Non volevo tornarci sopra, ma mi sembra necessario. Anzi,
serve un approfondimento. Ieri, “L’Unione” metteva tra virgolette questo
ponderato parere di Maria Antonietta Mongiu, presidente del comitato
scientifico per l’inserimento dell’insularità in Costituzione: «L’insularità
è una condizione che produce ritardi di sviluppo sociale ed economico e fa dei
sardi cittadini con diritti ridotti e affievoliti rispetto ai cittadini della
terraferma. Dal riconoscimento
del principio di insularità dipende lo sviluppo della Sardegna e delle future
generazioni».
Colpisce che ad esprimere una posizione tanto perentoria sia
un personaggio di tale caratura intellettuale e politica. Il teorema secondo
cui vivere su un’isola causi automaticamente un «ritardo di sviluppo sociale ed
economico» può essere facilmente confutato dallo studio della geografia e della
storia. E l’affermazione, altrettanto apodittica, secondo cui «lo sviluppo
della Sardegna e delle future generazioni» dipende dal «riconoscimento del
principio di insularità» è talmente indimostrabile da sconfinare nella
divinazione.
Qui, in realtà, siamo
davanti alla certificazione autorevolissima (sebbene inconsapevole) del
fallimento del ceto dirigente sardo che, in settant’anni di autonomia, non è
riuscito a trarre l’isola fuori dalla sua asserita minorità geografica. Siamo al contempo davanti ad
un'autoassoluzione, perché la “colpa” del fallimento viene imputata alla
geografia, ed ad uno scarico di responsabilità su Roma: già le si addebita, nel
caso le richieste del comitato fossero respinte, il mancato sviluppo futuro
della Sardegna.
Sono certo che, fuori dalla brevità di una dichiarazione
giornalistica, la professoressa Mongiu articolerebbe molto meglio la sua
opinione. Per un sindaco, tuttavia, è davvero difficile convincere i propri
compaesani a darsi da fare quando si sentono dire che sono «cittadini con
diritti ridotti» per lo stigma d’essere nati sardi.
Duecentoventi anni fa esatti Angioy scrisse che la Sardegna
«ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa». A quanto pare
niente è cambiato. Siamo ancora tra le aree più povere del continente. E di
sicuro la “colpa” non è di questa roccia piantata nel cuore del Mediterraneo.
Maurizio
Onnis
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