Unione
Sarda
Il
dibattito sul futuro dell'Isola: «Difendiamo lavoro, ambiente, lingua, cultura,
sanità» «È l'ora dell'indipendentismo» Devias: no ai partiti romani e alle
forze locali collegate a loro.
Pubblichiamo la lettera di Pier
Franco Devias, segretario nazionale di Liberu, nell'ambito di un dibattito sul
futuro del sovranismo e dell'indipendentismo nella politica sarda, anche alla
luce delle recenti dimissioni del leader dei Partito dei Sardi Paolo
Maninchedda dalla Giunta Pigliaru.
«Nel mondo indipendentista da alcuni
giorni l'argomento clou è rappresentato dalla lettera di dimissioni di
Maninchedda a Pigliaru e dalla conferenza stampa del Partito
di Sardi, su cui ci siamo espressi in tanti. Alla luce di tutto ciò come si
vuole ricomporre l'indipendentismo? Io penso che debba proseguire la sua
evoluzione nella direzione che ha sempre avuto, cioè continuare ad essere elemento
di rottura rispetto alla politica unionista, rappresentare l'unica alternativa
per il superamento di un autonomismo sottoposto ad accanimento terapeutico.
Il PdS, invece, nonostante slogan e
parole altisonanti, va in tutt'altra direzione. Per anni si è atteggiato da oppositore
fino alle dimissioni dell'assessore, minacciando fuoco e fiamme, ma restando lì
dove è sempre stato: a sostegno di una delle giunte più italo-dipendenti della
storia autonomistica».
«Il PdS è nato come emblema della
continuità e della collaborazione con le forze italiane e ne ha
sostenuto i progetti più obbrobriosi e colonialisti, dall'ampliamento degli
inceneritori all'anacronistico ritorno al carbone, passando per una disarmante
assenza su lingua, legge elettorale democratica sarda, servitù militari… Il PdS
ha rappresentato il fidato pilastro su cui reggere il governo del disastro in
Sardegna».
«Si può scorgere uno spiraglio di
collaborazione con chi fa queste scelte? Può il movimento di liberazione
nazionale accordare fiducia a chi, come il PdS, nello scenario tragico in cui
versa la Sardegna, ha deciso di stare dalla parte del
problema e non della soluzione? Difficile. Un dialogo potrebbe avvenire solo su
tematiche ideali, a cui però da parte loro non corrisponde un comportamento
conseguente».
«Vogliamo parlare di alti ideali o
di come risolvere i problemi dei Sardi? Gli alti ideali hanno senso solo se
sono finalizzati a risolvere i problemi reali, altrimenti restano solo
passatempo per gente con la pancia piena. Peggio che mai, poi, se servono come copertura
per tenere la pancia vuota agli altri e riempire la propria. Non credo che il
PdS sia un interlocutore valido del movimento di liberazione nazionale (né fa
niente per cercare di esserlo), perlomeno fino a quando è rappresentato e
diretto da persone storicamente molto abili a cavalcare il potere italiano
anziché contrastarlo, da chi ha diviso l'indipendentismo fino a sostenere
l'esistenza di una “vera” bandiera sarda e una “falsa”, da persone che
pubblicamente cantano l'inno italiano con la mano sul cuore, da alcuni che
forse pensano che soddisfare i propri interessi personali si possa chiamare indipendentismo».
«L'indipendentismo non è questo.
L'indipendentismo ha bisogno di dimostrare di essere profondamente diverso
dalla politica italiana, rigettando concezioni di partito ormai in tutto simili
a comitati d'affari, rilanciando un modello organizzativo popolare di lotta e
di progetto. Deve difendere con forza il lavoro, l'ambiente, la lingua e la cultura, l'istruzione, una sanità
pubblica ed efficiente, il diritto dei Sardi di vivere liberi e felici nella
loro terra».
«In che cosa il PdS si è
differenziato dai partiti italiani? In che cosa si è avvicinato al patrimonio
del mondo indipendentista? L'indipendentismo è rivoluzionario e, come tutte le
rivoluzioni, si propone di sostituire lo status quo precedente con qualcosa di
nuovo e migliore. Il peggiore nemico di ogni rivoluzione è invece chi fa credere
che la rivoluzione coincida con il consolidamento dello status quo. E così il
famoso «cambiare tutto per non cambiare niente» di gattopardesca memoria ai
tempi del PdS può ben diventare «a innantis, pro lassare totu comente est!». Non
ci interessa, grazie, lottiamo per un'altra Sardegna. Molto migliore di questa.
Pier Franco Devias
Unione
Sarda
Centrosinistra,
il Partito dei sardi detta le condizioni
Il
segretario Sedda a Pigliaru: serve un atteggiamento competitivo con
governo
e Stato
Il Partito dei sardi cala il poker
sul tavolo della maggioranza, per
continuare il percorso assieme e
riportare la spinta indipendentista
nella coalizione. Una partita da
giocare contro il governo suddivisa
in quattro punti chiave che entro
l'estate sanciranno la rottura o
meno del Pds con il centrosinistra.
Questioni che il presidente
Pigliaru dovrà affrontare prima di
scegliere il sostituto del
dimissionario Paolo Maninchedda ai
Lavori pubblici, adesso affidato ad
interim a Raffaele Paci. E se da un
lato il segretario Franciscu
Sedda, pensa un passaggio tecnico
per un periodo limitato con
l'attuale direttore generale
dell'assessorato, Edoardo Balzarini,
dalla Regione frenano. Non piace a
Villa devoto la formula di un
assessore a tempo, in attesa di
un'indicazione definitiva, e per il
presidente Pigliaru non è una strada
in alcun modo percorribile.
RIVENDICAZIONI Serve un
«atteggiamento competitivo nei confronti del
governo e dello Stato italiano»,
spiega il segretario Franciscu Sedda.
La prima mossa è chiedere al governo
di «ritirare il ricorso contro
l'articolo 3 della legge per
l'Agenzia sarda delle entrate». Sulla
legge elettorale nazionale il
Partito dei sardi chiede una mediazione
per il calcolo del quorum su base
sarda. Gli accantonamenti sono
un'altra questione delicata perché
al presidente Pigliaru viene
affidata la missione per intercedere
a Palazzo Chigi affinché il
governo «ci riconosca e renda subito
disponibili le somme dovute alla
Sardegna». Infine, sempre
l'esecutivo dovrà notificare alle
istituzioni europee la condizione
giuridica di insularità. Queste le
missioni affidate al presidente per
rinsaldare l'alleanza. Un
passaggio fondamentale, però,
saranno le amministrative di domenica
prossima. Un test fondamentale per
il Partito dei sardi che a Oristano
ha deciso di staccarsi dal
centrosinistra e candidare un proprio
esponente in un polo civico
indipendentista. Il Pds si riunirà il 24
giugno ad Arborea per coinvolgere
gli iscritti nella scelga finale.
IL VERTICE Dopo l'incontro con
Pigliaru e il vice presidente Raffaele
Paci, la riunione è stata allargata
a tutta la coalizione. È stato
fatto il punto sul percorso di fine
legislatura che si «concluderà
sicuramente nel 2019», sottolinea il
governatore. Se Pigliaru è pronto
ad affrontare le questioni sollevate
dal Pds, resta da verificare
quanto lo vorrà fare la coalizione.
Il primo scoglio potrebbe essere
la legge elettorale che
difficilmente il Partito democratico vorrebbe
cambiare. (m. s.)
La
nuova Sardegna
Pigliaru
non ha dubbi: «Resteremo fino alla fine»
CAGLIARII gufi volino lontano: il
centrosinistra resisterà fino al
2019, poi si vedrà. Dal doppio
vertice, prima con i ribelli del
Partito dei sardi e un'ora dopo con
tutti i partiti della maggioranza,
il governatore Francesco Pigliaru è
riapparso sicuro come non mai:
«Arriveremo fino all'ultimo giorno
della legislatura. Su questo non ci
sono dubbi. Perché il clima dentro
lo spogliatoio è buono», ha
aggiunto con tanto di sorriso e sta
per arrivare anche il possibile
accordo sulla tattica con cui la
squadra scenderà in campo. Il
governatore questo non se lo è
lasciato sfuggire, troppo presto?, ma è
convinto che presto sarà così. La
crisi non è ancora passata, le
dimissioni dell'assessore Paolo
Maninchedda del Partito dei sardi
devono essere metabolizzate, però a
parte qualche incomprensione sul
successore non sembra esserci più
aria di tempesta.
Per la verità è
sempre così o tutti si affrettano a
raccontarla così dopo ogni
vertice, ma stavolta la maggioranza
avrebbe preso l'impegno degli
impegni: non esploderà e neanche ha
intenzione di sgonfiarsi. Prima di
ferragosto la giunta ritornerà al
completo, al massimo dopo un
rimpasto veloce, e poi - è il
giuramento condiviso - «riprenderemo a
marciare verso la meta».L'assessore
che sarà. Nei due incontri mai s'è
accennato al nome di chi prenderà il
posto di Maninchedda. Che i
lavori pubblici rimangano
un'esclusiva del Partito dei sardi, è una
certezza, mentre sull'identità
dell'assessore ci sono pareri
contrastanti. Per ora la delega è
stata congelata e affidata al
vicepresidente Raffaele Paci, ma
l'interim non può durare a lungo:
sarebbe un errore clamoroso. Il Pds
non ha fretta, Pigliaru sì: ci
sono un bel po' di cantieri da
aprire.
Capito il senso dell'invito, i
sovranisti avrebbero proposto come
soluzione a tempo l'attuale
direttore generale dell'assessorato
- è Edoardo Balzarini - ma al
presidente le scelte provvisorie non
piacciono e neanche sembra
disponibile ad accettare altre
staffette incorsa. Quindi se il Pds
dovesse indicare Balzarini, sarà lui
l'assessore fino al 2019. Oppure
proponga un altro nome purché sia
quello definitivo e che potrebbe
uscire il 24 giugno dall'assemblea
dei sovranisti ad Arborea.Doppio
vertice. È stata una maratona, dalle
10 alle 14. All'inizio della
mattinata Pigliaru ha incontrato la
delegazione del Pds, guidata dal
segretario Franciscu Sedda e dal
capogruppo Gianfranco Congiu. «È
stato un confronto schietto e con
anche momenti di tensione, però
costruttivo», è la sintesi poi
arrivata quasi in contemporanea da una
parte e dall'altra del tavolo.
I sovranisti si sono presentati con
quattro punti da realizzare
nell'immediato: contrastare il governo nel
ricorso contro l'Agenzia sarda delle
entrate, puntare a una legge
elettorale nazionale che permetta
anche alle liste «tutte e solo
sarde» di eleggere uno o più
parlamentari, ottenere indietro i milioni
finora negati dallo Stato con la
scusa che c'è da risanare il debito
pubblico tricolore e infine non essere
più prigionieri delle regole
europee sugli aiuti di Stato e
reclamare il diritto all'insularità.
Sedda dirà: «Dal governatore ci
aspettiamo una chiara presa di
posizione su ciascun punto» Il
minimo sindacale potrebbe essere una
lettera d'impegni, o meglio
un'affollata conferenza stampa, oppure
chiedere al governo (ci sarà il
tempo, le elezioni sono alle porte) di
«confrontarsi in Sardegna sulla
Sardegna». Pigliaru, a sua volta,
dirà: «Sono più i punti di contatto
che quelli in cui siamo lontani».
Bisogna essere ottimisti e le parti
in causa lo sono. A metà mattinata
poi è andato in scena il vertice
allargato ai sette partiti di
maggioranza. In cui ciascuno ha
messo del suo, perché «dobbiamo
riempire l'agenda di cose da fare e
molto subito».
Così Mdp ha chiesto
che in testa ci sia la vertenza
delle zone interne e l'agricoltura,
l'Upc-Psi s'è concentrato sul caso
La Maddalena, leggi mancato G8, e i
trasporti, il Campo progressista ha
parlato molto di sanità e oggi è
in programma un vertice tecnico
sulla riorganizzazione della rete
ospedaliera. Le varie anime del Pd
si sono confrontate sui trasporti e
l'urbanistica. Poi c'è chi ha messo
sul tavolo le servitù militari, il
metano, la partita con l'Eni, i
rapporti con lo Stato, il welfare e le
«azioni indispensabili per
rilanciare l'occupazione», scritta com'è
stato detto da Sinistra sarda e
dalla Base. Ogni partito è uscito dal
vertice con un bel po' di compiti da
svolgere a casa. Il nuovo
appuntamento è fra una settimana,
con Pigliaru che è stato perentorio
nel dire: «Dal prossimo conclave,
dobbiamo uscire con un patto di
governo in cui ognuno, dalla giunta
ai consiglieri di maggioranza,
saprà cosa fare, quando e come lo
dovrà fare». Fino al 2019. (ua)
La
società promuove il Cagliari-Bastia, ma sul web e tra i politici
regna
lo scetticismo sulla fattibilità
L'ad
di Hyperloop: ottimo il progetto sardo
SASSARINon solo fantascienza. Il
progetto Hyperloop è molto più di
un'idea. La sua presentazione
ufficiale ad Amsterdam l'ha trasformato
in un piano di sviluppo della rete
di trasporto europea. La Regione ne
è convinta e passa la giornata a
spiegare che il progetto Hyperloop è
portato avanti in collaborazione con
la Regione Corsa. Spiega i
dettagli dell'idea. Costo 11 milioni
di euro al chilometro. Nel 2021
ci saranno le prime tratte a uso
pubblico, ma non nell'isola. Con
molta probabilità si dovrà attendere
qualche anno in più.Il progetto è
di una società corsa, la FemuQui, la
Regione lo ha presentato ad
Amsterdam. E insieme ad altri nove
viene considerato tra quelli che
meritano di essere portati avanti.
Nel sito della Hyperloop c'è anche
una sorta di gioco popolare. Si può
votare il progetto preferito per
farlo realizzare per primo.
E l'amministratore della società
Hyperloop
One, Rob Lloyd, si è detto molto
interessato dal progetto di
collegamento Bastia-Cagliari «perché
portatore di un enorme potenziale
di trasformazione» e ha apprezzato
il lavoro preparatorio effettuato
con il supporto delle
amministrazioni delle due regioni. Sul web. Ma
l'accoglienza nel tribunale popolare
del web è tra l'incredulo e il
glaciale. I sardi abituati dalla
nascita a un sistema di trasporti
degno di una scalcinata repubblica
africana vedono l'ipotesi del super
treno che collegherà Cagliari e
Sassari con un tubo. E in molti
mostrano assoluta sfiducia verso
l'assessore ai Trasporti. Se Massimo
Deiana inventasse l'elisir che rende
immortali verrebbe con molta
probabilità accusato di voler
sovrappopolare il pianeta.I commenti.
Non solo la gente comune. I più
critici sono gli avversari politici.
Ugo Cappellacci, Fi: «Hanno
cancellato la continuità territoriale.
Hanno fatto scappare Ryanair. Hanno
ridato forza al sistema Tirrenia,
ma promettono un condotto che ti
"spara" a 1000 chilometri all'ora
verso la Corsica.
Nessuno le spara come loro». Mauro
Pili si cimenta
in un ardito fotomontaggio che
trasforma Deiana in un uomo-cannone.
«Ho letto che il peggior assessore
dei trasporti, dall'era nuragica ai
giorni nostri sta promuovendo un
tubo subacqueo per collegare la
Sardegna con la Corsica». Dubbi
anche per il deputato Michele Piras:
«Prima di sognare hyperloop e
hyperuranium mi sarei accontentato di
arrivare da Cagliari a Sassari in un
tempo ragionevole o di avere una
linea ferroviaria dignitosa per
Nuoro o di avere una continuità
territoriale aerea dignitosa. Questa
storia dei 40 minuti per Bastia
mi ricorda il ponte sullo stretto di
Messina e la Tav. Solo un po' più
ridicola». (l.roj)
Il
leader pentastellato insiste: «Vogliamo la legge e vogliamo le
elezioni».
Ri-voto degli iscritti Grillo acrobata in pressing sugli ortodossi
Nessuna giravolta. Anzi. La
decisione di far
tornare gli iscritti a votare,
on-line, sul testo finale della legge
elettorale è il nuovo affondo che
Beppe Grillo intende imprimere
all'approvazione di quella legge
elettorale che salva i 5 Stelle dal
Rosatellum e l'unica che gli
consente di aspirare ad un voto
anticipato. Ed è soprattutto l'unico
modo per mettere a tacere i mal
di pancia di quanti, nella base e
tra gli eletti, sentono di aver
«tradito» il mandato elettorale per
aver accettato di convergere con
il Pd e Fi su un sistema elettorale
senza preferenze, il totem
intoccabile dei pentastellati. Nasce
così la decisione di presentare
gli emendamenti a firma M5s sulle
preferenze, sul voto disgiunto e sui
correttivi di governabilità.
E di "sfidare" il Pd
nonostante un
accordo raggiunto su un testo base
che non li prevedeva. «L'abbiamo
sempre detto. Non c'è nessuno strappo
in avanti» affermano i deputati
M5s dopo una riunione del gruppo
convocata per chiarire la strategia
che sarebbe seguita di lì a poco,
quando sarebbero iniziate le
votazioni. E che si è conclusa con
il contemporaneo annuncio dal blog
di indire la nuova consultazione
degli iscritti sul testo che uscirà
dalle votazioni in Aula. «Cercheremo
in tutti i modi di ottenere nuovi
miglioramenti. Non sappiamo se ce la
faremo perché non dipende solo da
noi. Ma abbiamo già ottenuto
importanti risultati» mette le mani
avanti il M5s nel post con cui
chiama gli iscritti a «ratificare» il
testo prima che si passi al voto
finale, grazie ad uno slittamento
concesso dallo stesso Pd.
Presumibilmente gli iscritti saranno
chiamati a votare un testo senza le
preferenze. Ma Grillo vuole
chiudere la partita senza strascichi
divisivi nel Movimento,
soprattutto ora che si avvicinano le
urne. Ma non intende rompere il
patto sulla riforma. «Il M5s vuole
la legge e vuole il voto»
chiarisce. E i 5 Stelle in Aula si
astengono sull'emendamento sul
disgiunto di Mdp perché, dice
Toninelli, scritto «per affossare
tutto». L'accordo è raggiunto anche
con gli ortodossi M5s. «Se gli
iscritti votano sì, voteremo la
legge» assicura Roberto Fico, tra i
primi, giorni fa, a protestare per
l'assenza delle preferenze ed
avvertire che nulla era ancora
deciso.
Fico ondivide un tweet di
Grillo e spiega che non è in corso
alcuna «giravolta». E, insieme a
Toninelli, rilancia la palla in
tribuna: «che farà Renzi? Terrà i suoi
nel voto segreto o torneranno i
franchi tiratori?».di Cristina
FerrulliwROMAC'è uno spettro che si
aggira tra i Dem un secondo dopo
il voto sulle pregiudiziali: i
franchi tiratori che, ad inizio
legislatura, affossarono Romano
Prodi al Colle e che ora, al termine
della legislatura, rischiano di far
fallire la madre di tutte le
riforme della politica: la legge
elettorale. Il capogruppo Ettore
Rosato ne conta 100 nell'assemblea
convocata in fretta e furia anche
per mettere in riga i deputati dem
perchè il sospetto è che, al di là
degli sbandamenti M5S, il 'partito
del non votò, di chi teme di non
essere candidato, affossi la legge
elettorale al di là del merito.
Matteo Renzi si tiene plasticamente
lontano dalle tensioni tra i
partiti. Così come il premier Paolo
Gentiloni dà mandato al ministro
Anna Finocchiaro di lasciare tutto
alla dinamica parlamentare,
lasciando il governo come
spettatore. Nel filo diretto con i vertici
dem, però, il leader Pd mette subito
in chiaro la linea: o il patto a
4 tiene o non se ne fa nulla.
Perchè l'accusa dell'inciucio con
Silvio
Berlusconi peserebbe come un macigno
sia sulla riforma sia sulla
campagna elettorale. «Se Grillo non
tiene i suoi, salta tutto e si
andrà a votare con il Consultellum»,
è la linea dei renziani,
consapevoli però che il treno delle
elezioni anticipate passa solo se
entro il 7 luglio il Fianum sarà
legge. Per diminuire il rischio dei
franchi tiratori sui voti segreti, i
vertici dem chiedono alla
minoranza di ritirare i propri
emendamenti ma gli orlandiani
rispondono picche e puntano a
correggere la legge e qualcuno anche a
frenare la corsa alle urne. Renzi ha
già fatto sapere, infatti, non
solo alla minoranza, che in
Parlamento porterà facce nuove e non sarà
una semplice riconferma degli
uscenti. E tra collegi e listini corti
in tanti temono di non avere il
seggio sicuro al prossimo giro.
L'avvertimento interno al termine
della prima giornata sembra però
avere effetto.
Così come il patto tra i partiti
anche se al termine
del primo giorno è ancora presto per
tirare un sospiro di sollievo.
D'altra parte la tensione sulla
legge elettorale non è l'unico motivo
di rabbia per il leader dem. L'ex
premier considera una cosa enorme il
fatto che il vicecomandante del Noe
Alessandro Sessa sia stato
indagato per il reato di depistaggio
nell'ambito di uno dei filoni
dell'inchiesta sugli appalti Consip.
«Bisognerebbe dar sfogo alla
rabbia», ammette postando una foto
di Firenze e facendo esercizio zen.
Il non detto è che i renziani vanno
sempre più convincendosi che
settori deviati dello Stato avessero
messo in moto un disegno eversivo
quando ancora Renzi era a Palazzo
Chigi.
Unione Sarda
Selargius,
finisce l'era Cappai
L'esponente
dell'Udc dopo dieci anni lascia una città in cerca di un
ruolo
nell'area vasta
Sfida
tra la grillina Puddu, Lilliu (Pd) e il vice sindaco Concu
SELARGIUS Dipende dai punti di
vista. Selargius può essere considerata
oggi, alla vigilia delle elezioni
comunali, «un dormitorio», una
«città addormentata» o una «bella
cittadina». A seconda che a
guardarla siano gli occhi della
candidata sindaca grillina, Valeria
Puddu («occorre un nuovo modo nuovo
di fare politica, le scelte devono
essere condivise con la gente»), del
capolista del centrosinistra,
Francesco Lilliu («bisogna cambiare
marcia, non limitarsi
all'ordinaria amministrazione») o
del leader del centrodestra Gigi
Concu, vice sindaco e delfino
dell'attuale primo cittadino Gian Franco
Cappai («inutile promettere
rivoluzioni, bisogna proseguire sulla
strada già tracciata che ha
migliorato Selargius»).
AL VOTO Primavera 2017, finisce
l'era Cappai, Selargius deve scegliere
il nuovo inquilino del Municipio. Un
sindaco che sarà chiamato
soprattutto a dare un ruolo alla
municipalità nel contesto più
allargato della città metropolitana.
Oggi Selargius è tagliata fuori
dalla rete del gas del Cagliaritano,
attende con ansia l'arrivo della
metropolitana leggera, promessa
mantenuta dal Governo Renzi, non può
contare su servizi importanti come
il Policlinico piazzato a
Monserrato, deve il suo prestigio di
essere una delle città più grandi
della Sardegna soprattutto perché un
quartiere di fatto cagliaritano,
Su Planu, 4.500 abitanti, ricade nel
suo territorio malgrado si trovi
a sette chilometri dal Municipio.
URBANISTICA I dieci anni di Cappai
si sono chiusi con il botto: il via
libera al nuovo piano urbanistico
comunale. Un successo condiviso con
l'opposizione, che dopo gli
inevitabili scontri (il centrosinistra
dieci anni fa prevedeva una crescita
di 4 mila abitanti, il
centrodestra puntava a 10 mila, la
Regione ha chiuso la vertenza a 5
mila), è arrivato a una sintesi
finale chiusa con un voto unanime. Ma
adesso il Puc potrebbe essere
arrivato quando ormai è troppo tardi: il
piano regolatore vigente risale ai
tempi di Celestino Badas, sindaco
socialista alla fine anni Sessanta,
e la crescita demografica
“monstre” (il borgo agricolo di 7
mila abitanti è arrivato alle soglie
dei 30 mila) è avvenuta dal 1980 in
poi attraverso piani di
risanamento, concessioni in deroga e
condoni. Con il risultato di
riempire quasi tutti gli spazi e di
lasciare aree edificabili che
nessun privato oggi si azzarda a
costruire visto che il mercato non
richiede nuova cubatura.
I PROBLEMI Più urgente è affrontare
il problema della viabilità, che
però riguarda l'intera area vasta:
oggi chi arriva nel Cagliaritano da
Sinnai, Settimo, Maracalagonis e dal
Sarrabus utilizza Selargius come
enorme svincolo verso la città, con
tutti i problemi che ne conseguono
e senza il minimo vantaggio per i
residenti.
Nei programmi, i candidati sindaci
puntano sul nuovo piano del
traffico (i grillini), su
un'economia che riscopra la vocazione
agricola e possa creare lavoro
(Lilliu), sul mantenimento dei servizi
e sul rilancio dell'area
industriale, del polo universitario di
Astrofisica e del muovo museo
(Concu).
LAVORO È una campagna elettorale
difficile perché il momento per il
sistema Italia non è dei migliori e
questo si ripercuote
inevitabilmente dappertutto,
Sardegna e Selargius compresi. Settemila
disoccupati su 29 mila residenti
scarsi è il mantra che ripetono sia i
clienti del venerdì al mercatino dei
prodotti agricoli a chilometri
zero, sia i senza lavoro ai
candidati consiglieri in questi giorni
attivissimi tra bar e parchi. Così
come sentita è la questione della
microcriminalità, percepita in
aumento, stando alle cronache di furti
e rapine spesso da quattro soldi ma
che sono la riprova della
disperazione serpeggiante.
Restano poi le incompiute storiche
del Centro Servizi della zona
industriale e del teatro comunale.
Gli inguaribili sognatori
vorrebbero il centro abitato ricco
di turisti per il Matrimonio
selargino. Per adesso si devono
accontentare dei nuovi parchi
inaugurati in questi dieci anni
dalla giunta Cappai, sopravvissuta
nell'ultimo lustro a diverse crisi
politiche e oggi quasi compatta di
nuovo candidata.
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Federico Marini
skype: federico1970ca
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