(18 Ottobre 1984) Numerosi documenti contabili vengono sequestrati al finanziere Michele Sindona. In particolare, gli stessi riguardavano i diversi atti della Banca Unione confluita nella sua Banca Privata Italiana. Il deficit dell'istituto di credito ammonterebbe ad almeno 250 miliardi. Comincia in questo modo la fase discendente della discussa figura di Sindona, siciliano capace di costruire un impero che, al suo interno, aveva numerose banche non solo europee, ma anche americane. Laureatosi in giurisprudenza a Messina nel 1942, ancora giovanissimo Sindona emigrò a Milano, dove aprì un proprio studio legale. Fece rapidamente carriera per l’intelligenza con cui forniva preziose consulenze fiscali a molti manager dell’industria italiana.
Le sue speculazioni furono considerate come l’azione di un
genio della finanza. Michele Sindona seppe sapientemente creare una forte
alleanza con lo IOR (comunemente
considerata come la banca del Vaticano, che in quel periodo era diretta dal
discusso arcivescovo americano Paul Marcinkus), diventando il referente
finanziario del Vaticano e un potenziale leader della finanza cattolica
italiana. Partendo da questo punto di vista, non possono sorprendere i legami
di Sindona con la Democrazia Cristiana, ed in particolare con la figura dell’allora leader Giulio
Andreotti.
Negli Stati Uniti,
intanto, Sindona rilevò la Franklin National Bank (di New York), la ventesima banca
statunitense, con tutta probabilità impiegando allo scopo anche i fondi dei
clienti delle sue banche italiane. Sindona, alla ricerca di appoggi politici
dopo aver perso diversi miliari a causa di operazioni finanziarie sbagliate,
iniziò ad effettuare vere e proprie pressioni sulla Democrazia Cristiana, che
per altro nulla gli doveva.
Proprio in questo periodo cominciò la
fine del ‘sistema Sindona’: esso aveva assunto un’estensione smisurata, che comprendeva oltre un
centinaio di imprese, finanziarie e non, operanti in undici Paesi e connesse
strettamente fra loro, spesso tramite impenetrabili catene di holding di solito
costituite nei paradisi fiscali.
Per cominciare, la
Franklin fu dichiarata fallita, e negli stessi mesi si consumò in Italia la
crisi delle due maggiori banche di Sindona legate alla Franklin, la Privata
finanziaria e l’Unione. Durante quell’estate
filtrarono indiscrezioni sulle irregolarità riscontrate nelle banche di Sindona
dagli ispettori inviati dalla Banca d’Italia, a proposito di possibili ma mai
accertati) finanziamenti elargiti alla DC, all’esistenza di una lista segreta
di clienti illustri (la cosiddetta lista dei cinquecento), i cui depositi finanziari in
istituti svizzeri (costituiti in violazione delle norme valutarie) erano stati
già rimborsati. Infine l’intero sistema internazionale prendeva le distanze da
Sindona. Istituti di credito di tutto il mondo cominciarono a chiedere, al
finanziere siciliano, garanzie sui loro depositi.
Gli
avvenimenti del 1974 segnarono uno spartiacque nella storia di
Sindona. In Italia fu colpito
da mandato di cattura per il dissesto della Privata; a New York fu avviato un
procedimento giudiziario per il fallimento della Franklin. Per cercare di
salvarsi si appoggiò ad un serie di poteri, legali e illegali, i cui punti di
riferimento eranotre: Giulio Andreotti a lungo presidente del
Consiglio; Licio Gelli, il capo della loggia
massonica P2, e la fazione di Cosa nostra che faceva capo a Stefano
Bontate.
In particolare, Sindona chiese alla mafia di intimidire
ripetutamente sia Cuccia (da cui pretendeva un appoggio per i suoi piani di
salvataggio) sia il commissario Ambrosoli, che stava pazientemente ricostruendo
la struttura occulta del sistema Sindona e che si rifiutava di cedere al
banchiere. Per questo Sindona lo fece assassinare da un sicario nel luglio del
1979. Nella stessa estate, il banchiere escogitò un rocambolesco finto
rapimento a opera di una fantomatica organizzazione rivoluzionaria, volto a costringere i suoi vecchi
sodali ad appoggiare i suoi piani, pena la minaccia di compromettenti
rivelazioni sulle loro malefatte. Si fece anche sparare ad una gamba, per
rendere più verosimile il supposto sequestro.
In ottobre la polizia
scoprì le connivenze mafiose; intanto Sindona ricomparve a New York. La sua versione dei fatti non era
attendibile da nessun punto di vista. In febbraio gli fu revocata la libertà
provvisoria; in maggio fu condannato a 25 anni per bancarotta fraudolenta.
Estradato in Italia nel settembre del 1984, all’inizio del 1985 subì una
condanna a 15 anni per il dissesto della Privata. Un anno dopo gli fu inflitto
l’ergastolo per l’omicidio di Ambrosoli.
Il 22 marzo 1986 fu
ritrovato morto nel carcere di Voghera. La sua cella era controllata con un notevole apparato di
uomini e mezzi, ma qualcuno riuscì a mettere del cianuro nel suo caffè. Sulla
sua morte persistono due principali filoni di pensiero: da una parte, alcuni
sostennero che Sindona tentò un finto suicidio, per essere trasferito nelle più
sicure carceri americane. Altri, invece, sostennero che quello di Sindona fu un
omicidio. Il banchiere sapeva troppo, ed era un pericolo concreto per alcuni uomini
di potere.
Vincenzo Maria D'Ascanio.
Nessun commento:
Posta un commento