Continuo a credere, come un mese fa, che la maggior parte
del problema coronavirus sia determinato dalla percezione che i media ne stanno
dando. Non dico, beninteso, che non c'è un pericolo:
quando qualcuno muore c'è sempre pericolo. Dico però che la pericolosità reale
del virus è estremamente minore rispetto alla sua percezione.
Questo lo vediamo dalle reazioni isteriche di tantissime
persone che nel nord Italia si sono precipitate nei supermercati a fare le
provviste, per ricordarci quanto i film apocalittici americani siano ormai
entrati anche nel subconscio della società più americanizzata d'Europa. E
pazienza se davanti a un pericolo di epidemia la cosa peggiore che puoi fare è
insaccarti con centinaia di altri starnutenti in un luogo chiuso a sputazzare
baguettes e spalmare saliva sul manico del carrello. Panico. E, come ogni panico,
irragionevole.
Ma questo panico, insisto a dire, non può essere
"naturale" per un virus che continua a restare sul 2% di mortalità e
che continua a uccidere soprattutto vecchietti già in condizioni di salute
critiche. Voglio dire insomma che è evidente (anche se non a tutti, a
quanto pare) che gran parte della paura è soffiata dai media.
Vi faccio un esempio: nello Stato italiano OGNI
GIORNO muoiono tre persone sul lavoro, qualche decina torna a casa senza un
dito, senza una mano o una gamba, cieca o sorda per sempre. Centinaia
ogni giorno si fratturano o si creano ferite più o meno gravi. Un bollettino giornaliero di tre
morti al giorno, con decine di feriti gravissimi e altre centinaia di feriti
corrisponde perfettamente a un bollettino di guerra. Eppure la percezione che
ne abbiamo è quella della normalità.
E non potrebbe essere diversamente in un Paese capitalista in
cui i proprietari dei mezzi di produzione, che risparmiano a scapito della
sicurezza dei lavoratori, detengono anche il potere dell'informazione. Chi
se la sentirebbe di andare a lavorare se i telegiornali ci allarmassero
dicendoci, con la stessa enfasi mediatica destinata al coronavirus, ciò che
accade ogni giorno nelle fabbriche, nei cantieri edili, nei campi, nelle
officine?
Ci muore sistematicamente molta più gente, giovane, forte e
in ottima salute, ma siamo da sempre abituati a non pensarci. Nessun
negozio di attrezzature da lavoro viene preso d’assalto da folle isteriche alla
ricerca di guanti, caschi, ginocchiere e scarpe antinfortunistiche. Perchè i
media su quel problema un po’ ti informano ma non ti terrorizzano.
Perciò si arriva all'assurdo che in fila al supermercato, in
pieno panico coronavirus, ci puoi trovare anche quello che va a lavorare in
cantiere in ciabattine o guida il furgone senza cintura. Ma c’è una cosa che unisce panico da coronavirus e tolleranza
della strage sul lavoro: l’ignoranza. La non conoscenza adeguata del fenomeno.
Solo non conoscendo adeguatamente il fenomeno si può dare
tutta questa spropositata importanza al coronavirus e tutta questa poca
importanza al massacro per il pane. E allora forse sarebbe meglio
che iniziassimo a spegnere più spesso la televisione, a prendere solo il giusto
dal supermercato, ad andare al pronto soccorso solo quando c’è bisogno. E
a frequentare un po’ più spesso la biblioteca.
Pier Franco
Devias
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