ll
consigliere: il ministro è un sequestratore, non sto con lui, né con chi ha
tradito. Carta attacca Salvini Solinas lo caccia dal Psd'Az.
CAGLIARI. Chi è il ministro
dell'interno Matteo Salvini? A sentire le parole, in aula, del consigliere
regionale sardista Angelo Carta: «È un leader della peggiore destra europea,
che oggi, come scudo, usa 629 persone mezzo annegate», sono quelle ancora a
bordo della nave Aquarius. Tagliente come un accetta, il profilo di Salvini, è
stato tracciato da chi vede ancora del marcio in quel patto elettorale fra il
«nostro storico Psd'Az» e la Lega. Lo ha sempre rifiutato e detestato, più volte,
prima e subito dopo il 4 marzo, fino a definirlo in sequenza: «svendita della
storia», «assurdo baratto delle idee» e «altissimo tradimento».
Quattro mesi dopo le Politiche, è
ritornato alla carica e il partito l'ha subito punito per l'ennesimo attacco.
Con un comunicato, la segreteria ha fatto sapere: «Nel 2108, all'onorevole, non
è stata rinnovata la tessera e dunque non può più fregiarsi di essere un
sardista». In poche parole: l'ha messo alla porta. Aggiungere che Carta è stato
cacciato per aver criticato Salvini forse è troppo, ma di sicuro ha pagato le
«contestazioni pubbliche» all'abbraccio elettorale del Psd'Az con la Lega.
L'attacco.
Ancora una volta quello di Carta è
stato un pugno contro i due protagonisti di un accordo che per lui continua a
essere innaturale e immondo. I nomi degli infedeli, sempre secondo il
consigliere regionale, continuano a essere gli stessi del 4 marzo. Salvini, da
una parte, come segretario della Lega e ora pure ministro dell'interno, e
Christian Solinas, dall'altra, nelle vesti di coordinatore nazionale sardista e
oggi fresco senatore della Repubblica italiana. Durante il dibattito sulla Lingua
sarda su cui tra l'altro il Psd'Az è spaccato fra favorevoli (il solo Carta) e
contrari, li ha rinchiodati. Senza mai nominarli, riaffermando così qualcosa di
ancora più sottile e velenoso: il citarli, come sono registrati all'anagrafe,
sarebbe stato riconoscer loro troppo onore.
L'accusa. Ecco come Angelo Carta ha
calato l'accetta: «Approvare questa legge sulla Lingua che valorizza il più importante
e autentico prodotto culturale del Popolo sardo, è il nostro salvacondotto per
un'Europa dei popoli - l'esordio - Questo lo dico qualsiasi cosa pensi il nuovo
leader di una destra (Salvini) cresciuta sulle ceneri della peggiore crisi dal
Dopoguerra, con la disoccupazione a livelli mai visti e che ha scelto di
individuare due nemici, gli immigrati e l'Europa».
Per poi affondare ancor i colpi, sfruttando
al massimo una dialettica che Carta ha. Sempre Salvini «è un leader
sequestratore di persone... è colui che usa come scudo 629 migranti mezzo
annegati per alzare la voce». Dunque, «io non ci sto, e mai lui sarà il mio
leader. Nè lui, né chi ha tradito (Solinas) cento anni di storia, valori e
ideali per una misera poltrona». Fino a scavare un fossato: «Io invece voglio
difendere l'Europa dei popoli, che deve essere di tutti, compresi quelli che
fuggono dalla loro terra, perché nessuno, come i sardi, ha patito la sofferenza
del distacco dalla Patria e nessuno, come noi, può capire quanto sia difficile
andar via, e quanto invece ci sia bisogno di solidarietà».
Per chiudere con queste parole: «Io
oggi sono molto più vicino ai valori sardisti di quanto non lo sia chi
purtroppo ha cambiato il Dna del partito»L'espulsione. In minoranza da sempre,
schiacciato dalla maggioranza guidata da Solinas, Carta poco dopo è stato
liquidato con un comunicato: «Preso atto - si legge - dell'oggettiva
incompatibilità della permanenza fra gli iscritti del consigliere regionale, la
segreteria ha deliberato all'unanimità di non rinnovargli la tessera, perché la
qualifica di sardista compete solo a chi sia regolarmente iscritto e operi in
maniera corrispondente all'ideologia sardista, nel rispetto dello statuto, dei
regolamenti e della linea politica». Di sicuro lo scontro non è finito: ci
saranno altri colpi d'accetta, (ua)
CAGLIARI.
Tensione e imbarazzo, ieri lo Spi-Cgil gli ha revocato l'incarico
Show
razzista del dirigente sindacale - Insulti a neri e donne durante
il sit-in
contro la chiusura dei porti
Qual è la situazione ideale per
pronunciare, in pubblico e ad alta
voce, una frase razzista e sessista?
Semplice: la manifestazione
indetta a Cagliari da una folta rete
di associazioni per protestare
contro la decisione di chiudere i
porti agli sbarchi di migranti. E
per giunta il protagonista, un uomo
sulla settantina, è un dirigente
dello Spi, il sindacato dei
pensionati della Cgil, sigla,
quest'ultima, che era lì proprio in
nome dell'antirazzismo e
dell'accoglienza.
Meglio sarebbe dire che l'uomo lo
era, un dirigente,
perché ieri mattina il direttivo
regionale dello Spi, al termine di
una riunione cui hanno preso parte
anche esponenti regionali del
sindacato, ha deciso di sollevare
Flavio Pepi dall'incarico.
È successo avant'ieri sera a
Cagliari, in piazza Deffenu, dove si
erano dati appuntamento cittadini ed
esponenti di varie associazioni,
fra cui la Antonio Gramsci, Amnesty
international gruppo 128, Madiba,
Arci Sardegna, Memoratu, Unica 2.0,
Eureka rete degli studenti medi,
Unica Lgbt, Udu Cagliari, Cgil
(appunto), Cisl e Uil, Save the
children, Me-Ti, La Collina e altre.
Alla vista di un giovane africano
che baciava due donne, l'uomo,
peraltro accompagnato da una donna,
avrebbe pronunciato ad alta voce
un epiteto razzista nei confronti
del primo e uno sessista nei
confronti delle seconde. La sua
frase, però, ha scatenato la reazione
di diverse manifestanti, che gli
hanno detto di vergognarsi. La
risposta: nuove ingiurie. Una lo ha
incalzato per alcuni minuti,
pretendendone le scuse.
Evidente l'imbarazzo degli esponenti
della Cgil presenti al sit-in.
Ieri mattina, inevitabile, la
cacciata. (m. n.)
UNIONE
SARDA
A Solinas
(Psd'Az) sarebbe stata promessa la presidenza della Regione
Ecco i 45
sottosegretari Nessun sardo nella squadra nominata dal governo
Tra i sottosegretari papabili c'era
anche il senatore sardista
Christian Solinas. Ma la nomina è
saltata, sembra in cambio della
promessa che sarà il candidato del
centrodestra alla presidenza della
Regione. E non c'è alcun altro sardo
tra i 45 tra sottosegretari e viceministri
nominati ieri dal Consiglio dei
ministri.
TUTTI I NOMI Alla presidenza del
Consiglio dei ministri vanno Guido
Guidesi, Vincenzo Santangelo, Simone
Valente con delega ai Rapporti
con il Parlamento e democrazia
diretta; Mattia Fantinati (Pubblica
amministrazione); Stefano Buffagni
(Affari regionali e autonomie);
Giuseppina Castiello (Sud); Vincenzo
Zoccano (Famiglia e disabilità);
Luciano Barra Caracciolo (Affari europei);
Vito Claudio Crimi
(Editoria); Vincenzo Spadafora (Pari
opportunità e giovani).
Agli Affari esteri e cooperazione
internazionale vanno Emanuela
Claudia Del Re, Manlio Di Stefano,
Riccardo Antonio Merlo e Guglialmo
Picchi. All'Interno Stefano Candiani,
Luigi Gaetti, Nicola Molteni,
Carlo Sibilia. Alla Giustizia sono
stati nominati Vittorio Ferraresi e
Jacopo Morrone; alla Difesa Angelo
Tofalo e Raffaele Volpi.
All'Economia e finanze Massimo
Bitonci, Laura Castelli, Massimo
Garavaglia e Alessio Mattia
Villarosa.
Allo Sviluppo economico, Andrea
Cioggi, Davide Crippa, Dario Galli,
Michel Geraci; alle Politiche
agricole Franco Manzato e Alessandra
Pesce; all'Ambiente tutela del
territorio e del mare sono stati
destinati Vannia Gava, Salvatore
Micillo; alle Infrastrutture e
trasporti Michele Dell'Orco, Edoardo
Rixi e Armando Siri. Al Lavoro e
politiche sociali sono stati
nominati Claudio Cominardi e Claudio
Durigon; all'Istruzione, Università
e ricerca Lorenzo Fioramonti e
Salvatore Giuliano; ai Beni
culturali, attività culturali e turismo
Lucia Borgonzoni e Gianluca Vacca;
alla Salute Armando Bartolazzi, e
Maurizio Fugatti.
QUESTORE E VICEPRESIDENTE Dopo la
nomina di Riccardo Fraccaro e
Lorenzo Fontana a ministri, oggi
verranno eletti dalla Camera anche un
questore e un vicepresidente in loro
sostituzione. Al posto del primo
andrà Federico D'Incà, (M5s) mentre
al posto del secondo in pole
position ci sono Raffaele Volpi
(Lega) e Fabio Rampelli, capogruppo di
Fdi, per rafforzare la vicinanza del
partito della Meloni al governo.
Fdi punta però a una delle due
Commissioni di garanzia che spettano
all'opposizione, Copasir e Vigilanza
Rai. In particolare la seconda,
che è nel mirino anche di FI.
La
Nuova
Nel Pd si
lavora alla tregua ma resta l'incognita Soru
Cabras,
Fadda, renziani ed ex Ds pronti a eleggere il nuovo segretario lunedì 25
Ma
sull'accordo unitario non c'è il via libera dell'ex governatore: no
ai
caminetti
CAGLIARIIl giorno dopo le dimissioni
di Giuseppe Luigi Cucca, c'è già
una possibile data in cui
l'assemblea del Pd potrà decidere se
eleggere subito il nuovo segretario,
o scegliere invece la strada del
congresso straordinario. Il giorno
della conta dovrebbe essere lunedì
25 giugno, ancora nel pomeriggio e
sempre ad Abbasanta. Quindi, molto
prima del mese concesso dal
regolamento per la decisione finale. La
fretta è evidente: in un modo o
nell'altro, i dem non voglio rimanere
senza una guida, ufficiale o
reggente che sia, in quelli che da metà
agosto in poi e forse anche molto
prima, saranno le settimane più
calde nella trattativa per le
Regionali del 2019. Oltre alla fretta
politica, c'è dell'altro.
Perché sul suo futuro il Pd s'è
comunque
dimostrato comunque spaccato neanche
dieci minuti dopo l'addio di
Cucca e quindi serve chiarezza. La
conta è stata immediata. I renziani
e gli ex Diesse, che fanno parte
della stessa corrente, e il gruppo
dei popolari-riformisti hanno
dichiarato all'impronta di volere
eleggere un segretario. Invece i
soriani hanno detto l'esatto
contrario, almeno sono state queste
le parole del leader: «Noi siamo
per il congresso. Non è più il tempo
dei notai». Spaccati erano e
spaccati lo sono ancora, anche dopo
i tre mesi abbondanti che sono
trascorsi dalla pesante sconfitta elettorale
di marzo, alle
Politiche.
Gran movimento. Il valzer veloce è
cominciato subito. Si sa,
ad esempio, che in un attimo la
maggioranza che sosteneva Cucca,
formata da renziani, ex Diesse più i
popolari-riformisti, ha
organizzato, senza neanche spostarsi
troppo da Abbasanta, un vertice
volante. Per decidere cosa? Che
faranno di tutto per eleggere un
segretario unitario, ma se i soriani
non ci staranno e si
intestardiscono nel volere il
congresso, allora sarà la vecchia
alleanza a sceglierlo da sola. Voci
non confermate accennano che, in
caso di un'ennesima spaccatura con
Soru, questa volta spetterà ai
popolari-riformisti proporre la rosa
dei candidati.
Nel fare un passo
di lato, i renziani e i Diesse, che
hanno vinto il congresso dell'anno
scorso, quello che ha eletto Cucca,
avrebbero posto solo una
condizione. Questa: preferirebbero
che il prescelto fosse una figura
autorevole, finora poco coinvolta
nell'infinita faida correntizia,
cioè il più possibile equidistante
dagli attuali gruppi. Ma tutto
questo avverrà solo se prima del 25
giugno, con i soriani, non dovesse
essere trovato l'accordo per
eleggere all'unanimità l'auspicato
segretario di tutti.Lo scenario.
Stando a quanto è stato detto a caldo
da Soru, nel salone dei ricevimenti
di Abbasanta, le posizioni fra un
blocco e l'altro oggi sembrano però
essere molto lontane. Oggi, perché
in questi giorni che mancano al 25
giugno, le varie diplomazie
entreranno in azione a più riprese e
dovunque.
Cosa potrebbe
convincere chi vuole il congresso a
essere più morbido? Forse questa
proposta: intorno al «nome stavolta
scelto da tutti» potrebbe essere
nominata una segreteria composta
esclusivamente solo da volti nuovi e
con massimo quarant'anni
all'anagrafe. Di fatto sarebbe quel cambio
generazionale che, in tutte le
ultime riunioni, la corrente di Soru ha
invocato come una «delle strade, non
certo l'unica, per riconquistare
la fiducia degli elettori che ci
hanno voltato le spalle a marzo».
Basterà quest'offerta a convincere
l'eurodeputato e il suo gruppo a
rinunciare al congresso che per loro
è invece una priorità? Forse in
questo momento non basta e quindi
sul piatto gli ambasciatori dovranno
metterci dell'altro. Però neanche
l'eventuale rilancio potrebbe essere
sufficiente per Soru, che di recente
ha ribadito: «Mai più parteciperò
ai caminetti». Per lui, ora come
ora, conta solo quello che
«discutiamo e discuteremo in
assemblea», a cominciare da quella di
fine giugno, ad Abbasanta. (ua)
Unione
Sarda
Rimpatri,
il centro confermato a Macomer
Il Cpr, il centro regionale
permanente per i rimpatri che sarà
realizzato nell'ex carcere di
Macomer, diventerà operativo a fine anno
o nei primi mesi del 2019. Il Comune
ha convocato una conferenza di
servizi ai primi di luglio, per
valutare la progettualità. «Si va
avanti - dice il sindaco Antonio
Succu - e la conferenza è un atto
vincolante, in base al patto
sottoscritto tra la Regione e il
ministero».
Per la sistemazione dell'ex carcere,
il ministero ha stanziato tre
milioni e mezzo di euro. La struttura
ospiterà per brevi periodi i
clandestini (in particolare gli
algerini) da rispedire a casa. Sulla
necessità del Cpr il nuovo ministro
dell'Interno Matteo Salvini
viaggia sulla stessa lunghezza
d'onda del predecessore Marco Minniti.
Considera indispensabile il Cpr per
aumentare e velocizzare le
espulsioni degli irregolari.
Il sindaco chiede massima chiarezza
sul numero dei migranti da
ospitare, nel nome della sicurezza
per i suoi concittadini: «Abbiamo
sempre detto che l'accoglienza deve
essere dignitosa e non vogliamo
che il Cpr diventi un lager. Abbiamo
stabilito che il numero dei
migranti da ospitare e poi da
rispedire a casa loro non devono essere
più di cento. Non uno di più».
Nel patto Ministero-Regione-Comune
ci
sono diverse clausole, in
particolare il potenziamento delle forze
dell'ordine, con presìdi fissi
all'interno e intorno alla struttura,
gli ospiti-clandestini arrivano
scortati e vanno via solo per essere
rimpatriati. Nessuna uscita, nessun
contatto con la popolazione per i
100 ospiti: questo il numero massimo
stabilito.
Francesco Oggianu
Il
racconto del ministro agli Affari Ue
La
frecciata di Savona: «Io come Galileo, volevano che abiurassi»
ROMA «Mi hanno chiesto l'abiura, e
se l'avessi fatta sarei al
ministero dell'Economia. Poi uscendo
avrei dovuto dire “eppure si
muove”, come Galileo, ma non ci si
comporta così». E ancora: «Ho
attraversato Scilla e Cariddi,
legato ad un palo, ascoltando le
sirene. Ora sono e più sereno e
sicuro?». Queste due frasi mostrano
bene lo spirito del ministro per gli
Affari europei, Paola Savona,
ospite dell'associazione della
Stampa estera di Roma per presentare il
suo ultimo libro, “Come un incubo e
come un sogno”'. Nel piano
originale M5S-Lega, Savona doveva
andare al dicastero dell'Economia,
ma il suo nome è stato bloccato dal
Quirinale. Al suo posto è andato
Giovanni Tria, docente a Tor
Vergata. Per finire al posto di Tria,
Savona avrebbe dovuto rinunciare
pubblicamente alle sue idee, come
Galileo. Ma l'economista 82enne non
ha voluto far questo.
SOLLIEVO Comunque, ora prova quasi
«un senso di sollievo», nel vedere
Tria, e non se stesso, in via XX
Settembre: «Se penso a quello che
deve fare un ministro dell'Economia
di questi tempi, beh, allora deve
essere giovane, coraggioso e con un
pizzico di incoscienza», ha
sottolineato. Savona tiene con forza
alle sue idee «da analista che fa
diagnosi», ma queste idee vanno
separate dal ruolo di ministro, che
lui interpreterà così, «da tecnico
che prende decisioni tecniche, le
quali vanno sui tavoli dei politici,
che poi hanno l'ultima parola».
EURO Ad ogni modo, la sua opinione
sull'Euro è che «non solo ha
aspetti positivi, ma ha aspetti
indispensabili: se vuoi un mercato
unico devi avere una moneta unica».
Detto questo, «la costruzione
economica europea è una costruzione
limitata, va perfezionata», ha
detto Savona, ricordando che lo
stesso Carlo Azeglio Ciampi
sottolineava che il sistema
economico europeo è «affetto da zoppìa».
Sotto la costante pressione dei
cronisti, Savona ha ripetuto che «non
esiste un Piano B e non ho mai
chiesto di uscire dall'euro: cosa altro
volete? La mia posizione è chiara?».
Il leader
dell'Udc Giorgio Oppi analizza le amministrative e parla del futuro
«Regionali,
è tutto da giocare: nessuno ha vinto in partenza»
Alle politiche del 4 marzo in
Sardegna il Movimento cinquestelle con
il 42,2% dei voti ha surclassato il
centrodestra, che si è fermato al
31%, e il centrosinistra, calato
sino al 17,8. Nel Sulcis Iglesiente e
ad Assemini il risultato è stato
ancora più clamoroso. Domenica quei
numeri non sono stati confermati.
Nella cittadina dell'hinterland
cagliaritano i pentastellati hanno
perso solo tre punti percentuali, a
Iglesias il calo è stato di oltre 20
punti percentuali.
«Come sempre alle amministrative più
del partito contano molto i
rapporti personali e le parentele.
Credo che il Movimento si
aspettasse una maggiore
partecipazione al voto, come è stato alle
politiche».
Giorgio Oppi, 78 anni, leader
dell'Udc, consigliere regionale dal 1979
- con qualche pausa da deputato e da
assessore - è uno degli ultimi
grandi vecchi della politica sarda.
L'M5S si è presentato in pochi
comuni e ha combattuto da solo contro
coalizione eterogenee.
«In questo tipo di elezioni il
risultato dipende molto da come si
costruisce una lista, dalla capacità
attrattiva di tutti i candidati.
Però sono andati bene comunque».
E voi come siete andati?
«Siamo soddisfatti. Siamo andati
bene a Iglesias e Assemini ma anche a
Teulada, Maracalagonis, Furtei,
Meana, abbiamo consiglieri quasi
dappertutto ma non suoniamo la
fanfara».
Come andranno i ballottaggi?
«Siamo ottimisti».
C'è chi dice che alle prossime
regionali il Movimento cinquestelle
abbia già vinto. Lei che cosa pensa?
«Nessuno ha vinto in partenza. Penso
che sia difficile che loro
conquistino il numero di voti che
hanno preso alle politiche».
E perché?
«Per una questione matematica. In
Sardegna ci sono 377 Comuni e tutti
i partiti hanno candidati
dappertutto. Loro si presentano da soli e
saranno giocoforza presenti al
massimo in 60 Comuni, quindi non
potranno raggiungere percentuali
molto alte».
Basterebbe il 25% per avere il
premio di maggioranza.
«Ma con 32 seggi contro 28 non si
governa, non si ha la maggioranza in
tutte le sei commissioni. Sarebbe un
problema».
Potrebbero prendere comunque il 40%
e avere 36 seggi.
«Tendo a escluderlo».
Voi alla Regione siete alleati col
centrodestra, in alcuni comuni col
centrosinistra. Con chi starete alle
prossime regionali?
«Guardi, nelle aggregazioni comunali
c'è un po' di destra e sinistra
da una parte e dall'altra. Quanto
alla Regione, sino alla fine di
questa legislatura, salvo
cataclismi, saremo nel centrodestra ma
vogliamo rispetto, un rispetto che è
mancato alle politiche. Abbiamo
buoni rapporti anche nel
centrosinistra, oggi non abbiamo un
orientamento preciso».
Quindi ogni soluzione è possibile?
«Oggi l'ideologia lascia il tempo
che trova».
Potreste presentarvi anche da soli?
«E perché no? Incontreremo tutte le
forze politiche e vedremo, non
abbiamo preclusioni. Certo è che se
in coalizione i partiti non
saranno coesi non si andrà da
nessuna parte».
È favorevole alle primarie per
individuare un candidato?
«Non sono contrario. L'importante è
che l'indicazione non arrivi
dall'esterno, come in passato, e
tutti abbiano pari dignità.
L'esigenza è trovare una persona
stimata, competente, trasparente che
abbia il consenso di tutte le forze
politiche e possa trovare quello
degli elettori».
Oggi sembra impossibile.
«Il Pd è diviso, in Forza Italia ci
sono molti aspiranti candidati».
Alle Politiche il risultato per voi
è stato deludente. Lei era
capolista di “Noi con Italia”.
«Non avevamo girato abbastanza
l'Isola, avevamo rallentato il ritmo e
la nostra gente ha sentito questa
assenza, erano spaesati. Alle
amministrative abbiamo ripreso i
nostri contatti. Del resto siamo un
partito povero, non avevamo nemmeno
la sede. Ora stiamo ricominciando,
abbiamo ripreso a stare vicini agli
elettori dappertutto».
L'anno prossimo avrà 79 anni, si
ricandiderà?
«Non lo so, sto riflettendo».
Da che cosa dipende?
«Da tante cose, è presto per
prendere una decisione».
Quando deciderà?
«Dopo l'estate».
Nel suo partito c'è un suo erede?
«Ci sono persone valide che hanno
voglia di lavorare. Ma non è facile
governare un partito che non ha
riferimenti in campo nazionale. Serve
un grande spirito di sacrificio,
bisogna essere disposti a fare molte
rinunce».
Fabio Manca
IGLESIAS.
Prime analisi in vista del ballottaggio tra Valentina Pistis
e Mauro
Usai La “top ten” dei consiglieri Addio ai record del passato, nessuno
arriva a
500 voti
Nessuno è arrivato a 500 preferenze.
E figurarsi le oltre 800 ottenute
cinque anni fa da qualche grande
portatore di voti di lista. I numeri
usciti dalle urne, dopo il primo
turno per l'elezione di nuovo sindaco
(il 24 giugno si andrà al
ballottaggio) e consiglieri, raccontano che
rispetto alle amministrative del
2013 è tutta un'altra storia. Per
diverse ragioni: in primo luogo
perché il Movimento 5 Stelle non aveva
presentata una lista. A questo va
aggiunto il fatto che, pur allora in
presenza del fenomeno
dell'astensionismo, gli elettori che si recarono
alle urne furono circa 2000 in più
dei 24.063 votanti di domenica
scorsa.
I NUMERI Così si spiega come mai
nessuno degli aspiranti consiglieri
sia riuscito a conquistare 500 voti.
Nella “top ten” dei più votati si
nota una prevalenza del Partito
democratico (a sostegno di Mauro Usai
, insieme a Rinnova Iglesias, Il tuo
segno per Iglesias e Piazza
Sella) al primo posto con Francesco
Melis : l'assessore all'Ambiente
uscente ha ottenuto 476 preferenze.
Il Pd anche al terzo posto con i
417 voti di Daniele Reginali , al
sesto con Marco Loddo (325) e
all'ottavo con Monica Marongiu(242),
tutti consiglieri uscenti. Il
secondo più apprezzato dagli
elettori è stato Ignazio Mocci (Piazza
Sella): 449 voti. La stessa lista è
alla quinta posizione: Eleonora
Deidda ha conquistato 381 elettori.
Ha sfiorato le 400 preferenze
Francesca Tronci : uno dei volti nuovi
del Movimento 5 Stelle è arrivata a
399 voti, piazzandosi al quarto
posto nella “top ten”.
Una classifica dove è forte anche la
presenza di Forza Italia: il
partito che (insieme a Cas@Iglesias,
Iglesias in Comune, Riformatori e
FdI) sostiene la candidata Valentina
Pistis è al settimo posto con
Luigi Biggio (276 voti), al nono con
Simone Saiu (242) e al decimo con
Gianfranca Mannu (240), tutti
consiglieri d'opposizione uscenti.
L'ANALISI Dai risultati del primo
turno si evince anche che il Pd
tiene e, rispetto alle politiche di
tre mesi fa (pur entrando in gioco
dinamiche diverse, anche in virtù
delle stesse preferenze ai singoli
candidati), guadagna circa 600 voti.
«Ci speravo – commenta Ubaldo
Scanu , segretario cittadino - ero
convinto che gli iglesienti
avrebbero riconosciuto il nostro
atteggiamento responsabile, anche nel
corso della campagna elettorale:
agli insulti abbiamo risposto facendo
conoscere il nostro programma.
Questo continueremo a fare fino al
ballottaggio».
Circa 300 voti in meno per FI che,
tuttavia, si rivela la forza
principale della coalizione a
sostegno di Pistis. «Puntavamo al
ballottaggio e ci siamo arrivati -
commenta soddisfatto Luigi Biggio ,
il più votato della lista e della
coalizione - ora giochiamo anche
questa partita, lanciando un
messaggio molto chiaro di alternativa».
Cinzia Simbula
La
Nuova
Salvini
si prende al traino Di Maio
Il
ministro dell'Interno impone la linea della fermezza con l'Europa
sui
migranti
Bruxelles propone di mettere sul
piatto quasi 35 miliardi di euro nel
prossimo budget Ue 2021-2027 per
rafforzare le frontiere esterne e
gestire i flussi migratori: si
tratta del triplo di quanto previsto
dall'attuale bilancio, che ammonta a
13 miliardi. Dei 34,9 miliardi,
in particolare, 21,3 sono per il
rafforzamento delle frontiere esterne
e le agenzie Ue, con 10mila nuovi
agenti per Frontex; mentre 10,4
vanno alla gestione dei migranti,
col 40% della cifra destinato ai
rimpatri. In particolare, dei 21,3
miliardi di euro per la gestione
delle frontiere esterne, 9,3 sono
per il nuovo specifico Fondo per la
gestione integrata delle frontiere,
12 per le agenzie europee
(Frontex, Eu-Lisa), e 1,3 per nuovi
equipaggiamenti come scanner e
sistemi automatizzati. Altri 3,2
miliardi sono una riserva per un
sostegno mirato agli Stati, per
affrontare necessità urgenti.
-----------------
Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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