Unione Sarda
Pd nel caos, lite
sul congresso Emiliano sventola la carta bollata Orfini e Delrio chiudono
l'assemblea di Rimini: accordo sulla legge elettorale o al voto.
RIMINI Massimo D'Alema e «i riservisti» chiamati
in campo in nome di una possibile scissione non spaventano il Pd. Di solito,
attacca Matteo Orfini chiudendo l'assemblea degli amministratori locali dem a Rimini,
«sono quelli che vengono chiamati in guerra per aiutare il proprio Paese», mentre «noi siamo l'unico partito
in cui i riservisti vengono richiamati per aiutare l'avversario», ma in ogni
caso non fanno paura. In generale, è convinto il presidente Pd, «una grande forza
politica come questa non può chiudersi e asserragliarsi nelle istituzioni per
paura del voto. Il Pd non può mai considerare il ricorso alla democrazia come
un rischio». Ma la minoranza non ci sta: chiede il congresso. E Michele
Emiliano, governatore della Puglia, minaccia il ricorso «alle carte bollate».
TABELLA DI MARCIA Avviato il duello sul voto
anticipato, dopo l'intervento di Matteo Renzi l'altro ieri, la road map non
cambia. Nel corso della prossima settimana inizieranno gli
incontri con le altre forze politiche sulla legge elettorale, alla ricerca di
un accordo in vista del voto a giugno. Due settimane sono il tempo massimo
indicato dal segretario ai suoi «ambasciatori» per portare a casa il risultato.
Diversamente, dal momento «che la legislatura è politicamente finita il 4
dicembre», si andrà al voto. Non sono solo i renziani di stretta osservanza a
pensarla così. «Il Parlamento deve mettersi d'accordo per dare al Paese una
legge che garantisca governabilità o per andare a votare con questa legge»,
dice Graziano Delrio.
L'OBIETTIVO In questo caso, «l'unica strada
percorribile» per apportare al testo, così come riformato dalla Consulta,
alcune piccole modifiche che potrebbero essere sollecitate dagli stessi giudici
delle leggi potrebbe essere «un disegno di legge del Governo, blindato in Parlamento da un consenso ampio all'interno della
maggioranza».
L'obiettivo del Pd resta il 40% indicato da Renzi.
Nessun «listone impapocchiato», assicura Orfini. Il 40%? «Perché no, ci siamo
già riusciti», dice Delrio che apre a un'ottica «coalizionale» che guardi però
alle «interessanti esperienze dei sindaci». Zedda, Pisapia e Doria «hanno fatto
bene». Il candidato premier, non ha dubbi il ministro dei Trasporti,
direttamente chiamato in causa da alcune ricostruzioni stampa nella corsa a
palazzo Chigi, rimane Matteo Renzi. Se D'Alema non preoccupa («a forza di
spostarsi a sinistra ti ritrovi a destra insieme a Trump», dice Orfini),
diverso è il discorso per i bersaniani. Il presidente Pd plaude alla presenza a
Rimini di Roberto Speranza. Si lascia filtrare una possibile «disponibilità» al
dialogo in nome dell'unità del partito e di qualche seggio bloccato.
NESSUNA TRATTATIVA La minoranza non ci sta.
«Nessuna trattativa. Non è possibile andare al voto senza fare prima un
congresso». Minaccia il ricorso «alle carte bollate», Michele Emiliano. «Un
congresso è necessario, se il segretario lo nega, allora è lui ad arrivare a
una scissione, non gli altri». Falsità, ribatte la commissione di Garanzia Pd.
SINDACI
IN ASSEMBLEA. Ciccolini: aspettare l'esito del ricorso.
Deiana:
superiamo la stasi Anci, ultimo duello in casa Pd
Oggi
nuove elezioni, ma uno dei candidati chiede di rinviare
Due modi diversi di intendere l'Anci
e due idee contrapposte su come
uscire dallo stallo che blocca
l'elezione del presidente da quattro
mesi. Nodi dell'assemblea convocata
per oggi alle 10 al Nuraghe Losa,
per ripetere le elezioni e mettere
la parola fine a una situazione di
incertezza e carte bollate.
I due contendenti, Emiliano Deiana e
Giuseppe Ciccolini (sindaci di
Bortigiadas e Bitti) ci saranno, ma
il primo punta alle elezioni,
mentre il secondo frena in attesa
del verdetto del ricorso che
arriverà l'otto febbraio. Effetto
delle elezioni nulle del 23
settembre scorso che, oltre ai
sindaci, ha portato all'assemblea
dell'Anci i timonieri della politica
a capo delle correnti.
LO SCONTRO I due sindaci fanno parte
entrambi del Partito democratico.
Eppure quella che sembrava una
diatriba interna, figlia delle correnti
dem a cui si sono aggiunti altri
partiti per alleanze trasversali, ha
ampliato il raggio, spostando
l'attenzione sul modo di intendere i
rapporti istituzionali.
Ma non è soltanto un muro contro
muro politico quello che sta
occupando l'attività dell'Anci,
perché per decidere chi sarà il
presidente è stata scelta anche la
via legale. Sull'Associazione pende
la spada di Damocle del ricorso
presentato da Ciccolini. Per questo
motivo il sindaco di Bitti frena
sulle elezioni: «Ritengo alquanto
singolare che con un ricorso
pendente si possa procedere».
Arriva un appello al voto invece da
parte di Deiana attraverso una
lettera inviata ai sindaci, che,
«dopo mesi di stasi hanno la
possibilità di riprendersi in mano
le sorti della loro associazione
più rappresentativa».
LO SCONTRO Il gioco del tiro alla
fune tra Ciccolini e Deiana ha visto
sullo sfondo l'Associazione che in
questi mesi ha cercato, senza
arrivare a risultati, di dipanare la
matassa. «Non è stata capace di
essere arbitro imparziale», attacca
Ciccolini, che aggiunge: «L'Anci
ha riconosciuto la regolarità del
voto. Mi chiedo come mai allora non
proclamino presidente chi ha preso
più voti alla prima assemblea».
AL VOTO Deiana, però, si affida alla
democrazia e cita i prossimi
appuntamenti istituzionali per
convincere i colleghi a votare: «Ho
fiducia nell'urgenza dei sindaci di
autodeterminarsi, nella loro
capacità di leggere le difficoltà
del tempo presente». E proprio il
richiamo alla democrazia non va giù
a Ciccolini, convinto che «chi
parla di democrazia, deve accettare
il verdetto: chi prende più voti
vince le elezioni».
LE SPINE In questo periodo tra
sindaci e Regione, senza escludere lo
Stato, non sempre il rapporto è
stato idilliaco. Ultimo caso la
gestione della Protezione civile in
occasione del maltempo. Chiunque
andrà a guidare l'Anci, a
prescindere che lo faccia con una sentenza o
con una normale elezione, dovrà
governare un esercito sempre più sul
piede di guerra, che chiede
posizioni dure e senza sconti.
Matteo Sau
Il
sindacato
«Politiche
del lavoro, la spesa è troppo lenta»
«Sulle politiche attive per il
lavoro abbiamo due grandi
preoccupazioni: la prima riguarda i
tempi di spendita delle risorse,
troppo lenti. La seconda è quella
sui reali effetti: oggi ci sono una
trentina di misure in campo, ma non
sembra che tutte rispondano a
necessità concrete, credo che dovremmo
fare un “tagliando” e capire
cose serve e cosa no». Il segretario
generale della Cisl, Ignazio
Ganga, ricorda che «nell'Isola siamo
in pieno terremoto antropologico,
con figli e padri uniti dallo stesso
destino, da un lato quote
importanti di 15-29enni che non
hanno mai lavorato, dall'altro quote
altrettanto numerose di over
cinquantenni fuori dal mercato,
considerati già anziani per
lavorare».
Dunque, ben venga il prestito
previdenziale approvato dalla Giunta
regionale, «ma a condizione che non
abbia una valenza straordinaria e
che si sposi con un solido
armamentario di altri interventi». Aggiunge
Ganga: «Gran parte delle politiche
attive del lavoro le facciamo con
fondi comunitari, il Fondo sociale
europeo è diventato il fondo della
speranza, e per questa
programmazione abbiamo 256 milioni in meno
rispetto alla precedente. Se non
verranno ripristinate le risorse, con
la Finanziaria regionale, rischiamo
di soccombere alla disoccupazione
e alla povertà dilaganti».
Porti,
il trono vacante La nomina è un rebus
Intrecci
politici dietro i ritardi del ministro Delrio: tre i nomi in lizza
L'Autorità
sarda è l'unica ancora da assegnare
Arriverà presto, dicono. E stavolta
è difficile che le previsioni non
siano rispettate: delle quindici autorità
portuali nuove di zecca,
ridisegnate dalla matita del
ministro delle Infrastrutture Graziano
Delrio, quella sarda è l'unica a non
avere ancora un presidente. Gli
scali di Cagliari e Olbia sono
commissariati da più di un anno e
mentre nel resto d'Italia tutte le
caselle sono ormai state occupate,
in Sardegna regna ancora
l'incertezza.
Eppure la nomina è di quelle
importanti, e non solo per le
responsabilità e le competenze
dell'authority. Dalla scelta dipende in
parte anche il rimpasto in Giunta
regionale, visto che l'assessore ai
Trasporti Massimo Deiana è tra i
candidati in lizza. Senza questa
tessera, il puzzle degli assessorati
non si chiude.
I CANDIDATI Le ultime indiscrezioni
danno per favorito Domenico
Bagalà, ingegnere calabrese nato a
Gioia Tauro, ma buon conoscitore
del porto di Cagliari, dove ha già
lavorato per anni come
amministratore delegato della
Contship, socio di maggioranza dello
scalo industriale di Macchiareddu.
Il suo profilo sarebbe tra i
preferiti del ministro Delrio, che
nell'ultima infornata di nomine -
per le authority di Sicilia e
Calabria - ha scelto figure manageriali
per puntare sullo sviluppo del
traffico dei container.
Il suo curriculum è nella lista
ristretta che il ministero dei
Trasporti aveva elaborato a ottobre,
dopo una prima scrematura delle
oltre 300 domande arrivate da tutta
Italia. È vero: nessuno obbliga
Delrio ad attingere dall'elenco,
anche se per il momento dodici delle
quattordici nomine già portate a
termine arrivano da questa short-list.
I SARDI Nella griglia - è noto da
tempo - ci sono due sardi. Il primo
è appunto l'assessore Deiana. Una
eventuale nomina a capo
dell'autorità portuale dell'Isola
libererebbe un posto in Giunta. In
caso contrario, il suo posto
nell'esecutivo sembra blindato. L'altro
nome è quello di Francesca Medda,
professoressa dell'University
College di Londra, già scelta nel
2015 da Francesco Pigliaru per il
consiglio d'amministrazione della
Sogaer (dopo poche settimane si era
però dimessa), che da outsider si
sarebbe trasformata nelle ultime ore
nell'alternativa più probabile a
Bagalà.
Sembra invece tramontata
definitivamente la pista che portava Chicco
Porcu, consigliere regionale dal
2004 al 2014, per mesi dato tra i
favoriti in virtù della vicinanza
all'ex premier Matteo Renzi.
I TEMPI Di sicuro prima che
l'autorità unica del Mar di Sardegna abbia
una nuova guida ci vorrà ancora un
po' di tempo. Perché la procedura
individuata dalla Riforma dei porti
è chiara: il presidente viene
nominato dal ministro delle
Infrastrutture «d'intesa con il presidente
della Regione». Delrio deve fare
ufficialmente una proposta, che poi
va approvata da Pigliaru. E per il
momento da Roma non è ancora
arrivata nessuna comunicazione.
Sul rallentamento della pratica ha
influito anche il ricovero del
governatore, in ospedale dall'inizio
di gennaio fino a due giorni fa:
una nomina così delicata va discussa
di persona, e l'ultimo incontro
ufficiale tra Pigliaru e Delrio
risale a fine novembre, poco prima del
referendum. È probabile che la
situazione si sblocchi nei prossimi
giorni, quando il presidente della
Regione ritornerà ai suoi impegni.
IL PARERE Ma anche nella migliore
delle ipotesi l'insediamento del
nuovo capo dei porti sardi non
avverrà prima di marzo. Fino ad ora la
procedura di tutte le nomine è
durata circa un mese e mezzo. Dopo
l'accordo tra il ministero e la
Regione, la proposta deve ricevere
anche il parere della commissione
Trasporti della Camera.
Salvo colpi di scena la sede sarà a
Cagliari, nonostante il pressing
di molti politici olbiesi per
trasferire in Gallura la cabina di
comando. E non ci sarà nessuno
sdoppiamento temporaneo, come
ipotizzato in un primo momento. Su
questo Graziano Delrio è stato
chiaro: si partirà direttamente con
l'authority unica.
Michele Ruffi
Monito
del segretario Ganga
Cisl,
grido d'allarme: «L'industria muore, la politica reagisca»
Una solida base industriale in
Sardegna è condizione indispensabile
per uno sviluppo di lungo periodo e
per la crescita economica. Lo dice
il segretario della Cisl sarda,
Ignazio Ganga, che rispetto al
confronto sulla manovra finanziaria
regionale per il 2017 invoca «una
nuova strategia manifatturiera»,
come unica alternativa al pesante
rischio di deindustrializzazione.
L'Istat, fa notare una nota firmata
dal leader sindacale, «non più
tardi dello scorso mese di dicembre
ha disegnato per la Sardegna
un'ulteriore discesa del Pil dello
0,7% rispetto al periodo 2011-2015,
mentre il contributo del comparto
industriale al valore aggiunto
regionale è pari appena al 7,7%. A
distanza siderale dalla media
nazionale ( 18,5%)». Il Sud ci
supera di 3,5 punti, fanno peggio
solamente Calabria e Sicilia. «Un
sistema produttivo sardo con valori
pre-Rinascita», prosegue Ganga, «sia
per il contributo alla crescita
regionale sia per il numero di
addetti, scesi al minimo storico del
10,2% dell'intero mercato del lavoro
regionale». Senza contare che
molti sono in cassa integrazione o
in mobilità.
Questi numeri, a giudizio del
sindacato, rendono «urgente un nuovo
progetto di Sardegna industriale, e
la ripresa, su questo, del dialogo
col governo e una forte azione
settoriale della Regione. A partire dal
confronto sulla legge di bilancio,
per individuare nuove strategie e
risorse utili a sostenere politiche
e interventi adeguati per la
sopravvivenza e l'evoluzione di un
settore fondamentale». Mentre
scompaiono interi settori, come il
tessile, e resta appesa a un filo
la sorte dei poli industriali di Porto
Torres, Portovesme, Assemini,
Ottana e Arbatax, la Cisl chiede di
«non assistere impotenti» alla
situazione.
Eppure, conclude Ganga, «la
questione industriale continua a non
essere, nonostante alcuni sforzi
compiuti, pienamente centrale nelle
strategie di sviluppo della
Sardegna. Un ritardo e un limite da
recuperare al più presto rilanciando
le istanze del sofferente
apparato produttivo».
La Nuova Sardegna
Sindaci
contro la Regione Cresce la protesta dei primi cittadini. Chiedono maggiore
dialogo alla giunta Masia cheremule Non sono convinto che le grandi
aggregazioni portino un miglioramento
di Luca Rojch wSASSARI Sedotti e
abbandonati. I sindaci sono pronti
alla rivolta contro la Regione.
Giorno dopo giorno sembra essersi
aperta una voragine tra amministratori
e giunta. E ora si inizia a
parlare di un partito dei sindaci
pronto a scendere in campo. La
rivolta dei piccoli 300 sembra a un
passo. Il feeling tra la Regione e
i Comuni è spazzato via da tagli e
promesse. Sogni e rabbia. I sindaci
si sentono raggirati da quella che
considerano un’ars imbonitoria. Da
programmi fatti di master plan e
mirabili destini che non si
realizzano. Spopolati, tartassati,
svuotati di servizi. Tra i sindaci
sembra essersi formato un asse. «che
mi pare inizi a spaventare molti
a Cagliari –dice il sindaco di
Desulo Gigi Littarru –. Ma noi
chiediamo solo di non essere
abbandonati. La Regione è assente, da un
decennio taglia e accentra.
Cancella servizi e qualità della
vita». Il
vero trappolone in cui potrebbe
cadere il governatore Francesco
Pigliaru non è il pentolone
indigesto del rimpasto, ma la rivolta dei
Comuni. L’azione di riforma della
giunta Pigliaru nei piccoli centri
dell’isola non viene percepita. La
sanità. La distanza tra Cagliari e
i piccoli comuni rischia di
diventare siderale. Difficile per un
sindaco spiegare ai concittadini che
la chiusura o ridimensionamento
di un presidio ospedaliero sia un
bene. La riforma della rete prevista
dalla giunta è ancora sulla carta,
ma sembra la benzina che farà
divampare l’incendio della rivolta.
Peste suina. Il collante che ha
unito molti sindaci dell’interno è
la lotta alla peste suina.
Battaglia fondamentale che la
Regione per la prima volta porta avanti
in modo organico. Si prova a
debellarla e forse dentro di sé i sindaci
sono anche favorevoli alle maniere
forti usate dalla Regione. Ma il
primo cittadino rimane da solo ad
affrontare il territorio in rivolta.
La sintesi perfetta del sentimento
popolare l’ha fatta il sindaco
Littarru sotto un metro di neve.
«Sono arrivati in 300 per uccidere 10
maiali, ma non si vede nessuno a
spalare la neve». La scuola. La prima
spallata alla notorietà della giunta
è arrivata proprio dal
dimensionamento scolastico.
Riorganizzato il sistema per migliorare la
qualità dello studio. Tutto vero.
Ma i territorio hanno percepito solo
la cancellazione della scuola. «A
Thiesi hanno cancellato la scuola
perché mancavano tre iscritti –
spiega il sindaco di Cheremule
Salvatore Masia –. Non sono convinto
che le grandi aggregazioni
portino un miglioramento della
qualità del servizio. L’abbiamo visto
con Abbanoa. Non contenti hanno
applicato lo stesso modello sulla
sanità con la Asl unica». Masia non
nasconde i suoi timori. «La paura
per i centri più piccoli è che la
razionalizzazione dei costi si
risolverà in un calo dei servizi.
Stessa cosa per i trasporti. Hanno
chiuso la stazione di Cheremule per
mancanza di traffico. Va bene. Ma
poi hanno fatto lo stesso con Giave
e Bonorva. Un cittadino di Romana,
Thiesi o Villanova deve andare a
Macomer per prendere il treno».
Protezione civile. L’ultimo feroce
strappo si è consumato
sull’emergenza maltempo.
La Regione era in prima linea, ma il
suo
intervento non si è rivelato
sufficiente per affrontare una nevicata
eccezionale. Lo Stato si è nascosto,
ma a pagare è stata proprio la
protezione civile che in campo ha
messo tutte le forze. Questione di
immagine. La conferma di un forte
malcontento tra i sindaci arriva
anche da Daniele Cocco, primo
cittadino di Bottida e consigliere
regionale. «Ci sono criticità dovute
al fatto che su alcune norme
approvate per dare risposte ai
Comuni non sono ancora partite. Misure
mi riferisco al Reis, il reddito di
inclusione sociale. E anche i
cantieri verdi che consentirebbero a
100 Comuni di dare il via a
lavori per mettere in sicurezza il
territorio e dare lavoro. È anche
un problema di comunicazione. Serve
una interlocuzione diversa». Molto
più netto Littarru. «Il sistema
Regione non funziona – dice –. Subiamo
le decisioni del Palazzo del potere.
Da oltre 10 anni tutto viene
deciso a Cagliari senza parlare con
noi. Chiediamo di essere chiamati
in causa quando ci sono decisioni
che toccano le nostre popolazioni.
Ci sentiamo abbandonati dalla
Regione che è comandata dai burocrati.
La chiave centrale è il recupero
della centralità della politica. Oggi
manca la politica. Fino a quando ci
saranno assessori che non dann
risposte la situazione rimarrà
questa. L’elenco è facile. La riforma
enti locali è una porcata. Fatta di
imperio. Stessa cosa per quella
sanitaria, per Forestas. Un grande
movimento di sindaci chiede
rispetto. E oggi sempre più si
guarda con timore a un possibile
partito dei sindaci».
Anci
Oggi
assemblea ad Abbasanta per eleggere il presidente
SASSARI Oggi l’Anci potrebbe
eleggere il nuovo presidente, ma è
possibile che anche l’assemblea di
Abbasanta si risolva con una fumata
nera. È quasi certo, infatti, che
alla chiamata del presidente
dell’assemblea, Mario Bruno, sindaco
di Alghero, non si presenti una
delle due parti in causa, quella che
fa capo a Giuseppe Ciccolini. Il
sindaco di Bitti, infatti, ha già
annunciato che bisognerebbe
attendere l’8 febbraio.
Per la prossima settimana è attesa
la
pronuncia del giudice del tribunale
di Cagliari sul ricorso presentato
da Ciccolini contro la decisione
dell'ufficio di presidenza che ha
bloccato la sua elezione al vertice
dell'associazione per la mancanza
del quorum nel voto del 23
settembre. «Bisogna evitare colpi di mano»,
ha dichiarato il sindaco di Bitti.
Un appello che è stato rispedito al
mittente dall'altro aspirante al
trono dei Comuni sardi, Emiliano
Deiana, sindaco di Bortigiadas. «Io
non mi occupo di fatti giudiziari,
ma di fatti politici. Saranno i
sindaci a decidere cosa sarà della
loro associazione».
Dall’opposizione
contro Pigliaru: non ha risolto le emergenze della Sardegna
Riformatori:
la giunta ha fallito
CAGLIARI Il contro-bilancio di metà
mandato è un’elaborazione del
centro studi dei Riformatori,
partito d’opposizione. La pagella
scaricata sulla maggioranza di
centrosinistra al governo dal 2014 è
pesante come un macigno: «Ha
fallito, insieme ai tecnici della giunta
Pigliaru, che hanno confermato di
essere inesperti nella gestione
della pubblica amministrazione». Con
all’origine un peccato capitale
impossibile da cancellare, secondo
il movimento: l’arroganza
ideologica. «Gli assessori sono
convinti – è l’accusa – che basti
approvare una delibera per risolvere
il problema. È sbagliato. Invece
ogni intervento dev’essere
monitorato dall’inizio alla fine per capire
se produce effetti positivi o
negativi sul territorio, ma questo non
lo fa nessun assessore».
Le 53 pagine pubblicate pochi giorni
dalla
Regione sono bollette come
«barzellette e neanche divertenti». Secondo
il consigliere regionale Michele
Cossa, «la realtà è più desolante di
quella enfatizzata dalla giunta, che
prova ad aggrapparsi a questi
successi effimeri, ma poi scivola
sempre nel baratro delle cose non
fatte». Per il segretario regionale
Pietro Fois «in questi tre anni
nessun indicatore economico e
sociale è passato dal segno negativo a
quello positivo». Anche nelle
emergenze – sostengono i Riformatori –
la Regione è intervenuta fuori tempo
massimo «senza alla fine
raddrizzare neanche un’azienda».
Abituata all’autocelebrazione, è la
critica di Franco Meloni,
responsabile del centro studi, «il
centrosinistra si schianta su
soluzioni fasulle».
Il
governatore della Puglia si dice pronto a raccogliere le firme e a candidarsi
Davanti
allo spettro di una scissione anche i bersaniani chiedono una verifica
Pd,
Emiliano attacca Renzi «Fare subito il congresso»
di
Gabriele Rizzardi
ROMA «Un congresso è necessario. Se
il segretario lo nega, è lui che
fa la scissione, non sono gli
altri». Michele Emiliano, presidente
della Regione Puglia, attacca Matteo
Renzi come principale
responsabile delle divisioni che
stanno mandando in fibrillazione il
Partito democratico. L’occasione è
offerta da un’intervista con Lucia
Annunziata nel corso della trasmissione
“In 1/2 ora”. In studio
riecheggiano le parole con cui
Massimo D’Alema ha lasciato intendere
la possibilità di una scissione. E
il presidente della Regione Puglia
ribalta i termini della questione.
«La scissione parte da chi non
rispetta le norme dello statuto.
Chi non sta rispettando le norme
dello statuto in questo momento è il
segretario di partito che ne
dovrebbe essere il custode e il
tutore» affonda Emiliano che si dice
disposto a percorrere qualsiasi
strada per arrivare al congresso:
«Siccome questa posizione è
insostenibile, si può perfino arrivare
alle carte bollate per obbligarlo a
fare il congresso». Emiliano non
nasconde di essere un potenziale
candidato alla segreteria: «Se ci
sarà bisogno di candidarsi mi
candiderò. Se ce n’è un altro che
funziona meglio di me non ho nessun
problema a fare campagna
elettorale per lui». Quanto
all’ipotesi di ricorrere alle carte
bollate, i renziani ricordano a
Emiliano che «a norma di statuto» il
congresso del Pd si tiene a dicembre
2017.
Tagliente è il commento del
presidente del Pd, Matteo Orfini:
«Mi auguro che l’Emiliano magistrato
conosca la legge meglio di come
l’Emiliano politico conosce lo statuto
del suo partito». A chiedere un
congresso o un momento di
«contendibilità» nel partito sono
anche i bersaniani, i più tiepidi
sull’ipotesi di una scissione. «Se
le cose dovessero precipitare e si
dovesse correre verso il voto penso
che c’è bisogno di rendere
contendibile il campo del Pd e del
centrosinistra. Il luogo ideale è
il congresso. È previsto nel 2017.
Se si voterà dopo il congresso si
può fare a scadenza naturale. Se si
dovesse anticipare dovremo trovare
altre modalità» dice Roberto
Speranza, che si ritaglia il ruolo di
“mediatiore” tra Renzi e D’Alema.
«Sono due mondi che devono camminare
insieme, non sono due mondi armati
l’uno contro l’altro. Noi siamo il
centrosinisatra, per me gli
avversari sono i nazionalismi, le destre,
i populismi» precisa l’esponente
della minoranza dem . Si arriverà
alla scissione? «Il governo lavora
senza pensare a scadenze e
minacciare scissioni non aiuta a
fare proposte» taglia corto il
ministro Graziano Delrio.
Nell’attesa delle motivazioni della
Consulta
sull’Italicum, Renzi, che vuole il
voto a giugno, farà un ultimo
tentativo sul Mattarellum (che non
piace a Forza Italia) e poi proverà
ad aprire la strada al voto con il
doppio sistema: il Senato si
eleggerebbe con il Consultellum
mentre alla Camera si applicherebbe la
legge prodotta dalla sentenza della
Consulta. Un nodo che verrà
sciolto il 13 febbraio, durante la
Direzione del partito convocata
proprio per fare il punto sulle
trattative e sulle motivazioni dei
supremi giudici. E se la trattativa
sulle legge elettorale fallisse?
«Prima del 13 facciamo tutti i tentativi
possibili» è la linea di
Renzi.
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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