo
di riserva sia di 150 mila euro -
spiega Fabrizio Rodin - sono solo
chiacchiere al vento e li bocciamo
tutti. Ma il dato certo è che vanno
comunque discussi ritardando
l'approvazione del bilancio. Questo
è il vero danno per la città».
Non condivide questa accusa, ovviamente,
il capogruppo di Forza
Italia. «In realtà il bilancio
previsionale avremmo dovuto votarlo
entro dicembre scorso, quindi il
danno alla città l'hanno fatto loro -
replica Stefano Schirru - noi stiamo
spronando il Comune su tematiche
importanti in cui è completamente
assente: il nostro intento è far
capire che il bilancio non deve
essere solo calcolo matematico ma
tenere conto delle reali esigenze
dei cittadini».
I ruoli in Aula non sono così netti,
perché anche tra i banchi della
maggioranza c'è chi non risparmia
frecciate al sindaco e alla sua
Giunta. «Non ho presentato
emendamenti, coerentemente con gli accordi
presi coi capigruppo, ma permangono
le mie perplessità espresse in
Aula sul bilancio», commenta Filippo
Petrucci, che ha assicurato
comunque il suo voto favorevole, «mi
aspetto non si presentino più
situazioni di criticità dovute a
inadempienze o scarsa attenzione
della Giunta e dei dirigenti: che
siano assicurati i posti negli
asili, vengano fatti i bandi per
l'assegnazione degli spazi, che gli
assegni del Reis non vengano pagati
con quattro mesi di ritardo e si
ponga attenzione su tante altre
questioni: l'amministrazione non si
trinceri più in un “non si può”, che
spesso vuol dire “non sono
capace” o “non ho voglia di farlo”».
Marcello Zasso
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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