mercoledì 9 maggio 2018

Rassegna stampa 09 Maggio 2018


Unione Sarda

Si profila sempre più l'ipotesi del voto anticipato. Di Maio: andiamo alle urne a giugno «No a un governo Lega-M5S» Berlusconi: nessun appoggio esterno, non accettiamo veti

ROMA «Silvio Berlusconi smentisce fermamente le indiscrezioni secondo le quali sarebbe pronto a dare un appoggio esterno ad un governo guidato da M5S e Lega». Così, al termine di un'altra giornata di riunioni, pressing e veti incrociati, il Cavaliere con una nota chiude a ogni ipotesi di compromesso. «Dopo due mesi di tentativi per dare vita ad un governo espressione del centrodestra, prima forza politica alle elezioni del 4 marzo, Forza Italia non può accettare nessun veto».

IL PRESSING Mentre si delinea sempre di più lo scenario di un ritorno al voto a luglio - e Renzi fa tornare prepotentemente sulla scena l'ipotesi di Paolo Gentiloni candidato premier “naturale” del Pd – la Lega, contraria come il M5S a formare un “governo del presidente”, si è impegnata parecchio per convincere gli Azzurri a un accordo in extremis con Di Maio. Ma l'operazione non è andata in porto, e il capo politico pentastellato ha chiesto addirittura «un decreto di emergenza ad hoc che consenta di modificare un parametro sul voto degli italiani all'estero e quindi andare a votare anche a giugno».

IL “NO” Dunque, Silvio Berlusconi non si piega, anzi dopo quasi due giorni di silenzio spazza via dal campo ogni dubbio. La linea non cambia a dispetto di chi aveva pronosticato una “giravolta”. Volato ad Arcore, dove ha pranzato con la famiglia a poco meno di 24 ore dall'incontro con il capo dello Stato, il leader azzurro in prima battuta manda in prima linea i suoi fedelissimi per rispondere ai continui punzecchiamenti che il Carroccio gli fa recapitare attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione.

LA CRITICA La prima stilettata arriva da Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega che avverte il leader azzurro: «A Silvio chiediamo un gesto di responsabilità, favorendo la nascita di un governo politico con il M5S». Insomma che tra Salvini e Di Maio i contatti per formare un nuovo governo non si sono mai interrotti. E questo era chiarissimo a Berlusconi e non solo, ma questa proposta proprio il Cav non l'attendeva. Irritato, rancoroso, ma comunque irremovibile, l'uomo di Arcore risponde in tempo reale a una richiesta che è «irricevibile».

È Mariastella Gelmini infatti a spiegare che «oggi chiedere a FI di dare l'appoggio esterno mi pare una domanda malposta che non può che avere una risposta negativa». Comunque, sottolinea il capogruppo alla Camera, «crediamo che non ci siano le condizioni per votare un governo neutrale».

LA PAURA DELLE URNE Il braccio di ferro prosegue tra Salvini e Berlusconi, che dopo l'incontro al Colle per le consultazioni non si sono neanche sentiti per telefono. Continua anche il pressing che lo stesso leader sta subendo da senatori e deputati affinché benedica questa alleanza e faccia partire il governo giallo-verde. I parlamentari azzurri non vogliono tornare a votare e, soprattutto, non vogliono farlo sotto l'ombrellone. I consensi per Forza Italia crollerebbero drasticamente (si ragiona anche su un numero ad una sola cifra).

I CINQUE STELLE «Qualunque sarà il governo, la prossima settimana noi chiederemo di emanare un decreto di emergenza che consenta di modificare un parametro sul voto degli italiani all'estero e quindi di andare a votare ancor prima di luglio, anche a giugno, per chiudere questa partita una volta per tutte», dice a “Di martedì” il leader del M5S, Luigi Di Maio. «Noi - prosegue - non siamo disposti a votare un governo tecnico: stiamo cercando una soluzione politica, l'ho cercata fino a ieri anche facendo un passo indietro io. Se gli altri si svegliano devono andare dal presidente della Repubblica a dire che cosa vogliono fare».

IL PD Sempre a “Di Martedì” interviene anche Matteo Renzi: «Stop ai litigi, basta discussioni. C'è una diversità profonda tra i populisti demagoghi, Lega e M5S, e il Pd», aggiunge l'ex segretario Pd. «Il presidente della Repubblica è lì, ha la pazienza di Giobbe. Sono due mesi che chiede “mi portate uno straccio di governo? Un governo lo devo avere per mandarlo a Bruxelles, per eliminare le salvaguardie Iva”. Allora sarebbe buon senso anche per i promessi sposi, Salvini e Di Maio, che si mettessero di buzzo buono e al presidente della Repubblica che chiede uno sforzo non avessero il coraggio di dire no, perché è dare uno schiaffo alle istituzioni».


La Nuova

E ora Renzi lancia Gentiloni leader
Le urne costringono un partito diviso all'armistizio fra le correnti
di Giovanni Innamorati
ROMA

Si lavora a un armistizio nel Pd, alla luce di possibili urne
imminenti: al termine di una riunione in cui c'erano i leader di tutte
le componenti Dem, è emersa l'idea di un patto incentrato
sull'elezione di Maurizio Martina a segretario da parte dell'Assemblea
nazionale, convocata il 19 maggio, con l'impegno a presentare liste
con sole poche variazioni rispetto a quelle del 4 marzo. Questa la
proposta dei renziani, ed è su cosa consistano quelle «poche
variazioni» che l'accordo può tenere o saltare.

L'altra novità è il
lancio di Paolo Gentiloni come leader in caso di urne da parte di
Matteo Renzi. Sin dal mattino il reggente Martina ha ribadito
l'appoggio del Pd all'iniziativa di Mattarella per un governo neutro,
e altrettanto hanno fatto il capogruppo Graziano Delrio e in serata
Matteo Renzi. I Dem avrebbero bisogno di una legislatura di almeno un
anno per tenere il congresso, al quale Renzi ha annunciato di non
volersi presentare come segretario.

Il voto a luglio blocca questo
passaggio e una competizione elettorale non può essere affrontata con
uno scontro interno: di qui l'idea di un armistizio. I renziani
voterebbero Martina all'Assemblea e non un loro uomo (come Lorenzo
Guerini) se ci si accorda prima su una conferma delle liste del 4
marzo, che avevano premiato la corrente renziana a scapito delle
altre, che chiedono un riequilibrio.

L'altro elemento nuovo è il
lancio di Paolo Gentiloni come leader del Pd e del centrosinistra,
fatto prima da Boschi («è il leader naturale») e poi da Renzi. La
leadership di Gentiloni apre all'ipotesi di una coalizione ampia,
anche a sinistra, tutta da costruire.

Il governo del Colle No di Berlusconi al M5s
Oggi il nuovo premier. Se cadrà, il Quirinale è pronto a far votare a luglio
Nessun via libera all'accordo fra Salvini e Di Maio per un esecutivo politico
di Michele Esposito
ROMA

Silvio Berlusconi dice no al passo di lato per far nascere il governo
M5s-Lega. E la XVIII legislatura scivola verso il terreno incognito di
un governo neutrale di minoranza. Oggi il presidente della Repubblica
Sergio Mattarella darà l'incarico al futuro premier italiano,
personalità avulsa dai partiti, che dovrà condurre, con la zavorra di
un voto di sfiducia, l'Italia al voto. A luglio, o forse a ottobre,
mese sul quale i partiti aprono più di uno spiraglio di trattativa.

L'altro binario, quello dell'accordo tra M5S e Lega con il sostegno
esterno di FI, al momento resta dunque morto. Nel corso della giornata
il pressing della Lega si fa febbrile, i dubbi tra gli azzurri
crescono, come cresce la speranza nel M5S per il passo di lato di
Silvio Berlusconi. Ma l'ex Cavaliere non cede, e risponde con una
ferrea, e al momento, insuperabile resistenza. Il risultato è uno
stallo quasi simmetrico. Il governo neutrale, nonostante una pattuglia
di responsabili che potrebbe palesarsi nel Movimento, non avrà la
fiducia. E sarà tutto il centrodestra e non solo la Lega a bocciare il
nuovo esecutivo. «Se Berlusconi lo vota è la fine dell'alleanza», è
l'aut aut che in mattinata dà Giancarlo Giorgetti. Ma la fiducia, come
certifica la capogruppo alla Camera Mariastella Gelmini, FI non la
voterà: sarebbe il perfetto casus belli che permetterebbe alla Lega di
rompere e stringere l'alleanza con il M5S. E sempre in mattinata
Giorgetti dà il là all'ultimo giro di trattative.

«Berlusconi consenta
la formazione di un governo M5S-Lega», è il messaggio del braccio
destro di Salvini. Un messaggio che, solo in tarda serata, dopo una
giornata di trattative estenuanti e tesissime, avrà la risposta di
Silvio Berlusconi. «Nessun sostegno esterno a un governo M5S-Lega, non
accettiamo veti», recita una nota ufficiale di FI. A questo punto, da
qui alle prossime ore, solo una rottura su iniziativa del leader della
Lega potrebbe sbloccare l'impasse anche perché, se Berlusconi non
cede, il M5S non ha alcuna intenzione di riconoscere un ruolo a FI.

All'ex Cavaliere, raccontano diverse fonti, Lega e M5S aprono via via
su una serie di punti con il Movimento pronto a cedere la premiership
a Salvini, fatto che avrebbe assicurato a Berlusconi un esecutivo non
ostile. Su un punto, invece, i partiti sembrano avere un minimo di
accordo: il voto a luglio è un rischio, un «unicum» nella storia della
Repubblica che porta una serie di temibili incognite. Di Maio annuncia
che verrà chiesto al governo neutrale di varare un decreto che
intervenga sui tempi per il voto all'estero per consentire le elezioni
a fine giugno.

Ma in realtà si sta cominciando a trattare sul voto
autunnale. E lo stesso Di Maio apre anche alla soluzione alternativa
delle elezioni a ottobre, in caso anche gli altri partiti siano
d'accordo. «Ci rendiamo conto che il voto a luglio è un problema»,
spiega il leader del M5S. Ed è un problema anche per Silvio
Berlusconi. Tuttavia, che una eventuale richiesta dei partiti di
indire le elezioni a ottobre trovi il sì del Colle (subordinato
comunque ad una richiesta unanime di tutti i gruppi) è ancora tutta da
verificare. Nel caso in cui il governo neutrale sia sfiduciato il
Quirinale sembra sempre orientato a portare il paese alle urne il
prossimo 22 luglio. «Costringendo», di fatto, tutti i partiti ad una
vera e propria corsa elettorale.

E, in effetti, tra i principali
gruppi si comincia a ragionare in vista di un voto a stretto giro. «Il
candidato premier del Pd sarà Gentiloni, soprattutto se si voterà
presto»; annuncia in serata Matteo Renzi. Mentre nel M5S, oramai, è
partito il countdown per la campagna elettorale. «Il voto sarà un
ballottaggio tra noi e la Lega, questi 65 giorni sono stati i giorni
della verità, in cui abbiamo capito perché i partiti stanno finendo»,
è l'attacco di Di Maio. «Il M5S non vuole il governo», è la replica di
Giorgetti. Ma se voto sarà, per M5S e Lega il destino sarà
probabilmente ancora comune: sfidanti nelle piazze, possibili alleati
di governo.


COMUNE. All'esame del Consiglio duemila emendamenti
Il bilancio arriva in Aula: cigolii nel centrosinistra

La maratona sul bilancio va avanti. I lavori in Aula sono cominciati
ieri e proseguiranno oggi e domani per discutere i quasi duemila
emendamenti presentati soprattutto dai consiglieri di minoranza. I
primi a essere trattati sono stati quelli tecnici illustrati dal
sindaco che, nella maggior parte dei casi, hanno ricevuto anche il via
libera dall'opposizione. È cominciato poi il lungo esame degli
emendamenti delle minoranze, alcuni dei quali con i pareri contrari
degli uffici: è intervenuto il capogruppo del Pd per contestarli in
blocco.

«L'ho detto per il primo presentato, ma vale per tutti: ho sommato gli
emendamenti in discussione: arrivano a un totale di un milione e 940
mila euro nonostante tutto il fondo di riserva sia di 150 mila euro -
spiega Fabrizio Rodin - sono solo chiacchiere al vento e li bocciamo
tutti. Ma il dato certo è che vanno comunque discussi ritardando
l'approvazione del bilancio. Questo è il vero danno per la città».
Non condivide questa accusa, ovviamente, il capogruppo di Forza
Italia. «In realtà il bilancio previsionale avremmo dovuto votarlo
entro dicembre scorso, quindi il danno alla città l'hanno fatto loro -
replica Stefano Schirru - noi stiamo spronando il Comune su tematiche
importanti in cui è completamente assente: il nostro intento è far
capire che il bilancio non deve essere solo calcolo matematico ma
tenere conto delle reali esigenze dei cittadini».

I ruoli in Aula non sono così netti, perché anche tra i banchi della
maggioranza c'è chi non risparmia frecciate al sindaco e alla sua
Giunta. «Non ho presentato emendamenti, coerentemente con gli accordi
presi coi capigruppo, ma permangono le mie perplessità espresse in
Aula sul bilancio», commenta Filippo Petrucci, che ha assicurato
comunque il suo voto favorevole, «mi aspetto non si presentino più
situazioni di criticità dovute a inadempienze o scarsa attenzione
della Giunta e dei dirigenti: che siano assicurati i posti negli
asili, vengano fatti i bandi per l'assegnazione degli spazi, che gli
assegni del Reis non vengano pagati con quattro mesi di ritardo e si
ponga attenzione su tante altre questioni: l'amministrazione non si
trinceri più in un “non si può”, che spesso vuol dire “non sono
capace” o “non ho voglia di farlo”».
Marcello Zasso


-----------------
Federico Marini
skype: federico1970ca


Nessun commento:

Posta un commento