Unione Sarda
Pigliaru,
il ritorno: «Io non mollo»
Anche
una frecciata alla maggioranza nella prima uscita in Consiglio
dopo
il lungo ricovero Ma ammette: temevo che
la malattia mi costringesse a lasciare
Alla fine la domanda arriva. In
questo periodo ha mai pensato: adesso
mollo ? «No. Però c'è stato un
momento in cui ho pensato: spero che la
salute mi consenta di non dover
mollare». Francesco Pigliaru riappare
in pubblico, o meglio nella sala
stampa del Consiglio regionale, dopo
i comunicati e la prima Giunta “post
malattia” presieduta giovedì
scorso a Villa Devoto. E non nega un
commento sulle voci, nate durante
il ricovero, di un disimpegno
forzato.
Mollare, dice il governatore,
«sarebbe stato un grande peccato.
Abbiamo fatto cose importanti,
riforme profonde che prima nessuno
aveva avuto il coraggio di fare:
sanità, enti locali, peste suina». E
adesso? «Sono assolutamente
determinato ad arrivare fino alla fine
della legislatura, per dimostrare
che quello che abbiamo fatto,
produce risultati».
TIMORI Poi ritorna sulla paura
provata nel mese e mezzo di ricovero al
Brotzu per una patologia
immunologica: la paura «di dovermi fermare,
perché la salute è fondamentale.
Credo invece - ripete - che
riusciremo ad andare avanti con la
massima convinzione».
Si sente ancora affaticato, ammette.
E la politica come sta? «Ci sono
grandi movimenti a livello
nazionale, tante cose che stanno cambiando
e che avranno riflessi anche qua, ma
seguiremo tutto», garantisce il
governatore. «Abbiamo bisogno di una
maggioranza più compatta, più
disposta ad aiutare le azioni di
riforma rispetto a quanto è successo
nel recente passato».
Un concetto, per la verità, che
Pigliaru aveva già ribadito appena
dimesso, il 28 gennaio, quando ha
scritto agli assessori per
riprendere il controllo delle
operazioni politiche della Giunta e
stringere i bulloni - un po'
allentati, ultimamente - che uniscono la
maggioranza. E soprattutto per
chiarire, in una fase in cui tutti
parlano di nuove vertenze con lo
Stato, che la battaglia si combatte
assieme. «Ora più di prima -
aggiunge - la parola chiave sia
inclusione , per far sentire tutti
parte di un progetto unico».
LE PRIORITÀ Ricompattare ma non
solo. Prioritari sono i contenuti.
«Abbiamo due anni di tempo, decisivi
in tanti settori. L'agricoltura,
per esempio, è sempre nella mia
testa, dobbiamo dare un'idea precisa
che il comparto può costituire
davvero un grandissimo volano di
sviluppo per l'Isola».
Ma l'assessorato all'Agricoltura è
vacante, gli si fa notare. Come
quello agli Affari generali. Quando saranno
riempite le caselle?
«Stiamo lavorando per riempirle nel
migliore dei modi». In ogni caso,
sottolinea, «in queste settimane la
presidenza e il vicepresidente non
hanno mai smesso di lavorare, anche
oggi in conferenza di capigruppo
si è parlato di come utilizzare i 14
milioni di euro stanziati per
arrivare a un prezzo del latte
decente, fondamentale per i produttori.
Avere l'Organismo interprofessionale
è una grande cosa che ci
permetterà di portare i benefici a
tutta la filiera, specie fino ai
produttori che hanno esigenza di
vendere il latte a un prezzo più alto
di quello che oggi il mercato sta
offrendo».
LE VERTENZE Intanto i rapporti con
Roma sembrano cambiati. Il
presidente lo sa bene, visto che la
Giunta, su sua proposta, ha
impugnato la legge di stabilità
dello Stato. «Abbiamo fatto un patto
con il governo, nel 2014, che non
prevedeva ulteriori accantonamenti
di queste dimensioni. Stiamo aprendo
un'interlocuzione netta e forte
su questo punto».
A tal proposito, è in programma oggi
a Roma, alle 12 e 45, l'incontro
del vicepresidente Raffaele Paci col
sottosegretario Gianclaudio
Bressa per discutere le
rivendicazioni sarde. «Naturalmente siamo
consapevoli delle difficoltà enormi
in cui si trova l'Italia»,
conclude Pigliaru, «ma dobbiamo
esserlo ancora di più delle nostre
specifiche difficoltà, a fronte di
una sanità che ha costi sempre più
alti, e che nelle altre regioni
vengono finanziati dallo Stato. È un
discorso complesso che affronteremo
nei minimi dettagli nei prossimi
giorni».
Roberto Murgia
La Nuova Sardegna
Il
governatore in Consiglio dopo oltre un mese tra ricovero e convalescenza
«Sto
meglio, adesso serve una maggioranza compatta. Priorità? L’agricoltura»
Pigliaru:
«Ora più forti arriveremo fino alla fine»
Il Consiglio regionale discuterà
mercoledì la mozione di sfiducia
dell’opposizione contro l’assessore
all’ambiente Donatella Spano.
Firmata da 22 consiglieri, il primo
è Pietro Pittalis, capogruppo di
Forza Italia, la contestazione è su
come «Regione e Protezione civile
hanno affrontato l’emergenza neve di
metà gennaio».
Secondo la minoranza, «nel peggiore
dei modi tanto che troppi Comuni sono rimasti
isolati e sui sindaci è stata
scaricata gran parte delle
responsabilità». In effetti, in quei
giorni, erano stati più di uno i
confronti aspri a distanza e anche
faccia a faccia fra i sindaci,
l’assessore e Graziano Nudda, è il
capo della Protezione civile
regionale, proprio sui ritardi e sul
mancato utilizzo degli
spazzaneve. Il chiarimento c’è stato
una volta passata l’emergenza, ma
il centrodestra ha deciso di
ritornare alla carica.CAGLIARI La sala
stampa del Consiglio regionale è
ogni giorno un’arena. Chi entra e
chiede udienza spesso rischia
grosso, ma non stavolta e non certo se
l’approccio è questo: «Sono qui solo
per una visita di cortesia».
Bentornato,presidente. A farsi
avanti, con passo deciso, è Francesco
Pigliaru. L’esordio di chi rientra,
dopo un mese abbandonante fra
malattia e ricovero in ospedale, è
di quelli che spiazza i presenti:
«Mi raccomando niente baci sulla
guancia, i medici me li hanno
vietati». Il governatore sta molto
meglio: lo davano dimagrito di
diversi chili, pallido e con la voce
roca per colpa di un sindrome
autoimmune che l’ha fatto dannare.
Dimagrito lo è anche se molto meno
di quello che raccontavano nei
corridoi, insieme ad altre mille altre
possibili disgrazie, ora tutte
smentite. Anche il tono di voce è
baldanzoso, alternato a molti
sorrisi. Niente baci, allora solo
strette di mano e gli intrecci danno
vita, sostanza a un’improvvisata
e allegra catena umana. Che è
l’anticipo di un’intervista volante ma
inevitabile, nel secondo passaggio
pubblico di Pigliaru. Dopo aver
presieduto venerdì scorso la giunta,
è in Consiglio per la riunione
dei capigruppo, un’altra possibile
fossa dei leoni. Bentrovato,
presidente. «Grazie. Intanto so che
me lo chiederete subito: sto
meglio, molto meglio.
Sono in pieno recupero. Ci vorrà
ancora del
tempo, ma spero di essere presto al
cento per cento». Non sfugga alla
prima domanda pesante: in queste
settimane, ha pensato mai di
dimettersi? «No. C’è stato un
momento in cui ho pensato invece: spero
che la salute mi permetta di non
mollare, perché andar via sarebbe
stato un gran peccato». Da oggi in
poi sarà solo avanti tutta? «Ho la
determinazione di arrivare alla fine
della legislatura, per dimostrare
che le nostre riforme porteranno i
risultati sperati. Ci aspettano due
anni importanti e decisivi». È un
velo di commozione, mascherato a
malapena, a far intuire che la
strada del ripresa personale e non solo
potrebbe essere in discesa. Quando non
c’era, la maggioranza ha
vacillato poco o molto?
«Non guardo al passato. Sono
convinto che la
Sardegna abbia bisogno di una
maggioranza più compatta, più pronta a
sostenere le riforme rispetto a
quanto è accaduto di recente». Scelga
una parola per dare e darsi la
carica. «Inclusione: dobbiamo essere
compatti sui contenuti. Abbiamo
approvato delle riforme, penso alla
sanità e agli enti locali, che
nessuno finora aveva osato fare. In
questi due anni che mancano alla
fine della legislatura, dobbiamo
raccogliere i frutti e consegnarli
ai sardi». Dovunque la politica è
in grande fermento. «Alcune cose o
forse molte stanno cambiando
soprattutto a Roma. Avranno riflessi
anche qui da noi: seguiremo tutto
con molta attenzione». Una priorità.
«L’agricoltura, non c’è dubbio. È
sempre nella mia testa ed è una
delle leve fondamentali per far
ripartire lo sviluppo». Ma
l’assessore non c’è. «Ci sarà presto, ma
devo dire che in queste settimane il
vicepresidente Raffaele Paci e
gli uffici hanno lavorato molto
bene». Il rimpasto è pronto? «L’arrivo
non è lontano». Con il governo è
cominciato un altro braccio di ferro?
«Nel 2014, abbiamo firmato un patto
che non prevedeva altri
accantonamenti pesanti a carico
della Sardegna. Sono arrivati lo
stesso ed è su questo aspetto specifico
che abbiamo aperto un
confronto netto e forte.
Naturalmente siamo consapevoli anche delle
difficoltà enormi in cui si trova
l’Italia in questo momento». La
Sardegna sta di sicuro peggio. «Le
entrate purtroppo non sono
aumentate per effetto della grave
crisi economica. Sono però
fiducioso, il governo ascolterà le
nostre giuste richieste, e sono
anche ottimista. Perché, seppure con
fatica, la Sardegna uscirà dalle
sabbie mobili». (ua)
RIMPASTO
Pds frena sui tempi Forse chiederà un assessore in più
CAGLIARI Il Partito dei sardi frena
sui tempi del rimpasto di giunta:
«Prima deve esserci un faccia a
faccia fra i partiti della
maggioranza», ha scritto il
segretario Franciscu Sedda in un lettera
aperta indirizzata a Pigliaru.
Lettera in cui, dopo aver ricordato
l’ascesa del partito, pare
rivendichi, seppure sotto traccia, un
secondo assessorato dopo quello ai
lavori pubblici. «Ti scrivo perché
leggo di tue imminenti decisioni in
merito alla nuova giunta e al
rilancio dell'azione di governo.
Immagino che non sia così e sono
certo che hai già in mente di
convocare i partiti per spiegare le tue
ipotesi e e i tuoi progetti.
Per ascoltare e mettere a frutto i
nostri
suggerimenti. Attendo fiducioso,
attendiamo fiduciosi, nella
convinzione, ribadita anche da te in
altri vertici di maggioranza, che
una più forte ed efficace azione di
governo passi sempre dalla
condivisione a monte di idee,
obiettivi e scelte». Per poi aggiungere:
«Il Pds è oggi la seconda forza
della coalizione (durante la
legislatura è passato da tre a
cinque consiglieri regionali) e per
questo vorrebbe contribuire con più
forza a far crescere la qualità
dell'azione di governo e aumentare
la percezione che siamo tutti
impegnati in un grande lavoro per la
Sardegna». È questo il passaggio
destinato presto a essere tradotto
anche nella richiesta di una
seconda delega? Potrebbe essere. Lo
si capirà meglio nei prossimi
giorni, quando tutti i partiti del
centrosinistra scioglieranno le
ultime riserve.
campo
progressista Manconi promuove Pisapia: utile a tutto il centrosinistra
SASSARI Anche il senatore Luigi
Manconi aderisce al Campo progressista
di Giuliano Pisapia. «Seguo e
condivido da molti anni la sua attività
pubblica – dice il parlamentare
sassarese eletto in Sardegna nella
lista del Pd –. Quella di
parlamentare prima e quella di sindaco di
Milano dopo. E, negli ultimi mesi,
la sua riflessione sulla crisi
profonda del centrosinistra, e sulle
esigenze e urgenze imposte
dall’attuale disastrato quadro
politico. Al di là di alcune
divergenze, sulla scelta
referendaria del 4 dicembre, ad esempio,
condivido la gran parte della sua
analisi e della sua prospettiva.
Per questo, da cittadino, da
militante politico e da parlamentare, intendo
aderire al progetto da lui promosso
che prende il nome di Campo
progressista. Penso che sia una
proposta utile a tutto il
centrosinistra, al fine di
rilanciare l’iniziativa civica, il
rinnovamento delle idee e delle
modalità dell’azione politica». Tra i
sardi che hanno già detto sì a
Pisapia anche i parlamentari ex Sel
Luciano Uras e Michele Piras, il
deputato del Cd Roberto Capelli e il
sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.
Unione Sarda
Pubblicati
sul web i programmi degli aspiranti leader in attesa degli
sviluppi
nazionali
Pd
sardo, ora il congresso può slittare Ma ai tre candidati l'ipotesi non piace
Appesi alle corse di Renzi, alle
paturnie di Bersani. Se un battito
d'ali di farfalla scatena uragani
dall'altra parte del mondo,
figurarsi quanti sconquassi può fare
in Sardegna ciò che sta accadendo
nel Pd a Roma. L'ipotesi del
congresso nazionale anticipato, che si
porta appresso i rischi di
scissione, potrebbe far saltare - o
quantomeno ritardare - il percorso
avviato nell'Isola per restituire
un segretario regionale a un partito
che ne è privo da nove mesi.
In teoria le due vicende sono
separate. Per il 19 marzo sono fissate
le primarie in Sardegna, e anche in
Veneto e Liguria: nulla vieta che
si proceda regolarmente, anche in
caso di accelerazioni della fase
nazionale. Ma è chiaro che la fretta
renziana cambia tutto. Ha senso
chiamare due volte al voto iscritti
ed elettori, a distanza magari di
poche settimane?
DIPENDE DALLA DATA A quel punto
diventeranno decisivi i tempi. Per un
congresso nazionale anticipato si
parla di un arco di tempo che va da
metà aprile a metà maggio. In ogni
caso, non sembrano granché
favorevoli allo slittamento i tre
candidati alla segreteria regionale
(che tra l'altro proprio ieri, come
previsto dalla tabella di marcia
congressuale, hanno pubblicato sul
sito web del Pd sardo le proprie
dichiarazioni programmatiche). Anche
se lo dicono con sfumature
diverse.
«Personalmente non sono d'accordo al
rinvio», fa sapere Francesco
Sanna: «Dopodiché, se invece la
maggioranza del partito sarà di
diverso avviso, lo accetterò».
Secondo Yuri Marcialis «un conto è un
differimento che sia davvero di
pochissime settimane. In quel caso le
primarie contemporanee potrebbero
anche essere una soluzione
ragionevole. Ma un rinvio a lungo
termine, o addirittura un
annullamento del percorso fatto fin
qui, sarebbe strano». Più prudente
Giuseppe Luigi Cucca: «Deciderà il
partito nazionale, io mi atterrò
scrupolosamente a quella scelta.
Però non vedo grossi problemi a
svolgere prima il congresso
regionale e poi quello nazionale».
PERCHÉ NO La contrarietà degli
aspiranti segretari nasce da
considerazioni molto simili tra
loro.
«C'è la necessità che il partito
riprenda subito a dialogare con la
gente - prosegue Cucca - e a
discutere dei problemi concreti dei
sardi. Bisogna anche ritornare a
dare un forte supporto alla Giunta
Pigliaru. In Sardegna il Pd è molto
sfilacciato, dobbiamo rimetterci in
movimento: più tardi si fa, peggio
è». «Credo che le questioni sarde
abbiano una loro specificità che
deve rimanere separata dal dibattito
nazionale», è il ragionamento di
Francesco Sanna: «Io, in ogni caso,
farò tutti gli sforzi possibili
per distinguere i due piani. Sul
ruolo del Pd in Sardegna, a mio
parere, dev'essere preservata
l'attenzione dell'opinione pubblica
senza le “distrazioni” indotte dalle
primarie per la segreteria
nazionale».
Yuri Marcialis, oltre a condividere
questa impostazione, è anche
scettico sull'utilità della brusca
accelerazione proposta da Matteo
Renzi: «Al Pd il congresso serve,
sicuramente, ma per discutere. Non
per contarsi e basta. Tempi così
stretti non aiuterebbero, perché non
consentirebbero di avviare nessuna
riflessione seria sulla direzione
da imboccare per il futuro del
partito e del Paese».
Ma che cosa accadrà in Sardegna si
potrà capire davvero solo dopo la
resa dei conti del prossimo fine
settimana nell'assemblea nazionale.
Allora si saprà la data effettiva
del congresso, ma soprattutto si
vedrà se verranno messe in pratica
le minacce di scissione. Le corse
di Renzi e le paturnie di Bersani,
si diceva: almeno fino a domenica,
il Pd sardo resta appeso.
Giuseppe Meloni
La Nuova
Ma
i tre candidati alla segreteria regionale difendono la data del 19 marzo
Pd,
il congresso ostaggio di Roma
CAGLIARI Il congresso regionale del
Pd è nelle mani di Roma. O meglio
dell’assemblea nazionale di domenica
in cui Renzi potrebbe presentarsi
dimissionario e poi aprire subito le
danze per il vertice del partito.
Se così fosse, tutte le altre
scadenze di marzo, oltre che in Sardegna
le primarie sono state annunciate in
Liguria e Veneto, potrebbero
essere congelate fino a slittare
all’inizio di maggio. Ma i tre
candidati alla segreteria regionale
non sono così sicuri che questo
accadrà. Anzi, Francesco Sanna
(soriano), Giuseppe Luigi Cucca
(renziani ed ex Diesse) e Yuri
Marcialis (Sinistra Dem e La
Traversata) vorrebbero l’esatto
contrario: la conferma del 19 marzo
come giorno in cui sarà eletto il
successore del dimissionario Renato
Soru. Il motivo è lo stesso per
tutti e tre: «Il Pd sardo ha bisogno
di una guida. Siamo da troppi mesi
senza.
Il confronto politico è una
necessità e non può essere
rinviato». Soprattutto perché la macchina
congressuale è in movimento da più
di una settimana, con i programmi
dei candidati già pubblicati sul
sito del Pd sardo, mentre il 4 marzo
saranno presentate le liste a
sostegno di ciascuno dei tre. «Le
decisioni nazionali avranno il loro
peso ma penso che il rinvio del
nostro congresso potrebbe essere al
massimo di una settimana. Cioè:
sarà possibile solo nel caso in cui
entro marzo, ai gazebo, si voti
anche per il segretario nazionale e
allora sì che le doppie primarie
potrebbero svolgersi lo stesso
giorno», è il pensiero del senatore
Giuseppe Luigi Cucca. Per il
deputato Francesco Sanna, che in queste
ore ha lanciato l’hashtag Passione e
non scissione, il ragionamento
non è molto diverso: «Dobbiamo
evitare che il congresso nazionale
soffochi quello regionale.
Dopo troppe contrapposizioni, il Pd
sardo
deve rappacificarsi e può succedere
solo se non saremo distratti
troppo dagli avvenimenti romani».
Chi non ha dubbi è Yuri Marcialis:
«Il nostro gruppo è da sempre per un
partito autonomo e federato,
quindi andiamo avanti con i tempi
decisi dall’assemblea regionale».
Sempre per Marcialis, in Sardegna è
lontana anche la tempesta della
possibile scissione: «Penso anzi che
il congresso sardo potrebbe dare
l’esempio su come possiamo stare
uniti nonostante le differenze». Tra
l’altro oggi Cucca, Sanna e
Marcialis avranno gli incontri bilaterali
chiesti dall’area dei
popolari-riformisti, che un suo candidato non
l’ha presentato e deve ancora
decidere chi sostenere. Con Giacomo
Spissu, portavoce della corrente,
deciso nel dire: «Non possiamo stare
fermi in attesa di Roma. Per noi la
data non cambia».
La
scissione sembra più vicina
E
intanto a Roma la battaglia si sposta sulla legge elettorale
Mentre sembrano fallire i tentativi
di mediazione per evitare una
scissione sempre più probabile, la
battaglia tra le aree del Pd si
sposta sulla legge elettorale. Ieri
a Montecitorio una lunga assemblea
dei deputati Dem ha riaperto la
discussione sulle regole del voto. I
bersaniani chiedono di eliminare il
meccanismo dei capilista bloccati
(cioè indicati dai partiti, senza
voto di preferenza).
Durante la riunione del gruppo il
deputato Enzo Lattuca, vicino all'ex
segretario, ha depositato e chiesto
il voto di un ordine del giorno
che «impegna attivamente» il gruppo
per «giungere all'approvazione di
un sistema elettorale che, in
coerenza con le determinazioni
dell'assemblea nazionale, sia
imperniato sui collegi uninominali, e,
in ogni caso, qualora ciò non fosse
possibile, superi il meccanismo
dei capilista bloccati nei collegi
plurinominali». Diversa la
posizione del capogruppo Ettore
Rosato: «Il Pd ha sua proposta, il
Mattarellum, votata all'unanimità
dall'assemblea del partito. Ora si
avvia il confronto con le altre
forze politiche».
Nel frattempo, ieri l'area dei
Giovani turchi (con le due componenti
che fanno riferimento al ministro
Andrea Orlando e a Matteo Orfini) ha
tentato una mediazione con un
documento che propone «un confronto
programmatico nella fase iniziale
del percorso congressuale».
L'intento era superare le obiezioni
della minoranza interna, secondo
la quale l'anticipazione del
congresso porterebbe a una conta senza
una seria riflessione sui contenuti.
Ma la minoranza avrebbe già
respinto la mediazione dei Giovani
turchi: «La nostra posizione è
chiara, congresso in autunno e voto
nel 2018», ha detto Roberto
Speranza al termine di una lunga
riunione dei deputati della
minoranza. Nell'incontro si è deciso
di partecipare all'assemblea di
domenica: «Ci andremo», ha detto
Pier Luigi Bersani, «ma non vediamo
novità».
Ciccolini-Deiana
La battaglia dell'Anci: decisione entro febbraio
Non sono stati riuniti, ma è molto
probabile che la decisione sui due
ricorsi presentati contro la sezione
sarda dell'Associazione nazionale
Comuni italiani (Anci) dal sindaco
di Bitti, Giuseppe Ciccolini (Pd),
saranno decisi contestualmente.
Nell'udienza di ieri il giudice del
Tribunale civile di Cagliari,
Ignazio Tamponi, ha chiuso la
discussione tra le parti ed è andato
a decisione. Tra una settimana,
massimo dieci giorni, potrebbe
arrivare il verdetto.
Sul tavolo ci sono dunque le due
impugnazioni presentate dal primo
cittadino di Bitti. La prima
contesta la decisione dell'ufficio di
presidenza dell'assemblea
congressuale dell'Anci Sardegna che ha
bloccato la sua elezione al vertice
dell'associazione per la mancanza
del quorum lo scorso 23 settembre.
La seconda, notificata in seguito,
punta ad annullare l'elezione del 30
gennaio scorso di Emiliano Diana,
sindaco di Bortigiadas (sempre Pd)
alla presidenza dell'Anci isolana.
Ad assistere Ciccolini c'era in
udienza l'avvocato Francesco Stara,
mentre l'Anci è difesa dai legali
Mauro Barberio e Stefano Porcu.
Andati a decisione i due ricorsi, il
giudice si dovrà pronunciare
anche sull'istanza degli avvocati
dell'associazione che hanno
sollecitato il trasferimento del
procedimento al Tar. (fr. pi.)
MUNICIPIO.
Il sindaco avverte: «Chi si dimette perde tutto»
Delunas
a caccia di alleati Braccio di ferro in Giunta
Il clima in via Eligio Porcu è sempre
più teso. Gli incontri
bilaterali che il sindaco sta
portando avanti per cementare la
maggioranza stanno dando vita a un
braccio di ferro tra le varie forze
in campo.
GLI SCENARI Sono settimane cruciali
per la tenuta della Giunta perché
Delunas ha davanti a sé tre
prospettive: una rosea e due drammatiche.
Se riuscisse a chiudere le
trattative con tutti gli alleati potrebbe
restare in sella e passare indenne
attraverso l'ennesima burrasca di
questa consiliatura. Se invece
dovesse mancare il sostegno di qualche
esponente della maggioranza verrebbe
giù l'intero castello e i
quartesi tornerebbero alle urne in
primavera. Ma si potrà andare al
voto solo se la giunta cadrà almeno
un mese e mezzo prima delle
elezioni, quindi il termine ultimo
potrebbe essere la metà di aprile.
C'è, però, anche la possibilità che
nessuno si assuma la
responsabilità di staccare la spina
e il terremoto arrivi in Aula con
il bilancio, perché non è scontato
che il sindaco abbia i numeri.
Sono giorni di grandi calcoli e
ragionamenti e Stefano Delunas ne ha
approfittato per mandare un
messaggio-avvertimento agli alleati
ricordando su Facebook che per i
consiglieri comunali che meditano di
dimettersi e farlo cadere «la
cessazione dalla carica comunale
comporta la decadenza da consigliere
metropolitano». Tradotto: se
Tonino Lobina decide di voltargli le
spalle deve tenere in
considerazione che lasciando Quartu
deve abbandonare anche l'Aula di
piazza Palazzo.
ALLEATI CERCASI Sul fronte delle
alleanze, dopo le precisazioni del
consigliere Upc Enrico Frau
arrivano, anche quelle del suo segretario
provinciale sui rapporti con
Delunas. «Si attende di conoscere da lui
i nominativi degli assessori e le
modalità di rilancio dell'azione di
governo cittadino, basata sui
programmi e le azioni future - commenta
Marcio Basciu -. Le continue
dimissioni di vari assessori succedutesi
nei mesi scorsi, e in particolare
del valido assessore Roberto
Cannarella, espressione di Quartu
Riparte e riferimento Upc, lasciano
in sospeso il quadro politico della
città».
Marcello Zasso
La Nuova Sardegna
Il
leader: stop ai ricatti. Fassino e Martina: serve convenzione programmatica
Bersani
strappa: «Saremo all’assemblea ma se non si aggiusta, la
storia
è finita» Pd, la mediazione non riesce Renzi tenta l’ultima carta ma la scissione
è a un passo di Gabriele Rizzardi wROMA
Deciso ad apparire come quello che
non
vuole sfasciare il Pd, Matteo Renzi
apre alla minoranza in un
tentativo estremo di ricucitura
prima che lo strappo sia irreparabile.
«Il verbo del congresso non è
andatevene, ma venite non sarà scontro
sulle poltrone ma confronto delle
idee. Una scissione sulla data del
congresso» scrive l’ex premier nella
sua e-news settimanale «sarebbe
incomprensibile. Inspiegabile far
parte di un partito che si chiama
democratico e aver paura della
democrazia. Il dibattito interno non
interessa i cittadini. Si riparte,
ci si rimette in cammino, c’è
bisogno di tutti». Tanto per
cominciare Renzi, che dà appuntamento dal
10 al 12 marzo al Lingotto di
Torino, non sarà il segretario reggente
del Pd in vista del congresso.
Durante l’assemblea di domenica
prossima il testimone passerà al
presidente del partito, Matteo
Orfini. Ed è questo un primo segnale
di disponibilità inviato alla
minoranza interna. La scissione è
inevitabile? A stretto giro arriva
la doccia gelata da Enrico Rossi,
Michele Emiliano e Roberto Speranza,
che sono i tre candidati alternativi
a Renzi. Prima una comunicazione:
«Sabato mattina saremo tutti assieme
al teatro Vittoria, con
l’obiettivo di costruire un’azione
politica comune e per impedire una
deriva dagli sviluppi irreparabili».
Poi parte una freccia
“avvelenata” contro l’ex premier:
«L’esito della direzione è stato
profondamente deludente e ha sancito
la trasformazione del Partito
democratico nel Partito di Renzi, un
partito personale e leaderistico
che stravolge l’impianto identitario
del Pd e il suo pluralismo». Ce
n’è quanto basta per immaginare che
senza una svolta nelle prossime
ore, la strada sia segnata.
E la conferma arriva da Pier Luigi
Bersani
che ieri ha riunito i suoi alla
Camera per capire se ci sono ancora
gli spazi per negoziare dentro il
Pd: «Passi avanti non ne vedo.
Cerchiamo fino in fondo di non
rompere. Vediamo se da qui a domenica
viene data risposta alle nostre
richieste. Questa volta non si
scherza». La riunione dei bersaniani
si conclude e Roberto Speranza
annuncia che domenica saranno
all’assemblea del Pd. Poi fa capire qual
è la posta in gico: «La nostra
posizione è chiara, congresso in
autunno e voto nel 2018». A
Montecitorio le riunioni sono andate
avanti per tutto il giorno. Oltre ai
bersaniani, si sono visti tutti i
componenti dei “giovani turchi” ma
anche Emiliano ha fatto una
riunione di corrente mentre Renzi,
due giorni fa, ha parlato a lungo
con Dario Franceschini. Tutti al
lavoro per evitare la scissione.
Emiliano si dice d’accordo con
Orlando sulla necessità di tenere una
conferenza programmatica.
Ma i “giovani turchi” in serata
fanno sapere
di volere non una conferenza
programmatica prima del congresso ma
un’assemblea programmatica tra l’avvio
della raccolta delle firme ed
il termine della presentazione delle
candidature (venti giorni). La
minoranza del Pd, comunque, ritiene
non concreta l’ipotesi di una
conferenza programmatica che pure è
stata avanzata da diversi settori
del partito come possibile
mediazione. «Con l’annuncio di Renzi del
Lingotto il 10-12 marzo è evidente
che non c’è alcuno spazio per una
conferenza programmatica. Renzi ha
deciso di tirare dritto» taglia
corto un bersaniano. E pazienza se a
provare una mediazione ci pensano
anche e soprattutto Piero Fassino e
Maurizio Martina: «Proponiamo che
la Convenzione nazionale divenga
pienamente Convenzione
programmatica». Quel che è certo è
che la dead line di Renzi resta la
stessa: il congresso deve tenersi in
ogni caso prima delle
amministrative. Ma l’exit strategy
per evitare la scissione non c’è
ancora: «Io combatto per le idee,
non per le liste. Se non si aggiusta
il congresso il Pd non c’è più» si
sfoga Bersani.
Alta
tensione fino a notte fonda all’incontro plenario dei parlamentari Dem
In
discussione la legge elettorale. Alla minoranza piace il premio
alla
coalizione
Boccia:
«Ok Franceschini ma via i capilista bloccati»
di
Maria Berlinguer
ROMA Si continua a cercare una
mediazione per evitare le scissione e
anche per attribuire ad uno dei
campi la rottura. Sono le 22 quando
Francesco Boccia, presidente della
commissione Bilancio, lascia per
qualche minuto l’assemblea dei
parlamentari del Pd dove la tensione è
palpabile. All’ordine del giorno la
scissione, ma anche la legge
elettorale. Dario Franceschini ha
riproposto di spostare il premio di
maggioranza dalla lista alla
coalizione. «Un passo in avanti
importante», dice Francesco Boccia,
presidente della commissione
Bilancio, molto vicino a Michele
Emiliano. Ma Boccia ora chiede
cancellare anche i capolista
bloccati. Uno degli strumenti con cui il
segretario del partito potrebbe far
fuori tutti gli oppositori
interni. Restare o andare via è una
questione di posti? «Assolutamente
no. Apprezzo il tentativo di
mediazione che sta facendo Dario
Franceschini sulla questione del
premio ma ritengo che il Pd dovrebbe
finirla di sostenere ipocritamente
il Mattarellum visto che nessun
altra forza politica è d’accordo per
votare almeno al suo interno per
cancellare i capolista bloccati.
Mancano dieci mesi alla fine della
legislatura, c’è il tempo per
cambiare la legge elettorale».
Franceschini e Orlando stanno
mediando.
Ci sono ancora margini per
evitare lo strappo. Possibile che si
tratti solo di una questione di
date del congresso? «Vedremo. Non è
una questione di date ma di
sostanza. Noi chiediamo di
discutere, di confrontarci sulla linea
politica, sulle scelte economiche
che dovrà fare il Pd. La stagione
dell’uomo solo al comando non mi
pare ci abbia portato lontano. Non si
può fare un congresso in due mesi
per cercare un nuovo plebiscito con
le primarie. Bisogna avere il tempo
per spiegare a militanti e
cittadini il programma dei
candidati». Andrea Orlando ha proposto una
conferenza programmatica prima del
congresso. Vi basta per restare?
«Sarebbe un segnale di apertura.
Certo, oggi mi sembra che ci siano
stati passi avanti. Renzi dice il
verbo non è andate ma venite. Ma poi
al massimo è disposto a concedere
primarie a maggio, invece che ad
aprile. Un po’ poco. Tra l’altro
ormai vedo che c’è sfiducia totale.
Un pezzo di partito è già un passo
fuori. Vedremo domenica cosa
succede. Tocca a Renzi provare a
tenere unito il partito». Possibile
sia così importante la data del
congresso? «Non è affatto un
dettaglio. La segreteria deve essere
contendibile. I candidati devono
avere il tempo di girare nei
territori per spiegare i programmi. Un
giorno, per ogni provincia che sono
180, fanno quattro mesi, si arriva
a settembre». Comunque Renzi è
riuscito a compattare le minoranze. Per
ora i candidati alla segreteria sono
tre.
E sabato a Roma, Roberto
Speranza e Michele Emiliano
parteciperanno alla convention di Enrico
Rossi. E’ destinata a durare l’unità
della sinistra dem? «Spero di sì.
Ed è fondamentale anche per le sorti
del governo. Bersani in direzione
ha chiesto al partito l’impegno a
garantire la fine della legislatura.
Ci sono un mucchio di cose da fare,
c’è da correggere degli errori.
Dobbiamo intervenire sulla scuola e
sugli Enti locali, Preoccuparci
della crescita.
Anche su questo punto però non sono
stati presi
impegni. E’ stupefacente». Domenica
andrete all’Assemblea nazionale?
«Sì andremo. Il nostro obiettivo non
è andare via, ma cambiare questo
partito. E come ha spiegato ieri
Emiliano è giusto partecipare
all’Assemblea. Noi speriamo fino
all’ultimo di evitare strappi
definitivi». Il Pd però sembra in
preda ad una crisi di nervi. Per
tutta la giornata ci sono state
convulse riunioni e assemblea di
correnti. Vede scricchioli nella
maggioranza che ha sostenuto fin qui
Matteo Renzi? «Ci sono ripensamenti.
Il problema però ribadisco non è
solo quello del leader ma della
politica che proponiamo al Paese. Sui
giovani, la crescita, il
Mezzogiorno. Che ricette abbiamo? E
sull’Europa?» Questioni abbastanza
complicate da risolvere in qualche
giorno... «Infatti, per questo serve
un momento di riflessione. Basta
con questo mito della corsa
frenetica, così si va a sbattere»
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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