Unione
Sarda
Accoglienza
migranti, in salita l'accordo tra i Paesi dell'Unione
La proposta per riformare il regolamento
di Dublino «è morta». A dirlo senza mezze parole è stato Theo Francken,
segretario di Stato belga responsabile delle Migrazioni e membro del partito
nazionalista Alleanza neo-fiamminga, dopo il consiglio Affari esteri europeo a Lussemburgo.
In ballo c'era la possibilità di una svolta sulla riforma del sistema che
regola le competenze delle nazioni sulle domande di protezione internazionale
presentate dai migranti. La ministra svedese Heléne Fritzon, all'arrivo, aveva
dipinto la cornice di un «clima politico più difficile» legato alla «elezione
delle destra in Europa», tra cui in Italia e Slovenia.
SALVINI A ROMA A Lussemburgo era
assente il neo ministro all'Interno Matteo Salvini, rimasto a Roma per il voto
di fiducia al nuovo governo. Ma già domenica, a Catania, aveva detto che la
Sicilia non sarà più «il campo profughi d'Europa» e che «il governo italiano dirà
no alla riforma del regolamento di Dublino e a nuove politiche di asilo», in
vista del vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles. «Lo stato attuale dei
negoziati non è accettabile», ha dichiarato Stephan Mayer, segretario di Stato
tedesco, allineando così Berlino ai “no” alla proposta bulgara, tra cui quelli
del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e
dell'Austria.
CONTE: «RIVEDERE IL TRATTATO»
Intanto, a Roma il neo premier Giuseppe Conte chiedeva «il superamento del
regolamento di Dublino» e «sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio
dei richiedenti asilo», assieme a «dialogo» con l'Ue e che l'Italia non sia
«lasciata sola».
«LA RIFORMA NON È MORTA» Sin dal
mattino a Lussemburgo era parso improbabile si arrivasse a un «punto», anche
nelle parole del commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos:
«Se dovremo rinviare di alcune settimane, non sarà la fine del mondo». E in
serata ha poi risposto a Francken, definendo «controproducenti» le sue parole:
«La riforma del sistema d'asilo europeo non è morta, a meno che qualcuno non voglia ucciderla,
e nessuno qui vorrebbe farlo».
GESTIONE DELLE EMERGENZE A dicembre
i leader europei avevano stabilito di riveder il regolamento entro la fine di
giugno, per creare un meccanismo permanente con cui gestire le emergenze. Al
centro c'è l'obbligo per i Paesi di farsi carico dei richiedenti entrati nel
loro territorio al primo ingresso, misura che pesa soprattutto su Italia, Grecia
e Spagna. Il gruppo di Visegrad ha rifiutato di accogliere i rifugiati, dopo
che l'Ue ha deciso le quote nel 2015 per redistribuirli.
MIGRANTI DA RICOLLOCARE Dei 160mila
da ricollocare da Italia e Grecia in due anni, meno di 35mila lo sono
effettivamente stati. La maggior parte dei profughi ha tentato di spostarsi
verso i più 'ricchi' Paesi dell'Europa centro-settentrionale, Germania in
primis, tanto che varie nazioni hanno ripristinato controlli ai confini anche
in area Schengen. La proposta bulgara conteneva il tentativo di ridurre i movimenti
secondari, e guardando a Roma e Atene prevedeva ricollocamenti obbligatori, ma
come ultima risorsa e con la possibilità per i Paesi di avere flessibilità sui
numeri.
Pd, i
giovani in campo Ma spunta un piano B Alcuni esponenti sardi
starebbero
pensando alla scissione
Mentre le correnti trattano per dare
un futuro al Partito democratico,
qualcuno pensa a un piano B. Alcuni
esponenti di spicco del Pd,
infatti, sarebbero tentati
dall'ipotesi di far nascere un movimento
nuovo di zecca, solo sardo,
abbandonando l'idea di una versione
federata dei Dem e anzi, staccandosi
da questi ultimi.
Parallelamente c'è la nuova
generazione che ribolle, tenta di spaccare
le correnti e aprire una nuova
stagione. La deputata Romina Mura è una
delle testimonial, tanto che la sua
esperienza con la corrente dei
popolari-riformisti sembra al
capolinea. Con questo scenario il Pd si
prepara all'assemblea regionale,
convocata lunedì prossimo alle 16.30,
all'hotel Su Baione di Abbasanta.
IL PROGETTO In una riunione
ristretta a una parte dei
popolari-riformisti sarebbe maturata
l'ipotesi che l'esperienza dentro
il Pd sia chiusa. Un incontro al
quale ha partecipato la cerchia più
vicina all'area Cabras e che
sostiene maggiormente il progetto del
Partito democratico federato,
lanciato dall'ex senatore Silvio Lai.
Non a tutti piace questa ipotesi e
comunque la strada da percorrere
per arrivare al referendum per gli
iscritti è lunga. Per questo motivo
ci sarebbe la necessità di
accelerare i tempi per un eventuale addio
di alcuni esponenti storici.
LO SCENARIO Così, la exit strategy
in vista delle elezioni regionali
comincerebbe a delinearsi.
Innanzitutto una forza democratica in
chiave sarda significherebbe
maggiore libertà nella scelta di
programmi e alleanze, tendendo la
mano a quei partiti che chiedono una
posizione più antagonista rispetto
allo Stato centrale.
Di fatto si verificherebbe l'effetto
“liberi tutti”, senza vincoli,
con la possibilità di decidere con
la massima libertà di prendere
parte ai progetti che si stanno
muovendo nell'Isola. Uno di questi è
rappresentato dal movimento civico
ideato dal Partito dei sardi e
fondato sul concetto di convergenza
nazionale. Una parte del Pd e
della sinistra, come Campo
progressista, guarda con interesse a questa
iniziativa. Un tema che metterebbe
in difficoltà il Partito
democratico, soprattutto quella
parte più legata alle vicende romane.
Tutte ipotesi in fase di
valutazione, perché è innegabile che una
scissione di questo tipo avrebbe
conseguenze molto forti per i
protagonisti.
TRASVERSALI Il braccio di ferro tra
le correnti non solo ha
paralizzato il Pd, ma comincia a
causare molta insofferenza tra gli
iscritti e soprattutto tra i
giovani. Nasce così un movimento delle
“seconde linee” pronto a sparigliare
le carte e assumere la guida del
partito. L'autocandidatura di
Dolores Lai, proveniente dall'area
popolare-riformista, è stato il
primo segnale di un tentativo di
rottura. La proposta in campo è
netta: «I partiti non nascono a
tavolino e non si inventano in un
salotto di casa», dice Lai,
«riprendere in mano questo
patrimonio e attualizzarlo è una sfida per
cui vale la pena mettersi in gioco».
Un'altra rottura è quella che ormai
si sta consumando tra Romina Mura
e la stessa area Cabras-Fadda, come
dimostra anche la posizione
espressa sul futuro del partito due
sere fa, durante un incontro al
circolo Copernico di Cagliari.
Contraria alla «soluzione del partito
federato», Mura è convinta che
«senza un accordo e in balìa delle
divisioni sia meglio avviare il
percorso per un congresso».
Al Copernico la deputata ha
dialogato appunto con Dolores Lai, esprimendo
apprezzamento per la sua iniziativa
fuori dagli schemi.
ASSEMBLEA Nel frattempo il Pd si
prepara alla nuova riunione di lunedì
11. L'obiettivo è trovare un
triumvirato in rappresentanza delle tre
aree per guidare il partito sino al
congresso, ipotesi che non piace a
tutti: tanto che il vicesegretario
Pietro Morittu potrebbe rinunciare.
Matteo Sau
Indipendentisti
Il
movimento dei sindaci «Una rete tra Comuni»
«Amministratori locali
indipendentisti, uniamoci in una rete per
lavorare per l'autodeterminazione
dei sardi». È una lettera-appello
firmata da Davide Corriga Sanna,
Maurizio Onnis e Marco Sideri,
sindaci di Bauladu, Villanovaforru e
Ussaramanna, Maura Cossu,
vicesindaca di Bosa, e Angela Simula
Cadoni, consigliera di Olmedo e
indirizzata ai circa 150 primi
cittadini e amministratori che
firmarono l'appello per
l'indipendenza della Catalogna. Già fissata la
data di un'assemblea: domenica 17
giugno dalle 10 alle 13 nella sala
convegni di Coworking 001 a
Oristano, in via Garibaldi.
I cinque amministratori hanno
scritto ai colleghi: «Siamo certi,
perché tu guidi la tua comunità e il
territorio, che conosca lo stato
di disagio che affligge il nostro
popolo, i paesi e le nostre città.
Sai bene i meccanismi di dipendenza
economici, politici e culturali,
che impediscono alla nostra gente di
sfruttare le proprie capacità. E
quanto sia urgente liberarsi di quei
meccanismi per sostituirli con
libertà e consapevolezza».
La proposta: «Crediamo che gli
amministratori locali
indipendentisti, unendosi in rete, possano
offrire ai cittadini nuovi strumenti
e momenti di crescita. Tutto
viene fatto per il bene dei sardi e
della Sardegna, oltre qualsiasi
appartenenza partitica o
ideologica». A Oristano si discuterà
«dell'opportunità di creare la rete
e dei suoi obiettivi», hanno
annunciato Corriga, Cossu, Onnis,
Sideri e Simula, «se si deciderà di
procedere, nomineremo una segreteria
organizzativa per approvare le
regole della rete».
Antonio Pintori
Riecco
Renzi: «Premier non eletto, è un mio collega»
Brunetta
guida l'opposizione azzurra, ma per ora la star di minoranza
è l'ex
leader Pd
ROMA Il complimento più urticante
glielo fa Matteo Renzi che lo
definisce «un collega», cioè un
premier non eletto, come lui.
Ma ieri in Senato Giuseppe Conte si
è sentito dire di peggio, da
sovranista in doppiopetto a megafono
dei due diarchi seduti al suo
fianco, Di Maio a destra e Salvini a
sinistra.
È andato meglio nel discorso
dell'ora di pranzo che nelle risposte
consegnate ai senatori a tarda sera:
ha mantenuto un aplomb quasi
british allorché è finito nel mirino
di chi non ce l'ha con lui ma con
chi lo ha scelto per stare lì. Ha
citato Dostoevskij, Conte, e
qualcuno (il pentastellato Morra) ha
subito sottolineato il profilo
diverso rispetto a chi, nel giorno
dell'insediamento, aveva scomodato
i Jalisse. Nel martedì di Conte
protagonista, è Renzi a prevalere come
antagonista, a riappropriarsi del
suo personaggio e - probabilmente -
del Partito Democratico.
Certo, non è l'unico duro nelle file
dell'opposizione. L'azzurro
Renato Brunetta è una certezza:
legge nel discorso-fiume del
presidente del Consiglio «un
linguaggio giustizialista e autoritario»
che «fa ripiombare indietro il
nostro paese agli anni bui dei regimi
antidemocratici». E Mario Monti, che
alla fine si astiene, è severo
nel ricordare «con tutto il
rispetto» ai colleghi di M5S e della Lega
che senza il suo governo «oggi
avreste la Troika, sareste un governo
dimezzato, sareste ridotti ad agenti
di un governo semicoloniale...».
Se per il capogruppo Pd al Senato Conte
è «tutto chiacchiere e
distintivo», la sua collega forzista
Mariastella Gelmini ha sentito un
discorso «pieno di luoghi comuni, di
retorica, di slogan e, ahinoi, di
giustizialismo. Zero concretezza,
solo propaganda: poche idee, ma
confuse. Altro che cambiamento». Ma
è più sottile il senatore Dem
Antonio Misiani, che punta alla
linea di faglia fra i due alleati: «Se
ne faccia una ragione il ministro
Fontana: le famiglie arcobaleno
esistono, lo hanno riconosciuto
anche i sindaci del Movimento 5
Stelle».
L'esecutivo
incassa la fiducia con 171 voti, 10 più della maggioranza
«Populisti
e per l'Europa»
Alla fine i sì sono 171,
dieci più della maggioranza
assoluta: a Lega e M5S si affiancano due
ex pentastellati e due eletti
all'estero. I 117 no sono di Pd, Forza
Italia e sinistra. Gli astenuti sono
25 tra i quali FdI.
Tutto come previsto per il
presidente del Consiglio Giuseppe Conte,
che ottiene una fiducia chiesta col
più lungo discorso d'esordio a
Palazzo Madama nella storia
repubblicana, giurano i cronometristi che
ne hanno contato i 75 minuti. Di
certo è il più applaudito con 61
battimani, quasi uno al minuto
(fuori concorso l'applauso corale e
tripartisan per la senatrice a vita
Liliana Segre, l'ultima italiana
scampata a un lager ancora in vita,
che mette in guardia dalle leggi
speciali).
I VUOTI Un discorso comunque troppo
breve - sottolineano gli
oppositori - per contenere un
passaggio sulla cultura o
sull'istruzione, una riflessione sul
Meridione, una parola di
chiarezza sui vaccini o sulla Tav.
Ma d'altronde non ci sono nemmeno
molti temi che fino a ieri
spaventavano molti elettori e troppe
cancellerie. Non c'è l'addio alla
moneta unica («L'uscita dall'euro
non è in discussione, e non è un obiettivo
che vogliamo perseguire»)
né alla Nato e all'amicizia con gli
Usa.
Un discorso «che non ho scritto io»,
scherzava il premier all'uscita
dal Senato, alludendo a chi lo
dipinge teleguidato dalla Casaleggio
Associati e commissariato dai due
vicepremier Salvini e Di Maio.
I PIENI Chiunque l'abbia scritto, il
discorso si fa notare soprattutto
per quel che contiene. Il carcere
per i grandi evasori, ad esempio
(l'ultimo a parlarne con tanta
convinzione era stato Prodi nella
campagna elettorale 2006, e secondo
alcuni perse all'istante molto del
vantaggio che aveva su Berlusconi),
ma anche il taglio alle pensioni
sopra i 5000 euro mensili «nella
parte non coperta dai contributi
versati». C'è una notevolissima
apertura alla Russia con
l'intendimento di rivedere le
sanzioni e c'è un'imbronciata
rassicurazione sull'Europa, che «è
casa nostra» però «deve essere più
equa».
«ANTISISTEMA? SÌ» In 24 pagine
bastano poche righe - ma efficaci - per
replicare all'accusa di guidare
un'alleanza populista e antisistema,
perché «se populismo è l'attitudine
della classe dirigente ad
ascoltare i bisogni della gente, se
anti-sistema significa mirare a
introdurre un nuovo sistema, che
rimuova vecchi privilegi e
incrostazioni di potere, ebbene
queste forze politiche meritano
entrambe queste qualificazioni». E
quasi a chiarire subito che cosa
intende, Conte promette che il suo
primo impegno pubblico sarà
visitare i cittadini dei luoghi
colpiti dal terremoto.
Sul fronte più caldo, una
rassicurazione molto applaudita e un
avvertimento molto asciutto: «Non
siamo e non saremo mai razzisti» ma
«metteremo fine al business
dell'immigrazione, cresciuto a dismisura
sotto il mantello di una finta
solidarietà».
LE MISURE ECONOMICHE Poi il premier
parla di flat tax e del reddito di
cittadinanza che «non è una misura
di assistenzialismo sociale», ma
non della legge Fornero - che tanto
spazio ha occupato in campagna
elettorale e nelle scorse settimane
- né sulla sterilizzazione degli
aumenti dell'Iva. Nelle repliche, il
premier si difende dalle accuse
di giustizialismo, «no, si tratta di
certezza della pena e di dosare
gli equilibri», e di scarsa
attenzione al Sud, «che detto a un
pugliese è pesante, ma noi al Sud
abbiamo dedicato anche un ministro».
Sulle infrastrutture «lasciateci
studiare i dossier aperti e
valuteremo quali realizzare» e per
tutto il resto «dateci il tempo di
lavorare e di misurarci con tutta la
complessità di questo compito. Lo
faremo con responsabilità e massimo
impegno», promette.
«NO AUMENTI IVA» Quel che non dice -
un po' perché non è nel
“contratto di governo”, un po'
perché in un'ora e un quarto ci stanno
molte cose ma forse non tutte - e
quel che non è chiaro lo dirà e lo
chiarirà di lì a un po' Matteo
Salvini. Forse per rassicurare i
mercati, forse per rafforzare
un'immagine da vicepremier-tutore che a
governo appena nato è già forte. E
quindi: «Non siamo stati eletti per
aumentare l'Iva, quindi non
aumenterà» e inoltre alla flat tax «si
lavora già da queste settimane, per
prima cosa ci sarà la pace fiscale
per restituire vita e possibilità di
lavorare e pagare le tasse agli
italiani ostaggio di Equitalia, poi
con i soldi incassati incominciamo
a dare subito risposte a partite
Iva, commercianti, artigiani e
piccole imprese e dai prossimi mesi
anche alle famiglie».
I cronisti prendono nota mentre il
premier si allontana da Palazzo
Madama e le agenzie informano che
sarà lui e tenere la delega ai
Servizi segreti. Oggi si replica a
Montecitorio, poi resta solo da
governare.
La
Nuova
Entusiasmo
tra i M5s sardi: è iniziato il cambiamento
il
governo alle camere»le reazioni
di Alessandro Pirina
SASSARI
Entusiasmo a 5 stelle tra i banchi
di Palazzo Madama. E anche a
Montecitorio, dove il premier
arriverà questa mattina, Conte viene
promosso a pieni voti. La truppa
grillina, 16 parlamentari sui 25
totali spettati alla Sardegna, non
ha dubbi sul governo fatto in
condominio con la Lega: è il
migliore che l'Italia possa avere. Nessun
mal di pancia sull'accordo con i
padani, nessuna riserva sulle
politiche salviniane. A fare fede è
il Contratto di governo. Tutto il
resto non conta. Ogni singola parola
di Giuseppe Conte viene
apprezzata.
Il suo discorso lungo oltre un'ora,
per i parlamentari 5
stelle, non ha ombre. «Giuseppe
Conte ha dimostrato con le sue parole
di essere, prima di tutto, un
cittadino tra i cittadini, un cittadino
al servizio dello Stato - dice il
senatore Ettore Licheri -. Siamo
all'alba di una nuova Repubblica che
Conte ha sapientemente paragonato
a un forte vento di riforma che
soffia oltre gli slogan e i luoghi
comuni. Da questo punto di vista, ho
molto apprezzato la sua esegesi
della parola "populismo".
È ora di comprendere che la politica
conserva il suo autentico
significato solo se resta popolare, se resta
cioè nelle mani del popolo. Se
essere populisti significa recuperare
un ruolo di parlamentare come interprete
dei bisogni della gente,
ebbene sì, ci si chiami pure
populisti». Oggi Conte andrà a chiedere
la fiducia alla Camera. Ma quella
del deputato Nardo Marino la ha già
conquistata. «Le esigenze dei
cittadini e di chi in tutti questi anni
ha perso i diritti e si è visto
ridurre i salari sono finalmente
tornate al centro del discorso
programmatico.
Certo, per ora si tratta
di dichiarazioni e noi aspettiamo i
fatti, ma abbiamo un accordo a cui
daremo gambe, in cui crediamo
fortissimamente. Sono contento di essere
qui e di poter fare la mia parte. Ho
l'impressione che dal 4 marzo la
politica sia tornata prepotentemente
nel cuore della gente. Ci stavamo
abituando al disinteresse, invece
ora si riparla di politica e
contenuti. La politica va fatta dal
basso perché altrimenti altri la
fanno per te». «Ottimo discorso -
aggiunge la deputata Mara Lapia -.
Sono certa che tutti i punti del
programma verranno sviluppati. Per me
sono molto importanti la sanità e la
giustizia.
Ma anche la scuola e
gli insegnanti, un argomento che
Conte ha solo sfiorato. Ma vorrei
rassicurare tutti che per il
presidente e per il governo uno dei temi
centrali sarà proprio sarà la
scuola: ci impegneremo per risolvere il
problema del precariato». Standing
ovation virtuale anche da parte di
Paola Deiana. «Parole assolutamente
positive - dice la deputata -, in
linea con i programmi del M5s e
della Lega che non collidono. Mi ha
colpito molto l'intervento sul
reddito di cittadinanza, uno dei
pilastri del nostro programma. È
giusto che a ogni cittadino debba
essere garantito un reddito minimo
di sopravvivenza». «Dichiarazioni
importanti in linea con la nostra
visione di governo - aggiunge
Luciano Cadeddu, anche lui eletto a
Montecitorio -.
Noi puntiamo molto
al cambiamento, basta con le
pensioni d'oro, Abbiamo bisogno di opere
coraggiose fatte da persone capaci.
C'è da prendere in mano tutto e,
dunque, c'è tanto da fare». Bene,
benissimo Conte. Ma bene, benissimo
anche l'alleanza con Salvini. Tra i
5 stelle nessun imbarazzo per
l'accordo con la Lega. «Se fosse
stata una alleanza non avremmo fatto
il contratto - precisa Marino -. La
priorità delle due forze, che
restano alternative, è il contratto.
Il fatto che stiamo insieme è il
segno che stiamo attraversando una
fase post ideologica. Oggi la
distinzione tra destra e sinistra
non esiste più». «Ci vorrà un po' di
assestamento - ammette Lapia - ma
troveremo una linea comune. Certo,
come in ogni tipo di rapporto ci
potranno essere motivi di scontro, ma
da parte di entrambe le forze c'è la
voglia di risollevare il Paese.
Questa determinazione penso che ci
porterà a governare a lungo».
Fiducioso sull'asse 5 stelle-Lega
anche Cadeddu. «Se si comporteranno
come si sono presentati faremo cose
importanti». «Abbiamo un contratto
di governo con obiettivi ben precisi
- conclude Deiana -. Quello sarà
il nostro faro, non sarà difficile
né noi né per loro, ne sono
certa».
Giuseppe Conte affida il suo «elogio
del populismo» al discorso
pronunciato da Fedor Michajlkovic
Dostoevskij in onore di Puskin l'8
giugno del 1880 a Mosca. È la
principale delle (poche) citazioni nel
lungo discorso del presidente del
Consiglio al Senato. Le altre sono
dedicate ad alcuni dei sociologi e
filosofi più importanti degli
ultimi anni: il filosofo Hans Jonas
e i sociologi Ulrick Beck e Philip
Kotler. La prima citazione è nel
capitolo dedicato a «Vecchie e nuove
categorie politiche».
«Se "populismo" è
l'attitudine della classe
dirigente ad ascoltare i bisogni
della gente, se "anti-sistema"
significa mirare a introdurre un
nuovo sistema, che rimuova vecchi
privilegi e incrostazioni di potere,
ebbene queste forze politiche
meritano entrambe queste
qualificazioni», dice Conte dichiarando di
prendere spunto dalle riflessioni di
Dostoevskij. La seconda citazione
è sempre nello stesso capitolo: «Se
vogliamo restituire all'azione di
governo un più ampio orizzonte di
senso, dobbiamo mostrarci capaci di
alzare lo sguardo, sforzandoci di
perseguire i bisogni reali dei
cittadini in una prospettiva di
medio-lungo periodo.
Diversamente la
politica perde di vista il
"principio-responsabilità", che impone
diagire non solo guardando al
bisogno immediato, che rischia di
tramutarsi in mero tornaconto, ma
progettando anche la società che
vogliamo lasciare ai nostri figli e
ai nostri nipoti». E qui il
premier fa riferimento al testo
cardine del filosofo Hans Jonas,
pubblicato nel 1979: «Il principio
di responsabilità».di Francesca
Chiriw ROMASi presenta come il
garante del contratto di governo,
rivendica il tratto positivo del
termine «populismo», apre a quanti
vorranno aderire al programma di
governo.
Poi snocciola placido i
punti salienti del programma, dalla
legittima difesa alla lotta alla
corruzione, dai dubbi sulle sanzioni
alla Russia all'immigrazione.
Rassicurando sull'euro e annunciando
la sintesi della rivoluzione
fiscale giallo-verde: una flat tax
progressiva grazie ad un sistema di
deduzioni che la renderanno per
questo aderente al dettame
costituzionale. E con una sola
parola d'ordine: «cambiamento».
Giuseppe Conte incassa la fiducia al
Senato con 171 sì, 117 no (quelli
di Pd e Forza Italia) e 25 astenuti,
tra cui quelli di Fdi e dei
senatori a vita (i tre presenti,
mentre Napolitano Rubbia e Piano
erano assenti).
Si presenta a Palazzo Madama per
chiedere i voti non
solo «a favore di una squadra di
governo ma di un progetto per il
cambiamento dell'Italia,
formalizzato sotto forma di contratto» dice
nel suo discorso programmatico dove
promette di voler svolgere
l'incarico «con umiltà» ma anche con
«determinazione» e, dice,
«consapevolezza dei miei limiti ma
anche con la passione e
l'abnegazione di chi comprende il
peso delle altissime responsabilità
a me affidate».Compresa la difesa di
un esecutivo da molti salutato
come populista: «Ci prendiamo la
responsabilità di affermare che ci
sono politiche vantaggiose o
svantaggiose per i cittadini. Le forze
politiche che sostengono la
maggioranza di governo sono state accusate
di essere populiste e antisistema.
Se populismo è attitudine ad
ascoltare i bisogni della gente,
allora lo rivendichiamo». Nella
«nuvola» delle parole più citate nel
suo discorso i termini reiterati
sono quelli di «governo»,
«cittadini» e »Paese». Sono totem che non
sembrano bastare ad uno dei due
«soci» del contratto che non perde
tempo per dare la sua versione del
contratto che prenderà il via una
volta che il governo avrà il via
libera. E i toni non sono certo
quelli di un'Aula che, nonostante «i
toni da stadio» stigmatizzati
dalla Presidente Alberti Casellati,
accoglie senza tensione la pur
aspra dialettica con l'opposizione.
Quella che si crea tra gli ex
alleati del centrodestra, quella che
evoca Matteo Renzi quando chiama
i 5 Stelle alla presa di
responsabilità quando dice: «Voi non siete lo
Stato, siete il potere, siete
l'establishment. E non avete più alibi
rispetto a ciò che c'è da fare. Noi
non vi faremo sconti». Quella
dell'ex premier Mario Monti che
lancia l'allarme Troika e quella delle
standing ovation liberatorie: una
per sostenere il premier Conte e una
rivolta alla senatrice a vita
Liliana Segre che ringrazia il
presidente Mattarella per «aver
scelto come senatrice a vita una
vecchia signora con i numeri di
Auschwitz tatuati sul braccio».Matteo
Salvini, invece, non intende far
scendere la temperatura del dibattito
neppure per la «grande occasione»
della fiducia.
Mentre i senatori
stanno ancora svolgendo le dichiarazioni
di voto chiama i giornalisti
in sala stampa e rintuzza sui
migranti con parole che hanno già
suscitato indignazione: «Confermo
che è strafinita la pacchia per chi
ha mangiato per anni, alle spalle
del prossimo, troppo
abbondantemente: ci sono 170mila presunti
profughi che stanno in
albergo a guardare al tv» dice e
sminuisce l'allarme lanciato dalla
Segre definendo «infondato» il suo
timore di leggi speciali contro Rom
e Sinti. Poi chiarisce misure che
Conte aveva volutamente solo
accennato: «Non siamo stati eletti
per aumentare tasse, accise ed Iva:
l'Iva non aumenterà». E Alitalia non
sarà fatta a «pezzettini».
La
ricetta di M5s e Lega:
stop
austerity, più crescitaNo dei penalisti
«Ricette
vecchie»
L'Anm non parla
Suscita reazioni contrapposte l'intervento
di Conte al Senato, nel
quale è disegnato un programma
giustizia cheannovera la riforma della
prescrizione, l'inasprimento delle
pene per violenza sessuale e
corruzione, il potenziamento della
legittima difesa e la costruzione
«dove necessario» di nuove carceri.
E poi il daspo per corrotti e il
rafforzamento dell'agente sotto
copertura. Un mosaico che non convince
le Camere penali. «Un discorso
pessimo, siamo preoccupati - lo stronca
il presidente Beniamino Migliucci -
Il premier si eradefinito avvocato
del popolo, ma se le proposte sono
queste, sono ricette vecchie,
guardano al passato e non servono».
Un aumento della prescrizione o la
sua sospensione in primo grado,
infatti «allungherebbe i processi e
metterebbe le persone per 20-25 anni
sotto il potere di una procura».
Le pene più severe invece sono «una
via per ottenere un consenso
facile» e allentare i vincoli della
legittima difesa «è come se dallo
Stato arrivasse l'induzione a
commettere un reato». Bocciata anche la
costruzione di nuove carceri che
«non serve a nulla», mentre l'agente
sotto copertura è «un'idea di
Davigo, come altre nel "contratto"». Ed
è proprio da Autonomia e
Indipendenza, la corrente delle toghe che fa
capo all'ex presidente dell'Anm,
Piercamillo Davigo, che arriva invece
un'apertura di credito: al nuovo
esecutivo «bisogna dare fiducia:
vediamo cosa sono in grado di fare.
Per noi non ci sono governi amici
o nemici, dobbiamo valutarli sul
campo». L'Anm invece per ora non si
sbilancia, ma il clima non è negativo.
Uno dei temi caldi riguarda la
riforma Orlando delle
intercettazioni, in vigore dal 12 luglio: le
toghe chiedono che slitti e sia
rivista.ROMABasta austerità. La nuova
parola d'ordine è crescita, «stabile
e sostenibile», da inserire in un
contesto europeo rinnovato e non
fuori dall'euro. E ancora, salario
minimo, reddito di cittadinanza,
pensioni dignitose, eliminando quelle
d'oro. Infine, e soprattutto,
rivoluzione fiscale.
Nel discorso di
richiesta di fiducia alle Camere,
Giuseppe Conte detta la sua ricetta
economica. Ricalca in gran parte, e
rivendica, il contratto di governo
tra M5S e Lega, ma ridimensionando
alcune aspettative ed omettendo
alcuni punti chiave: il Sud, l'Ilva,
la Tav, l'Alitalia fino
all'aumento dell'Iva, temi questi
ultimi su cui è stato Matteo Salvini
a colmare il vuoto. Il presidente
del Consiglio è partito dai conti
pubblici, di fronte a quella che
definisce «la speculazione
finanziaria» che «si nasconde dietro
lo spread». Il debito «è oggi
pienamente sostenibile», ha
assicurato.
Il governo vuole ridurlo, ma
con la crescita, «non con le misure
di austerità che hanno contribuito
a farlo lievitare». Circondato a
destra e a sinistra da Luigi Di Maio
e Matteo Salvini, con Paolo Savona seduto
proprio davanti a lui, Conte
è tornato quindi sulla questione
euro: «L'uscita dell'Italia non è mai
stata in discussione. Non è entrata
nel contratto di governo e non è
un obiettivo che ci proponiamo in
questa legislatura», ha scandito.
Nel corso della legislatura, ma non
immediatamente, arriverà invece la
misura più attesa dagli elettori dei
pentastellati, il reddito di
cittadinanza. Sarà commisurato alla
composizione del nucleo familiare
e condizionato al reinserimento nel
mondo del lavoro.
Proprio per
questo, il primo intervento sarà il
potenziamento dei centri per
l'impiego, decisamente meno costoso.
Di cittadinanza saranno anche le
pensioni, finanziate probabilmente
con il taglio degli assegni
superiori a 5.000 euro, ma non tout
court, solo «nella parte non
coperta dai contributi versati».
Nessun accenno esplicito è arrivato
invece sulla revisione della legge
Fornero, su cui però è intervenuto
Salvini, pronto a ribadire che la
questione «è nel contratto». Dalla
bandiera dei 5S a quella della Lega,
Conte ha quindi annunciato
«misure rivoluzionarie» sul fronte
fiscale.
Dopo la frenata sui tempi
arrivata lunedì, la flat tax è
diventata ora «l'obiettivo» e
soprattutto si rivela non tanto come
aliquota piatta ed unica ma come
«riforma fiscale caratterizzata
dall'introduzione di aliquote fisse,
con un sistema di deduzioni che
possa garantirne la progressività»
prevista dalla Costituzione. A conti
fatti potrebbe quindi
concretizzarsi in una revisione
dell'Ires e dell'Irpef molto più
complessa e articolata di quanto
finora emerso. Come la legge Fornero
sulle pensioni, sul fisco è il tema
Iva ad essere assente nel
discorso.
Ed anche in questo caso è stato
Salvini ad intervenire,
ribadendo che l'aliquota «non
aumenterà». Insistendo ancora sul tema
fiscale, Conte ha ribadito la
necessità di rifondare il rapporto tra
Stato e contribuenti, «all'insegna
della buona fede e della reciproca
collaborazione». Tolleranza zero
però per i grandi evasori: per loro
«occorre inasprire il quadro sanzionatorio
la fine di assicurare il
carcere vero». Sul fronte lavoro,
infine, la proposta è di «un nuovo
patto sociale» per dare voce ai
giovani che non trovano lavoro e alle
donne «discriminate e meno pagate».
Un ruolo attivo dovranno giocarlo
i sindacati, recuperando il dialogo
sociale.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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