Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà
come smettere un vizio,
come
vedere nello specchio
riemergere
un viso morto,
come
ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo
nel gorgo muti."
(Cesare Pavese, dalla poesia
"Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi")
(27 Agosto 1950) ll mondo della letteratura
mondiale piange la scomparsa di Cesare Pavese. Pochi giorni dopo aver vinto il premio “Strega”, mette
fine alla sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera dell'albergo “Roma” di
Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato
disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero. Sulla
prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto:
«Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi
pettegolezzi».
All'interno dello stesso libro era inserito un foglietto con
tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, «L'uomo mortale, Leucò, non
ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una
dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le
pene di molti», e «Ho cercato me stesso». Qualche giorno dopo si svolsero i
funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo.
Sono molti a sostenere
che la depressione cominciò dai giorni del suo impiego all’Università di
Torino: posto dinanzi all'obbligo della tessera fascista, egli l’accettò per
non perdere il proprio lavoro. Molti suoi amici fraterni, invece, si rifiutarono preferendo la strada
dei monti e la vita del partigiano. Molti di loro morirono combattendo, uno persino
tra le torture dei fascisti di Salò.
In base a questa ricostruzione, egli sentì sempre su di sé
l’onta del “vigliacco” (tra l’altro Pavese fu costretto all'esilio, per aver
tentato di proteggere la sua donna “comunista”). In questi stessi documenti si
legge che nonostante Pavese fosse iscritto al partito Fascista dal 1933,
frequentava intellettuali di chiara e comprovata estrazione antifascista. Tuttavia, in uno scritto del 1935,
si ha la prova (se così la vogliamo chiamare) della sua iscrizione al partito
fascista, comunque avvenuta per le insistenze della famiglia.
Nella lettera alla sorella Maria, scritta dal carcere di Regina
Coeli, scriverà: "A seguire i vostri consigli, e l'avvenire
e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia
coscienza". Pavese non fu mai fascista per convinzione, infatti, alla
fine della guerra s’iscrisse al Partito Comunista e collaborò con L’Unità.
Tuttavia, questo travaglio interiore lo accompagnerà per tutto il resto della
sua vita, come dimostrano molti cenni autobiografici nonché ulteriori lettere.
Altri, invece, sempre a
proposito delle ragioni del suo suicidio, sostengono un’altra tesi, quella per
l’amore non corrisposto verso una donna, l’attrice Constance Dowling, alla quale Pavese dedicò i versi di “Verrà
la morte e avrà i tuoi occhi.” La donna lasciò Pavese senza dare spiegazioni, e
questo fatto turbò profondamente il poeta piemontese.
Cesare Pavese nasce il 9
settembre del 1908 a Santo Stefano Belbo, paesino nella provincia di Cuneo. Ben presto la famiglia si
trasferisce a Torino (dove il padre svolgeva il ruolo di cancelliere), anche se
il giovane scrittore ricorderà sempre con malinconia i luoghi e i paesaggi del piccolo
paese, visti come simbolo di serenità. Dopo il suo trasferimento il padre
muore; ciò inciderà sul carattere del ragazzo, già di per sé introverso.
Già durante l’adolescenza Pavese manifestava attitudini
assai diverse da quelle dei suoi coetanei. Amante dei libri e della natura, non
amava la vita sociale, prediligendo passeggiate nei boschi in cui osservava
farfalle ed uccelli. Anche la madre aveva molto sofferto per la scomparsa del
marito e, rifugiatasi nel suo dolore e induritasi nei confronti del figlio,
cominciò a manifestare freddezza e riserbo, attuando un sistema educativo
rigido.
Un ulteriore aspetto
preoccupante che si ricava dalla personalità del giovane Pavese è la sua già
ben delineata "vocazione" al suicidio (quella che lui stesso chiamerà il "vizio
assurdo"), che si riscontra in quasi tutte le lettere del periodo liceale,
soprattutto quelle dirette all'amico Mario Sturani. I
tratti caratteriali del giovane Pavese posso essere sintetizzati in due
estremi: da una parte il desiderio della solitudine che si contrappone ad un
forte bisogno di socialità. Quest’aspetto lo caratterizzerà per il resto della sua vita.
Vincenzo
Maria D’Ascanio
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