"Le dirò quanto
basta perché lei possa ottenere alcuni risultati positivi, senza tuttavia che
io debba subire un processo inutile. Ho fiducia in lei giudice Falcone, come ho
fiducia nel vicequestore Gianni De Gennaro. Ma non mi fido di nessun altro. Non
credo che lo Stato italiano abbia veramente l'intenzione di combattere la
mafia.“ (Tommaso Buscetta)
(02 Aprile 2000) Muore di cancro, all’età di 72 anni,
Tommaso Buscetta, il più importante pentito di Mafia, che grazie alle due
rivelazioni contribuì a delineare l'organigramma di "Cosa Nostra", le
sue aree, sopratutto i suoi contatti politici e finanziari. Nei primi anni
cinquanta fa il suo ingresso nel clan di Salvatore La Barbera. Negli anni
sessanta e settanta, è a capo dell’organizzazione mafiosa che, appoggiandosi
alla Mafia americana e alla malavita Corsa, gestisce il traffico di
stupefacenti tra il Sud America, l’Europa e gli Stati Uniti.
Alla fine degli anni Settanta la seconda guerra di mafia
contrappose il clan dei Corleonesi (capeggiato da Totò Riina e Bernardo
Provenzano) a quello che aveva governato Cosa Nostra fino a quel momento
(Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti, Salvatore Inzerillo e altri). La lotta
per il controllo della nuova fonte di ricchezza, la droga, provocò centinaia di
morti.
Lo schieramento vincente dei Corleonesi decise di eliminare
Buscetta perché strettamente legato a Bontate, Inzerillo e Badalamenti ma, a
causa dell'impossibilità di ucciderlo poiché si trovava in Brasile, attuarono
vendette trasversali contro i suoi parenti: tra il 1982 e il 1984 i due figli
di Buscetta scomparvero per non essere mai più ritrovati, inoltre, gli
ammazzarono un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Alla fine
della guerra i suoi parenti morti saranno circa 12.
Dopo gli omicidi dei suoi familiari, Buscetta era
intenzionato ad uccidere il suo capofamiglia Pippo Calò, il cassiere della
Mafia, che aveva fatto causa comune con i Corleonesi. Per questo avviò una
corrispondenza con il suo associato Gerlando Alberti: cercava appoggi per poter
tornare a Palermo; però Alberti fu ucciso in carcere e quindi il piano fallì.
L’arresto, avvenuto nel 1983, trova un Buscetta convinto a
collaborare con la giustizia. Le sue confessioni sono fondamentali per le
inchieste del giudice Giovanni Falcone. Nel 1984 lo stesso Buscetta fu
estradato negli Stati Uniti ricevendo dal governo una nuova identità, la
cittadinanza e la libertà vigilata in cambio di nuove rivelazioni contro la
Cosa Nostra americana, testimoniando nel 1986 al Maxiprocesso di Palermo (nato
dalle dichiarazioni rese a Falcone) e nel processo "Pizza
connection", che si svolse a New York e vide imputati Gaetano Badalamenti
e altri mafiosi siculo-americani accusati di traffico di stupefacenti.
Nel settembre 1992, in seguito agli attentati in cui
morirono Falcone e Borsellino, Buscetta iniziò a parlare con i magistrati dei
legami politici di Cosa Nostra, accusando gli onorevoli Salvo Lima (ucciso
qualche mese prima) e Andreotti di essere i principali referenti politici
dell'organizzazione. In particolare Buscetta riferì di aver conosciuto personalmente
Lima (capo della Democrazia Cristiana in Sicilia, primo referente di Giulio
Andreotti) fin dalla fine degli anni cinquanta e di averlo incontrato l'ultima
volta nel 1980 durante la sua latitanza.
Riferì inoltre di aver saputo che l'omicidio del giornalista
Mino Pecorelli (1979) sarebbe stato compiuto nell'interesse del sette volte
capo del Governo: per via di queste sue dichiarazioni, Buscetta fu uno dei
principali testimoni dei processi a carico di Andreotti per associazione
mafiosa e per l'omicidio Pecorelli. Andreotti verrà assolto dall'accusa di aver
commissionato l'assassinio di Pecorelli, mentre gli altri reati subiranno la
prescrizione: in poche parole, i procedimenti su Andreotti furono archiviati.
Dopo aver fatto parlare di sé per una crociera nel
Mediterraneo, Buscetta muore di cancro nel 2000 all'età di 72 anni, non prima
di aver manifestato, in un libro-intervista di Saverio Lodato (ed. Mondadori,
1999), il suo disappunto per la mancata distruzione di Cosa Nostra da parte dello
Stato italiano
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