martedì 18 dicembre 2018

“Non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta.” (J. Stalin)




(18 dicembre 1878) Nasceva a Gori (Georgia) Iosif Vissarionovič Stalin, pseudonimo del rivoluzionario I. V. Džugašvili, detto, appunto, Stalin. Il soprannome gli era stato affibbiato durante la clandestinità che risaliva al periodo zarista, e derivava dal termine ‘stahl’, la cui traduzione significa acciaio, in ragione della sua fibra e della tenacia del suo carattere.

Ben presto il futuro dittatore mostrò i tratti della sua indole, tanto che nel 1902 è deportato in Siberia per causa dei disordini scoppiati a Batum, la città sul Mar Nero dove si era trasferito. Un anno dopo Stalin è al fianco dei comunisti di Lenin, diventando un rivoluzionario di professione, sempre ricercato dall’apparato zarista. Ed è così che comincia, gradino dopo gradino, a salire la scala gerarchica del movimento bolscevico. Nonostante tre periodi di deportazione in Siberia, di cui l'ultimo durato dal 1913 al 1917 e trascorso a Kurejka sul basso Ienissei) emerse sempre più dall'attività provinciale di partito nel Caucaso, per imporsi sul piano nazionale.

Nel 1922 assunse la carica di segretario generale del comitato centrale, posizione di carattere più organizzativo che politico, che gli permise tuttavia di esercitare un crescente controllo sull'apparato del partito stesso e dello stato. Per molti questa doveva essere una carica di secondo piano, ma Stalin riuscì ad utilizzarla per imporre il suo volere nella terra dei Soviet.

Dopo la morte di Lenin e consolidata la propria posizione personale nel partito dopo l'espulsione di Trozckij (1927), Stalin annientò ogni forma di opposizione interna provocando l'allontanamento dalle cariche direttive dei principali protagonisti dell'epoca rivoluzionaria, sottoposti nella seconda metà degli anni Trenta ai grandi processi politici.

A partire dal 1928, l'azione repressiva colpì anche numerosi settori del mondo produttivo, militare, intellettuale, ecc. Al tempo stesso Stalin promosse la radicale trasformazione della struttura economica russa, attraverso la collettivizzazione dell'agricoltura e l'avvio a tappe forzate del processo di industrializzazione del paese.

La guerra contro la Germania di Hitler, nel corso della quale Stalin fece leva sui valori tradizionali della Russia per compattare il popolo, ne mise alla prova le doti come capo politico-militare. Discussa ed incerta è la parte che realmente Stalin, capo del governo e comandante delle forze armate dal 1941, ebbe nella formulazione strategica della guerra. Di certo, straordinarie si dimostrarono le sue doti di trascinatore, e comunque furono di buon livello gli alti ufficiali di cui si circondò, nonostante avesse precedentemente “purgato” le alte sfere dell’Armata Rossa, che a suo parere erano ancora permeate dal trozchismo.

Grazie alla vittoria sulle forze nazi-fasciste Stalin raggiunse una posizione di grande prestigio internazionale, sancita dalla partecipazione alle conferenze di Teheran, Jalta e Potsdam. In seguito all'instaurazione nei paesi dell'Europa orientale di regimi comunisti, alla formula ideologica del socialismo in un solo paese, Stalin sostituì quella di un "campo socialista" minacciato dalle forze dell'imperialismo: le condizioni create dalla guerra fredda servirono da giustificazione al rigido accentramento imposto ai partiti comunisti al potere (creazione del Cominform, rottura con Tito, epurazione in seno ai partiti comunisti polacco, cecoslovacco, ungherese).

La morte colse Stalin mentre il problema dei rapporti con l'Occidente e col nuovo mondo comunista (Cina, Iugoslavia, ecc.) era giunto a un punto morto e nella stessa Unione Sovietica tornavano a farsi sentire fortemente motivi di crisi economica e sociale, conseguenti alla ferrea politica staliniana di predominio assoluto nell'industria e del mondo operaio sull'agricoltura e sul mondo contadino.

Vincenzo Maria D’Ascanio






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