Cagliari,
Pd in piazza per Mattarella E in Municipio esplode la polemica L'assessore
Arru: «Moderare i toni». In Consiglio attacchi a Zedda: «Manifestazione
inopportuna»
In piazza Palazzo a manifestare
solidarietà a Sergio Mattarella ci saranno duecento persone, o poco più.
Bandiere tricolori, quella dell'Unione Europea, e quella del Partito
Democratico che ha organizzato tutto all'ultimo momento. C'è la gente comune, i
militanti, gli esponenti di partito e le istituzioni. Pochi giovani. «Mi spiace
tanto, oggi in questa piazza non vedo un ventenne – fa notare Gianluigi Piras,
ex dirigente del Pd - sono preoccupato per come le istituzioni vengono
screditate».
«SERVE CALMA» La prima a prendere la
parola al microfono è Romina Mura, deputata: «Le istituzioni non si discutono
né quando si vince né quando si perde. Ma chi ha vinto ha l'obbligo di non
calpestare la Costituzione. Noi abbiamo cercato di cambiarla, ma il popolo ci
ha detto no. Il Quirinale è garanzia del popolo italiano. Sono giorni delicati
e le regole democratiche non devono morire. Viva la Repubblica».
Il senso della giornata per Luigi
Arru (soriano del Pd, assessore alla Sanità) «è quello di riportare tutto alla
calma e alla serenità, per invitare a moderare i toni contro il presidente
della Repubblica». Francesco Pigliaru abbandona la discussione in Consiglio regionale,
per essere davanti alla Prefettura: «Io sto con Mattarella perché ritengo che
abbia difeso il proprio ruolo - dice al microfono - e poi perché Paolo Savona,
nostro conterraneo e ministro sul quale il Capo dello Stato ha detto no, non ha
mai smentito il “Piano b”, quello che prevede l'uscita dall'euro ma che mai
nessuno ha portato alle elezioni».
TENSIONI IN MUNICIPIO L'ultimo ad
arrivare è il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda: «Non si possono mettere sullo
stesso livello chi accende la miccia e getta la benzina da una parte e chi
porta l'acqua dall'altra», esordisce, ripetendo quello che ha detto poco prima nell'Aula
di Palazzo Bacaredda, dove la partecipazione alla manifestazione del Pd è stata
criticata dal pentastellato Pino Calledda e da Piergiorgio Massidda. In
particolare, secondo l'ex senatore di Forza Italia, «bisogna abbassare i toni,
ma la manifestazione in piazza Palazzo è provocatoria quanto quelle contro il
presidente Mattarella organizzata in piazza Costituzione».
Aver equiparato le due iniziative
non piace a Zedda, che fa notare quanto sia sbagliato minimizzare gli attacchi
anche violenti subiti dal capo dello Stato sui social: «Non parliamo di due
persone qualsiasi ma del padre di uno dei massimi esponenti del M5S che si
dichiara fascista e ha scritto cose che hanno fatto scattare un'indagine della
Procura, al limite del vilipendio del Capo dello Stato. Non mi pare che il
figlio o altri abbiano censurato il comportamento del padre». E infine: «Ma chi
ci crede che uno che è lì per fare il presidente del Consiglio manda tutto
all'aria perché viene rifiutato un ministro? Sono dinamiche normali».
Unione
Sarda
Il Pd
pensa al fronte repubblicano
Renzi: in
caso di voto alleanza larga ma non con FI
Mentre riprende corpo il governo
gialloverde, il Pd prepara lo
scenario del voto anticipato e
ragiona su un listone Democratico che
vada da Mdp a Casini con Gentiloni
candidato premier. Matteo Renzi e
Carlo Calenda propongono un “grande
fronte repubblicano” europeista e
l'ex leader promette «un ruolo da
mediano». Bersani però frena: «Non
mi si presenti da contrapporre alla
destra sovranista l'union sacrée,
il fronte della sopravvivenza. Si
deve fare un'operazione larga ma che
abbia dentro un senso». Martina
ribadisce: «Va costruito un campo
largo con chi ci sta», ma Lorenzo
Guerini non vuole «una sommatoria di
sigle». Anche per Laura Boldrini
«tutte le forze progressiste» si
dovrebbero alleare.
E Renzi garantisce: «Mai con Forza
Italia». Per le
candidature i Dem pensano a delle
consultazioni ma non alle primarie.
Come premier, a Renzi andrebbero
bene Gentiloni o Calenda, Minniti o
Delrio: «C'è un sacco di bella gente
nel Pd. Chiunque sarà,
l'importante è che non gli facciano
quello che hanno fatto a me e
tutti sostengano chi sarà scelto».
Cottarelli
prende tempo, rispunta l'asse M5S-Lega
L'improvvisa
schiarita col Quirinale: Di Maio ritira l'impeachment
L'intesa tra 5 Stelle e Lega si è
rianimata. A Napoli, davanti alla
folla che grida «Al voto, al voto»,
il leader dei 5 Stelle Luigi di
Maio annuncia: «Siamo pronti a collaborare
con Mattarella». Parole che
lasciano intendere un'intesa
rinnovata, nonostante i reciproci
rimbrotti delle ultime ore, tra i
grillini e Lega che sarebbero al
lavoro per riproporre lo schema del
«governo del cambiamento». Mentre
ieri prendeva corpo l'ipotesi di
andare al voto addirittura a luglio,
Di Maio ha manifestato un cambio di
strategia dopo gli attacchi al
Colle. «L'impeachment? Non c'è la
maggioranza».
RINNOVATA INTESA La giornata era
cominciata con Carlo Cottarelli,
premier incaricato, che è salito al
Colle. Poche parole in mezzora di
colloquio col capo dello Stato e ha
lasciato il Quirinale senza aver
chiuso la lista dei ministri. «Serve
un approfondimento - ha
dichiarato -, sto completando la
lista». L'appuntamento al Colle è
stato rimandato a quest'oggi, ma
l'impasse nella nascita
dell'esecutivo tecnico è stata solo
l'inizio di un'altra giornata
convulsa. Sullo sfondo restano da
vedere gli sviluppi delle trattative
tra Lega e 5 Stelle.
Le indiscrezioni parlano di contatti
costanti tra
le due forze politiche. Ieri ci
sarebbe stato un incontro tra Di Maio
e Salvini, quest'ultimo accompagnato
dal vice Giancarlo Giorgetti. Si
starebbe lavorando alla
riproposizione dello schema (già sottoposto al
Quirinale) che vede il professor
Giuseppe Conte nelle vesti di premier
di un governo politico sostenuto da
M5S e Lega. Al momento si
tratterebbe di una speranza
coltivata in casa 5 Stelle ed è evidente
che tutto è nelle mani del
presidente Mattarella, al quale Di Maio
ieri ha lanciato un messaggio di
distensione.
LA SVOLTA «Spero che si vada alle
elezioni il prima possibile», ha
detto Luigi Di Maio, ma siamo
consapevoli «che la situazione è
difficile» e «siamo disponibili a
collaborare con il presidente della
Repubblica mantenendo una posizione
coerente ma collaborativa per
riuscire a risolvere la crisi». Si
riapre così, nelle parole del
leader grillino, l'ipotesi di un
governo Lega-5 Stelle. «Volevamo fare
un governo del cambiamento anche per
rassicurare i mercati. Non ci è
stato permesso e ciò ha creato
grossi problemi, perché lo spread sta
salendo e le Borse non stanno
andando bene. Una crisi che non abbiamo
generato noi. Una maggioranza c'è in
Parlamento - ha sottolineato Di
Maio -, fatelo partire quel governo,
ma di mezzucci basta. Perchè di
governi tecnici, istituzionali, non
ne vogliamo».
STOP GOVERNO TECNICO Altre parole
distensive dopo l'attacco dei giorni
scorsi al presidente Mattarella. «Il
problema non è neanche il
Quirinale - ha puntualizzato -
sbaglia obiettivo chi lo dice. Dobbiamo
decidere invece se i governi
italiani li devono decidere i cittadini
che votano o le agenzie di rating e
la Germania». E riguardo un
eventuale governo Cottarelli
avverte: «Non c'è stato un solo gruppo
parlamentare che ha detto che lo
sostiene, perché tutti sanno che se
fanno partire un altro governo
tecnico non prendono zero, ma meno
venti». Quindi l'appello.
«La maggioranza c'è, se si vuole
risolvere
questa crisi e rassicurare i mercati
si faccia partire un governo che
ha già un programma chiaro». Per
tornare al voto, ha sottolineato,
«non serve la bandiera del
movimento, ma la bandiera italiana. Perché
in quei colori c'è il popolo
italiano e la sovranità appartiene al
popolo italiano non a quello
tedesco». Ridiamo la parola agli
italiani, ha esortato, mentre la
gente in piazza gridava «Voto, voto,
voto».
PARLAMENTO AL LAVORO Anche il leader
del Carroccio cambia passo, e
secondo quanto si apprende, sarebbe
pronto a rinunciare a Paolo Savona
anche se ieri, a di Martedì, il
salotto di Giovanni Floris su La7, ha
ribadito la bontà della scelta fatta
nell'indicarlo come ministro
dell'Economia. Le pressioni
sarebbero arrivate anche durante la
riunione dei gruppi, con una fetta
di parlamentari che non hanno
condiviso l'impuntatura del leader
sull'economista cagliaritano. Le
elezioni, comunque, sembrano
allontanate dalla richiesta di Salvini di
far partire il lavoro delle
Commissioni. L'obiettivo è «smontare un
pezzo di legge Fornero, approvare la
legittima difesa e tagliare i
vitalizi e alcune tasse».
La
Nuova
Frena
anche Cottarelli Ritorno 5S-Lega o voto
di Marcello Campo
ROMA
Carlo Cottarelli vive un giorno in
stand by aprendo due scenari
opposti: scioglimento immediato
delle camere e elezioni a fine luglio
o un accordo con le forze politiche
per una fiducia «tecnica» al fine
di varare una legge di bilancio
light e consentire il voto subito
dopo, a ottobre. Ma da Napoli Luigi
Di Maio ritorna in campo per
sparigliare ancora le carte
rilanciando a sorpresa sul governo con la
Lega.«Siamo pronti a rivede la
nostra posizione.
Se abbiamo sbagliato
qualcosa lo diciamo, ma ora si
rispetti la volontà del popolo: una
maggioranza c'è in parlamento, fatelo
partire quel governo». Al
momento,però, al vaglio di Sergio
Mattarella restano le prime due
opzioni, con la ferma convinzione da
parte del Quirinale che comunque
il parlamento si dovrà assumere la
responsabilità di chiudere la
legislatura o di consentire al
governo tecnico un passaggio
fondamentale con la presentazione
della manovra, per evitare
l'eccessiva fibrillazione dei
mercati.
L'impasse politica continua
infatti a provocare fortissima
tensione, con lo spread che s'impenna
col passare dalle ore, dai 250 punti
della mattina, alla chiusura a
quota 300. Tuttavia, dopo lo scontro
frontale di lunedì tra Colle e
fronte sovranista, ieri i toni erano
decisamente più morbidi. Di Maio
torna sui suoi passi nella richiesta
di impeachment, consapevole che
su quella strada era rimasto
praticamente isolato. Lo stesso Salvini,
in diretta Fb, ribadisce che
«Mattarella ha sbagliato ma basta
insulti». Una riapertura di dialogo
tra M5s e Quirinale che, secondo
qualche osservatore, potrebbe
riaprire una strada, seppur
strettissima, verso un governo
politico.
Ma al momento è una ipotesi
solo di scuola. Per ora, in pista
c'è solo Cottarelli, che Mattarella
vuole comunque inviare al
Parlamento. Malgrado le difficoltà,
l'economista inizia di prima mattina
il suo sforzo di mettere insieme
una lista dei ministri: alle 9 è già
al lavoro a Montecitorio dove,
nel massimo della riservatezza,
riceve alcune persone. Alla Camera è
un susseguirsi febbrile di riunioni:
Salvini prima convoca i suoi
parlamentari, poi riunisce la segreteria
federale.
Ai suoi annuncia la
raccolta delle firme ai gazebo il
prossimo fine settimana a favore
dell'elezione diretta del Presidente
della Repubblica. Quindi fa il
punto sulla questione delle
alleanze: diverse simulazioni dicono che
un'ipotetica alleanza elettorale
M5s-Lega vincerebbe con numeri
eclatanti. Ma Salvini sceglie di
prendere tempo, conferma che al
momento resta nel centrodestra ma
rinvia le scelte definitive dopo le
amministrative del prossimo mese.
Si riunisce anche il Pd che annuncia
la volontà di astenersi sul governo
Cottarelli. A ora di pranzo il
Colle annuncia di aver convocato il
premier incaricato per le 16,30.
Sembra essere il momento
dell'accettazione del mandato e la
presentazione della lista dei
ministri, ma qualcosa deve essere andato
storto, tanto che a sorpresa,
Cottarelli lascia il Colle senza
presentarsi alla stampa.
E subito scoppia una ridda di
ipotesi tra cui
quelle se intenda rimettere il
mandato o se in realtà abbia bisogno di
più tempo per stilare la lista dei
ministri. Il Colle subito fa
trapelare che non esiste l'ipotesi
della rinuncia. E Cottarelli,
rientrando a Montecitorio, assicura
che sta approfondendo «alcuni
aspetti della lista».
Nelle stesse ore le diverse anime
del Pd
propongono l'idea di andare a votare
il 29 luglio, probabilmente - si
ragiona in ambienti parlamentari -
assecondando il pressing del Colle.
Una data decisamente inedita, mai in
Italia s'è votato a luglio, ma
che oggettivamente raccoglie
positivamente la preoccupazione di
Mattarella, qualora dovesse saltare
tutto, di avere un governo in
carica in autunno, subito in grado
di presentare la legge di bilancio.
E non è un caso che per tutta la
giornata si siano inseguiti rumors di
contatti tra Cottarelli ed alcuni
esponenti delle forze politiche,
come il leghista Giancarlo Giorgetti
e il dem Graziano Delrio, proprio
per sminare la strada del governo
tecnico finalizzata al varo della
manovra. Il ritorno alle urne a
luglio, se viene accolto con favore
dalla Lega, trova invece i Cinque
Stelle molto freddi. «Spero che - ha
spiegato Di Maio - si possa andare
al voto il prima possibile però
riconosco pure che questa è una
situazione veramente difficile per il
Paese».
pd-leu I
Dem guardano a sinistra Tensione sul listone unico
di Matteo Guidelli
ROMA
Un fronte unico. Con una lista
europeista trainata dal Pd e una di
sinistra con dentro LeU. O un unico
«listone» largo, di
centrosinistra. Sono gli schemi su
cui ragiona il Pd, in vista del
voto anticipato. E anche dentro LeU,
che nei prossimi giorni prenderà
un'iniziativa in tal senso, cresce
l'ala di chi ritiene non ci sia
altra scelta che riunirsi tutti.
Anche se Pier Luigi Bersani frena:
«Non sia un fronte della
sopravvivenza. Si deve fare un'operazione
larga ma con novità di contenuti e
di persone». Carlo Calenda auspica
già la creazione di comitati civici
a sostegno del «fronte
Repubblicano». Un fronte
«anti-sfascisti», lo definisce Matteo Renzi,
che si ritaglia il ruolo di
«mediano». All'ex premier non
dispiacerebbe Calenda come
«frontman» della campagna elettorale:
«Gentiloni, Calenda, Minniti,
Delrio, andrebbero tutti bene... Purché
poi tutti poi sostengano chi sarà
scelto», dice Renzi.
Ma se si voterà
a luglio, dicono i renziani, è
«naturale» che il candidato premier sia
Paolo Gentiloni: a sinistra non
avrebbero da ridire. I Dem si
ricompattano per un giorno sullo
schema «di gioco»: astensione sulla
fiducia al governo Cottarelli
(formalmente deciderà la direzione), se
il Pd fosse l'unico partito a sostenerlo,
e voto a luglio. Perché
accelerare? Per sfruttare
l'argomento dell'incapacità di M5s e Lega di
formare il governo, lo spettro
dell'uscita dall'Euro e non dare a
Salvini e Di Maio tempo di costruire
l'alleanza.
E bloccare
l'iniziativa M5s-Lega di far partire
le commissioni. Inoltre,
accelerare è l'unico modo per
mettere da parte le profonde divisioni
che hanno portato il Pd, nelle
ultime settimane, a un passo da una
nuova scissione: il fronte, che lo
si chiami Repubblicano o in altro
modo, è il modo per raccogliere ogni
energia e provare a evitare di
andare ancora più giù del 18%. «Viva
l'Italia», è lo slogan della
manifestazione convocata per venerdì
«per la democrazia, la
Costituzione e il futuro»: bandiere
tricolore ed europee, con al
centro la parola «Italia».
Ci si ritroverà in piazza Santi
Apostoli,
che fu dell'Ulivo. Martina ha
invitato Roberto Speranza, perché in
difesa del Colle scenda in piazza
anche LeU.Unire le forze: imperativo
categorico. «Dobbiamo andare a
prendere i voti in uscita dagli altri
partiti, da Fi ma anche da M5s»,
dice Renzi. Il candidato premier
sarebbe Gentiloni, magari affiancato
da Calenda e Marco Minniti. Se si
votasse subito non ci sarebbe tempo
né per le primarie, né per le
parlamentarie che i renziani evocano
per la composizione delle liste,
vero tema che fa già litigare.
Renzi fa un passo di lato: «Se gioco
mediano stavolta va bene lo stesso.
Ho giocato centravanti alle
europee e alle politiche, con
risultati diversi. Adesso non mi
interessa aprire una discussione su
me». L'alleanza con LeU, così come
con +Europa di Bonino, sarebbe
comunque tutta da costruire. I renziani
hanno dubbi su una coalizione «da
Cento a Calenda»: «Discutere di LeU
mentre sale lo spread è assurdo», glissa
Renzi. Ed è assai difficile
che ci stia SI. Ma Laura Boldrini è
la prima ad aprire: «Tutte le
forze progressiste si alleino».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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