Unione
sarda
PRODI - La crisi, la politica, la
Sardegna: l'intervento di Prodi all'Università di Cagliari Austerity, ricetta
da strappare «Non seguiamo la Germania»
Una cartolina dal basso impero,
firmata Romano Prodi. Lo splendore decadente è quello dell'Europa, e noi
(Italia, Sardegna) ci siamo in mezzo. Lo stesso coinvolti, anche se crediamo
che la buona sorte ci assolva: «Divisioni e troppa austerity, il Vecchio Continente
rischia di scomparire dalla mappa del mondo che conta», avverte l'ex presidente
del Consiglio, a Cagliari per intervenire all'inaugurazione dell'anno accademico
dell'Università.
Niente di inedito, per carità: la
fila dei profeti delle sventure europee supera quella dal salumiere. Ma
l'oracolo infausto stavolta arriva da uno dei dieci leader che più hanno
influito nel dare all'Ue la veste attuale. Prima pilotando l'Italia nell'euro,
convincendo Kohl a eliminare le due velocità tra lepri e Paesi-zavorra. Poi
guidando la Commissione europea negli anni del grande allargamento, da 15 Stati
a 25. Uno che racconta, come se fosse una banalità, di quando strappò a Putin
la firma sul protocollo di Kyoto ironizzando sulle sue difficoltà a far votare la Duma (il
parlamento russo).
VECCHI MALI Il fatto è, ragiona
Prodi, che l'Europa è ricaduta nelle sue «antiche malattie»: il nazionalismo,
la tendenza a frammentarsi. «Intendiamoci, l'Ue deve restare un'unione di
nazioni», precisa, a margine della prolusione nell'aula magna di via
Università: «Ma la globalizzazione dobbiamo sfidarla insieme. I singoli Stati
non ce la fanno, troppo piccoli». L'esempio chiarificatore, tratto dalla storia
post-rinascimentale, lo fa nell'intervento che chiude la cerimonia aperta dal
rettore Maria Del Zompo: «L'Italia era leader mondiale in tutti i campi.
Poi ci ha travolto la prima globalizzazione, la scoperta dell'America». Per conquistare il nuovo mondo servivano caravelle più grandi, «e i nostri staterelli non erano in grado di costruirle. Neppure Venezia. Così l'Italia è uscita per quattro secoli dal novero delle grandi potenze». Nel terzo millennio, dominato da Usa, Cina e Russia, rischia il declino l'intero continente: «Le caravelle di oggi sono Google, eBay, Apple. Le grandi strutture immateriali, nessuna delle quali è europea».
Poi ci ha travolto la prima globalizzazione, la scoperta dell'America». Per conquistare il nuovo mondo servivano caravelle più grandi, «e i nostri staterelli non erano in grado di costruirle. Neppure Venezia. Così l'Italia è uscita per quattro secoli dal novero delle grandi potenze». Nel terzo millennio, dominato da Usa, Cina e Russia, rischia il declino l'intero continente: «Le caravelle di oggi sono Google, eBay, Apple. Le grandi strutture immateriali, nessuna delle quali è europea».
GLI ALLEATI La malattia della
divisione ha portato alla Brexit, uno choc per tutti e soprattutto per gli
inglesi: «Si staccano da una nave abbastanza grande da poter sfidare la
globalizzazione. Loro da soli non ci riusciranno», prevede il fondatore
dell'Ulivo. Ma non è l'unico autogol: «Il futuro dell'Europa - conferma Prodi -
dipende molto dalla Germania, che dopo la crisi ha attuato una politica
economica miope, anche per se stessa». Colpa della dottrina dell'austerità e
del pareggio di bilancio: «Non che io sia a favore dei bilanci in rosso, a suo
tempo riducemmo di dodici punti il rapporto italiano deficit-Pil. Ma i tedeschi
sono così intrisi di quella loro virtù che poi diventa un vizio, se non
permette ai vari Paesi di crescere».
LA CRISI Di sicuro «l'austerity
europea non ha aiutato a superare la crisi. Gli Stati Uniti, che hanno causato
la recessione, ne sono usciti prima perché Obama ha messo sul tavolo 800
miliardi di dollari. Noi ci siamo rimasti impigliati, pur avendo molte meno
colpe». Una politica di solidarietà europea «gioverebbe a tutti, anche ai tedeschi»,
assicura l'ex presidente della Commissione Ue. «Poi ci sono Paesi forti e
deboli: noi restiamo tra quelli indietro». Ma non chiedete a Prodi la ricetta
per riprendersi: «Non sono un medico», sorride, confermando di non volersi
mettere «al posto di chi prende decisioni: io ormai sono un
pensionato».
Vale anche per la Sardegna:
«Straordinaria, ci vengo spesso, zitto zitto, da privato cittadino. L'ultima
volta a giugno. Con pochi abitanti, basterebbe poco a rafforzarne l'immagine
creando un clima di sviluppo, a fare il salto con l'asta. Serve... l'asta: una
scintilla che inneschi il meccanismo». Prodi però si ferma ben prima di invadere
il campo di chi oggi governa l'Isola: «Non ho gli strumenti per dire da dove
può scaturire quella scintilla. Sicuramente la Sardegna dovrà trovare le sue
vocazioni: quella turistica in primo luogo, ma non basta. Vista l'insularità, penso
soprattutto ad attività intellettuali, di ricerca, di innovazione. Potete
diventare una calamita per i giovani. Vedo Cagliari e penso: città gradevole,
clima bellissimo, dov'è che un ricercatore andrebbe più volentieri?»
IL REFERENDUM Con la stessa fermezza
con cui evita di dare consigli non richiesti, Prodi tiene fede al proposito di
non prendere posizione, tra il Sì e il No alla riforma
costituzionale. Ribadisce semmai l'amarezza per il clima velenoso: «Mi
dispiace, non me l'aspettavo. Sono stato in Austria, dove c'è una campagna
elettorale aspra tra due candidati, e neppure lì c'era una simile tensione». Ma
davanti alle indicazioni di voto della stampa straniera, inasprisce i toni
anche lui: «Noi non abbiamo votato nella Brexit, gli inglesi non votino in Italia.
Economist e Financial Times non mi impressionano».
Giuseppe Meloni
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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