venerdì 19 luglio 2019

Ecco perché occorre far sloggiare dalle strade, le vie e le piazze sarde, tutti i tiranni sabaudi. Di Francesco Casula.




Le malefatte e le infamie di CarloFelice e dei tiranni sabaudi in Sardegna (1720-1946).

1. Si inizia con Vittorio Amedeo II re di Sardegna (1720-1730) che tese a svuotare ulteriormente il potere e il ruolo degli Stamenti, ovvero del Parlamento sardo che mai convocherà, e a limitare la stessa autonomia del viceré, rafforzando da una parte il centralismo, dall’altra la repressione e il controllo poliziesco, persino della corrispondenza.

2. Si prosegue con Carlo Emanuele III (1730-1773) che servendosi di un militare, il famigerato di un militare, il marchese di Rivarolo, terrorizzo l’intera Sardegna, con una brutale repressione, con il pretesto di combattere il banditismo.

3. Gli successe il figlio, Vittorio Amedeo III (1773-1796) facendo rimpiangere il padre, al cui confronto sarebbe stato un sovrano illuminato e riformista. Vittorio Amedeo III segna un regresso rispetto allo stesso padre: sarà infatti un fanatico assertore dell’assolutismo regio e ostile a ogni cambiamento e novità, permettendo ogni tipo di vessazione e violenza da parte dei suoi viceré e governatori. Quando le armate napoleoniche invadono la Sardegna, a difenderla non sarà l’esercito sabaudo ma i miliziani sardi. Ma quando i Sardi vincitori presentano “il conto”con le % domande, il re Vittorio Amedeo III, risponderà con sprezzo e tracotanza e alterigia: concedendo 24 doti di 60 scudi da distribuire ogni anno per sorteggio tra le zitelle povere e l’istituzione di 4 posti gratuiti nel Collegio dei nobili di Cagliari! Di qui la cacciata dei Piemontesi da Cagliari (28 aprile 1794) e altre città sarde.

4. Carlo Emanuele IV (1796-1802) succeduto nell’ottobre del 1796 al padre Vittorio Amedeo III, fu costretto ad abbandonare i suoi domini in terraferma e a rifugiarsi in Sardegna. In seguito all’occupazione del Piemonte da parte di Napoleone. Appena arrivato in Sardegna uno dei primi atti sarà quello di aumentare a dismisura le tasse (triplicando il donativo: così si chiamava allora il totale delle imposte “dovute” alla Corona) ed estromettendo tutti i Sardi dalle cariche (politiche, militari, burocratiche) importanti.

Giovanni Lavagna, (nobile algherese e filosabaudo) sull’aumento spropositato del Donativo scriverà che era illegittimo sia perché troppo gravoso in relazione alle disperate condizioni economiche del paese e troppo sproporzionato rispetto a simili «donativi» imposti nel passato, sia perché approvato in contrasto con le leggi fondamentali del Regno, cioè da una ristretta delegazione stamentaria e non dai tre Bracci appositamente convocati e investiti della pienezza dei loro poteri. Di contro “la venuta della famiglia reale fu una grandissima ventura per i baroni e i nobili sardi”, scriverà lo storico Pietro Martini.

5. Vittorio Emanuele I (1802-1821) che successe a Carlo Emanuele IV Fu un re di poca intelligenza, di nessuna cultura, di scarsa personalità, presuntuoso e guerrafondaio, lo definisce il Carta Raspi. Altri storici ricordano opportunamente la sua funesta politica tutta giocata sulla discriminazione dei sardi, il brutale fiscalismo, la repressione e le condanne a morte (da ricordare in modo particolare quella del sacerdote Francesco Sanna Cora e di Francesco Cilocco nel 1802 oltre quella dei martiri di Palabanda dopo il 1812 e in genere dei democratici e dei seguaci di Giovanni Maria Angioy).

6. Carlo Felice (1821-1831) fu il peggiore fra i sovrani sabaudi, da vicerè come da re fu crudele, feroce e sanguinario (in lingua sarda incainadu), famelico, gaudente e ottuso (in lingua sarda tostorrudu). E ancora: Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappoco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo Raimondo Carta Raspi. Mentre per un altro storico sardo contemporaneo, Aldo Accardo, – che si basa sulle valutazioni di Pietro Martini – è un pigro imbecille.

Scrive il Martini (peraltro storico filo monarchico e filo sabaudo): ”Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese, la reazione levò più che per lo innanzi la testa; cosicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”.

7. Carlo Alberto (1831-1849) Non destinato al trono, diventò re dello Stato sardo nel 1831 alla morte dello zio Carlo Felice che non aveva eredi. Carlo Alberto fu fermamente risoluto e deciso esclusivamente nella repressione violenta delle popolazioni sarde: in particolar modo dopo il 1832. A denunciare le repressioni è soprattutto Diego Asproni. Il 27 giugno 1850, nello stesso giorno, sempre alla Camera dei deputati esprime in modo netto i suoi giudizi sui tumulti e le rivolte contro la Legge delle Chiudende, con l’abbattimento delle chiusure, le devastazioni, gli incendi e persino i numerosi omicidi: ”I ricchi diedero mano – disse l'Asproni – ad usurpare i terreni comunali e della povera gente. I pastori erano naturalmente scontenti e la prepotenza colmò la misura e ingenerò il dissidio.”

A merito storico di Carlo Alberto alcuni storici gli attribuiscono due grandi scelte, l’abolizione del Feudalesimo e la Fusione perfetta. In realtà “l’abolizione del feudalesimo fu un colossale affare per gli ex feudatari” (Girolamo Sotgiu, il più grande studuioso sardo della Sardegna sabauda) e la “Fusione Perfetta”, un grande imbroglio, tanto che gli stessi sostenitori – come Giovanni Siotto Pintor scrisse:”Sbagliammo tutti” e “ci pentimmo amaramente”. E Giovanni Battista Tuveri sostenne che con la Fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza cuore e senza cervello”.

8. Vittorio Emanuele II di Savoia, è l’ultimo re di Sardegna (1849-1861) e primo re d’Italia (1861-1878). Nonostante gli smisurati elogi da parte di tutta la pubblicistica patriottarda, – fu soprannominato il re galantuomo – tesa ad esaltare le magnifiche sorti e progressive del Risorgimento italiano, la sua opera nei confronti della nostra Isola sia come ultimo re di Sardegna sia come primo re d’Italia, fu nefasta: in campo fiscale, culturale e linguistico. Con l’Unità non nacque un’Italia ma due: una, (il Sud e le Isole) ridotta a colonia. Scriverà Giuseppe Dessì in Paese d’ombre: “era stato soltanto ingrandito il regno del re sabaudo. La vera faccia dell’Italia non era quella che aveva sognato con tanti altri giovani, ma quella che sentiva urlare nella bettola – divisa come prima e più di prima, giacché l’unificazione non era stata altro che l’unificazione burocratica della cattiva burocrazia dei vari stati italiani. Questi sardi impoveriti e riottosi non avevano nulla a che fare con Firenze, Venezia, Milano, che considerava l’Isola una colonia d’oltremare, o una terra di confino”.

9. Umberto I di Savoia (1878-1900) re d’Italia dal 1878 al 1900 fu responsabile (o comunque corresponsabile in quanto capo dello stato) delle scelte più devastanti e perniciose, che furono prese dai Governi, che operarono durante il suo regno, nei confronti della Sardegna. In modo particolare nel campo economico e fiscale, nel campo ambientale (con la deforestazione selvaggia), nel campo delle libertà civili e della democrazia, con leggi liberticide e una repressione feroce.

Pensiamo a come fu repressa la sommossa di Sanluri (Su trumbullu de Seddori) scoppiata il 7 agosto 1881, contro il carovita e gli abusi fiscali e in cui ci furono 6 morti. L’8 novembre 1882 ebbe inizio il "Processo" giustamente chiamato della fame, perché venivano processati dei poveracci morti di fame: Tale processo per il numero degli imputati e per la sua durata, (terminò il 26 febbraio 1883) fu ritenuto uno dei più importanti dell’isola. La sentenza fu molto pesante, soprattutto verso alcuni imputati giovanissimi: Venne condannato a 10 anni di reclusione Franceschino Garau Manca, detto "Burrullu" di anni 16, mentre Giuseppe Sanna Murgano di anni 19 ed Antonio Marras Ledda di anni 18 furono condannati a 16 anni di Lavori Forzati.

10.Vittorio Emanuele III di Savoia (1900-1946) Durante il suo regno (1900-1946) Vittorio Emanuele III fu connivente e spesso attivo sostenitore di scelte sciagurate e funeste per l’intera Italia e per la Sardegna in particolare, per le conseguenze devastanti che quelle scelte comportarono. Per cui il giudizio della storia sulla sua figura è spietato e senza appello. Egli infatti è, in quanto re e dunque capo dello stato, responsabile o comunque corresponsabile della partecipazione dell’Italia alle due grandi guerre e del Fascismo. Con lui re in Sardegna continuò la repressione poliziesca inaugurata con Umberto I: pensiamo all’eccidio di Buggerru. Ricollegandosi al clima di repressione di fine secolo in Italia con la strage di Milano, nel romanzo Paese d’ombre Giuseppe Dessì, fotografa il clima politico culturale in modo fulminante con “Bava Beccaris era nell’aria e con esso il suo demente insegnamento”.

Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio Emanuele III fu l’aver favorito l’avvento e l’affermarsi del Fascismo. In seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l’esercito per combattere e disperdere gli “insorti”, invece mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare “le camicie nere”, – con Badoglio fra i principali esponenti della linea, giustamente dura –, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio, di fatto aprendo la strada al fascismo. Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo politico: fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo dando il via alla tragedia ventennale di quel regime. Una delle maggiori “infamie” di cui si macchiò Vittorio Emanuele III sono state inoltre le leggi razziali emanate dal regime che hanno costituito e costituiscono tuttora la pagina più nera della storia dell’Italia e che recavano la firma di un sovrano che accettava l’antisemitismo e la furia xenofoba dell’alleato tedesco, fiero di un Mussolini che l’aveva fatto re d’Albania ed imperatore d’Etiopia!

Di Francesco Casula
Storico, autore de “Carlo Felice ed i tiranni sabaudi”

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