Perché smascherare le ragioni del "sì"
Tra i tanti falsi argomenti messi in campo a sostegno del Sì
al referendum costituzionale ci sarebbe anche quello della esigenza di uno
snellimento del procedimento di formazione delle leggi accorciandone i tempi di
approvazione. Ovviamente è una falsità, come può intendere chiunque; perché il
ricorso abnorme alla decretazione d’urgenza e alla delega legislativa si sono
imposte, di fatto e già da molto tempo, Costituzione “originaria” alla mano,
come modalità “ordinarie” della
produzione legislativa.
Ciò è evidentemente anche fisiologico: una Costituzione
rigida, certamente nata per garantire la stabilità, deve altresì pur garantire il
mutamento, ponendosi come luogo dell’equilibrio supremo tra le due dimensioni,
quella statica e quella dinamica, tra l’essere e il divenire che sono poi
l’essenza prima del consistere di un ordinamento. Tuttavia, l’affermazione di
una sorta di decisionismo “acostituzionale”, modificato e plasmato secondo una
ideologia – o “teologia” - aziendale nella conduzione degli affari pubblici,
unitamente alla dinamiche messe in moto dalla globalizzazione capitalista e
dalla guerra al terrorismo, è un fatto che, sebbene dovrebbe esserci noto da
tempo, ha conferito alla straordinarietà e all’urgenza il carattere di un vero
e proprio neo-eccezionalismo forse non sufficientemente considerato.
L’uso
della necessità, della straordinarietà e dell’urgenza quali paradigmi ordinari
della tecnica di governo sono certo il precipitato di un processo di lungo
corso che ha modificato e amplificato la crisi degli istituti giuridici
tradizionali, così come furono concepiti dai costituenti; ma da circa un
ventennio, per tutta una serie di complesse dinamiche, la crisi istituzionale
ha subito una drastica accelerazione, sia in termini di quantità che di
qualità, che ha finito per “modificare” profondamente le funzioni del potere
legislativo-parlamentare e la tradizionale distinzione col potere esecutivo. I
“rottamatori costituenti” di oggi in realtà arrivano un po’ in ritardo e con le
idee (ammesso che siano le loro) molto confuse, talmente confuse che il rischio
che si può paventare – ed alcuni infatti lo paventano - non è più tanto quello
dell’affermazione di un ordine costituzionale “a-democratico”, per così dire,
poiché quello è già una realtà, sebbene questa riforma nel complesso amplifichi
ulteriormente la crisi degli istituti democratici, ma il vero e proprio caos
istituzionale, il rischio cioè della paralisi nella vita delle istituzioni
repubblicane.
Insomma, un riformismo cazzaro con un potenziale elevato tasso di
ingovernabilità istituzionale. Il peggio del peggio. Il voto per il NO (le cui
forze in campo sono molto composite) andrebbe, io credo, anche letto in questa
prospettiva, ossia non tanto come un voto per la conservazione della
costituzione “più bella del mondo” quanto semmai per evitare il caos
ordinamentale, il baratro istituzionale. A questo siamo.
Luca Puddu.
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