lunedì 30 gennaio 2017

Rassegna stampa 30 Gennaio 2017

Unione Sarda

Pd nel caos, lite sul congresso Emiliano sventola la carta bollata Orfini e Delrio chiudono l'assemblea di Rimini: accordo sulla legge elettorale o al voto.

RIMINI Massimo D'Alema e «i riservisti» chiamati in campo in nome di una possibile scissione non spaventano il Pd. Di solito, attacca Matteo Orfini chiudendo l'assemblea degli amministratori locali dem a Rimini, «sono quelli che vengono chiamati in guerra per aiutare il proprio Paese», mentre «noi siamo l'unico partito in cui i riservisti vengono richiamati per aiutare l'avversario», ma in ogni caso non fanno paura. In generale, è convinto il presidente Pd, «una grande forza politica come questa non può chiudersi e asserragliarsi nelle istituzioni per paura del voto. Il Pd non può mai considerare il ricorso alla democrazia come un rischio». Ma la minoranza non ci sta: chiede il congresso. E Michele Emiliano, governatore della Puglia, minaccia il ricorso «alle carte bollate».

TABELLA DI MARCIA Avviato il duello sul voto anticipato, dopo l'intervento di Matteo Renzi l'altro ieri, la road map non cambia. Nel corso della prossima settimana inizieranno gli incontri con le altre forze politiche sulla legge elettorale, alla ricerca di un accordo in vista del voto a giugno. Due settimane sono il tempo massimo indicato dal segretario ai suoi «ambasciatori» per portare a casa il risultato. Diversamente, dal momento «che la legislatura è politicamente finita il 4 dicembre», si andrà al voto. Non sono solo i renziani di stretta osservanza a pensarla così. «Il Parlamento deve mettersi d'accordo per dare al Paese una legge che garantisca governabilità o per andare a votare con questa legge», dice Graziano Delrio.

L'OBIETTIVO In questo caso, «l'unica strada percorribile» per apportare al testo, così come riformato dalla Consulta, alcune piccole modifiche che potrebbero essere sollecitate dagli stessi giudici delle leggi potrebbe essere «un disegno di legge del Governo, blindato in Parlamento da un consenso ampio all'interno della maggioranza».

L'obiettivo del Pd resta il 40% indicato da Renzi. Nessun «listone impapocchiato», assicura Orfini. Il 40%? «Perché no, ci siamo già riusciti», dice Delrio che apre a un'ottica «coalizionale» che guardi però alle «interessanti esperienze dei sindaci». Zedda, Pisapia e Doria «hanno fatto bene». Il candidato premier, non ha dubbi il ministro dei Trasporti, direttamente chiamato in causa da alcune ricostruzioni stampa nella corsa a palazzo Chigi, rimane Matteo Renzi. Se D'Alema non preoccupa («a forza di spostarsi a sinistra ti ritrovi a destra insieme a Trump», dice Orfini), diverso è il discorso per i bersaniani. Il presidente Pd plaude alla presenza a Rimini di Roberto Speranza. Si lascia filtrare una possibile «disponibilità» al dialogo in nome dell'unità del partito e di qualche seggio bloccato.

NESSUNA TRATTATIVA La minoranza non ci sta. «Nessuna trattativa. Non è possibile andare al voto senza fare prima un congresso». Minaccia il ricorso «alle carte bollate», Michele Emiliano. «Un congresso è necessario, se il segretario lo nega, allora è lui ad arrivare a una scissione, non gli altri». Falsità, ribatte la commissione di Garanzia Pd.

SINDACI IN ASSEMBLEA. Ciccolini: aspettare l'esito del ricorso.
Deiana: superiamo la stasi Anci, ultimo duello in casa Pd
Oggi nuove elezioni, ma uno dei candidati chiede di rinviare

Due modi diversi di intendere l'Anci e due idee contrapposte su come
uscire dallo stallo che blocca l'elezione del presidente da quattro
mesi. Nodi dell'assemblea convocata per oggi alle 10 al Nuraghe Losa,
per ripetere le elezioni e mettere la parola fine a una situazione di
incertezza e carte bollate.

I due contendenti, Emiliano Deiana e Giuseppe Ciccolini (sindaci di
Bortigiadas e Bitti) ci saranno, ma il primo punta alle elezioni,
mentre il secondo frena in attesa del verdetto del ricorso che
arriverà l'otto febbraio. Effetto delle elezioni nulle del 23
settembre scorso che, oltre ai sindaci, ha portato all'assemblea
dell'Anci i timonieri della politica a capo delle correnti.
LO SCONTRO I due sindaci fanno parte entrambi del Partito democratico.
Eppure quella che sembrava una diatriba interna, figlia delle correnti
dem a cui si sono aggiunti altri partiti per alleanze trasversali, ha
ampliato il raggio, spostando l'attenzione sul modo di intendere i
rapporti istituzionali.

Ma non è soltanto un muro contro muro politico quello che sta
occupando l'attività dell'Anci, perché per decidere chi sarà il
presidente è stata scelta anche la via legale. Sull'Associazione pende
la spada di Damocle del ricorso presentato da Ciccolini. Per questo
motivo il sindaco di Bitti frena sulle elezioni: «Ritengo alquanto
singolare che con un ricorso pendente si possa procedere».
Arriva un appello al voto invece da parte di Deiana attraverso una
lettera inviata ai sindaci, che, «dopo mesi di stasi hanno la
possibilità di riprendersi in mano le sorti della loro associazione
più rappresentativa».

LO SCONTRO Il gioco del tiro alla fune tra Ciccolini e Deiana ha visto
sullo sfondo l'Associazione che in questi mesi ha cercato, senza
arrivare a risultati, di dipanare la matassa. «Non è stata capace di
essere arbitro imparziale», attacca Ciccolini, che aggiunge: «L'Anci
ha riconosciuto la regolarità del voto. Mi chiedo come mai allora non
proclamino presidente chi ha preso più voti alla prima assemblea».
AL VOTO Deiana, però, si affida alla democrazia e cita i prossimi
appuntamenti istituzionali per convincere i colleghi a votare: «Ho
fiducia nell'urgenza dei sindaci di autodeterminarsi, nella loro
capacità di leggere le difficoltà del tempo presente». E proprio il
richiamo alla democrazia non va giù a Ciccolini, convinto che «chi
parla di democrazia, deve accettare il verdetto: chi prende più voti
vince le elezioni».

LE SPINE In questo periodo tra sindaci e Regione, senza escludere lo
Stato, non sempre il rapporto è stato idilliaco. Ultimo caso la
gestione della Protezione civile in occasione del maltempo. Chiunque
andrà a guidare l'Anci, a prescindere che lo faccia con una sentenza o
con una normale elezione, dovrà governare un esercito sempre più sul
piede di guerra, che chiede posizioni dure e senza sconti.
Matteo Sau

Il sindacato
«Politiche del lavoro, la spesa è  troppo lenta»

«Sulle politiche attive per il lavoro abbiamo due grandi
preoccupazioni: la prima riguarda i tempi di spendita delle risorse,
troppo lenti. La seconda è quella sui reali effetti: oggi ci sono una
trentina di misure in campo, ma non sembra che tutte rispondano a
necessità concrete, credo che dovremmo fare un “tagliando” e capire
cose serve e cosa no». Il segretario generale della Cisl, Ignazio
Ganga, ricorda che «nell'Isola siamo in pieno terremoto antropologico,
con figli e padri uniti dallo stesso destino, da un lato quote
importanti di 15-29enni che non hanno mai lavorato, dall'altro quote
altrettanto numerose di over cinquantenni fuori dal mercato,
considerati già anziani per lavorare».

Dunque, ben venga il prestito previdenziale approvato dalla Giunta
regionale, «ma a condizione che non abbia una valenza straordinaria e
che si sposi con un solido armamentario di altri interventi». Aggiunge
Ganga: «Gran parte delle politiche attive del lavoro le facciamo con
fondi comunitari, il Fondo sociale europeo è diventato il fondo della
speranza, e per questa programmazione abbiamo 256 milioni in meno
rispetto alla precedente. Se non verranno ripristinate le risorse, con
la Finanziaria regionale, rischiamo di soccombere alla disoccupazione
e alla povertà dilaganti».

Porti, il trono vacante La nomina è un rebus
Intrecci politici dietro i ritardi del ministro Delrio: tre i nomi in lizza
L'Autorità sarda è l'unica ancora da assegnare

Arriverà presto, dicono. E stavolta è difficile che le previsioni non
siano rispettate: delle quindici autorità portuali nuove di zecca,
ridisegnate dalla matita del ministro delle Infrastrutture Graziano
Delrio, quella sarda è l'unica a non avere ancora un presidente. Gli
scali di Cagliari e Olbia sono commissariati da più di un anno e
mentre nel resto d'Italia tutte le caselle sono ormai state occupate,
in Sardegna regna ancora l'incertezza.

Eppure la nomina è di quelle importanti, e non solo per le
responsabilità e le competenze dell'authority. Dalla scelta dipende in
parte anche il rimpasto in Giunta regionale, visto che l'assessore ai
Trasporti Massimo Deiana è tra i candidati in lizza. Senza questa
tessera, il puzzle degli assessorati non si chiude.

I CANDIDATI Le ultime indiscrezioni danno per favorito Domenico
Bagalà, ingegnere calabrese nato a Gioia Tauro, ma buon conoscitore
del porto di Cagliari, dove ha già lavorato per anni come
amministratore delegato della Contship, socio di maggioranza dello
scalo industriale di Macchiareddu. Il suo profilo sarebbe tra i
preferiti del ministro Delrio, che nell'ultima infornata di nomine -
per le authority di Sicilia e Calabria - ha scelto figure manageriali
per puntare sullo sviluppo del traffico dei container.

Il suo curriculum è nella lista ristretta che il ministero dei
Trasporti aveva elaborato a ottobre, dopo una prima scrematura delle
oltre 300 domande arrivate da tutta Italia. È vero: nessuno obbliga
Delrio ad attingere dall'elenco, anche se per il momento dodici delle
quattordici nomine già portate a termine arrivano da questa short-list.

I SARDI Nella griglia - è noto da tempo - ci sono due sardi. Il primo
è appunto l'assessore Deiana. Una eventuale nomina a capo
dell'autorità portuale dell'Isola libererebbe un posto in Giunta. In
caso contrario, il suo posto nell'esecutivo sembra blindato. L'altro
nome è quello di Francesca Medda, professoressa dell'University
College di Londra, già scelta nel 2015 da Francesco Pigliaru per il
consiglio d'amministrazione della Sogaer (dopo poche settimane si era
però dimessa), che da outsider si sarebbe trasformata nelle ultime ore
nell'alternativa più probabile a Bagalà.

Sembra invece tramontata definitivamente la pista che portava Chicco
Porcu, consigliere regionale dal 2004 al 2014, per mesi dato tra i
favoriti in virtù della vicinanza all'ex premier Matteo Renzi.
I TEMPI Di sicuro prima che l'autorità unica del Mar di Sardegna abbia
una nuova guida ci vorrà ancora un po' di tempo. Perché la procedura
individuata dalla Riforma dei porti è chiara: il presidente viene
nominato dal ministro delle Infrastrutture «d'intesa con il presidente
della Regione». Delrio deve fare ufficialmente una proposta, che poi
va approvata da Pigliaru. E per il momento da Roma non è ancora
arrivata nessuna comunicazione.

Sul rallentamento della pratica ha influito anche il ricovero del
governatore, in ospedale dall'inizio di gennaio fino a due giorni fa:
una nomina così delicata va discussa di persona, e l'ultimo incontro
ufficiale tra Pigliaru e Delrio risale a fine novembre, poco prima del
referendum. È probabile che la situazione si sblocchi nei prossimi
giorni, quando il presidente della Regione ritornerà ai suoi impegni.
IL PARERE Ma anche nella migliore delle ipotesi l'insediamento del
nuovo capo dei porti sardi non avverrà prima di marzo. Fino ad ora la
procedura di tutte le nomine è durata circa un mese e mezzo. Dopo
l'accordo tra il ministero e la Regione, la proposta deve ricevere
anche il parere della commissione Trasporti della Camera.
Salvo colpi di scena la sede sarà a Cagliari, nonostante il pressing
di molti politici olbiesi per trasferire in Gallura la cabina di
comando. E non ci sarà nessuno sdoppiamento temporaneo, come
ipotizzato in un primo momento. Su questo Graziano Delrio è stato
chiaro: si partirà direttamente con l'authority unica.
Michele Ruffi

Monito del segretario Ganga
Cisl, grido d'allarme: «L'industria muore, la politica reagisca»

Una solida base industriale in Sardegna è condizione indispensabile
per uno sviluppo di lungo periodo e per la crescita economica. Lo dice
il segretario della Cisl sarda, Ignazio Ganga, che rispetto al
confronto sulla manovra finanziaria regionale per il 2017 invoca «una
nuova strategia manifatturiera», come unica alternativa al pesante
rischio di deindustrializzazione.

L'Istat, fa notare una nota firmata dal leader sindacale, «non più
tardi dello scorso mese di dicembre ha disegnato per la Sardegna
un'ulteriore discesa del Pil dello 0,7% rispetto al periodo 2011-2015,
mentre il contributo del comparto industriale al valore aggiunto
regionale è pari appena al 7,7%. A distanza siderale dalla media
nazionale ( 18,5%)». Il Sud ci supera di 3,5 punti, fanno peggio
solamente Calabria e Sicilia. «Un sistema produttivo sardo con valori
pre-Rinascita», prosegue Ganga, «sia per il contributo alla crescita
regionale sia per il numero di addetti, scesi al minimo storico del
10,2% dell'intero mercato del lavoro regionale». Senza contare che
molti sono in cassa integrazione o in mobilità.

Questi numeri, a giudizio del sindacato, rendono «urgente un nuovo
progetto di Sardegna industriale, e la ripresa, su questo, del dialogo
col governo e una forte azione settoriale della Regione. A partire dal
confronto sulla legge di bilancio, per individuare nuove strategie e
risorse utili a sostenere politiche e interventi adeguati per la
sopravvivenza e l'evoluzione di un settore fondamentale». Mentre
scompaiono interi settori, come il tessile, e resta appesa a un filo
la sorte dei poli industriali di Porto Torres, Portovesme, Assemini,
Ottana e Arbatax, la Cisl chiede di «non assistere impotenti» alla
situazione.

Eppure, conclude Ganga, «la questione industriale continua a non
essere, nonostante alcuni sforzi compiuti, pienamente centrale nelle
strategie di sviluppo della Sardegna. Un ritardo e un limite da
recuperare al più presto rilanciando le istanze del sofferente
apparato produttivo».

La Nuova Sardegna

Sindaci contro la Regione Cresce la protesta dei primi cittadini. Chiedono maggiore dialogo alla giunta Masia cheremule Non sono convinto che le grandi aggregazioni portino un miglioramento

di Luca Rojch wSASSARI Sedotti e abbandonati. I sindaci sono pronti
alla rivolta contro la Regione. Giorno dopo giorno sembra essersi
aperta una voragine tra amministratori e giunta. E ora si inizia a
parlare di un partito dei sindaci pronto a scendere in campo. La
rivolta dei piccoli 300 sembra a un passo. Il feeling tra la Regione e
i Comuni è spazzato via da tagli e promesse. Sogni e rabbia. I sindaci
si sentono raggirati da quella che considerano un’ars imbonitoria. Da
programmi fatti di master plan e mirabili destini che non si
realizzano. Spopolati, tartassati, svuotati di servizi. Tra i sindaci
sembra essersi formato un asse. «che mi pare inizi a spaventare molti
a Cagliari –dice il sindaco di Desulo Gigi Littarru –. Ma noi
chiediamo solo di non essere abbandonati. La Regione è assente, da un
decennio taglia e accentra.

Cancella servizi e qualità della vita». Il
vero trappolone in cui potrebbe cadere il governatore Francesco
Pigliaru non è il pentolone indigesto del rimpasto, ma la rivolta dei
Comuni. L’azione di riforma della giunta Pigliaru nei piccoli centri
dell’isola non viene percepita. La sanità. La distanza tra Cagliari e
i piccoli comuni rischia di diventare siderale. Difficile per un
sindaco spiegare ai concittadini che la chiusura o ridimensionamento
di un presidio ospedaliero sia un bene. La riforma della rete prevista
dalla giunta è ancora sulla carta, ma sembra la benzina che farà
divampare l’incendio della rivolta.

Peste suina. Il collante che ha
unito molti sindaci dell’interno è la lotta alla peste suina.
Battaglia fondamentale che la Regione per la prima volta porta avanti
in modo organico. Si prova a debellarla e forse dentro di sé i sindaci
sono anche favorevoli alle maniere forti usate dalla Regione. Ma il
primo cittadino rimane da solo ad affrontare il territorio in rivolta.
La sintesi perfetta del sentimento popolare l’ha fatta il sindaco
Littarru sotto un metro di neve. «Sono arrivati in 300 per uccidere 10
maiali, ma non si vede nessuno a spalare la neve». La scuola. La prima
spallata alla notorietà della giunta è arrivata proprio dal
dimensionamento scolastico. Riorganizzato il sistema per migliorare la
qualità dello studio. Tutto vero.

Ma i territorio hanno percepito solo
la cancellazione della scuola. «A Thiesi hanno cancellato la scuola
perché mancavano tre iscritti – spiega il sindaco di Cheremule
Salvatore Masia –. Non sono convinto che le grandi aggregazioni
portino un miglioramento della qualità del servizio. L’abbiamo visto
con Abbanoa. Non contenti hanno applicato lo stesso modello sulla
sanità con la Asl unica». Masia non nasconde i suoi timori. «La paura
per i centri più piccoli è che la razionalizzazione dei costi si
risolverà in un calo dei servizi. Stessa cosa per i trasporti. Hanno
chiuso la stazione di Cheremule per mancanza di traffico. Va bene. Ma
poi hanno fatto lo stesso con Giave e Bonorva. Un cittadino di Romana,
Thiesi o Villanova deve andare a Macomer per prendere il treno».
Protezione civile. L’ultimo feroce strappo si è consumato
sull’emergenza maltempo.

La Regione era in prima linea, ma il suo
intervento non si è rivelato sufficiente per affrontare una nevicata
eccezionale. Lo Stato si è nascosto, ma a pagare è stata proprio la
protezione civile che in campo ha messo tutte le forze. Questione di
immagine. La conferma di un forte malcontento tra i sindaci arriva
anche da Daniele Cocco, primo cittadino di Bottida e consigliere
regionale. «Ci sono criticità dovute al fatto che su alcune norme
approvate per dare risposte ai Comuni non sono ancora partite. Misure
mi riferisco al Reis, il reddito di inclusione sociale. E anche i
cantieri verdi che consentirebbero a 100 Comuni di dare il via a
lavori per mettere in sicurezza il territorio e dare lavoro. È anche
un problema di comunicazione. Serve una interlocuzione diversa». Molto
più netto Littarru. «Il sistema Regione non funziona – dice –. Subiamo
le decisioni del Palazzo del potere.

Da oltre 10 anni tutto viene
deciso a Cagliari senza parlare con noi. Chiediamo di essere chiamati
in causa quando ci sono decisioni che toccano le nostre popolazioni.
Ci sentiamo abbandonati dalla Regione che è comandata dai burocrati.
La chiave centrale è il recupero della centralità della politica. Oggi
manca la politica. Fino a quando ci saranno assessori che non dann
risposte la situazione rimarrà questa. L’elenco è facile. La riforma
enti locali è una porcata. Fatta di imperio. Stessa cosa per quella
sanitaria, per Forestas. Un grande movimento di sindaci chiede
rispetto. E oggi sempre più si guarda con timore a un possibile
partito dei sindaci».

Anci
Oggi assemblea ad Abbasanta per eleggere il presidente

SASSARI Oggi l’Anci potrebbe eleggere il nuovo presidente, ma è
possibile che anche l’assemblea di Abbasanta si risolva con una fumata
nera. È quasi certo, infatti, che alla chiamata del presidente
dell’assemblea, Mario Bruno, sindaco di Alghero, non si presenti una
delle due parti in causa, quella che fa capo a Giuseppe Ciccolini. Il
sindaco di Bitti, infatti, ha già annunciato che bisognerebbe
attendere l’8 febbraio.

Per la prossima settimana è attesa la
pronuncia del giudice del tribunale di Cagliari sul ricorso presentato
da Ciccolini contro la decisione dell'ufficio di presidenza che ha
bloccato la sua elezione al vertice dell'associazione per la mancanza
del quorum nel voto del 23 settembre. «Bisogna evitare colpi di mano»,
ha dichiarato il sindaco di Bitti. Un appello che è stato rispedito al
mittente dall'altro aspirante al trono dei Comuni sardi, Emiliano
Deiana, sindaco di Bortigiadas. «Io non mi occupo di fatti giudiziari,
ma di fatti politici. Saranno i sindaci a decidere cosa sarà della
loro associazione».

Dall’opposizione contro Pigliaru: non ha risolto le emergenze della Sardegna
Riformatori: la giunta ha fallito

CAGLIARI Il contro-bilancio di metà mandato è un’elaborazione del
centro studi dei Riformatori, partito d’opposizione. La pagella
scaricata sulla maggioranza di centrosinistra al governo dal 2014 è
pesante come un macigno: «Ha fallito, insieme ai tecnici della giunta
Pigliaru, che hanno confermato di essere inesperti nella gestione
della pubblica amministrazione». Con all’origine un peccato capitale
impossibile da cancellare, secondo il movimento: l’arroganza
ideologica. «Gli assessori sono convinti – è l’accusa – che basti
approvare una delibera per risolvere il problema. È sbagliato. Invece
ogni intervento dev’essere monitorato dall’inizio alla fine per capire
se produce effetti positivi o negativi sul territorio, ma questo non
lo fa nessun assessore».

Le 53 pagine pubblicate pochi giorni dalla
Regione sono bollette come «barzellette e neanche divertenti». Secondo
il consigliere regionale Michele Cossa, «la realtà è più desolante di
quella enfatizzata dalla giunta, che prova ad aggrapparsi a questi
successi effimeri, ma poi scivola sempre nel baratro delle cose non
fatte». Per il segretario regionale Pietro Fois «in questi tre anni
nessun indicatore economico e sociale è passato dal segno negativo a
quello positivo». Anche nelle emergenze – sostengono i Riformatori –
la Regione è intervenuta fuori tempo massimo «senza alla fine
raddrizzare neanche un’azienda». Abituata all’autocelebrazione, è la
critica di Franco Meloni, responsabile del centro studi, «il
centrosinistra si schianta su soluzioni fasulle».

Il governatore della Puglia si dice pronto a raccogliere le firme e a candidarsi
Davanti allo spettro di una scissione anche i bersaniani chiedono una verifica
Pd, Emiliano attacca Renzi «Fare subito il congresso»
di Gabriele Rizzardi

ROMA «Un congresso è necessario. Se il segretario lo nega, è lui che
fa la scissione, non sono gli altri». Michele Emiliano, presidente
della Regione Puglia, attacca Matteo Renzi come principale
responsabile delle divisioni che stanno mandando in fibrillazione il
Partito democratico. L’occasione è offerta da un’intervista con Lucia
Annunziata nel corso della trasmissione “In 1/2 ora”. In studio
riecheggiano le parole con cui Massimo D’Alema ha lasciato intendere
la possibilità di una scissione. E il presidente della Regione Puglia
ribalta i termini della questione. «La scissione parte da chi non
rispetta le norme dello statuto.

Chi non sta rispettando le norme
dello statuto in questo momento è il segretario di partito che ne
dovrebbe essere il custode e il tutore» affonda Emiliano che si dice
disposto a percorrere qualsiasi strada per arrivare al congresso:
«Siccome questa posizione è insostenibile, si può perfino arrivare
alle carte bollate per obbligarlo a fare il congresso». Emiliano non
nasconde di essere un potenziale candidato alla segreteria: «Se ci
sarà bisogno di candidarsi mi candiderò. Se ce n’è un altro che
funziona meglio di me non ho nessun problema a fare campagna
elettorale per lui». Quanto all’ipotesi di ricorrere alle carte
bollate, i renziani ricordano a Emiliano che «a norma di statuto» il
congresso del Pd si tiene a dicembre 2017.

Tagliente è il commento del
presidente del Pd, Matteo Orfini: «Mi auguro che l’Emiliano magistrato
conosca la legge meglio di come l’Emiliano politico conosce lo statuto
del suo partito». A chiedere un congresso o un momento di
«contendibilità» nel partito sono anche i bersaniani, i più tiepidi
sull’ipotesi di una scissione. «Se le cose dovessero precipitare e si
dovesse correre verso il voto penso che c’è bisogno di rendere
contendibile il campo del Pd e del centrosinistra. Il luogo ideale è
il congresso. È previsto nel 2017. Se si voterà dopo il congresso si
può fare a scadenza naturale. Se si dovesse anticipare dovremo trovare
altre modalità» dice Roberto Speranza, che si ritaglia il ruolo di
“mediatiore” tra Renzi e D’Alema. «Sono due mondi che devono camminare
insieme, non sono due mondi armati l’uno contro l’altro. Noi siamo il
centrosinisatra, per me gli avversari sono i nazionalismi, le destre,
i populismi» precisa l’esponente della minoranza dem . Si arriverà
alla scissione? «Il governo lavora senza pensare a scadenze e
minacciare scissioni non aiuta a fare proposte» taglia corto il
ministro Graziano Delrio.

Nell’attesa delle motivazioni della Consulta
sull’Italicum, Renzi, che vuole il voto a giugno, farà un ultimo
tentativo sul Mattarellum (che non piace a Forza Italia) e poi proverà
ad aprire la strada al voto con il doppio sistema: il Senato si
eleggerebbe con il Consultellum mentre alla Camera si applicherebbe la
legge prodotta dalla sentenza della Consulta. Un nodo che verrà
sciolto il 13 febbraio, durante la Direzione del partito convocata
proprio per fare il punto sulle trattative e sulle motivazioni dei
supremi giudici. E se la trattativa sulle legge elettorale fallisse?
«Prima del 13 facciamo tutti i tentativi possibili» è la linea di
Renzi.

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Federico Marini

skype: federico1970ca

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