La Nuova
Il futuro: fondare un nuovo partito,
mentre è più improbabile il passaggio nel Pd Ex Sel: progressisti sempre ma non
in Sinistra italiana
CAGLIARI Addio Sel, anche se «avremmo
preferito un finale meno drammatico», ma «in Sinistra italiana non possiamo
entrare». Si sa da giorni: in Sardegna la maggioranza del partito che fu di
Niki Vendola non emigrerà, armi, bagagli e seggi, nel nuovo soggetto politico. All’assemblea
del 6 dicembre a Roma, è quella che a livello nazionale certificherà lo
scioglimento di Sel, neanche parteciperanno il senatore Luciano Uras, Massimo
Zedda, sindaco di Cagliari, l’assessore regionale Claudia Firino, due
consiglieri regionali, Francesco Agus e Daniele Cocco, e molti amministratori
comunali.
Non hanno accettato che l’azzeramento sia
stato deciso dall’alto, dal vertice del partito, senza neanche un congresso e per
questo all’inizio di dicembre (qualche giorno dopo quel referendum
costituzionale che potrebbe stravolgere l’Italia chiunque vinca) diranno
ufficialmente «addio agli ex compagni della sinistra arcobaleno». L’hanno fatto
qualche giorno fa con una lettera firmata tutt’insieme, lo ribadiscono oggi
quando ancora non sanno dove troveranno casa. In un nuovo partito?
Chissà, è probabile ma non è detto. In un
partito nazionale che già esiste (il Pd) o altrove? È un mistero, per ora. Sta
di fatto che fra poco più di due settimane i gruppi di Sel in Consiglio
regionale e nei Comuni si «scioglieranno automaticamente». Chi non traslocherà
in Sinistra italiana, lo conferma con amarezza: «Non vogliamo – dice Luciano
Uras – che quanto abbiamo costruito finisca spazzato via». Il patrimonio della
«sinistra che è capace di governare» non «può essere cancellato soprattutto
dopo l’esperienza vincente dei sindaci arancione, da Pisapia a Zedda». Proprio
Zedda è stato fra i primi a firmare la lettera d’addio e da Roma è arrivato
subito un commento più o meno disperato: «Il suo abbandono – ha scritto Massimo
Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio – è un colpo durissimo per la credibilità
del nuovo progetto politico».
Lo è, ma per il consigliere regionale Francesco
Agus «non possiamo stare con chi sembra spinto solo dalla voglia d’isolarsi
fino a sentirsi minoranza ancora prima di nascere». No, gli ex Sel – come ha
dimostrato la vittoria di Zedda al primo turno alle comunali di Cagliari –
«vogliono restare aggrappati all’idea di un centrosinistra capace di cambiare
la società secondo il modello del buon governo, dimostrato con i numeri nelle
Regioni e nei Comuni, mentre «a Palazzo Chigi purtroppo è accaduto dell’altro
ed è quell’altro che, anche questo, non vogliamo».
Come si chiamerà il nuovo partito? «Lo
saprete il 6 dicembre». Gli ex Sel confluiranno nel Pd? È improbabile ed è
quello che potrebbe scrivere oggi il coordinatore regionale di Sel Luca
Pizzuto. Lui la lettera degli ex non l’ha ancora firmata. (ua)
IL
CONVEGNO
Giovedì
il confronto sull’Europa dei popoli
Le
diverse anime dell’area progressista, identitaria e indipendentista devono
«discutere fra loro». Il congegno di giovedì pomeriggio (ore 17,30,
a Cagliari, nella sede della Fondazione di Sardegna, in via Sal Salvatore
da Horta) sull’Europa unita e dei popoli nasce con alle spalle anche questo
progetto politico. È stato, pensato dal Gruppo Misto del Senato e
dall’associazione culturale Pasolini. Così dopo aver messo intorno allo stesso
tavolo un sempre possibile nuovo partito dei sindaci, quelli che sono stati di
Sel, movimento prossimo allo scioglimento, ora provano a far discutere quanti
un domani potrebbero riconoscersi in un terzo polo progressista e sovranista. È una
vecchia idea, era molto forte all’inizio di questa legislatura, ma che
col tempo ha finito per sfilacciarsi.
Oggi
con una visione politica proiettata su quello che potrebbe essere il «punto di
caduta» per gli ex Sel sicuri di non entrare in Sinistra italiana, il senatore
Luciano Uras ha organizzato giovedì il confronto sulla necessità di «riconoscere
tutte le identità per costruire un’Europa unita». Al tavolo sono annunciati
Christian Solinas, segretario del Psd’Az all’opposizione in Consiglio regionale
ma col centrosinistra in alcuni Comuni, Paolo Maninchedda, presidente del
Partito dei sardi, Massimo Zedda, sindaco di Cagliari (nella foto), Antonello
Cabras, uomo forte del Pd, l’ex ministro Vannino Chiti, anche lui del pd, e
Bruno Tabacci del Centro democratico.
Iares
e Acli hanno presentato il rapporto sulla povertà. Fenomeno in aumento Un sardo
su cinque è disperato
CAGLIARI
Non è più una lotta alla povertà, ma alle povertà. La differenza è importate:
si possono avere i soldi per sopravvivere, però essere lo stesso emarginati e
abbandonati. Nel dodicesimo rapporto dell’Istituto per la ricerca e lo sviluppo
delle Alcli, lo Iares, il concetto della disperazione è scritto in quasi ognuna
delle 134 pagine. Tabelle e numeri lo ribadiscono: dai 350mila ai 400mila sardi
non sanno più come tirare avanti, uno su cinque fa «molta fatica ad acquistare
persino i beni di prima necessità» e uno su tre «cade in depressione quando non
riesce a fronteggiare le spese impreviste anche se sono sotto gli 800 euro».
E
ancora: con in tasca solo mille euro al mese, «sempre più famiglie finiscono
per essere assistite», o ancora: «il 45 per cento dei contribuenti sardi non
raggiunge i 10mila euro di reddito netto e anzi spesso non supera la soglia dei
5mila». Il dossier è peggio di un girone infernale, perché non analizza solo l’azzeramento
delle capacità di spesa», ma anche le condizioni sociali che, colpa della
crisi, «sfociano nella percezione soggettiva di sentirsi ultimi».
Percezioni
che ormai non appartiene più solo ai pensionati con un assegno Inps di 700
euro, o ai disoccupati, oltre il 16 per cento, ma anche «a categorie sociali
finora immuni e ritenute al sicuro». Il fenomeno purtroppo è in aumento e
sempre più strisciante. C’è una frase forte che va ricordata ed è questa «i poveri
non ci lasceranno dormire».
È
scritta da padre Alex Zanotelli, che da sempre combatte per conto e in nome
della giustizia sociale. Coordinatore e ricercatori dello Iares, Antonello
Caria, Vania Setzu e Sara Frau, l’hanno ribadita nel loro dossier. «Siamo ben
oltre l’allarme», ha sottolineato Franco Marras, presidente regionale delle Acli.
Serve – hanno confermato gli esperti – «una maggiore rete sociale per evitare
che in troppi scompaiano dalla società per trasformarsi in soggetti
invisibili». Ma anche la politica deve fare di più: ad agosto il Consiglio
regionale ha approvato la storica legge per il reddito d’inclusione sociale,
l’ultima scialuppa disponibile, eppure manca ancora il regolamento perché possa
essere applicata. Assurdo.
Unione Sarda
Povertà alla porta di casa, crescono i
sardi in difficoltà L'Isola tra le regioni penalizzate per spesa, reddito e
depositi bancari
Negli anni post crisi povertà non è più
solo scarsità di risorse economiche: cambiano i paradigmi, muta la società e la
definizione di indigente non può essere limitata alla disponibilità di denaro.
Non riuscire a sostenere spese impreviste, avere arretrati nei pagamenti di
mutuo, affitto o bollette, non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni
due giorni o una settimana di ferie fuori casa, sono queste le nuove cartine
tornasole del disagio.
Ed è considerando queste variabili che si
arriva presto a una cifra drammatica: in Sardegna un cittadino su cinque (oltre
325mila, il 20% della popolazione) ha grandi difficoltà ad acquistare beni di
prima necessità, mentre il 30% (quasi mezzo milione di persone) si dichiara incapace
di fronteggiare una spesa imprevista, anche se di entità modesta (circa 800
euro).
L'ANALISI Sono i dati rilevati nel
dodicesimo Rapporto dell'Osservatorio sull'economia sociale e civile in
Sardegna diffuso dallo Iares (Istituto Acli per la ricerca e lo sviluppo) che
fa il punto, attraverso nuove metodologie di ricerca, sulla condizione di indigenza
dei sardi. Il rapporto evidenzia la peculiarità del caso Sardegna: in un'Italia
spaccata a metà, dove le differenze tra Nord e Sud restano assai marcate,
l'isola presenta una situazione complessa.
«Analizzando le condizioni
socio-economiche del nostro territorio regionale emergono condizioni di
svantaggio economico elevate, che pongono la Sardegna in linea con le regioni
più svantaggiate, per esempio sotto il profilo dei livelli di spesa, del
reddito o dei depositi bancari», spiegano Vania Statzu e Sara Frau, che insieme
ad Antonello Caria hanno curato il Rapporto, «mentre per altri aspetti, tra cui la dotazione di beni durevoli e
tecnologici (connessione a Internet, computer, cellulari), l'isola può essere
accomunata alle regioni con un minor disagio economico».
IL CASO SARDEGNA Il 96,5% dei sardi,
infatti, possiede almeno un telefono cellulare o uno smartphone (la percentuale
media nazionale è inferiore di mezzo punto), il 74,6% un pc (in tutta Italia il
73,5%) e il 72,6% una connessione Internet (la media nazionale è 71,2%), un aspetto
che mostra un divario digitale più contenuto, non permette di includere
pienamente la Sardegna nel gruppo delle regioni più svantaggiate e soprattutto
«rappresenta una caratteristica determinante per lo sviluppo futuro del
territorio».
LA CLASSE MEDIA A essere investita da
questa situazione è soprattutto la cosiddetta classe media, quella fascia che
può vivere periodicamente, e per lunghi intervalli di tempo, condizioni di povertà
più o meno estrema. «I dati fotografano una regione in cui la gran parte delle
famiglie affronta rinunce e difficoltà economiche, che producono una sensazione
di disagio e instabilità tali da ridurre anche la percezione del proprio reale
tenore di vita».
Marzia Piga
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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