Governo,
pronto il contratto Si tratta su premier e squadra
Approvata
una bozza quasi definitiva, Di Maio e Salvini sempre più ottimisti
Il “Contratto per il governo del
cambiamento” è «semidefinitivo». Ma ci sono alcune parti che «necessitano di un
ulteriore vaglio in sede contrattuale» e altre che hanno bisogno di un «via
libera politico primario» da parte dei leader. Una bozza è nella disponibilità
del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, tuttavia, non ha
intenzione di leggerla perché - come ha chiarito il Quirinale - «non compete al
Capo dello Stato vagliare o approvare bozze di programma di governo, piuttosto
testi definiti, frutto della responsabilità dei partiti che concludono accordi
di governo».
Ora, dettagli a parte, tra Movimento
Cinquestelle e Lega resta da definire un accordo sul nome del premier e, se ci
sarà, da concordare la squadra di governo. Sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini
hanno ostentato ottimismo ed hanno confermato di essere pronti a rinunciare alla
premiership, ma non è detto che sarà così. Domani, o al più tardi lunedì, come
ha detto il numero uno del Carroccio, i due leader potrebbero salire al Colle.
I PUNTI DEL CONTRATTO Il
contratto-programma di governo è frutto di una lunga mediazione tra le
delegazioni dei partiti. In una prima bozza, ad esempio, era contenuta una
strategia per l'uscita dall'euro e la richiesta alla Bce di cancellare 250
miliardi di debito pubblico acquistati dalla Banca centrale italiano con il
quantitative easing.
Nella versione circolata ieri è
scritto che il governo si attiverà in sede europea «per proporre che i titoli
di Stato di tutti i Paesi dell'area euro, già acquistati dalla Bce con
l'operazione del quantitative easing, siano esclusi dal calcolo del rapporto
debito Pil». Restano anche la riforma delle legge Fornero sulle pensioni, la fine
delle sanzioni alla Russia, un intervento sulle pensioni sopra i 5 mila euro e
il debito pubblico ricalcolato in base al Pil.
PENSIONI E LEGITTIMA DIFESA
Confermata la composizione del comitato di conciliazione, un organo simile al
Consiglio di gabinetto previsto dal regolamento di Governo. Ne farebbero
premier, capo politico del M5S e segretario della Lega, presidenti dei gruppi
parlamentari dei due partiti, ministro competente per materia. Previsto un
intervento sulle pensioni d'oro, quelle sopra i 5 mila euro «non giustificate
dai contributi versati»; sulla riforma della prescrizione - argomento caro a
Berlusconi - la valutazione finale è affidata ai due leader. L'M5S spinge per
allungarla, la Lega e (come tutto il centrodestra) sono
storicamente contrari. Invece la riscrittura dell'articolo del codice penale
che riguarda la legittima difesa, caro alla Lega, resta al primo punto del
capitolo giustizia.
STOP SANZIONI ALLA RUSSIA Movimento
Cinquestelle e Lega intendono restare nella Nato ma vogliono la fine delle
sanzioni alla Russia. «Si conferma l'appartenenza all'Alleanza atlantica, con
gli Stati Uniti d'America quale alleato privilegiato, con una apertura alla
Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale»,
è scritto nella bozza del contratto. «A tal proposito è opportuno il ritiro
immediato delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come
interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali
(Siria, Libia, Yemen)”
Sui vaccini, resi obbligatori dal
governo attuale pena il divieto di frequentare la scuola, per il probabile
nuovo esecutivo «va affrontata la tematica del giusto equilibrio tra il diritto
all'istruzione e il diritto alla salute, tutelando i bambini in età prescolare
e scolare che potrebbero essere a rischio di esclusione sociale».
IL NODO DEL PREMIER Quanto al premier,
di nomi ne sono circolati molti anche ieri. Nei corridoi dei palazzi della
politica, però, a taccuini chiusi, da diverse fonti di area M5S è trapelata una
voce (insistente) su un metodo condiviso dai due protagonisti della fase
politica attuale. In sostanza, la base di questo accordo prevederebbe che se a capo
del governo andasse Di Maio, allora la squadra di governo sarebbe di 20
ministri e le deleghe di peso (Interno, Difesa, Lavoro, Economia) andrebbero
alla Lega.
Se, invece, a Palazzo Chigi sedesse
un esponente del Carroccio (la figura individuata sarebbe quella di Giancarlo
Giorgetti), i contrappesi sarebbero tutti in favore del Movimento, che
potrebbero a casa anche un numero maggiore di dicasteri. Resta però in piedi
anche l'ipotesi neutrale, con un terzo uomo gradito a entrambi gli azionisti
del nuovo esecutivo. In questo caso Di Maio e Salvini entrerebbero nella partita
per dare un valore politico alto alla squadra.
UNIONE
SARDA
ASSEMINI.
I fuoriusciti dal Pd: le ragioni dell'addio
Parlano
Pintus e Piano
Nuove reazioni sugli 11 tesserati
del Pd candidati in altri
schieramenti in vista delle comunali
di Assemini e per i quali sarà
avviato il procedimento di
espulsione. Sono Davide Pintus, inserito
nella lista del M5s di Sabrina
Licheri, Monia Piano, passata alla
Lega-Psd'Az, e i dissidenti della
civica Democratici progressisti per
Assemini di Francesco Consalvo.
CON IL M5S Parla Pintus, difeso dal
M5s, il cui statuto non consente
l'adesione agli iscritti ad altri
partiti: «Ho fatto parte del circolo
Rosselli come tesserato, senza aver
partecipato attivamente
all'attività politica. Lo avevo
comunicato ai referenti del M5S,
aggiungendo che, molto tempo prima
della candidatura, ho espresso
verbalmente la volontà di non essere
legato più al Pd. È seguita una
richiesta di dimissioni formale,
attestata da un documento del
presidente del circolo. Pur di
attaccare l'avversario di turno, il Pd
locale autodenuncia il fenomeno
abbandono, frutto di una gestione
basata su un sistema senza dialogo
interno, incapace di coinvolgere la
base e miope rispetto ai problemi
della comunità». L'ufficio
tesseramenti Pd però conferma la sua
presenza nell'elenco.
CON LEGA-PSD'AZ «Non mi rivedevo più
nell'ideologia dem», aveva detto
Piano. Gianluigi Scalas, referente
Lega-Psd'Az, che appoggia Antonio
Scano, candidato sindaco per la
coalizione di centrodestra Andare
Oltre, aggiunge: «Monia è una delle
24 risorse che hanno scelto di
scendere in campo, ponendo Assemini
al centro. Ognuno, con la propria
sensibilità politica, ha
privilegiato l'unità e la convergenza in un
unico progetto. Nessun pregiudizio
per le scelte politiche dei nostri
candidati ma arricchimento e
confronto costruttivo su soluzioni e
metodo per far crescere la città».
Per Scano «il passato dei candidati
non è un problema ma un'opportunità
da mettere a sistema in un
progetto innovativo e inclusivo».
DISSIDI I dissidi nel Pd erano
iniziati a dicembre con le dimissioni
di 21 su 31 componenti del
direttivo, in segno di sfiducia nei
confronti del segretario Antonio
Caddeo, accusato di volere una
coalizione con il centrodestra. Tra
i dissidenti figurano Piano,
Consalvo. La corrente di Consalvo
avrebbe voluto presentare una civica
di centrosinistra che appoggiasse il
Pd ma la direzione provinciale
aveva blindato Caddeo e ammonito i
dissidenti, ricordando che la
candidatura senza simbolo, o contro
il partito, comporta l'espulsione.
Da qui la presentazione della lista
dem, capeggiata da Francesco
Lecis, e lo strappo del gruppo di
Consalvo.
CENTRODESTRA Continua la campagna
elettorale: Scano, candidato del
centrodestra, definisce
l'inquinamento a Macchiareddu «un fatto
documentato. Dobbiamo spingere
l'acceleratore verso un progetto di
sviluppo rispettoso del diritto al
lavoro, ma anche della nostra
meravigliosa terra». (l. e.)
Il
segretario del Psd'Az Solinas conferma l'intesa col Carroccio
«Alleati
anche sulle battaglie per l'Isola»
Il governo targato Lega-M5S potrebbe
essere l'occasione per un
progetto dedicato all'Isola. Il senatore
del Psd'Az, Christian
Solinas, eletto nelle file del
Carroccio, non esclude, infatti, «un
accordo ampio per sostenere le
battaglie della Sardegna».
Questo governo è l'unico modo per
uscire dallo stallo?
«Il voto del 4 marzo ha dato
un'indicazione precisa: è stata bocciata
la stagione dei governi tecnici e
delle alchimie di palazzo alle quali
si sono ancorate le vecchie
consorterie del potere. I cittadini hanno
riposto in larga parte le grandi
aspettative di cambiamento su due
proposte politiche che oggi hanno il
dovere di confrontarsi e trovare
una sintesi per uscire dal guado e
dare una guida sicura e democratica
al Paese».
Prima delle elezioni lo avrebbe
immaginato?
«La nostra speranza era chiaramente
di una vittoria del centrodestra
per governare autonomamente con una
nostra maggioranza. Il dato
elettorale ha confermato, invece, la
presenza di differenti
sensibilità sociali e politiche,
obbligando tutti a contemperare le
proprie istanze programmatiche per
formare un governo di coalizione».
L'epilogo più giusto visto il
risultato elettorale?
«Le elezioni possono, forse, aver
lasciato qualche incertezza sul
vincitore, dato che la coalizione
più votata non contiene il partito
di maggioranza relativa. Non ci sono
grossi dubbi su chi abbia perso e
sul fatto che il cambiamento sia una
priorità. Le due forze politiche
che maggiormente interpretano questa
crescente domanda della società
nel suo complesso sono la
Lega-Psd'Az e il Movimento 5 Stelle».
Un governo “giallo-verde” permetterà
di garantire le battaglie per la Sardegna?
«Assolutamente sì. Noi abbiamo un
patto firmato con Salvini sui punti
programmatici importanti per
l'Isola. Non possiamo dimenticare, però,
che i sardi hanno dato un ampio
consenso ai pentastellati, eleggendo
ben 16 parlamentari su 24. Sugli
interessi vitali della Sardegna
potremmo costruire un accordo ampio
che ci veda finalmente uniti nelle
battaglie che non consentono affatto
divisioni di parte come
continuità territoriale, entrate,
zona franca e riforma dello Statuto
speciale, con crescenti e reali
spazi di autogoverno per la Regione».
Perché il Pd vorrebbe un governo del
presidente?
«Perché rappresenta l'opzione più
conservativa, mentre noi vogliamo il
cambiamento. Basta con i governi dei
nominati, dei burocrati e dei
mille lacci che stanno deprimendo il
nostro Paese da troppi anni».
Una legislatura di questo tipo, può
essere duratura?
«Dipende da molti fattori, ma credo
che un governo e un parlamento in
grado di risolvere le attuali
emergenze non avrebbero ragione di non
essere duraturi».
Matteo Sau
Autodeterminatzione,
si riparte
Il
progetto indipendentista lancia la corsa alle Regionali. Palazzari presidente
Dopo l'esordio alle elezioni
politiche, Autodeterminatzione prosegue
la sua corsa verso le Regionali con
un nuovo presidente e portavoce,
Fabrizio Palazzari, un nuovo statuto
e una nuova componente,
rappresentata da Radicales Sardos.
Ieri, in Consiglio regionale, le
sette sigle che fanno parte del
sodalizio indipendentista hanno
tracciato il percorso verso il
prossimo appuntamento elettorale.
L'idea è aprire le porte a «forze
politiche, movimenti e associazioni
che abbiano testa, cuore e gambe
nella nostra Isola», spiega
Palazzari, sicuro
«dell'impossibilità di allearci con i blocchi che
hanno governato la Sardegna negli
ultimi anni». Il consigliere
regionale Emilio Usula ribadisce la
volontà di costruire una forza
«alternativa al centrosinistra». Un
pensiero anche al Partito dei
sardi, forza indipendentista che fa
parte della maggioranza: «Devono
decidere cosa fare in futuro».
Dunque, c'è una nuova fase in cui ci
si prepara ad affrontare una
legge elettorale regionale che ha
dimostrato «quanto sia
antidemocratica», sottolinea
Palazzari ricordando l'esperienza di
Sardegna Possibile, «rimasta fuori
dal Consiglio regionale nonostante
le migliaia di voti, a causa di una
soglia di sbarramento alta». Per
quanto riguarda questa fase, la
vicepresidente Stefania Lilliu dice:
«La leadership diffusa è quella che
paga di più nel progetto
Autodeterminatzione, che dalle
elezioni non si è mai fermato».
Inevitabile un passaggio anche sulle
due associazioni (Sardos e
Comunidades) che hanno abbandonato
il tavolo: «Tutti i progetti nuovi
devono assestarsi», spiega
Palazzari, «forse sono venute meno
motivazioni e obiettivi. Il
progetto, comunque, va avanti». (m. s.)
MUNICIPIO.
Oggi in
programma l'approvazione del Bilancio
Torna il
sereno in Consiglio dopo lo scontro tra Massidda e Stara
Il Consiglio comunale potrebbe
approvare oggi il bilancio di
previsione: le trattative tra
maggioranza e opposizione hanno portato
al ritiro di tanti emendamenti in un
clima tranquillo, dopo la seduta
infuocata di martedì sera con lo
scontro ad alta tensione tra Franco
Stara dei “Progressisti per Lussu” e
Piergiorgio Massidda di
“#cagliari16”. Le parole dell'ex
senatore forzista, che riprendeva le
dichiarazioni di Gianni Chessa
(Psd'Az) contro gli ex compagni di
partito dopo la sua cacciata dalla
Giunta, hanno scatenato la reazione
di Stara.
«Non serbo rancore, ma vivo le
istituzioni da tutta la vita e mi
dispiace per quello che è successo.
Le istituzioni vanno rispettate,
qualche volta di sicuro ho trasceso
ma in quel caso sono stato
aggredito», commenta Massidda, «ho
chiarito con la capogruppo Matta e
con Stara non ci siamo sentiti, ma
credo che abbia sbagliato anche il
presidente del Consiglio a
equiparare il mio comportamento a quello
del consigliere Stara».
Un'accusa respinta da Guido
Portoghese, il quale sostiene di essersi
ben comportato. «Ho censurato la
condotta di Stara, sono intervenuto
per riprenderne modi e linguaggio
utilizzati in Aula», spiega, «ma
contestualmente il consigliere
Massidda ha avuto atteggiamenti non
consoni e ho ripreso anche lui».
L'ex presidente dell'Autorità
portuale però tiene il punto e
ribadisce le critiche sulla trattativa
tra il sindaco Massimo Zedda e il
Psd'Az prima delle elezioni
amministrative (per i posti in
Giunta e per la guida del Ctm) e su
quella attuale dei tre consiglieri
espulsi, che rivendicherebbero
quelle poltrone. «Ho detto la verità
e lo vedremo nei prossimi giorni.
Tra loro c'è molta tensione, si è
visto dalla reazione di Stara», dice
Massidda.
«L'episodio si è chiuso lì però Massidda
deve evitare di dire
inesattezze e bugie. Ha fatto
allusioni pesanti a cose non vere, che
non stanno né in cielo né in terra»,
replica Franco Stara, «e lo
vedremo col rimpasto: non siamo
della vecchia politica, che barattava
sedie e posti. Vogliamo seguire le
linee programmatiche che abbiamo
sposato senza cercare sedie, perché
non ne abbiamo bisogno». I due
protagonisti non si sono ancora
chiariti. «Non abbiamo avuto modo di
parlarci, siamo alle prese col
bilancio. Non serbo rancore: ci
prenderemo un caffè e ne parleremo»,
assicura Stara.
M. Z.
La
Nuova
Autodeterminatzione,
Lilliu nuova portavoce
Gli
indipendentisti scelgono una nuova guida dopo le dimissioni di
Muroni:
in campo per le regionali
CAGLIARI
È innegabile. A marzo il Progetto
Autodeterminatzione si aspettava un
bel po' di voti in più rispetto ai
ventimila con cui ha chiuso alla
fine le Politiche. Ma «in appena due
mesi di campagna elettorale, il
nostro è stato un miracolo di cui
andiamo fieri e siamo convinti che
quello sia stato solo l'inizio». La
sfida va avanti. Con
quest'auspicio, l'alleanza
indipendentista ha aperto quella che il
consigliere regionale dei Rossomori,
Emilio Usula, ha definito la fase
due: «Il prossimo obiettivo saranno
le Regionali del 2019 e siamo già
in azione nei territori.
Alle amministrative di giugno
appoggeremo
diverse liste civiche in cui sono
presenti candidati indipendentisti.
Poi, ancora una volta, ci
presenteremo da soli, lontanissimi dai
soliti schemi destra, centro e
sinistra. Cioè da tutti quei partiti
italiani che finora hanno devastato
la Sardegna». Certo, qualche
contraccolpo per il risultato
elettorale di marzo c'è stato. A
cominciare dalle dimissioni
volontarie del primo portavoce, era il
giornalista Anthony Muroni, per
proseguire con l'addio del gruppo
Comunidades, avrebbe voluto che
quelle dimissioni fossero respinte ma
così non è stato. «Appartiene tutto
al passato», ha detto il
presidente Fabrizio Palazzari,
eletto pochi giorni fa dall'assemblea
formata dai movimenti Gentes,
Sardegna possibile, Rossomori, Sardinia
Natzione, Irs e Liberu, più i
Radicali sardi, che si sono uniti dopo
le Politiche. Oltre ad avere un
nuovo vertice, la portavoce è Stefania
Lilliu, il Progetto s'è dato
soprattutto uno statuto.
«È il patto da
cui vogliamo partire - ha detto
Palazzari - per arrivare
all'autogoverno della Sardegna». Per
poi aggiungere: «È in atto un
processo inarrestabile. Sempre più
sardi sono convinti che
l'autodeterminazione sia l'unica
strada per liberarci dal giogo
romano». L'alleanza è pronta ad
accogliere altri movimenti che
professano l'indipendentismo, ma
Usula ha precisato: «Non il Partito
dei sardi. Sta ancora nel
centrosinistra, però fa le bizze ogni
giorno, ma non si capisce cosa
voglia fare in futuro». Un'ultima
domanda: il simbolo del Progetto
continuerà a essere «su carrabusu»,
lo scarabeo? «Vedremo. È tutto in
evoluzione», ha detto Gavino Sale di
Irs.
Il Colle
vuole il testo Lega e M5s stringono
Verso il governo
di Marcello Campo
ROMA
Lega e Movimento Cinque stelle
stringono l'accordo sul programma. Ora,
entro domenica, trattativa a
oltranza per l'intesa sul premier, con
l'ipotesi sempre in campo di una
staffetta tra i leader a Palazzo
Chigi. In un vertice notturno i due
leader hanno limato il programma e
sono tornati sulla questione del
premier, senza escludere il principio
della staffetta, con Luigi Di Maio
in pressing su Salvini, ancora
freddo al riguardo, per ottenere il
mandato di partenza.
Intanto, la
futura maggioranza giallo-verde
raggiunge un primo importante passo
lungo la strada verso la formazione
di un governo, un passo necessario
ma non ancora sufficiente: ora hanno
il compito fondamentale di
dialogare e trovare una via d'uscita
comune con il Capo dello Stato
sulla struttura dell'esecutivo. Il
Colle, dal canto suo, dopo le
polemiche sulla bozza «no-euro»,
ammonisce che il suo ruolo è
esaminare solo testi definiti,
frutto delle responsabilità dei
partiti, certamente non bozze
preparatorie.
Sergio Mattarella non
prende la parola, tuttavia molti
osservatori politici sono convinti
che, dopo oltre 70 giorni di
trattative, porrà l'accento sulla
necessità che l'Italia non perda la
credibilità conquistata negli
ultimi mesi, avanzando proposte che
mettano a rischio la tenuta dei
conti e del tutto incompatibili con
i vincoli europei. Ad ogni modo,
dopo giorni di lavoro febbrile, il
tavolo tecnico trova il tanto
sospirato accordo, lasciando aperti
solo pochi nodi che vengono
affrontati dall'ennesimo faccia a
faccia tra Luigi Di Maio e Matteo
Salvini. Si tratta di temi molto
importanti, dal fiscal compact alle
grandi opere, dall'immigrazione alla
sicurezza.
Tuttavia i
protagonisti giurano che si tratta
solo di limare posizioni non troppo
distanti, problemi sostanzialmente
risolvibili. Il contratto si
traduce in un documento di oltre 40
pagine, in cui s'è trovato un
punto di equilibrio sui temi cari
alle due forze politiche, dalla
legittima difesa alle pensioni
d'oro, dall'abolizione della Fornero al
reddito di cittadinanza.
Nel testo non c'è traccia
dell'uscita
dell'euro e si pone l'accento sulla
tutela dei risparmiatori. «Siamo
orgogliosi e soddisfatti perché in 6
giorni abbiamo fatto un lavoro
enorme su un contratto di governo
molto ambizioso», sintetizza Alfonso
Bonafede (M5S), al termine dei
lavori. «I punti di convergenza -
conclude - sono stati tanti e il
risultato è enormemente positivo».
Soddisfatto anche il leghista
Claudio Borghi: «Siamo riusciti a
mettere sul tavolo una enorme mole
di proposte e grazie a un lavoro
molto proficuo siamo riusciti a
trovare una soluzione positiva per
tutti». Definito il programma - che
sarà approvato dai gazebo di Lega
e M5s nel fine settimana - sul
tavolo rimane il nodo centrale del
futuro premier e la squadra di
governo.
Quello che sembra certo è che
sarà un politico. Sia Matteo
Salvini, sia Luigi Di Maio, fanno sapere
in pubblico di essere disponibili a
un «passo di lato» pur di far
partire l'esecutivo. Anche se la
partita sembra essere sempre più
ristretta a loro due. I rumors di
Montecitorio rilanciano le chances
anche dei pentastellati Alfonso
Bonafede e Riccardo Fraccaro. Restano
alte le quotazioni del leghista
Giancarlo Giorgetti. Per quanto
riguarda i ministeri Salvini su
Facebook ribadisce la richiesta di
avere per il suo partito la delega
agli Interni e all'Agricoltura.
«Nel contratto c'è la difesa dei
confini e credo che un ministro della
Lega possa fare da garante. Se parte
un governo dimezzeremo i centri
di accoglienza per mettere più soldi
sulle espulsioni»
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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