La Nuova Sardegna
L'euforia
di Lega e M5S: «Ora niente ostacoli» Gelida la stampa estera
Il reggente Pd Martina gli manda a
dire che l'Italia non si governa come se si fosse in tribunale, Renzi promette
che i Dem «si costituiranno parte civile», mentre Giorgio Mulè avverte che
Forza Italia «non concederà le attenuanti». Le reazioni dell'opposizione al
premier incaricato Giuseppe Conte fanno un po' tutte il controcanto al suo
«sarò l'avvocato degli italiani». Nessuna traccia delle polemiche sul
curriculum imbellettato né sulla difesa del diritto a curarsi con la
terapia-truffa di Stamina, temi che pure 24 ore prima arroventavano il
dibattito.
LA STAMPA ESTERA Forse l'opposizione
vuole lasciare alla stampa straniera il compito di amareggiare l'esordio a
Conte: il britannico Guardian lo definisce «un esordiente politico» alla guida
di un «governo populista», il New York Times parla di «nuova minaccia all'Ue» e
il Financial Times sottolinea l'inesperienza del prossimo primo ministro e la
cosmesi al curriculum, mentre l'agenzia di stampa cinese Xinhua lo fotografa
come «un professore relativamente sconosciuto con zero esperienza in politica e
nella pubblica amministrazione».
«FACCIAMO GIUSTIZIA» Chiaro che lo
spazio e i microfoni quindi siano al novanta per cento per Lega e M5S, che con
l'incarico al professore vedono a un passo il timone del Paese e non si
preoccupano più tanto di rassicurare mercati, Colle e Bruxelles. Mentre Conte
si dichiara «consapevole» dell'importanza dei rapporti con l'Europa, Luigi Di
Maio su Facebook proclama che «forse ora si comincia a fare un po' di giustizia
in questo Paese».
Quanto ai rapporti internazionali,
«ci confronteremo con le altre Nazioni ma saremo i difensori degli italiani».
Poi una frenata sul presidente della Repubblica, attaccato da Alessandro Di
Battista che minacciava di mobilitare le piazze se non avesse incaricato Conte:
«Mattarella - riconosce ora Di Maio – è stato pienamente rispettoso della
nostra Costituzione, lo ringraziamo per quello che ha fatto».
GRILLO BENEDICE E dopo un lungo
silenzio si fa sentire anche Beppe Grillo: «Saluto con grande piacere il
professor Giuseppe Conte, lo abbiamo visto attraversare una foresta di dubbi e
preoccupazioni maldestre, faziose e manierate, che ha saputo superare grazie a
dei requisiti fondamentali per la carica che è destinato a ricoprire: la tenuta
psicologica e l'eleganza nei modi».
«NIENTE VETI» E rispetto al premier
in pectore, certamente Matteo Salvini è meno raffinato delle maniere: il leader
leghista liquida con insofferenza le perplessità degli industriali sul
programma di governo gialloverde («Ho sentito qualcuno che guarda al passato,
oggi a Confindustria. Sembra che l'Italia non abbia votato e che si parli ancora
ai governi Letta, Renzi, Gentiloni») e poi lancia un paio di avvertimenti («ll
mondo va avanti, gli italiani hanno voglia, fame sarà un governo dell'orgoglio.
Spero nessuno metta veti» e poi un'imbronciata «speranza che nessuno metta
altri ostacoli alla nascita di un governo che gli italiani stanno aspettando»).
Ma alla fine il prossimo ministro
dell'Interno una dichiarazione quasi conciliante la concede: «Non andiamo a
sfasciare niente, andiamo a ricostruire una posizione dell'Italia in Europa,
con orgoglio e dignità, senza essere subalterni».
IL CASO CROSETTO Ma c'è qualcosa che
Salvini pare intenzionato a sfasciare, ed è il centrodestra. A cominciare
dall'anello più piccolo, Fratelli d'Italia: ieri, mentre Giorgia Meloni si
dichiarava «delusa» dal leghista e smentiva di avergli dato il via libera per
la trattativa col M5S, il suo compagno di partito Guido Crosetto si dimetteva
da parlamentare. Scelta dettata da «motivi esclusivamente personali», ma se
fosse vero che per lui è in arrivo il ministero della Difesa, porterebbe in
dote ai gialloverdi una pattuglia molto ridotta ma comunque preziosa.
La Nuova Sardegna
Pd,
sabato l'assemblea Staffetta Cucca-Morittu
Accordo
renziani-Cabras-ex Diesse: l'attuale vice in pole per la segreteria
Ancora in
minoranza l'area soriana che sostiene Dolores Lai e chiede
il
congresso
CAGLIARIL'assemblea regionale del Pd
è stata riconvocata sabato
mattina, alle 10, nel centro
congressi del Nuraghe Losa, ad Abbasanta,
e potrebbe essere la riunione
decisiva, quella della svolta dopo la
legnata elettorale del 4 marzo.
Perché in questi giorni, dietro le
quinte, buona parte del partito
avrebbe costruito una possibile
soluzione per superare la lunga
contrapposizione, dura da due mesi,
sulle dimissioni o meno del
segretario Giuseppe Luigi Cucca.
È quasi deciso: sabato ci sarà una
staffetta, con la promozione sul campo -
dovrà essere eletto comunque
dall'assemblea - dell'attuale
vicesegretario Pietro Morittu. Ha 40
anni, è consigliere comunale a
Carbonia, capo di gabinetto
dell'assessore ai trasporti Carlo Careddu,
primo dei non eletti nel collegio
del Sulcis nelle Regionali del 2014,
su Facebook ha scritto: «La politica
è bella se la guardi negli
occhi». C'è una seconda novità: la
carica di vice, con funzioni
operative, potrebbe essere affidata
al consigliere regionale Franco
Sabatini, anche se lui ha fatto
sapere: «Non mi è stato proposto
ancora nulla».
Cos'è accaduto. Questo: i
popolari-riformisti dell'area
Cabras-Fadda (è la corrente di
Morittu) e il gruppo formato dai
renziani più gli ex Diesse
(Sabatini) avrebbero stretto un nuovo patto
di maggioranza. Dopo essere stati
alleati l'anno scorso, insieme hanno
eletto il renziano Cucca, lo
sarebbero ancora, ma questa volta a parti
inverse negli incarichi di vertice.
Nel patto dovrebbe rientrare anche
il lancio ufficiale del referendum
fra gli iscritti sulla possibilità
- prospettata dall'ex senatore
Silvio Lai, anche lui
popolare-riformista - che il Pd
sardo si stacchi dal partito
nazionale.Soru in minoranza.
Di fronte a questo possibile
scacchiere
dell'ultim'ora, a restare fuori
sarebbe come in passato la corrente
capeggiata dall'eurodeputato: era e
resterà in minoranza. Ma
soprattutto uscirebbe sconfitta la
proposta dei soriani di celebrare
il congresso subito, mentre a questo
punto non sarà prima di
settembre. Perché se Cucca sabato
dovesse dimettersi, l'assemblea
potrà eleggere seduta stante il
successore senza ripassare dalle
primarie. Però c'è chi sostiene
anche questo: una parte della corrente
di Soru starebbe lavorando per non
finire all'angolo, con l'obiettivo
quindi di arrivare a una gestione
unitaria del partito. Se il
tentativo del «tutti dentro» dovesse
andare a buon fine, ci potrebbe
essere un secondo vicesegretario
indicato dai soriani.
Possibilità di
successo. Sulla carta l'accordo
dell'ultim'ora può contare su una
maggioranza netta,
popolari-riformisti e renziani hanno da loro oltre
100 delegati su 160, e quindi se la
staffetta Cucca-Morittu dovesse
essere ufficializzata, il via libera
sarebbe assicurato. Se poi nel
nuovo patto dovessero entrare anche
i soriani, la successione
passerebbe all'unanimità. Ma nel Pd
nulla va dato per scontato.
Soprattutto perché non va
dimenticato che una parte del partito, in
particolare i soriani, si sono
schierati da tempo a favore dell'unica
candidatura ufficiale, quella
dell'indipendente Dolores Lai e quindi
c'è ancora molto da chiarire in
questi giorni che mancano
all'assemblea di sabato. (ua)
Unione
Sarda
Pd sardo,
asse tra renziani e riformisti: spunta Morittu
Prove
d'intesa in vista dell'assemblea di sabato: si va verso la
reggenza
del vicesegretario
Per uscire dal pantano il Pd sardo
rispolvera l'alleanza tra renziani
e Popolari-riformisti. La stessa che
portò alla segreteria Giuseppe
Luigi Cucca che potrebbe lasciare
per cedere il testimone a Pietro
Morittu, attualmente vice segretario
in quota Popolari-riformisti.
Questa sarebbe la via d'uscita da
presentare sabato all'assemblea,
lasciando di fatto fuori dai giochi
i soriani più orientati verso la
convocazione immediata del
congresso.
IL NOME Pietro Morittu sarebbe così
la persona individuata per
traghettare il Partito democratico
in un percorso lungo che porti sì a
un congresso ma in tempi molto più
dilatati. Nei giorni scorsi gli
ambasciatori delle due correnti si
sono incontrati, raggiungendo un
accordo di massima, anche se sul
nome di Morittu i renziani predicano
prudenza. La soluzione sarebbe
comunque gradita a entrambe le correnti
che piuttosto che un congresso in
tempi rapidi, gradiscono
maggiormente un'uscita più indolore
di Cucca a favore di un gruppo
dirigente che governi il partito.
IL PERCORSO Nomi a parte il percorso
che le due correnti proporranno
all'assemblea è delineato.
L'obiettivo è avviare una conferenza
programmatica sul territorio,
coinvolgendo i circoli per poi
organizzare una giornata in cui in
ogni Comune si terrà un'assemblea
civica. Il risultato di questi
incontri sarà discusso dalle assemblee
provinciali per arrivare all'assise
regionale con un mandato
territoriale forte e un congresso da
celebrare. Questo è il percorso
di cui si dovrebbe occupare Morittu
che potrebbe però avere due punti
di vista diversi da parte dei suoi
sostenitori.
Infatti, da un lato si
ragiona se limitare il mandato a una
sorta di commissario reggente,
così come succede a livello
nazionale con Maurizio Martina al posto di
Matteo Renzi. Dall'altro, si discute
se investire Morittu come futuro
segretario e fargli affrontare la
guida del Pd con questa prospettiva.
I CONTRARI Difficilmente i soriani e
qualche altro esponente come la
candidata alla segreteria, Dolores
Lai, accetteranno questa soluzione.
I numeri non giocano a favore della
corrente che da settimane chiede
con insistenza le dimissioni di
Cucca e l'avvio del congresso per
cambiare la segreteria del partito.
Sabato all'assemblea sarà la conta
dei voti a stabilire i prossimi
passaggi, a oltre 70 giorni dalle
elezioni e con una sconfitta ancora
da analizzare.
Matteo Sau
Conte
premier: «Sto con i cittadini»
ROMA Il colloquio col presidente
della Repubblica è durato due ore:
quasi un record nella storia delle
consultazioni al Quirinale.
Mattarella ha affidato l'incarico
per la formazione del governo a
Giuseppe Conte, professore di
diritto privato, che accetta con
riserva. «Sarò l'avvocato difensore
del popolo italiano», ha detto
appena uscito dall'incontro col capo
dello Stato. Punto cruciale del
discorso del premier incaricato i
rapporti con l'Unione europea.
«Abbiamo parlato della fase
impegnativa e delicata che stiamo vivendo
e delle sfide che ci attendono e di
cui sono consapevole. Così come
sono consapevole - ha puntualizzato
- della necessità di confermare la
collocazione europea e
internazionale dell'Italia». La svolta di una
lunga giornata è arrivata alle 19.
«Se riuscirò a portare a compimento
l'incarico - ha detto Conte -,
esporrò alle Camere un programma basato
sulle intese intercorse tra le forze
politiche di maggioranza».
IL NODO ECONOMIA Il premier
incaricato non è stato preciso
nell'indicazione dei tempi sui
ministri: «Nei prossimi giorni
presenterò la lista al Quirinale».
Luigi Di Maio (Lavoro) e Matteo
Salvini (Interno) saranno
nell'esecutivo, la Giustizia dovrebbe andare
ai 5 Stelle, così come la Salute
(Giulia Grillo) e l'Agricoltura alla
Lega. Il vero nodo riguarda
l'Economia, con il nome di Paolo Savona,
economista cagliaritano euroscettico
fortemente sostenuto dalla Lega,
il cui nome fino al pomeriggio
sembrava in pole position, superato
poi, secondo quanto battuto dalle
agenzie, da Giancarlo Giorgetti,
braccio destro del leader del Carroccio
e capogruppo alla Camera.
In serata la sua candidatura ha
ripreso quota con Salvini che ha
dichiarato: «La figura di spessore,
coerenza, onestà e pulizia di
Savona sarebbe una garanzia per 60
milioni di italiani che finalmente
avrebbero a Bruxelles uno che
tratta, non impone, con il fatto che
l'interesse nazionale viene prima».
Un sostegno arrivato anche da
Luigi di Maio: «Savona è una persona
valida che ci può dare una mano a
livello nazionale e internazionale
per realizzare le nostre riforme.
Per me e per Salvini Savona è una
persona all'altezza della situazione
ma capiamo», ha aggiunto, «che c'è
un'interlocuzione istituzionale da
fare». È tornato in sella quindi il
nome di Savona. C'è un altro
indizio che gioca a favore della sua
nomina: in mattinata ha lasciato
la presidenza del fondo di
investimento privato anglo-lussemburghese
Euklid.
«IO, AVVOCATO» Nel suo discorso,
Giuseppe Conte ha rivendicato il
contributo dato alla stesura del
contratto prospettando il valore del
cambiamento per il Paese. «Il
contratto su cui si fonda l'esecutivo, a
cui ho dato un contributo,
rappresenta in pieno le aspettative di
cambiamento dei cittadini, lo porrò
a fondamento dell'azione di
governo. Il mio intento è di dar
vita ad un esecutivo dalla parte dei
cittadini, che tuteli i loro
interessi - ha sottolineato -.
Sono professore e avvocato, nel
corso della mia vita ho perorato le cause
di tante persone. Mi accingo ora a
difendere gli interessi di tutti
gli italiani, in tutte le sedi,
europee ed internazionali, dialogando
con le istituzioni europee e con i
rappresentanti di altri Paesi». In
vista del Consiglio europeo di fine
giugno e rispetto ai «negoziati in
corso sul bilancio europeo, sulla
riforma del diritto di asilo e sul
completamento dell'unione bancaria»,
ha aggiunto il premier
incaricato, «è mio intendimento
impegnare a fondo l'esecutivo su
questo terreno, costruendo le
alleanze opportune e operando affinché
la direzione di marcia rifletta gli
interessi nazionali». Nei prossimi
giorni, ha concluso, «tornerò dal
presidente della Repubblica per
sciogliere la riserva, in caso di
esito positivo per sottoporgli le
proposte relative alla nomina dei
ministri. Non vedo l'ora di iniziare
a lavorare sul serio».
INCONTRI DI RITO Giuseppe Conte è arrivato
al Quirinale in taxi. Dopo
il colloquio con Mattarella e
l'incontro coi giornalisti ha lasciato
il Colle sempre a bordo di un taxi
ma stavolta, da premier incaricato,
era seguito dalle auto della scorta.
Prima tappa a Montecitorio dove
ha incontrato il presidente Roberto
Fico che più tardi ha scritto su
Facebook: «Ho ricevuto questa sera a
Montecitorio il presidente del
Consiglio incaricato, Giuseppe
Conte, a cui ho augurato buon lavoro».
Poco dopo le 21 ha lasciato il
palazzo, sempre in taxi, per
raggiungere il Senato dove ha
parlato con la presidente Elisabetta
Casellati.
La Nuova Sardegna
E i due
Di Battista attaccano il Quirinale verso il governo»la svolta
di Michele Esposito
Fatto il premier resta un discreto
caos sulla squadra che dovrà
affiancarlo. Luigi Di Maio e Matteo
Salvini arrivano alla fine del
giorno X del «governo del
cambiamento» con un sospiro di sollievo. Il
sì del Quirinale alla premiership di
Giuseppe Conte dà a M5S e Lega
una base di partenza e la certezza
di non finire nel baratro. Ma la
partita è tutt'altro che chiusa, a
cominciare dall'Economia, dove Di
Maio e Salvini, nonostante il non
gradimento del Colle, insistono
sullo stesso nome di 72 ore fa:
Paolo Savona. La trincea sull'ex
ministro del governo Ciampi - che
ieri ha lasciato il fondo Euklid per
«impegni pubblici» - è dettata da
una duplice motivazione. Su Savona,
nonostante l'Economia sia in quota
Lega, c'è una perfetta condivisione
tra Carroccio e Movimento.
E, in secondo luogo, cadendo il nome
di
Savona si rischierebbe di
sconvolgere l'intero puzzle governativo. La
possibilità che Giancarlo Giorgetti
sia dirottato al Tesoro, oltre a
non entusiasmare il diretto
interessato (che, messo alle strette,
difficilmente potrebbe non
accettare) vedrebbe infatti M5S e Lega
cominciare un nuovo, rischioso,
braccio di ferro. «In questo modo
diamo tutto alla Lega come se fosse
Di Maio premier», è il refrain che
filtra da chi, nel M5S, segue la
trattativa. Da qui la decisione di
andare fino in fondo su Savona.
Una decisione che, in qualche modo,
Conte ha perorato nel faccia a
faccia con il presidente Sergio
Mattarella. Le speranze che il Colle
alla fine ceda, sono tuttavia
flebili. E, visto che la carta
Giorgetti risulta a dir poco
problematica, a M5S e Lega servirà
trovare, alla svelta, un piano B
che lasci più o meno intatto il
puzzle ministeriale. Ma i nodi non
finiscono qui. Agli Esteri, ad
esempio, sono in rapido ribasso le
quotazioni di Giampiero Massolo. In
pole, come alternativa, c'è l'ex
montiano Enzo Moavero Milanesi ma
non si esclude che, soprattutto con
Giorgetti al Mef, possa essere
proprio Di Maio a guidare la Farnesina
prendendosi anche la delega agli
Affari Ue.
Di Maio, per ora, punta al
superministero Mise-Lavoro, trovando
anche in questo caso lo
scetticismo del Colle ma puntando,
proprio come su Savona, anche in
questo caso ad andare fino in fondo.
Al M5S andranno Difesa (Emanuela
Trenta il nome in pole, outsider
l'ambasciatore Pasquale Salzano),
Giustizia (Alfonso Bonafede resta
favorito) e Ambiente (con il
generale Sergio Costa ma non si
esclude che vada ad un parlamentare) e
la P.A., dove è diretta Laura
Castelli. Il dicastero diretto da Delrio
potrebbe andare alla Lega (Giuseppe
Bonomi o ancora Giorgetti) ma, se
andasse al M5S il prescelto potrebbe
essere Mauro Coltorti.
All'Istruzione, potrebbe andare il
braccio destro di Di Maio Vincenzo
Spadafora. Che, con Giorgetti al
Mef, potrebbe invece essere proposto
come sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio. Carica, per la
quale andrebbe a Giorgetti stesso,
con le chance dell'outsider Lorenzo
Fontana in salita. di Serenella
MatterawROMA«Sarò l'avvocato difensore
degli italiani».
Il professore Giuseppe Conte riceve
dal presidente
della Repubblica Sergio Mattarella
l'incarico di formare il governo.
E, dopo aver accettato con riserva,
si presenta per la prima volta
agli italiani con un breve discorso
in cui conferma la collocazione
europea e internazionale del Paese,
mette al centro «gli interessi
dell'Italia» e annuncia che si
muoverà nel solco del «contratto»
M5s-Lega per «il governo del
cambiamento».
Dopo le preoccupazioni
dell'Europa per la nascita di un
esecutivo a trazione euroscettica e
dopo le polemiche sul curriculum in
alcune parti «gonfiato» da Conte,
l'esecutivo giallo-verde è davvero a
un passo. Manca solo il difficile
rebus dei ministeri, con il nodo di
Paolo Savona, il professore anti
euro che la Lega vuole all'Economia.
Le consultazioni che Conte avvia
oggi con tutti i partiti serviranno
a trovare la quadra. All'inizio
della prossima settimana il governo
potrebbe andare alle Camere per la
fiducia. Il capo dello Stato rompe
gli indugi dopo un attento vaglio
del profilo dell'avvocato: sceglie
di accelerare anche alla luce della
turbolenza dei mercati e la costante
salita dello spread. A Luigi Di
Maio e Matteo Salvini, azionisti
della nuova maggioranza, chiede
conferma che sia Conte il candidato
premier.
Poi, mentre Alessandro Di
Battista lo attacca e Beppe Grillo
«blinda» il nascente governo dalle
«calunnie», Mattarella convoca il
professore di diritto privato al
Colle alle 17.30. Conte, che negli
ultimi giorni si era reso
irreperibile, arriva in taxi, una cartellina
sotto braccio. E si ferma
a colloquio con il presidente per
due ore. Poi, abito blu e solo
un'incertezza della voce a tradire
l'emozione, legge un intervento di
quattro minuti. «Sono consapevole»
della «fase impegnativa e delicata
e delle sfide che ci attendono,
nonché della necessità di confermare
la collocazione internazionale ed
europea dell'Italia», sottolinea. In
Ue, con le «alleanze opportune», il
governo punterà su intese
«nell'interesse nazionale».
Al Paese che «attende delle
risposte»,
Conte indica «il contratto»
M5s-Lega, cui dice di aver dato il
contributo: «Rappresenta in pieno le
aspettative di cambiamento e lo
porrò a fondamento dell'azione di
governo nel pieno rispetto» della
Costituzione anche per «le
prerogative» del presidente del Consiglio.
Un passaggio, questo, che punta a
fugare i timori di chi lo immagina
mero esecutore di quanto decideranno
M5s e Lega. «Il mio intento - è
il "manifesto"
dell'avvocato e professore - è dar vita a un governo
dalla parte dei cittadini. Mi propongo
di essere l'avvocato difensore
del popolo italiano.
Lo farò senza risparmiarmi con
massimo impegno e
responsabilità». A ottanta giorni
dalle elezioni, ha così un volto il
nuovo esecutivo. E mentre
Confindustria esprime tutti i suoi timori
nella tradizionale assemblea
annuale, all'opposizione si colloca il
Pd: «Ci costituiamo parte civile -
annuncia battagliero Matteo Renzi -
per verificare se realizzeranno le
promesse». Ma all'opposizione ci
saranno anche Forza Italia e
Fratelli d'Italia, alleati di un
centrodestra sempre più traballante.
«Siamo preoccupati. FI voterà
contro la fiducia e farà
un'opposizione severa e senza sconti»,
annuncia Maria Stella Gelmini. Ma
Salvini assicura di essere nel
governo «perché gli alleati mi hanno
detto "vai". Li continuo a
ritenere alleati». «È nata la terza
Repubblica, si realizza un sogno»,
esulta Di Maio. Ma i nodi sono
ancora da sciogliere, come il ministero
dello Sviluppo Economico, con dentro
il Lavoro, rivendicato dal M5s, e
la «blindatura» di Paolo Savona
all'Economia. E Salvini tiene la
guardia alta: «Speriamo che non ci
siano altri tentativi, dall'Italia
o dall'estero, di fermare il
cambiamento».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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