Vertice
in Germania con Merkel, che lo sostiene. Negli Usa Onu (e Melania) contro Trump.
«Si cambi o addio a Schengen» Il premier Conte: chi sbarca in Italia sta
entrando in Europa.
Nasce l'asse italo-tedesco sulla
gestione dei migranti. Ieri, nel corso di un vertice bilaterale a Berlino, il
premier Giuseppe Conte e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno trovato una
linea comune. «Le nostre frontiere sono quelle dell'Unione europea, non
possiamo fare tutto da soli», ha detto Conte.
«L'Italia non può essere lasciata sola,
servono adeguati meccanismi di solidarietà», ha chiarito il presidente del
Consiglio secondo il quale «la proposta di riforma del regolamento di Dublino è
ormai di fatto superata» in favore di un «nuovo approccio solidale, per cui chi
mette piede in Italia mette piede in Europa. Dobbiamo operare tutti insieme in
base a un approccio integrato multilivello», ha aggiunto Conte. «Occorre agire
al meglio nei Paesi d'origine e di transito affinché qui avvengano le identificazioni
e le richieste di asilo dei migranti».
IL SOSTEGNO TEDESCO Merkel, sotto
pressione nel suo governo, sostiene la linea italiana. «Sappiamo che l'Italia
ha moltissimi profughi e vogliamo venire incontro alla richiesta di una
maggiore solidarietà cominciando a rafforzare la difesa delle frontiere esterne
con Frontex». Del resto la cancelliera tedesca ha un grosso problema interno
sul fronte dei migranti. Il ministro dell'Interno Horst Seehofer, alleato più a
destra di lei, ha lanciato un ultimatum: trovare una soluzione europea alla
sfida dell'immigrazione entro il Consiglio europeo dei prossimi 28 e 29 giugno,
altrimenti da luglio avvierà i respingimenti di migranti che arrivino alle
frontiere della Germania da un altro Paese Ue.
Merkel ha accolto la sfida: proverà
a trovare una soluzione con i partner europei. Ma ha di fatto respinto l'ultimatum:
in caso di mancato accordo Ue non ci sarebbe nessuna chiusura automatica delle
frontiere da luglio, ha assicurato. Ricordando poi a Seehofer che è lei in
definitiva a essere responsabile delle politiche del governo.
ONU CONTRO TRUMP Sui migranti c'è
tensione anche negli Usa dopo la scoperta che dal 19 aprile al 31 maggio,
quindi in sole sei settimane, sono circa 2mila i bambini che sono stati
separati dai genitori fermati per essere entrati illegalmente negli Stati
Uniti, in virtù della nuova tolleranza zero al confine tra Usa e Messico.
L'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, ha esortato
Washington a fermarsi definendo la politica della Casa Bianca «irragionevole».
Persino Melania Trump ha fatto sapere che detesta il fatto di «vedere dei
bambini separati dalle loro famiglie». Ma al tempo stesso ha ripreso
l'argomentazione del marito, che attribuisce la responsabilità di tutto alla
paralisi del Congresso.
ACCUSE ALL'EUROPA Il presidente
Donald Trump non si è fatto intimidire ed ha rincarato la dose: «Gli Stati
Uniti non saranno un campo per migranti», ha detto tirando poi in ballo
l'Europa e la Germania: «Non vogliamo che quanto succede con l'immigrazione in
Europa succeda anche da noi!», ha scritto su Twitter, definendo un «grande
errore» da parte dell'Europa il fatto di «permettere l'ingresso a milioni di
persone che hanno cambiato in modo così forte e violento la loro cultura».
La
Conferenza episcopale sarda: no al dibattito rozzo, violento e astioso
Migranti,
monito dei vescovi: «Sono fratelli da accogliere»
Sì all'accoglienza di «fratelli e
sorelle che bussano alle nostre
porte, in fuga da situazioni di vita
insostenibili per la guerra o la
fame». E sì anche ai corridoi
umanitari «che regolano il flusso in
origine e assicurano condizioni di
dignitosa integrazione per le
persone».
I vescovi sardi scendono in campo
sul delicato tema dell'immigrazione
e ribadiscono la linea della Chiesa,
che poi è quella tracciata da
Papa Francesco: «Il problema dei
migranti è di urgente e drammatica
attualità, un autentico dramma
epocale rispetto al quale nessuno di
noi può rimanere indifferente o far
finta che riguardi altri»,
scrivono i vescovi riuniti sotto la
presidenza del presidente della
Conferenza episcopale sarda Arrigo
Miglio.
Il faro, per i cristiani, è il primo
e omnicomprensivo comandamento
della carità, «un vero banco di
prova dell'autenticità della propria
fede». Per i vescovi l'accoglienza
deve essere «a cuore aperto, perché
occorre considerare le esigenze di
tutti i membri dell'unica famiglia
umana e il bene di ciascuno di essi,
in un contesto di solidarietà
internazionale».
DIBATTITO VIOLENTO Non sfugge
all'attenzione dei vescovi il dibattito,
«spesso violento ed astioso», che
contrappone chi è favorevole e chi è
contrario. Contrapposizioni tra
schieramenti politici e tra gli stessi
governi nazionali, che hanno
riflesso nei singoli cittadini, compresi
i credenti, tra i quali si riscontrano
posizioni e sensibilità molto
differenti e distanti tra loro. Ne
sono prova i dibattiti televisivi
e, soprattutto, «i rozzi e volgari
attacchi personali sui social media
per chi osa prendere pubblica
posizione su un versante o sull'altro».
PARROCCHIE MOBILITATE I vescovi
continuano ad appoggiare le diverse
iniziative di accoglienza che sono
state poste in essere in questi
anni, anche nelle diocesi e nelle
parrocchie e, soprattutto, vedono
«un positivo approccio al problema
nella pratica dei corridoi
umanitari, che regolano il flusso in
origine e assicurano condizioni
di dignitosa integrazione per le
persone».
Contestualmente i vescovi richiamano
alla riflessione di tutti sardi,
il costante magistero di Papa
Francesco: «Accogliere l'altro», scrive
il Papa, «richiede un impegno
concreto, una catena di aiuti e di
benevolenza, un'attenzione vigilante
e comprensiva, la gestione
responsabile di nuove situazioni
complesse che, a volte, si aggiungono
ad altri e numerosi problemi già
esistenti».
Francesco - ricorda la
Conferenza dei vescovi sardi -
conosce le legittime paure fondate su
dubbi pienamente comprensibili da un
punto di vista umano, ma sostiene
che i timori «non devono
condizionare le nostre scelte, compromettere
il rispetto e la generosità né
alimentare l'odio e il rifiuto».
DIGNITÀ E INTEGRAZIONE L'accoglienza
ha due facce. Chi offre il suo
aiuto, governi compresi, «cerchi
sempre di garantire concretamente
dignità e reale integrazione alle
persone che vengono accolte», chi
viene accolto si impegni a
«conoscere, riconoscere e rispettare le
leggi, la cultura e le tradizioni
dei Paesi».
La
Nuova
Pigliaru:
"Ho preso la tessera del PD. Il PD ritrovi il suo ruolo:
basta
liti, serve dialogo"
di Umberto Aime
CAGLIARI
Il segreto è riuscito a custodirlo
per tre mesi abbondanti, anche se
l'indiscrezione era circolata subito
dopo le elezioni del 4 marzo,
finite malissimo per il
centrosinistra. Il governatore Francesco
Pigliaru s'è iscritto al Partito
democratico. La tessera è la numero
20012018B00000141, sezione di
riferimento la «Berlinguer»,
Cagliari.
Presidente, è accaduto prima o dopo
la batosta?«Qualche
giorno dopo».Perché l'ha tenuto
nascosto?«Nessun segreto. È stata una
scelta personale».Dunque, più
dettata dal cuore che dalla mente?«È
stata dettata dalla mia valutazione,
a caldo, della difficile
situazione vissuta oggi dalla
politica italiana. Lo dico subito, però:
è una decisione che non cambierà in
alcun modo il mio rapporto e la
mia lealtà verso gli altri partiti
della maggioranza che sostiene la
giunta regionale».
Allora il suo è stato un atto di
fede.«Ho sempre
votato Pd e dal Pd ho ricevuto la
proposta di candidarmi per le
elezioni regionali del 2014. Poi non
mi sono iscritto nei momenti
migliori, nonostante gli inviti a
farlo sia a livello locale che
nazionale».
L'ha fatto invece nel momento
peggiore, perché?«Per il
semplice motivo che quando si è in
difficoltà, e il centrosinistra è
in grande difficoltà in Europa, in
Italia, in Sardegna, ognuno deve
fare la sua parte in modo ancora più
diretto».
Perché il centrosinistra
è stato travolto nei seggi?«Il
centrosinistra è in difficoltà
dovunque, così come il centrodestra
moderato. Spesso anche in
situazioni nelle quali ha governato
bene. Per esempio, il governo
Gentiloni ha avuto un buon livello
di apprezzamento, così come,
ovviamente, la presidenza Obama. Ma
poi hanno vinto Salvini, Trump, la
sciagurata idea della Brexit».
Essere in compagnia, è
consolatorio?«Tanti anni di crisi
economica profonda, insieme a una
globalizzazione che ha fatto
scomparire molti posti di lavoro, e a una
tecnologia che distrugge lavori
vecchi per crearne nuovi: sono queste
le condizioni perfette, come ha
detto qualcuno, per generare
un'insicurezza diffusa cui
evidentemente non abbiamo saputo dare
risposte adeguate, nonostante i
molti tentativi fatti».La stagione di
Matteo Renzi è finita?«Renzi ha
fatto molte cose buone, riforme di cui
l'Italia aveva un enorme bisogno e
che però si pagano sul piano della
popolarità. Poi come succede a
chiunque sia impegnato in attività di
governo, me compreso, ha fatto degli
errori».
Quali? «Quando nel
passato ci sono stati cambiamenti
epocali come la rivoluzione
industriale, la politica ha
inventato interventi altrettanto epocali
per cercare di diffondere i benefici
del cambiamento. L'istruzione
obbligatoria, per esempio, o la
nascita del welfare. Di fronte alle
trasformazioni epocali che viviamo
oggi servono quindi interventi di
quella grandezza. Sono questi gli
unici capaci di includere e
tranquillizzare chi si sente
minacciato, interventi che finora non
abbiamo fatto in tempo a costruire».
È innegabile: hanno stravinto i
partiti antisistema, Cinque stelle e
Lega. Non crede che il Pd abbia
favorito quei due trionfi?«Le
divisioni del centrosinistra e la
sensazione, corretta, che le nostre
discussioni interne poco avessero
a che fare con i bisogni della
gente, hanno sicuramente favorito il
voto verso altre forze politiche. Ma
credo che abbia molto pesato
anche il carico negativo attribuito
a chi ha avuto l'onere di
governare durante la peggiore crisi
economica dal secondo
dopoguerra».
Poi i vincitori hanno firmato un
contratto. Innaturale o
no che sia, durerà?«Mettere insieme
flat tax e un ampio "reddito di
cittadinanza" è un'operazione
enormemente rischiosa, come ha mostrato
Cottarelli dati alla mano. E con la
flat tax le disuguaglianze
aumenteranno, tradendo le
aspettative di chi ha votato sperando in una
maggiore equità. Tagliare le
pensioni d'oro è doveroso per uno Stato
equo, far rientrare attraverso la
flat tax molto più di quanto si ceda
con i tagli è un'ipocrisia. Ciò
detto, vedremo quello che saranno in
grado di fare».
Ora il Pd deve scalare una
montagna?«Oggi siamo
obbligati a capire come possiamo
recuperare il dialogo con chi ha
perso fiducia nella nostra azione
politica e di governo, compresa
naturalmente l'azione della Giunta
di cui sono il principale
responsabile».Invece fino a poche
settimane, almeno in Sardegna, i
democratici hanno continuato ad
avvitarsi nelle faide.«È inutile
contrapporsi ancora tra noi sulla
base di antiche e sempre meno
accettabili divisioni, basate più
sulla gestione del potere che sul
confronto di idee e proposte».
Le solite liti, o reciproci fallacci
di
frustrazione?«Parlarsi addosso,
contarsi continuamente per capire chi
comanda, farlo senza mai trovare lo
spazio per parlare di problemi
reali, delle persone e delle
soluzioni che abbiamo in mente, significa
isolarsi, diventare incomprensibili
e irrilevanti, condannarsi alla
perdita di consenso».
Tre correnti, in Sardegna, con quale
si
schiererà? «A me mai è interessato e
non interessa far parte di
correnti, né mi sono iscritto per
occuparmi di poltrone mie o altrui.
Oggi per me l'urgenza non è
dividersi sul "chi", ma cercare di unirsi
sul "cosa". E che può
nascere solo se ci sarà il tempo per una
riflessione non frettolosa e
realmente collettiva».
È sicuro che il
centrosinistra non sia rimasto un
pachiderma anche dopo la
legnata?«Serve una scossa. Oggi
dobbiamo riprendere a discutere molto
e a impegnarci tanto fra la gente su
come possiamo contrastare il
crescente consenso raccolto da
altri. Sono quei partiti che propongono
di difendere i più deboli con
avventurose chiusure e protezionismi,
con soluzioni demagogiche,
irrealizzabili. Lo ripeto: gli annunciati
enormi sconti fiscali aumenteranno
disuguaglianze già
insostenibili».
Però il centrosinistra vive da
troppo tempo una forte
crisi d'identità. «Appunto ed è per
questo che oggi m'interessa capire
se invece siamo ancora convinti
delle scelte a favore di una società
aperta alle idee, all'innovazione
tecnologica, alla competizione
basata su reali pari opportunità,
tutte cose essenziali per creare
sviluppo e lavoro».
Ipotizza una sorta di seduta
psicanalitica
collettiva?«No, però mi chiedo
soprattutto se siamo o no in grado di
arricchire la scelta di cui ho parlato
prima, con progetti credibili,
dovranno essere più efficaci di
quelli messi in campo finora, per
combattere le crescenti
disuguaglianze».
Di cui soprattutto il Pd
nazionale s'è dimenticato quando era
al governo.«Di sicuro, e per
questo oggi dobbiamo ritornare a
difendere i moltissimi che si sentono
deboli e in pericolo. Dobbiamo
essere di nuovo noi a proporre le
soluzioni, il più possibile
equilibrate, di fronte a uno sviluppo
tecnologico che ha messo in crisi
soprattutto il
Mezzogiorno».
Presidente, non rischia di essere
fin troppo
ottimista?«Non credo. Invece spero
che il Pd ritorni a essere il luogo
in cui è possibile elaborare una
proposta capace di coniugare, molto
meglio del passato, la flessibilità
che serve alle imprese con il
sostegno attivo alle persone più
deboli e insicure, al loro reddito,
alla loro ricerca di nuovo lavoro,
in qualunque territorio vivano,
qualunque sia la condizione di
svantaggio nella quale si trovano
oggi».
Ma oggi il Pd è schiacciato se non
impopolare.«Lo ripeto. Il
partito deve ritornare a essere quel
luogo in cui, noi progressisti,
dobbiamo contribuire a mettere
ordine nella nostra casa comune,
l'Italia. A cominciare dalle confuse
relazioni tra Stato e Regione che
oggi limitano seriamente l'esercizio
pieno e lo sviluppo della nostra
autonomia, come dimostra, tra i
molti esempi possibili, la vicenda di
accantonamenti imposti
unilateralmente con regole opache».
Sa però che,
in Sardegna, è forte la spinta
indipendentista. Spaccherà in due il
centrosinistra?«In una Sardegna che
vogliamo sempre più capace di
autogoverno virtuoso, dobbiamo
occuparci molto d'Italia e di quale
forma di stato scegliere.
Soprattutto, dobbiamo contribuire a
sconfiggere definitivamente, anche
dentro il Pd, quanti pensano che
invece di perfezionare il
federalismo imperfetto e frettoloso del
2001, lo si debba abbandonare a
favore di un inefficace, imperfetto,
illusorio centralismo statale».
È un iscritto: voterà per l'elezione
immediata del segretario regionale,
o invece sta con chi pretende il
congresso straordinario? «Come ho
detto, l'unica cosa che auspico è un
dibattito sulle ragioni di una
sconfitta e su come ripartire per
riconquistare la fiducia del nostro
elettorato. Un dibattito serio,
ampio, diffuso nei territori, nelle
sedi del Pd e dei circoli che
hanno a cuore le sorti del
centrosinistra. Lontano invece, in questa
fase, che può e deve essere rapida,
dai luoghi in cui i dibattiti si
trasformano inevitabilmente in
scontri non fra idee ma fra
schieramenti precostituiti e
inossidabili. Prima di un eventuale
congresso mi piacerebbe vedere una
discussione libera e partecipata,
senza l'ossessione dell'appartenenza
a questa o quella componente».
Sì o no a un Pd completamente o
molto più autonomo da Roma?«È esattamente
questa una di quelle scelte che
dovrebbero semmai seguire e non
anticipare un'analisi attenta delle
nostre attuali difficoltà».
La conclusione di un neo iscritto al
Pd è?«Che c'è ancora molto da
lavorare dentro il partito. In
Sardegna servono forse meno riunioni di
Direzione e molti più incontri
territoriali per condividere, con la
nostra base, problemi, idee,
soluzioni. Se si vorrà prendere questa
strada, io ci sarò».
Ultime tre domande. Per il
centrosinistra le
elezioni regionali del 2019 sono
compromesse?«Non credo proprio. Il
voto è molto mobile di questi tempi.
Se avrà una voce forte, chiara,
credibile, può ancora candidarsi a
un ruolo importante».In coalizione
con chi?«Le coalizioni si
costruiscono sui contenuti, e di contenuti è
urgente parlare ora».L'ultimissima.
Presidente, si ricandiderà?«Per me
questo è l'ultimo dei problemi.
M'interessa la vittoria della mia
parte politica, non quello che andrò
a fare da marzo 2019 in poi».
Unione
Sarda
Il
segretario dimissionario Cucca sui mali del partito: troppi pensano ai posti
«Nel Pd
si avvelenano i pozzi Impossibile garantire l'unità»
Una settimana per metabolizzare
l'addio alla segreteria del Pd, dopo
quasi un anno e mezzo. Giuseppe
Luigi Cucca ha lasciato dopo 407
giorni, vissuti tra le difficoltà,
«in un clima difficile e di
contrasto nei miei confronti». Dalla
debacle alle elezioni sono
passati tre mesi, vissuti sperando
di «vedere un atteggiamento più
collaborativo piuttosto che un
costante pregiudizio sulla mia
persona».
Come si sta da ex segretario?
«Ho la coscienza a posto. So di aver
fatto quello che era giusto fare».
Però ha aspettato tre mesi prima di
dimettersi.
«Sono sempre stato contrario al
motto togliti tu che mi ci metto io».
Cosa ha cercato di fare in questo
tempo?
«Mantenere il partito unito,
aspettando che le persone che predicavano
unità facessero seguire alle parole
i fatti».
Invece cosa è successo?
«È stata una corsa per occupare un
posto. Così il partito non va avanti».
Si sente il capro espiatorio del
crollo verticale del Pd?
«No, anche se qualcuno ha voluto far
passare questo messaggio».
Ha l'occasione di fare nomi e
cognomi. Ne approfitta?
«In questo momento non ha senso.
Servirebbe solo ad acuire tensioni,
mentre noi le vogliamo superare. Chi
è stato se ne assumerà le proprie
responsabilità».
Il segretario è un po' come
l'allenatore: se non va bene la squadra, si cambia.
«Sì, ma cercando di cambiare in
meglio. In questo caso si è trattato
di posizioni strumentali, giusto per
liberare un posto».
Dietro la richiesta di rinnovamento
pensa ci sia la volontà di
qualcuno di riposizionarsi?
«È evidente ma anche umanamente
comprensibile. Quello che non va bene
è che per individuare la nuova guida
serve coesione e non
personalismi».
Ha cercato di far passare questo
concetto in questo periodo?
«Ho forzato la mano ma non mi hanno
consentito di fare nulla. Il
partito era ingessato e lo è ancora.
Ho convocato una segreteria alla
quale non si è presentato nessuno».
Dall'inizio ci sono stati problemi?
«Ho iniziato in un clima difficile.
Qualcuno ha lavorato per
avvelenare i pozzi o mettere polvere
negli ingranaggi».
Inutile chiederle i nomi?
«Le risponderei come prima».
Si parla sempre di unità e coesione.
Sono sentimenti diffusi?
«In segreteria ci sono stati
svariati tentativi ma c'era sempre
qualche ostacolo alla gestione
collettiva e condivisa».
Qual è stato il momento più
difficile?
«Ce ne sono stati tanti. Sicuramente
quello della scelta delle
candidature per le politiche, visto
i malumori che ha scatenato».
Come quelli per la candidatura del
segretario in posizione blindata.
«Qualcuno non ha voluto accettare
questa cosa. È sempre accaduto così,
19 segretari su 20 sono stati
candidati capolista».
Che rapporto ha avuto con il
presidente Pigliaru e la Giunta?
«Ottimo. Abbiamo lavorato in silenzio
senza grossi proclami».
Stessa cosa per il gruppo del
Consiglio regionale?
«Forse no. Speravo ci fosse una
migliore gestione. Il capogruppo non
ha mai partecipato a una riunione di
segreteria, pur avendone diritto.
Non posso, però, rimproverarglielo
perché comprendo che ci sono tanti
impegni e il tempo libero è davvero
ridotto».
Le mancherà fare il segretario?
«No».
Tornando indietro, lo rifarebbe?
«Chi mi ha scelto sa quanta
riluttanza avevo. Alla fine l'ho fatto
perché è necessario mettersi a
disposizione del partito».
Come vede il futuro del Pd?
«Ce lo costruiamo noi, con le nostre
scelte. Come quella positiva
fatta per il candidato sindaco di
Iglesias, un giovane e capace».
Si è sorpreso per l'autocandidatura
di Dolores Lai alla segreteria?
«Sono scelte personali e delicatezze
che ognuno valuta. Non siamo
tutti uguali. Se qualcuno pensa di
avere le carte in regola per
guidare il partito e vincere fa bene
a proporsi».
Cucca lascia la ribalta?
«Nessuno mi sta mettendo né in
cassaforte e neppure in un cassonetto
della spazzatura. Con buona pace di
tutti continuerò a fare attività
politica».
Una dichiarazione d'amore per il Pd.
«Sì. Un partito che mi ha regalato
molte soddisfazioni, ma anche molti dolori».
Matteo Sau
La
Nuova
I sindaci
indipendentisti: uniamoci
Del
gruppo fanno parte amministratori locali di tutta la Sardegna
ORISTANO
Gli amministratori locali
indipendentisti decidono di costituire un
gruppo comune. Una trentina tra
sindaci, assessori e consiglieri si è
riunita a Oristano. I promotori
dell'iniziativa sono Davide Corriga,
sindaco di Bauladu, Maura Cossu,
vicesindaca di Bosa, Maurizio Onnis,
primo cittadino di Villanovaforru,
Marco Sideri, sindaco di
Ussaramanna, Angela Simula,
consigliera di Olmedo. Sono arrivati anche
da Cagliari, Mogoro, Santa Teresa,
Tertenia Aglientu, Gairo, Serrenti.
«È opportuno, è utile, è maturato il
tempo di creare una rete tra
amministratori locali
indipendentisti - dicono i promotori -. Una rete
in cui ciascun amministratore, al di
là dell'appartenenza partitica,
porti le proprie esperienze di
consigliere, assessore, sindaco, la sua
visione della Sardegna, le sue idee
sul cammino da intraprendere per
condurre la nostra politica e le
nostre istituzioni a svincolarsi dal
controllo romano.
Scambio di esperienze, formazione
interna,
elaborazione di posizioni comuni sui
problemi del territorio, capacità
di pesare sulla politica sarda:
questi saranno i compiti principali
della rete». L'incontro si è
concluso con la nomina di un gruppo di
lavoro di otto amministratori, che
presto proporrà una bozza di
documento organizzativo, utile a
dare l'impianto su cui la rete sarà
chiamata a lavorare.
Unione
Sarda
COMUNE.
Quartu -
Torru: «Forza Italia qui è finita Ora cerchiamo altri orizzonti»
Con la
mossa dell'ex azzurro si allarga l'area sardista in Consiglio
Cresce la famiglia sardista in
Comune e nasce il più grande gruppo
della maggioranza. Lucio Torru
torna, lascia l'opposizione e si
riunisce con Tonino Lobina, ma la
squadra è cambiata e i due azzurri
ora vestono la casacca dei Quattro
mori. A loro si dovrebbe unire
Marco Ghiani, entrato in Consiglio
col Centro democratico che poi lo
ha cacciato.
Poco più di un anno fa non c'era
traccia del Psd'Az in
Consiglio comunale, poi il capogruppo
di Forza Italia Tonino Lobina
era passato ai sardisti,
conquistando un posto nel Consiglio
metropolitano e ricevendo dal
sindaco Massimo Zedda la delega alle
Politiche sociali. La gestione del
segretario nazionale Christian
Solinas era andata contro la sezione
locale del Psd'Az dando inizio al
nuovo corso che ha portato, ad
aprile 2017, l'ex Forza Italia di
Monserrato Tiziana Terrana a trovar
spazio nella Giunta Delunas con la
delega all'Ambiente.
«A Quartu Forza Italia non esiste
più: Cappellacci ha chiuso l'ufficio
di via Dante subito dopo le elezioni
- denuncia Torru - ora cerchiamo
nuovi orizzonti, voglio avere una
casa e un partito alle spalle che
non si veda solo a ridosso delle
elezioni».
L'ormai ex azzurro non ha
ancora formalizzato il suo passaggio
ma dopo le consultazioni col
sindaco aveva detto di non gradire
la prospettiva di un anno con la
città in mano a un commissario. «Ci
sono tante cose da fare e anche
impegni come le Regionali», ammette
Torru senza confermare una sua
eventuale candidatura col Psd'Az, un
posto ambito da molti che con la
Lega al Governo confidano in un
grande risultato dei sardisti
nell'Isola.
«Ho una sorta di preaccordo con
Tonino Lobina e c'è la trattativa con
Marco Ghiani per dare vita a un
gruppo consiliare a tre, il più
numeroso della maggioranza», spiega
Torru che fino a poche settimane
fa si autoproclamava capogruppo di
Forza Italia, contendendo la fascia
da capitano a Martino Sarritzu, «il
sindaco ha chiesto aiuto e noi lo
abbiamo dato. Io assessore? Non ne
abbiamo discusso».
A Stefano Delunas questa non sembra
la soluzione ideale: «Non credo
che vorrà dimettersi da consigliere
anche perché ha dimostrato di
essere un bravo consigliere -
commenta il sindaco - che, pur con i
suoi metodi, ha sollevato problemi
in Aula tesi alla trasparenza degli
atti e delle delibere».
Il primo cittadino ha intenzione di
mettere
mano alla sua squadra, manca ancora
un'assessora, e non è escluso uno
scambio di deleghe tra gli attuali componenti.
«Gli assessori li
sceglie il sindaco- conclude Delunas
- perché sono suoi diretti
collaboratori di estrema fiducia».
Marcello Zasso
Rom,
linea dura di Salvini: «Censimento». Poi smentisce
Il Pd:
così evoca la pulizia etnica. Cabras (Cinquestelle): parole inaccettabili
ROMA Un'anagrafe, «una ricognizione
sui rom in Italia per vedere chi,
come, quanti sono». È quanto ha
detto ieri, durante un'intervista a
TeleLombardia, il ministro
dell'Interno Matteo Salvini. «Mi sto
facendo preparare un dossier, perché
dopo Maroni non si è fatto più
nulla, ed è il caos». Gli stranieri
irregolari andranno «espulsi» con
accordi fra Stati, ma «i rom
italiani purtroppo te li devi tenere a casa».
LA POLEMICA Parole che hanno dato
fuoco alla polemica politica con la
presa di posizione del Pd che,
tramite il senatore Franco Mirabelli,
ha parlato di «richiamo alla pulizia
etnica». Con Salvini, ha scritto
Laura Boldrini di LeU, «disumanità
al potere». E l'ex premier Paolo
Gentiloni: «Oggi i rom, domani le
pistole per tutti». Il deputato
sardo dei 5 Stelle Pino Cabras ha
parlato di «parole inaccettabili e
da condannare senza mezzi termini».
E a Salvini ricorda: «Hai giurato
sulla Costituzione e ad essa ti devi
sempre attenere, evitando
posizioni che hanno il sapore di una
discriminazione etnica e
razziale».
«SOLO UNA RICOGNIZIONE» Nel
pomeriggio la replica del ministro
dell'Interno che ha voluto precisare
il suo pensiero: «Non è nostra
intenzione schedare o prendere le
impronte digitali a nessuno, nostro
obiettivo è una ricognizione della
situazione dei campi rom.
Intendiamo tutelare prima di tutto
migliaia di bambini ai quali non è
permesso frequentare la scuola
regolarmente perché si preferisce
introdurli alla delinquenza.
Vogliamo anche controllare come vengono
spesi i milioni di euro che arrivano
dai fondi europei».
«BENE SMENTITA» Sul tema è
intervenuto anche il ministro dello
Sviluppo Luigi Di Maio: «Mi fa
piacere che Salvini abbia smentito
qualsiasi ipotesi di censimento,
registrazione o schedatura degli
immigrati perché se una cosa non è
costituzionale non si può fare».
Il ministro dell'Interno Salvini ha
parlato anche di altre espulsioni.
«Stiamo lavorando pure sulla
espulsione dei detenuti stranieri che
sono in Italia, ma serve l'accordo
con il Paese che se li deve
riprendere. Bisogna lavorare con
Romania, Albania e Tunisia, che sono
ahimè tra i principali Paesi per
presenze in galera».
I DIRITTI Il presidente
dell'Associazione 21 luglio, Carlo Stasolla,
che si occupa di diritti umani e
discriminazione contro le comunità
rom, sinti e caminanti ha scritto su
Facebook: «Dopo i migranti ecco
la volta dei rom. C'era da
aspettarselo. Salvini - ha scritto Stasolla
- sembra non sapere che in Italia un
censimento su base etnica non è
consentito dalla legge, che esistono
già dati e numeri sulle persone
presenti negli insediamenti formali
e informali; che i pochi rom
irregolari sono apolidi di fatto,
quindi inespellibili; che i rom
italiani sono presenti nel nostro
Paese da almeno mezzo secolo e sono
per certi versi “più italiani” di
tanti nostri concittadini».
Federico
Marini
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