(11 luglio 1995) Nell’ambito delle indagini di
"Tangentopoli" la magistratura italiana emette un mandato di cattura
nei confronti dell'ex segretario del Partito Socialista Italiano, Bettino
Craxi. L'epicentro del potere socialista e craxiano era Milano, centro
nevralgico della finanza e degli affari, con il cui ambiente il PSI finì per
identificarsi.
Nel dicembre del 1986 si avvicenda alla guida del comune Paolo
Pillitteri, cognato di Craxi,
sostituendo Carlo Tognoli, con una giunta pentapartito. Lunedì 17 febbraio 1992
avviene un fatto clamoroso: poco dopo le 17.30, nel suo ufficio al Pio Albergo
Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato per concussione per una tangente da 14 milioni che gli era
stata consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva organizzato
l'operazione per 'incastrare' Chiesa con l'allora sostituto procuratore a
Milano, Antonio Di Pietro e
il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani.
Craxi al TG3 del 3 marzo, a un mese dalle elezioni
politiche, commenterà sostenendo che «una delle vittime di questa storia sono
proprio io... Mi trovo davanti a un mariuolo che getta un'ombra su tutta
l'immagine di un partito che a Milano, in 50 anni, non ha mai avuto un
amministratore condannato per reati gravi contro la pubblica amministrazione». Il
23 marzo Chiesa inizia a confessare svelando ai pubblici ministeri
dell'inchiesta Mani Pulite il complesso sistema di tangenti che coinvolgono i
dirigenti milanesi del PSI.
Craxi stesso ricevette
una ventina d'avvisi di garanzia e dopo aver accusato la Procura di Milano di muoversi
dietro "un preciso disegno politico", si presentò alla Camera e
tuonò: "Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico
di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in
senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di
dichiararlo spergiuro." Il giuramento, cui Craxi sfidò tutto il
Parlamento, non fu raccolto da nessuno, ma fu per anni sentito come un silenzio
ipocrita.
Secondo Gerardo D'Ambrosio il discorso craxiano fu «onesto»,
mentre il silenzio altrui era dovuto al fatto che «in quel periodo gli altri
partiti speravano di farla franca, anziché affrontare il problema lasciarono
Craxi solo» Per Giorgio Benvenuto il discorso fu "simile a quello di Aldo
Moro quando affermò con orgoglio che non accettava che la Democrazia Cristiana
fosse processata. Craxi distinse tra malaffare e finanziamento della politica, i in
tentativo disperato di salvare una qualsiasi parvenza di moralità. Ammise tuttavia le proprie responsabilità.
Insomma, egli si dichiarò colpevole, anche davanti ai
giudici, solo di finanziamento illecito al PSI, ma negò
sempre ogni accusa di corruzione per arricchimento personale. Il 29 aprile 1993, la Camera dei
deputati negò l'autorizzazione a procedere per quattro dei sei procedimenti
intentati nei suoi confronti – le uniche richieste che passeranno (per soli due
voti) furono quella di procedere per i fatti di corruzione accaduti a Roma e
quella per i fatti di illecito finanziamento del partito –, provocando l'ira
dell'opinione pubblica e facendo gridare allo scandalo numerosi quotidiani.
Nella stessa aula seguirono momenti di tensione, con i
deputati della Lega e dell'MSI che gridavano "ladri" ai colleghi che
avevano votato a favore di Craxi, secondo una tecnica di utilizzo politico
definita "la mossa del cavallo." Alcuni ministri del governo Ciampi
si dimisero in segno di protesta.
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