Dp debutta ed è
già rissa col Pd. D'Alema: alle primarie M5S e Fi per Renzi. Laforgia: ma il
governo non perde un voto.
ROMA Debuttano i gruppi parlamentari di
Democratici e Progressist ed è subito guerra di poltrone. Non quelle
governative: come spiega a “Un giorno da pecora” Arturo Scotto, che ha
lasciato Sinistra Italiana durante il congresso fondativo del partito nato da
Sel per confluire nella formazione degli ex Pd, «non vogliamo assolutamente
entrare nel governo. Abbiamo lasciato le
nostre poltrone, non abbiamo l'abitudine di cercarne altre».
I posti a sedere contesi sono nell'emiciclo: i bersaniani
vogliono sedere a sinistra del Paritto Democratico, che però non ha intenzione
di slittare al centro. Una situazione che curiosamente si propose già negli
anni Ottanta con un altra Dp, in questo caso Democrazia Proletaria, che voleva
prendere posto a sinistra del Pci ma i berlingueriani non intendevano spostarsi
fisicamente - e simbolicamente - un po' più al centro.
In attesa di trovare una collocazione adeguata
nella geografia dell'aula, il capogruppo Dp a Montecitorio eletto ieri mattina,
Francesco Laforgia (al Senato il capogruppo è Cecilia Guerra, ex viceministro
nel governo Letta) rassicura il premier Gentiloni: «Il governo non perde un
solo numero dell'attuale maggioranza. Non c'è un timore di instabilità, semmai
c'è una sfida positiva per allargare la maggioranza. Nessuno potrà scaricare su
di noi la responsabilità dell'instabilità, semmai qualcun altro avrà questa
tentazione».
Se è un riferimento a Renzi, di sicuro è un
attacco più velato di quello lanciato da Massimo D'Alema ieri a Genova: alle
primarie del Pd «oltre a Forza Italia, che voterà in massa per Renzi in modo organizzato,
andranno a votarlo anche quelli del 5 stelle. Mi hanno detto: “Ci stanno
mobilitando. Dio non voglia che non sia Renzi il segretario del Pd, se è Renzi
siamo sicuri di vincere le elezioni”. Non è una battuta: le primarie del Pd
sono una specie di festival di Sanremo, non una cosa seria».
La Nuova
Pigliaru
ora perde pezzi-Progressisti verso l’addio
Il
valzer degli assessori bocciato da ex Sel area Pisapia e Centro democratico
Uras:
ormai siamo al riciclo degli scarti. Capelli: il mio gruppo voterà contro
di
Umberto Aime
CAGLIARI Il rimpasto a costo zero
non ci sarà: potrebbero esserci
invece più di una lacrima e forse
anche molto sangue. L’allarme è
suonato: all’orizzonte c’è una
tempesta politica in arrivo che venerdì
potrebbe mettere a rischio il varo,
annunciato festoso, della seconda
giunta Pigliaru. Tutto è deciso: chi
entra (Filippo Spanu, Barbara
Argiolas e Pier Luigi Caria) e chi
esce (Francesco Morandi del Cd e
Claudia Firino ex Sel) lo si sa da
giorni. Però fuori da Villa Devoto,
roccaforte dell governatore, il mare
è grosso.
Tempesta in arrivo. Chi
è stato escluso dal rimpasto, il
Campo progressista di Luciano Uras e
Roberto Capelli, con anticipo ha
cominciato a lanciare fulmini e
saette. Eccoli, i primi: «La mia
sfiducia nei confronti del presidente
è nota da tempo, siamo pronti a
votare contro», ha detto Capelli,
deputato e segretario del Cd.
Oppure: «Dalla giunta dei professori,
passeremo a quella dei trombati e
degli inutili capi di gabinetto», è
l’accusa al vetriolo scaricata da
quella parte degli ex Sel, Uras e
più, che hanno perso la sfida con i
tre consiglieri, anche loro ex
Sel, Daniele Cocco, Eugenio Lai e
Luca Pizzuto, prossimi pare a
entrare nel movimento dei
Democratici e progressisti, fondato a Roma
dagli anti-renziani fuoriusciti dal
Pd. Impossibile trattare. È un
clima da resa dei conti, nel
centrosinistra, anche se i pompieri non
mancano e ripetono con insistenza:
«Tutti volevano un rimescolamento
delle carte e il rilancio
dell’azione di governo.
Ora che sta per
esserci, saltano fuori gli scontenti
e sono sempre i soliti». In
questo momento Pigliaru pare
comunque deciso a non avere ripensamenti:
la nuova squadra è scelta, accada
quello che dovrà accadere. Anche una
clamorosa crisi? Quella è esclusa –
dicono i matematici del Consiglio
regionale – perché comunque e
nonostante due o tre abbandoni – quelli
possibili di Francesco Agus ex Sel
di Uras e Anna Maria Busia del Cd –
Pigliaru dovrebbe avere sempre i
voti in aula per chiudere la
legislatura nel 2019. Effetti
collaterali.
Certo, il terzo strappo
politico in tre anni – con l’addio
probabile del Campo progressista
dopo quello di Rossomori e
Rifondazione comunista – potrebbe essere
addirittura un prezzo troppo pesante
da pagare per la coalizione che,
nel 2014, ha vinto le elezioni regionali
e forse non più destinata a
ricompattarsi nelle Politiche del
2018 o forse anche prima. C’è
dell’altro: se il Pd, con due
assessori per corrente, in totale avrà
sei deleghe, due in più rispetto a
tre anni fa, sembra aver risolto
almeno una parte del caos interno,
il Partito dei sardi è in fermento.
S’aspettava un rimpasto – testuale –
di più alto profilo e presto
potrebbe essere molto critico nei
confronti della giunta e allora sì
che sarebbero guai seri per il
governatore. A essere tranquillo è
l’Upc di Antonio Satta, ancora una
volta rimasto saldo in sella.
L’ultima giunta. La Pigliaru uno ha
chiuso di fatto bottega 24 ore fa.
Presenti i partenti Firino e
Morandi, dicono che la riunione si sia
svolta in un clima abbastanza
tranquillo. Anche se l’ormai ex
assessore alla cultura, Claudia
Firino appunto, pare sia rimasta
spesso in disparte. Poco prima aveva
detto: «Come sempre accade, il
diretto interessato sarà l’ultimo a
sapere».
Morandi, invece, ad
alcuni è apparso sereno: andrà via
dall’assessorato al turismo, ma per
lui – che a questo punto dovrà per
forza prendere le distanze da
Capelli e dal Cd – è pronto un posto
di consulente a Villa Devoto.
Silenzi e dubbi. Della prossima
giunta, nell’ultima riunione di quella
vecchia, nessuno ha parlato: il
rimpasto è ancora un segreto(di
Pulcinella) anche se ormai i giochi
sono scoperti. C’è un solo dubbio:
Barbara Argiolas (Pd-Soru) designata
al turismo potrebbe scambiarsi la
delega con Giuseppe Dessena, scelto
per la cultura dai consiglieri
regionali ex Sel, cioè Cocco più
due. Perché? Dessena è stato il capo
di gabinetto della Firino, che poi
l’ha defenestrato, e la vendetta
postuma potrebbe essere ora fin
troppo cruenta. Meglio sarebbe avere
un po’ più di stile, sostengono alcuni.
Gli esclusi. Impegnato a
lanciare il Campo progressista, Uras
ha tagliato corto: «Non
polemizzo, ma lasciatemelo dire:
altro che Prima Repubblica, siamo al
riutilizzo degli scarti e al
riciclaggio dei rifiuti». Ancora più
forte, la levata di scudi di
Capelli: «Qualcuno ci liberi da Pigliaru,
da soli non ce la facciamo», ha
dichiarato all’Agenzia Dire. Per
andare in crescendo: «Ritengo
irrispettoso, se non volgare umanamente
e politicamente, il silenzio del
governatore a tutte le illazioni, o
fatti, che la stampa riporta sugli
assessori. Finora nessun partito ha
avuto la fortuna di essere convocato
dal presidente per il rimpasto.
Quella annunciata sui giornali è
dunque una decisione tutta del
governatore e del suo cerchio
magico, composto tra gli altri
dall'inaffidabile, per usare un
eufemismo, Raffaele Paci, il
vicepresidente che s’è scelto».
filippo spanu
Il braccio destro del governatore
promosso agli Affari generali
Per i primi tre anni di governo,
Filippo Spanu è stato un fedelissimo
del governatore e i due sono amici
storici da una vita. Francesco
Pigliaru l’aveva scelto come capo di
gabinetto. Spanu, ex direttore di
Confartigianato, ha fatto tutta la
campagna elettorale accanto al
futuro governatore. Collaborava già
con il professore quando Pigliaru
era assessore nella giunta di Renato
Soru. Dopo la vittoria alle
elezioni la nomina come capo del
gabinetto. E ora dopo tre anni
passati a risolvere le situazioni
più complicate è arrivata la
promozione.
O forse il nuovo complicato incarico
agli Affari generali.
Prenderà il posto di un altro
fedelissimo del presidente, Gianmario
Demuro, che si era dimesso subito
dopo il risultato del referendum del
4 dicembre. Da allora Pigliaru aveva
tenuto per sé l’interim, convinto
che il rimpasto sarebbe stato
questione di qualche giorno. Ma le
turbolenze del Pd nazionale e di
quello regionale hanno prolungato il
periodo di interregno. Spanu,
cagliaritano, è sì un tecnico, ma è
anche un Pd della prima ora. Nel
2007, in occasione delle prime
primarie della storia dem, Spanu fu
uno dei possibili outsider nella
corsa per la segreteria regionale.
Quella sfida che, per certi versi
ancora in corso, tra Antonello
Cabras e Renato Soru. Ha dalla sua l’ex
ministro della Difesa Arturo Parisi,
ma alle primarie non andrà oltre
il 7 per cento. Messa da parte la
politica, s’è dedicato alla
Confartigianato. Fino al 2014,
quando Pigliaru l’ha voluto al suo
fianco. È il suo braccio destro. E
infatti ora lo chiama a guidare gli
Affari generali. Nel Pd è schierato
con i renziani, ma più con quelli
nazionali che con i sardi fedeli
all’ex premier.
pierluigi caria
Commercialista ed ex dirigente Asl,
pronto per l’Agricoltura
Per 4 volte ha provato a entrare
nell’aula di via Roma, riuscendoci
una sola volta, ma poi un ricorso lo
ha mandato a casa. Il quinto
tentativo sembra essere la volta
buona, ma anziché come consigliere
Pierluigi Caria arriverà a Cagliari
come assessore. Il suo nome è
destinato all’Agricoltura. A
prendere il posto dell’imprenditrice
agricola Elisabetta Falchi,
designata a suo tempo dai Rossomori, sarà
dunque il commercialista olbiese, 48
anni, nipote dell’ex
sottosegretario Bruno Dettori, da
più di 20 anni protagonista della
politica gallurese. Non ha neanche
27 anni quando nel 1995 il neo
sindaco di Olbia Giommaria Uggias lo
nomina assessore. Due anni dopo
la giunta cade e lui segue Uggias in
una civica. Perdono contro
Settimo Nizzi, ma Caria entra in
consiglio, dove rimarrà fino al 2006,
quando la giunta Soru lo nominerà
direttore amministrativo della Asl
di Olbia. Il suo obiettivo però è il
Consiglio regionale. Nel 1999 il
primo tentativo con i Democratici di
Prodi va a vuoto. Cinque anni
dopo ci riprova con la Margherita,
ma si classifica terzo e a Cagliari
arriva proprio il suo scopritore
Giommaria Uggias. La terza volta, nel
2009, sembra essere quella buona.
Caria batte la concorrenza interna
al Pd e conquista un posto in
Consiglio, ma il secondo arrivato, Elio
Corda, presenta un ricorso e lo
vince: il commercialista era
ineleggibile a causa del precedente
incarico di dirigente Asl e deve
lasciare Cagliari. Ci riprova nel
2014 a sostegno di Pigliaru, ma
Giuseppe Meloni prende 1.500 voti in
più. Ora, a 4 anni di distanza
per Caria, super sponsorizzato dai
renziani della prima ora, arriva il
lasciapassare per Cagliari.
Destinazione giunta.
barbara argiolas
La rivincita dell’imprenditrice
soriana di ferro: per lei il Turismo
Indicata dall’area soriana come
assessore, Barbara Argiolas prenderà
il posto di Francesco Morandi
(Centro democratico) alla guida del
Turismo in Regione. Argiolas, cugina
dell’ex governatore Renato Soru,
è stata assessore comunale alle
Politiche per lo sviluppo economico e
turistico dal 2011 al 2016 nella
giunta del Comune di Cagliari guidata
da Massimo Zedda. S’era parlato
anche di una sua possibile candidatura
a sindaco prima che Zedda
confermasse la propria volontà di fare un
secondo mandato. Nata nel 1969,
laureata in Economia politica, Barbara
Argiolas ha il primo incarico
pubblico come consulente di Soru
presidente della Regione: è
assegnata a lei la direzione organizzativa
e il coordinamento degli eventi
collaterali al G8 che si sarebbe
dovuto tenere nel 2009 a La Maddalena.
Negli anni è anche consulente
di Tiscali e responsabile delle
relazioni esterne dell’Istituto di
designe Ied di Cagliari. Nel 2010 è
socio unico e amministratore di
una società che si occupa di
organizzare eventi. Nel 2011 il salto in
politica. Quando Massimo Zedda
(allora Sel) vince, quasi a sorpresa,
le elezioni comunali di Cagliari
contro Massimo Fantola, Barbara
Argiolas è fin da subito una delle
certezze della giunta. E infatti
all’imprenditrice viene affidato il
Turismo. Nel 2014, all’indomani
della vittoria di Pigliaru, il suo
nome è tra i più gettonati proprio
per l’assessorato al Turismo, che
poi però andrà a Francesco Morandi,
sostenuto da Roberto Capelli.
Quattro anni dopo arriva la rivincita:
il professore indicato dal Centro
democratico deve lasciare il posto
all’imprenditrice soriana di ferro.
GIUSEPPE DESSENA
Dal siluramento nello staff della
Firino alla poltrona della Cultura
Nuorese, 44 anni, Giuseppe Dessena è
candidato a diventare il nuovo
assessore regionale alla Cultura.
Dessena arriva da Sel, e non è al
suo primo incarico. È stato
assessore Provinciale nel 2010-2014 al
Lavoro, all’Industria, alle
Politiche sociali e all’Immigrazione,
nella giunta di centrosinistra
guidata da Roberto Deriu. Si è dimesso
nel 2014 subito dopo la nomina a
capo gabinetto nell’assessorato
regionale all’Istruzione. In quella
legislatura, sempre in Provincia,
avevano dato le dimissioni dopo
essere stati eletti in Regione anche
l’allora presidente Roberto Deriu e
il consigliere di maggioranza
Daniela Forma, entrambi del Pd.
Dessena è da sempre tra gli esponenti
di spicco di Sel nel Nuorese. È
stato anche coordinatore provinciale
dei vendoliani. Al centro della sua
attività politica l’emergenza
lavoro in una delle province in cui
il tasso di disoccupazione è tra i
più alti. È stato anche consigliere
comunale di maggioranza a Nuoro
dal 2010 al 2015 sotto il sindaco
Alessandro Bianchi, eletto sempre
nelle liste di Sel. Il prossimo
assessore aveva tentato di entrare
nell’aula di via Roma anche da
consigliere. Dessena è stato candidato,
sempre con Sel, alle elezioni
regionali del 2014 nel collegio di
Nuoro. È stato il più votato del suo
partito in provincia, con 872
preferenze, ma non è riuscito a
portare a casa l’elezione. La sua
nomina è anche una piccola rivincita
personale dopo il siluramento
subito neanche un mese fa come
capogabinetto. Scelta che aveva portato
tre consiglieri regionali di Sel a
chiedere le dimissioni
dell’assessore Claudia Firino.
Unione Sarda
Giunta,
tensione in maggioranza
In
settimana i nuovi assessori. Capelli (Cd): se va via Morandi,
togliamo
la fiducia
I nomi sono pronti e in settimana il
governatore dovrebbe assegnare le
nuove deleghe, intanto il clima in
maggioranza si avvelena. Dopo le
dimissioni di Elisabetta Falchi e
Gianmario Demuro, la seconda Giunta
Pigliaru farà quasi certamente a
meno anche di Claudia Firino (ex Sel,
vicina a Luciano Uras e Francesco
Agus) e Francesco Morandi (Centro
democratico). Al posto dei quattro,
entrerebbero Pier Luigi Caria (Pd)
all'Agricoltura, Filippo Spanu (ora
capo di gabinetto di Pigliaru)
agli Affari generali, Giuseppe
Dessena (ex capo di gabinetto di
Firino) alla Cultura, Barbara
Argiolas (Pd) al Turismo. Ieri, proprio
Firino non ha nascosto una certa
amarezza: «Sul mio futuro non so
nulla - ha detto a margine di una
conferenza stampa - ma di solito gli
assessori sono gli ultimi ad essere
informati.
Per quanto mi riguarda
continuo a svolgere il lavoro come
sempre, come è tenuto a fare un
assessore nell'esercizio delle sue
funzioni». E infatti stamattina
terrà un'altra conferenza stampa,
sui giganti di Mont'e Prama. Quanto
a Morandi, molto duro il deputato
del Cd, Roberto Capelli: «La mia
sfiducia nei confronti del
presidente è ormai datata - dice
all'agenzia Dire - non so quali
siano le sue intenzioni per il
rimpasto, ma credo sia opportuno che
il Centro democratico ora, e il
Campo progressista (al quale Capelli
aderirà), ufficialmente dopo,
tolgano la fiducia a questo
presidente: se sostituirà Morandi la
sfiducia sarà un atto conseguente».
Clima teso, dunque. Tanto che,
proprio per evitare che Dessena vada a
prendere il posto di chi l'ha
rimosso da capo di gabinetto, l'ex
assessore al Lavoro della Provincia
di Nuoro potrebbe essere destinato
al Turismo e, a quel punto, Argiolas
andrebbe alla Pubblica
Istruzione. Ma per l'ufficialità si
dovrà aspettare almeno sino a
venerdì. Non è detto, inoltre, che
prima di allora Pigliaru convochi
un vertice di maggioranza.
Roberto Murgia
Landini: desertificazione
industriale nell'Isola e in tutto il Paese
Il segretario della Fiom a Cagliari:
«Spero che Gentiloni al governo
faccia meglio di Renzi
«Il problema è la crisi di lavoro»
La crisi che sta vivendo la sinistra
in Italia, segnata dalla lotta
all'interno del Partito democratico
e con i pezzi che vanno in ordine
sparso, rappresentano in questo
momento il problema minore. «Il vero
problema non è che cosa succede
dentro al Pd, ma quello che accade ai
lavoratori. Questa crisi nasce dopo
il voto del referendum del 4
dicembre, quando gli italiani si
sono recati alle urne in massa per
dire a quel governo che ne avevano
piene le scatole di quelle
politiche», afferma Maurizio
Landini. Il segretario generale della
Fiom-Cgil, ieri a Cagliari per partecipare
al rinnovo dei vertici
provinciali dei metalmeccanici e
illustrare le novità dell'accordo sul
contratto raggiunto con
Federmeccanica, non si sottrae alle
riflessioni sulle divisioni del
mondo politico progressista e sulle
possibili conseguenze per i
lavoratori.
IL DIBATTITO POLITICO «Ho il massimo
rispetto per la discussione
politica, e il dibattito non mi
spaventa. Anzi, mi preoccupa quando ce
n'è poco e soprattutto l'idea che si
è affermata negli ultimi anni che
bastasse un solo uomo al comando, di
destra o di sinistra, per
risolvere tutti i problemi. Ma io»,
aggiunge, «sono un sindacalista e
in tasca ho solo la tessera della
Cgil e quella dell'Anpi»,
l'associazione dei partigiani,
risponde a chi gli domanda se il suo
progetto di “Coesione sociale”
presentato due anni non fosse un
tentativo di amalgamare i pezzi
della sinistra in Italia. «Non ho mai
tentato nessuna azione politica, la
mia era solo un'idea per unire il
mondo del lavoro. Personalmente,
quindi, non so cosa debba essere la
sinistra, quindi quello che farà il
Pd lo deciderà il partito»,
sottolinea. Il problema, invece,
«che viene prima della necessità di
ricostruire una sinistra in Italia,
è quello di realizzare un'unità
sociale del mondo del lavoro che
purtroppo oggi non c'è. Quando in un
Paese passa l'idea che si possa
comprare e vendere il lavoro delle
persone, mi sembra che ci troviamo
di fronte una situazione più
preoccupante».
IL CONFRONTO Governo Gentiloni, «che
auspico faccia di più e anche
meglio di quanto fatto dall'esecutivo
di Matteo Renzi» il numero uno
dei metalmeccanici rivolge richieste
chiare: in primo luogo, occorre
fissare la data dei referendum sui
voucher lavoro e sulle modiche al
contratto degli appalti promossi
dalla Cgil. «Noi riteniamo che la
data dei referendum debba coincidere
con quella delle amministrative,
perché questo consentirebbe di
spendere bene i soldi, e metterebbe i
cittadini nelle condizioni di
esercitare il diritto di voto. Speriamo
che il Governo vada in questa
direzione, anche perché portare 26
milioni di italiani al voto», la
maggioranza che servirebbe per
raggiungere il quorum, «non è cosa
semplice».
In secondo luogo, serve modificare
la riforma della scuola e il Jobs
act, infine rinnovare gli
ammortizzatori sociali e rimettere mano alle
pensioni. Sullo sfondo, resta, però,
«la necessità, e questo vale
soprattutto per una regione come la
Sardegna, di avere un'idea di
crescita che oltre a quella
industriale sia anche uno sviluppo che
punta sul turismo e
sull'agricoltura. Insisto su questo, non si può
lasciare questo obiettivo a ogni
singolo territorio, occorre una
visione di insieme, un piano
nazionale che finora secondo me non c'è
stato».
LA CRISI NELL'ISOLA All'assemblea
dei metalmeccanici sardi, Landini
lascia un messaggio di speranza: «In
Sardegna, e più generale nel
Paese, è in atto un processo di
desertificazione industriale, ma la
possibilità che la vicenda Alcoa si
possa chiudere positivamente entro
marzo fa pensare che sia possibile
invertire la rotta, rimettendo al
centro proprio il lavoro».
Intanto, Sandro Banchero è il nuovo
segretario provinciale della Fiom.
Cinquantaquattro anni, di Cagliari,
Banchero prende il posto di
Samuele Piddiu, entrato a far parte
della segreteria regionale della
Cgil. Mauro Madeddu
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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