La Presentazione di “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” è
avvenuta il 5 ottobre scorso a Thiesi nella “Sala Aligi Sassu”. E non a caso.
In essa vi è l’opera del grande pittore sardo che rappresenta un episodio della
rivolta antifeudale accaduto a Thiesi nel 1799: al centro della composizione si
trova il pastore che, ribellatosi alla prepotenza del duca dell'Asinara, diede
inizio a una serie di eventi che portarono all'arresto e all'impiccagione di
diverse persone.
Il duca dell’Asinara, Don Antonio Manca, personaggio infame,
prepotente e stravagante, aveva addirittura imposto una tassa sui topi con “Sos
uppeddos de sos sorighes”. E pretendeva l’incensata quando entrava in chiesa o
che i vasalli gli facessero da sgabello con la schiena quando doveva montare a
cavallo o semplicemente riposarsi.. Si racconta che una volta il Duca, comandò
al vassallo Sebastiano Dore di chinarsi a terra per fargli da sgabello.
L’ordine toccò l’animo del fiero villico che non potendo
soffrire l’oltraggio, estratto un pugnale esclamò: “sedete qua sopra”. (vedi
figura). Tutto intorno a lui, sulla sinistra, si affollano i soggetti isolani:
i pastori con il loro mantelli e le donne in abito tradizionale. Sulla destra,
lo spazio è dominato da un'unica figura che imprime dinamismo ed energia
all'intera composizione: si tratta di Giovanni Maria Angioj a cavallo, con il
vessillo dei quattro mori sulle spalle.
Ad indicargli la strada, nella parte inferiore del dipinto,
è rappresentato un pastore. In basso a sinistra un gruppo di donne in nero, la
scultura della Madre mediterranea rinvenuta in una tomba nuragica nei pressi di
Thiesi ed il simbolo taurino. Ai piedi del dipinto un rilievo in pietra
raffigura una possente figura femminile, appoggiata su un braccio e nell'atto
di alzarsi: il simbolo della Sardegna, scossa dagli avvenimenti ma nell'atto di
avviarsi a nuova vita.
Francesco
Casula
Francesco Casula.
Autore del
libro "Carlo Felice ed i Tiranni Sabaudi"
Il libro di
Casula risponde a una domanda semplice: dopo che i
Savoia ricevettero, controvoglia, la Sardegna nel 1720, e divennero
re, come si comportarono verso quella importante parte del loro
regno? La risposta al quesito è semplice, lineare, durissima: la Sardegna venne
trattata come un territorio altro rispetto al Piemonte, abitato da uomini
che avevano meno diritti rispetto agli altri, culturalmente
e socialmente inferiori, i quali dovevano essere trattati in modo tale
da mantenere questa inferiorità. Questo pensavano i tiranni sabaudi, e le
loro modalità di governo, o meglio di spoliazione, sono la diretta
conseguenza della visione ideologica appena tratteggiata.
Girolamo
Sotgiu, probabilmente il più grande storico del periodo sabaudo in Sardegna,
pur essendo un oppositore della “diversità” dei sardi rispetto agli
italiani, non poté non constatare il carattere coloniale dei rapporti
tra Piemonte e Sardegna. Di quei rapporti non sono colpevoli coloro
che allora abitavano il Piemonte (per carità) bensì i governanti,
cioè i Savoia e, successivamente, gran parte della classe
dirigente post-1861.
Nel 2011,
durante le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, si è
persa l’occasione di riflettere criticamente sul Paese e sul processo
di “unificazione”. Però si può sempre (ri)cominciare, anche in assenza di
una ricorrenza. Se un turista, un italiano o uno straniero, viene in
Sardegna, scoprirà che la strada più importante, la SS131, è
la “Carlo Felice”. Carlo Felice, detto anche “Carlo feroce” è
stato uno dei peggiori, più sanguinari e pigri vice-re di Sardegna.
Un amico
studioso ama ripetere che è come se gli israeliani, nel 2200 dedicassero la
loro strada più importante a un nazista, magari a Hitler in persona.
Certo, questo sarebbe potuto succedere se i nazisti avessero vinto. Dato però
che non è giusto che la storia la facciano i vincitori, le persone dotate di
senno o almeno di amor proprio che abitano in Sardegna, perché non mettono mai
in discussione la memoria che si reifica nei nomi delle strade e
delle vie di Sardegna?
A Cagliari,
nella piazza più frequentata, svetta la statua di Carlo Felice. Più di sei
anni fa proposi, per molti provocatoriamente,
di sostituirlo con Giovanni Maria Angioy, il quale “fu il capo
[…] del movimento anti-feudale sardo. Angioy fece proprie le rivendicazioni
delle popolazioni della campagna vessate dai feudatari, e propugnò
l’eliminazione delle arcaiche strutture di potere”. Da tempo, un movimento di
opinione, che ha presentato anche una petizione, chiede che la statua
venga spostata.
In questa
fase storica, di disfacimento di un progetto politico (l’Italia), ragionare
sulla sua storia secolare e i suoi governanti, ragionare sul suo carattere
plurinazionale (l’Italia è insieme alla Francia uno dei paesi europei a
non aver ratificato la Carta Europea delle Lingua Minoritarie), fa sicuramente
bene ai popoli in cerca di una libertà che Roma non ha fornito, ma anche a
Roma stessa.
Il libro di
Francesco Casula, che rifiuta ogni razzismo anti-italiano, è un valido
contributo per riscrivere veramente la storia, andando contro i tanti
tradimenti dei presunti chierici.
Autore
dell’articolo Enrico Lobina, da “Il fatto quotidiano”
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