Le malefatte e le infamie di CarloFelice e dei tiranni
sabaudi in Sardegna (1720-1946).
1. Si inizia con Vittorio Amedeo II re di
Sardegna (1720-1730) che tese a svuotare
ulteriormente il potere e il ruolo degli Stamenti, ovvero del Parlamento sardo
che mai convocherà, e a limitare la stessa autonomia del viceré, rafforzando da
una parte il centralismo, dall’altra la repressione e il controllo poliziesco,
persino della corrispondenza.
2. Si prosegue con Carlo Emanuele III
(1730-1773) che servendosi di un
militare, il famigerato di un militare, il marchese di Rivarolo, terrorizzo
l’intera Sardegna, con una brutale repressione, con il pretesto di combattere
il banditismo.
3. Gli successe il figlio, Vittorio Amedeo
III (1773-1796) facendo rimpiangere il
padre, al cui confronto sarebbe stato un sovrano illuminato e riformista.
Vittorio Amedeo III segna un regresso rispetto allo stesso padre: sarà infatti
un fanatico assertore dell’assolutismo regio e ostile a ogni cambiamento e
novità, permettendo ogni tipo di vessazione e violenza da parte dei suoi viceré
e governatori. Quando le armate napoleoniche invadono la Sardegna, a difenderla
non sarà l’esercito sabaudo ma i miliziani sardi. Ma quando i Sardi vincitori
presentano “il conto”con le % domande, il re Vittorio Amedeo III, risponderà
con sprezzo e tracotanza e alterigia: concedendo 24 doti di 60 scudi da
distribuire ogni anno per sorteggio tra le zitelle povere e l’istituzione di 4
posti gratuiti nel Collegio dei nobili di Cagliari! Di qui la cacciata dei
Piemontesi da Cagliari (28 aprile 1794) e altre città sarde.
4. Carlo Emanuele IV (1796-1802) succeduto nell’ottobre del 1796 al padre Vittorio Amedeo III, fu
costretto ad abbandonare i suoi domini in terraferma e a rifugiarsi in
Sardegna. In seguito all’occupazione
del Piemonte da parte di Napoleone. Appena arrivato in Sardegna uno dei primi
atti sarà quello di aumentare a dismisura le tasse (triplicando il donativo: così si chiamava allora il totale
delle imposte “dovute” alla Corona) ed estromettendo tutti i Sardi dalle
cariche (politiche, militari, burocratiche) importanti.
Giovanni Lavagna, (nobile algherese e filosabaudo) sull’aumento
spropositato del Donativo scriverà che era illegittimo sia perché troppo
gravoso in relazione alle disperate condizioni economiche del paese e troppo
sproporzionato rispetto a simili «donativi» imposti nel passato, sia perché
approvato in contrasto con le leggi fondamentali del Regno, cioè da una
ristretta delegazione stamentaria e non dai tre Bracci appositamente convocati
e investiti della pienezza dei loro poteri. Di contro “la venuta della famiglia
reale fu una grandissima ventura per i baroni e i nobili sardi”, scriverà lo
storico Pietro Martini.
5. Vittorio Emanuele I
(1802-1821) che successe a Carlo
Emanuele IV Fu un re di poca intelligenza, di nessuna cultura, di scarsa
personalità, presuntuoso e guerrafondaio, lo definisce il Carta Raspi. Altri
storici ricordano opportunamente la sua funesta politica tutta giocata sulla discriminazione
dei sardi, il brutale fiscalismo, la repressione e le condanne a morte (da ricordare in modo particolare
quella del sacerdote Francesco Sanna Cora e di Francesco Cilocco nel 1802 oltre
quella dei martiri di Palabanda dopo il 1812 e in genere dei democratici e dei
seguaci di Giovanni Maria Angioy).
6. Carlo Felice
(1821-1831) fu
il peggiore fra i sovrani sabaudi, da vicerè come da re fu crudele, feroce e
sanguinario (in lingua sarda
incainadu), famelico, gaudente e ottuso (in lingua sarda tostorrudu). E ancora:
Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappoco, gaudente
parassita, gretto come la sua amministrazione, lo definisce lo storico sardo
Raimondo Carta Raspi. Mentre per un altro storico sardo contemporaneo, Aldo
Accardo, – che si basa sulle valutazioni di Pietro Martini – è un pigro
imbecille.
Scrive il Martini (peraltro storico filo monarchico e
filo sabaudo): ”Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese, la
reazione levò più che per lo innanzi la testa; cosicché i mesi che seguirono
furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”.
7. Carlo Alberto
(1831-1849) Non destinato al
trono, diventò re dello Stato sardo nel 1831 alla morte dello zio Carlo Felice
che non aveva eredi. Carlo Alberto fu fermamente risoluto e deciso esclusivamente nella
repressione violenta delle popolazioni sarde: in particolar modo dopo il 1832. A denunciare le
repressioni è soprattutto Diego Asproni. Il 27 giugno 1850, nello stesso
giorno, sempre alla Camera dei deputati esprime in modo netto i suoi giudizi sui
tumulti e le rivolte contro la Legge delle Chiudende, con l’abbattimento delle
chiusure, le devastazioni, gli incendi e persino i numerosi omicidi: ”I
ricchi diedero mano – disse l'Asproni – ad usurpare i terreni comunali e della
povera gente. I pastori erano
naturalmente scontenti e la prepotenza colmò la misura e ingenerò il dissidio.”
A merito storico di Carlo
Alberto alcuni storici gli attribuiscono due grandi scelte, l’abolizione del
Feudalesimo e la Fusione perfetta. In realtà “l’abolizione del feudalesimo fu un colossale
affare per gli ex feudatari” (Girolamo Sotgiu, il più grande studuioso sardo
della Sardegna sabauda) e la “Fusione Perfetta”, un grande imbroglio, tanto che
gli stessi sostenitori – come Giovanni Siotto Pintor scrisse:”Sbagliammo tutti”
e “ci pentimmo amaramente”. E Giovanni Battista Tuveri sostenne che
con la Fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e
affamata di un governo senza cuore e senza cervello”.
8. Vittorio Emanuele II
di Savoia, è l’ultimo re di Sardegna (1849-1861) e primo re d’Italia
(1861-1878). Nonostante gli
smisurati elogi da parte di tutta la pubblicistica patriottarda, – fu
soprannominato il re galantuomo – tesa ad esaltare le magnifiche sorti e
progressive del Risorgimento italiano, la sua opera nei confronti della nostra
Isola sia come ultimo re di Sardegna sia come primo re d’Italia, fu nefasta: in
campo fiscale, culturale e linguistico. Con l’Unità non nacque
un’Italia ma due: una, (il Sud e le Isole) ridotta a colonia. Scriverà Giuseppe Dessì in Paese
d’ombre: “era stato soltanto ingrandito il regno del re sabaudo. La vera faccia
dell’Italia non era quella che aveva sognato con tanti altri giovani, ma quella
che sentiva urlare nella bettola – divisa come prima e più di prima, giacché l’unificazione
non era stata altro che l’unificazione burocratica della cattiva burocrazia dei
vari stati italiani. Questi sardi
impoveriti e riottosi non avevano nulla a che fare con Firenze, Venezia,
Milano, che considerava l’Isola una colonia d’oltremare, o una terra di
confino”.
9. Umberto I di Savoia
(1878-1900) re d’Italia dal 1878 al 1900 fu responsabile (o comunque corresponsabile in quanto capo
dello stato) delle scelte più devastanti e perniciose, che furono prese dai
Governi, che operarono durante il suo regno, nei confronti della Sardegna. In
modo particolare nel campo economico e fiscale, nel campo ambientale (con la deforestazione
selvaggia), nel campo delle
libertà civili e della democrazia, con leggi liberticide e una
repressione feroce.
Pensiamo a come fu repressa la sommossa di Sanluri (Su
trumbullu de Seddori) scoppiata il 7 agosto 1881, contro il carovita e gli
abusi fiscali e in cui ci furono 6 morti. L’8 novembre 1882 ebbe inizio il "Processo"
giustamente chiamato della fame, perché venivano processati dei poveracci morti di fame: Tale processo
per il numero degli imputati e per la sua durata, (terminò il 26 febbraio 1883)
fu ritenuto uno dei più importanti dell’isola. La sentenza fu molto pesante,
soprattutto verso alcuni imputati giovanissimi: Venne condannato a 10 anni di
reclusione Franceschino Garau Manca, detto "Burrullu" di anni 16,
mentre Giuseppe Sanna Murgano di anni 19 ed Antonio Marras Ledda di anni 18
furono condannati a 16 anni di Lavori Forzati.
10.Vittorio Emanuele III
di Savoia (1900-1946) Durante il suo regno
(1900-1946) Vittorio Emanuele III fu connivente e spesso attivo sostenitore di
scelte sciagurate e funeste per l’intera Italia e per la Sardegna in
particolare, per le conseguenze devastanti che quelle scelte comportarono. Per
cui il giudizio della storia sulla sua figura è spietato e senza appello. Egli
infatti è, in quanto re e dunque capo dello stato, responsabile o comunque
corresponsabile della partecipazione dell’Italia alle due grandi guerre e del
Fascismo. Con lui re in
Sardegna continuò la repressione poliziesca inaugurata con Umberto I: pensiamo
all’eccidio di Buggerru. Ricollegandosi al clima di repressione di fine secolo in Italia con la
strage di Milano, nel romanzo Paese d’ombre Giuseppe Dessì, fotografa il clima
politico culturale in modo fulminante con “Bava Beccaris era nell’aria e con
esso il suo demente insegnamento”.
Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio
Emanuele III fu l’aver favorito l’avvento e l’affermarsi del Fascismo. In
seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di
formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l’esercito per
combattere e disperdere gli “insorti”, invece mentre le forze armate si
preparavano a fronteggiare “le camicie nere”, – con Badoglio fra i principali
esponenti della linea, giustamente dura –, Vittorio Emanuele III si rifiutò di
firmare il decreto di stato d’assedio, di fatto aprendo la strada al fascismo.
Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo
politico: fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo dando il via
alla tragedia ventennale di quel regime. Una delle maggiori “infamie” di cui si
macchiò Vittorio Emanuele III sono state inoltre le leggi razziali emanate dal regime che hanno
costituito e costituiscono tuttora la pagina più nera della storia dell’Italia
e che recavano la firma di un sovrano che accettava l’antisemitismo e la furia
xenofoba dell’alleato tedesco, fiero di un Mussolini che l’aveva fatto re
d’Albania ed imperatore d’Etiopia!
Di
Francesco Casula
Storico,
autore de “Carlo Felice ed i tiranni sabaudi”
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