Più che pensare ad usare la tecnica di diffusione delle idee
del meme per affermare una egemonia bisognerebbe rompere
l’incantesimo che fa sovrapporre formazione dell’opinione pubblica e sviluppo
dei movimenti sociali, opzioni distinte, che
hanno solo pochi punti in comune – la costruzione del consenso – ma che sono
antitetiche, perché l’opinione nega la dimensione della politica, prerogativa invece dei
movimenti sociali.
Il primo aspetto condanna la società a essere spettatore
passivo dell’operato del sovrano, riservandosi solo l’opzione di esprimere
apprezzamento o critica. Il secondo aspetto, invece, attiene al Politico, cioè
all’organizzazione delle forze, alla definizione del nemico e delle possibili
alleanze. Elementi sempre più cogenti nella Rete.
Il meme, i selfie, il
nichilismo evidenziano dunque le derive di un sociale dal quale è bandita la
possibilità dell’azione politica. E’ cioè il campo di azione dove la dimensione del potere e
dei rapporti sociali di produzione devono essere occultati in nome di un
riconoscimento del sé e delle propria, parziale e esiziale identità. Il
nichilismo digitale è dunque l’orizzonte di una politica identitaria del
riconoscimento che conferma sempre, indipendentemente dalla postura ribelle che
mette in scena, lo staus quo che ormai come una tela di ragno avvolge nel suo bozzolo la network
culture anche nella sua variante radicale.
Di
Luca Pusceddu
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