lunedì 14 agosto 2017

Dall'impero all'imperialismo: creare il problema e... non risolverlo! di Libe.r.u. - Lìberos Rispetados Uguales


Il fenomeno migratorio dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa ha assunto un carattere epocale. Sono centinaia di migliaia le persone, di ogni sesso ed età, che cercano in ogni modo di scappare da guerre, terrorismo, epidemie, miseria, sfruttamento, col miraggio di una nuova vita in Europa. Il sogno di stabilità e pace, di benessere economico incarnato nell’Europa per i dannati della terra, che spesso hanno conosciuto l’inferno, assume per loro quasi i contorni della conquista del paradiso.

E’ stato detto più volte, e con ragione, che nessuna madre rischierebbe di mettere il proprio figlio su una barca sgangherata in un mare in tempesta, se non nella certezza che restare sulla terra è più pericoloso che sfidare il mare.

Queste ondate migratorie, verificatesi altre volte anche se non in questa misura, hanno assunto un carattere di massa con la caduta di Gheddafi a seguito della cosiddetta “primavera araba”, un fenomeno presentato dai media come una grande rivoluzione spontanea e popolare. In realtà questo fenomeno si è rivelato essere nient’altro che la nuova strategia occidentale di destabilizzazione delle aree non controllate, tramite finanziamento di gruppi dissidenti che si occupano di fomentare rivolte, sabotaggi, attentati e uccisioni nei confronti dei governi non allineati, ondata dopo ondata, fino a provocarne la definitiva caduta.

Prima di allora la Libia era lo Stato africano con maggiore benessere economico, polo di attrazione di numerosi migranti che da tutto il centro e nord Africa erano richiamati da condizioni di lavoro remunerative e nuove opportunità.

Col rovesciamento del potere costituito la Libia è diventata un territorio sottoposto al controllo di diverse bande guerrigliere, a loro volta finanziate e sostenute da diversi Paesi occidentali, che cercano di estendere le loro zone di influenza nelle zone più ricche e strategiche dal punto di vista economico e militare. Attualmente uno dei mercati più fiorenti in questo feudalesimo di bande è quello legato alla gestione delle migrazioni. Migliaia di persone partono soprattutto (ma non solo) da Somalia, Eritrea e Nigeria, attraversano il deserto per recarsi in Libia e cercare di partire via mare per l’Europa.
La “macchina dell’accoglienza”, che costa ad ogni disperato migliaia di euro, inizia proprio qui e si sviluppa in seguito in Europa con diversi meccanismi. 

Dietro queste migrazioni e dietro la gestione delle stesse si sviluppa un gigantesco giro d’affari su cui specula la criminalità organizzata di entrambi i continenti. Ma sarebbe ingenuo, o segno di malafede, affermare che tutto ciò accada solo per interesse e col beneplacito delle organizzazioni criminali che lucrano sul fenomeno, immaginando le potenze imperialiste europee e le grandi multinazionali paralizzate e incapaci di gestire il fenomeno.
Se vogliamo capire il perché, o meglio i tanti perché, di questo fenomeno dobbiamo andare più a fondo, non fermarci ai traffici delle varie mafie ma arrivare a quelli che sono gli interessi di chi è infinitamente più potente.

ALLA RADICE DEL PROBLEMA
La grande borghesia finanziaria e industriale europea, ha da sempre un occhio di riguardo verso il continente africano. Sin dalla seconda metà dell’Ottocento e poi ancora nel corso di tutto il Novecento i banchieri e gli industriali hanno piegato gli Stati europei ai loro interessi, impegnandoli in lunghe, costose e sanguinose guerre coloniali. Il prezzo delle sofferenze e delle tragedie causate dalle guerre coloniali non è quantificabile e, forse, nemmeno immaginabile. Un caro prezzo che è stato fatto pagare sia alle masse popolari europee, illuse dai deliri sciovinisti e portate alla fame per sostenere le guerre, sia agli africani: decimati, torturati, stuprati, derubati della terra e delle ricchezze, affamati. Due interi continenti patirono la fame a causa dell’insaziabile avidità dei banchieri e degli industriali europei.

Dopo la Seconda Guerra mondiale le lotte di liberazione nazionale sottrassero momentaneamente alcuni Paesi africani al controllo delle potenze coloniali europee, segnando un periodo di speranza e di cambiamento per le sorti di questo martoriato continente. Colpi di Stato, uccisioni di esponenti indipendentisti, attentati terroristici, stragi indiscriminate contro civili inermi rei di aver sostenuto la lotta anticolonialista furono le risposte rabbiose delle potenze europee temporaneamente scacciate.

Tuttavia in breve tempo l’avidità delle potenze europee trovò nuovamente il modo di legare alla propria sfera di influenza politica, economica e militare, le ex colonie africane. Vennero così a crearsi, come concessione di una parvenza di indipendenza, i “protettorati” che altro non erano che il proseguo del colonialismo travestito da indipendenze fantoccio.

La storia di quasi tutti gli Stati africani nati nel dopoguerra è una storia di continui colpi di stato e di incessanti guerre interne con una miriade di bande guerrigliere. In realtà in Africa si svolge incessantemente da almeno settant’anni una guerra mondiale tra i Paesi occidentali che cercano, evitando le spese e il clamore di una guerra aperta, di portare ognuno per suo conto gli Stati africani sotto la propria influenza. Il metodo è quello della “guerra per interposta persona”. Se, ad esempio, gli Usa vogliono rovesciare il dittatore X di un Paese africano controllato dalla Francia, organizzano e finanziano una forza guerrigliera o un colpo di Stato. Se questa banda guerrigliera o i golpisti riescono a rovesciare il governo del dittatore X nasce un nuovo governo, ugualmente fantoccio ma stavolta filoamericano. Il vantaggio di tale operazione è che il nuovo dittatore Y toglierà le concessioni per lo sfruttamento delle immense ricchezze alle multinazionali francesi e le affiderà a quelle americane.

Mentre da una parte solo una ristretta minoranza delle organizzazioni guerrigliere può dirsi veramente popolare e indipendente e realmente impegnata in una guerra di liberazione nazionale, è invece d’altra parte risaputo che in molti Paesi africani ci sono contemporaneamente dieci-quindici organizzazioni guerrigliere ognuna delle quali finanziata, più o meno segretamente, da diversi Paesi e multinazionali occidentali, che parallelamente fomentano anche le infinite trame golpiste che serpeggiano nel personale dell’esercito.

Questa situazione di guerra e di destabilizzazione continua, di cui gli unici ad avvantaggiarsi sono i Paesi occidentali (o meglio, le classi dominanti dei Paesi occidentali), rende l’economia africana poverissima. Mentre tutte le ricchezze dei Paesi africani sono di proprietà di multinazionali occidentali, la stessa economia di sussistenza deve affrontare la cronica mancanza di infrastrutture che non le permette di svilupparsi. D’altra parte nessuno ha interesse a sviluppare infrastrutture in una colonia. Diverso ma per certi aspetti simile è il caso dell’intervento cinese, il quale sta procedendo alla costruzione di infrastrutture in Africa volte, più che a sviluppare il Paese ospitante, piuttosto a programmare ed agevolare la soddisfazione delle proprie esigenze nel prossimo futuro.
Perciò il continente più ricco del mondo ha un’economia fragile e povera, mentre le sue risorse arricchiscono all’infinito un pugno di banchieri e industriali occidentali.

A questa situazione di continua guerra e di fragilità economica corrisponde la povertà estrema di centinaia di milioni di persone, flagellate da malattie e malnutrizione, che negli anni Duemila muoiono ancora di fame e di malattie facilmente curabili.
Ciò che spinge centinaia di migliaia di persone ad affrontare il deserto, le violenze, il mare, è dunque da una parte la convinzione di non poter avere futuro, pace e benessere nel proprio Paese; dall’altra la speranza di poter trovare in Europa quelle condizioni di dignità e benessere di cui parrebbe usufruire l’occidentale medio.

All’interno di questo fenomeno migratorio però non c’è solo, come detto, l’intreccio affaristico delle organizzazioni criminali ma interessi infinitamente più grandi.
Torniamo in Europa.

INNESCARE LA CAUSA, APPROFITTARE DELL’EFFETTO.
Le classi dominanti dei Paesi europei sono impegnate da alcuni decenni nell’opera di smantellamento dei diritti sociali e del lavoro acquisiti nelle lotte degli anni Sessanta e Settanta dai lavoratori. In tale operazione il ruolo spesso connivente dei sindacati e dei partiti della sinistra riformista, a cui si aggiunge la consueta opera delle forze politiche di centro e di destra, ha portato ad una situazione lavorativa improntata sulla precarietà e sullo smantellamento dei diritti.
L’arrivo simultaneo di centinaia di migliaia di persone poverissime rappresenta per il capitalismo europeo una grande opportunità per dare la spallata finale a ciò che rimane di quel patrimonio di lotte e di diritti conquistati con tanti sacrifici.
L’improvvisa accumulazione di decine di migliaia di persone, senza la capacità di gestione di questi arrivi che non sia quella dell’internamento, crea immediatamente motivi di tensione sia tra i migranti sia tra i residenti. I migranti hanno passato le pene dell’inferno per venire qui, il loro principale obiettivo è quello di cercare lavoro e costruirsi una nuova vita in Europa: vivere in un limbo, in strutture isolate in campagna o in quartieri popolari circondati da persone ostili, senza alcuna certezza per il futuro, senza una scadenza temporale precisa, senza poter cercare lavoro, senza poter raggiungere i propri parenti e amici sparsi per l’Europa, rappresenta per loro uno scenario inquietante percepito come interminabile.

Gli europei, d’altra parte, vivono da decenni un continuo attacco ad ogni diritto sociale, hanno attraversato la privatizzazione di tutto ciò che potevano credere certo e garantito, hanno visto portare via da sotto i loro occhi, uno per uno, tutto ciò che hanno acquisito in decenni di dure battaglie. Oggi le persone anziane, dopo una vita di sacrifici e di lotte sociali, temono di morire in povertà, senza una casa, senza il diritto alle cure, senza nessuna attenzione da parte di Stati che di sociale hanno ben poco e sempre meno.
I giovani non hanno in gran parte alcuna aspettativa dal futuro: sempre meno acculturati, con poche prospettive di lavoro, con la disoccupazione percepita come normalità, hanno la certezza di abitare in un mondo in cui tutto si paga e a caro prezzo.
In questo scenario sociale di mancanza assoluta di qualsiasi garanzia è normale aspettarsi risentimento ed astio nel momento in cui uno straniero appena arrivato può beneficiare di alcune garanzie che al locale non vengono date.

Nonostante la situazione di permanenza forzata nei centri di accoglienza sia per lo straniero una situazione innanzitutto non voluta da lui e in secondo luogo anche transitoria, il diseredato occidentale non percepisce questi fattori di temporaneità e vede questa situazione come un’ingiustizia nei suoi confronti, convinto che agli stranieri – a differenza sua – vengano garantiti alloggi e pasti e che loro siano venuti qua per approfittare di questa situazione. Il diseredato si sente rifiutato e sostituito da estranei in quella che dovrebbe essere l’attenzione sociale di uno Stato nei confronti dei cittadini meno abbienti.

A soffiare su questa tensione, come vedremo, tutte le forze reazionarie sistematicamente foraggiate dalla grossa borghesia.
I migranti, che in questo momento rappresentano un “esercito industriale di riserva” (termine generalmente usato per indicare le masse sottoproletarie) offrono alla borghesia europea la possibilità di abbattere gli ultimi baluardi di garanzia del mondo del lavoro. Questo esercito industriale di riserva è infatti composto da persone che sono dispostissime a lavorare per un salario molto più basso di quello che percepisce il lavoratore europeo, con meno diritti, con più ore di lavoro, senza assicurazione e senza nessuna garanzia. Queste grandi masse di persone che sono venute qui per diventare lavoratori rappresentano per la borghesia europea l’opportunità di riportare il mondo del lavoro indietro di due secoli: immensi guadagni per i capitalisti, pochissimi diritti per i lavoratori.
Per questo motivo essi verranno, e talvolta già ora vengono, utilizzati dalla borghesia come arma di ricatto nei confronti dei lavoratori europei.

Tra l’altro in numerosi settori economici gli stranieri, proprio a causa della loro disponibilità a lavorare per salari da fame e in condizioni degradanti che generalmente i locali rifiutano, rappresentano già una parte preponderante della forza lavoro impiegata. Si pensi ad esempio alle migliaia di braccianti stranieri che lavorano nei campi in sud Italia nella raccolta dei pomodori e degli agrumi, o anche ai tanti stranieri che lavorano come dipendenti nelle aziende agropastorali sarde o nei grandi allevamenti bovini del nord Italia, ma anche – al di fuori di contesti rurali – al fatto che la stragrande maggioranza degli impiegati nella nettezza urbana in Francia ha origine maghrebina.

Ma la loro disponibilità a svolgere mansioni pessime e molto faticose in condizioni di svantaggio non basta, di per sé, a tenere queste persone in una condizione di perenne ricattabilità o a poterle utilizzare per ricattare i lavoratori europei.
La garanzia per la borghesia europea di poter usufruire di questo ricatto sta soprattutto nel fatto che questi lavoratori vengono tenuti in una condizione sociale di inferiorità e nella costante incertezza di poter vivere stabilmente qui.

Se avessero la certezza di rimanere qui perderebbero la loro ricattabilità e la loro contemporanea funzione di ricatto nei confronti dei lavoratori europei, potrebbero pretendere condizioni di lavoro migliori e lottare per averle. Magari, ciò che sarebbe peggio per la borghesia europea, lottando assieme ai lavoratori europei per gli stessi diritti.

Se invece hanno sempre un piede un po’ qua un po’ là, se la loro permanenza è costantemente messa in dubbio, se la loro speranza di costruzione di un futuro in Europa è resa precaria, allora diventano ricattabili e sono disposti a lavorare anche a condizioni disumane pur di non tornare nell’inferno da cui sono venuti.
Tramite questo meccanismo di ricatto il padronato mette oggi i lavoratori europei davanti a un dilemma: accettare sempre meno diritti e vantaggi pur di conservare il proprio posto di lavoro, oppure rassegnarsi ad essere sostituiti da chi è disposto a lavorare per condizioni inferiori.

Chiaro che questo distrae i lavoratori dall’obiettivo storico di lottare contro il capitale per i loro diritti: il loro obiettivo diventa accettare le condizioni del capitale e lottare contro gli stranieri che sono disposti a lavorare per meno. La classica guerra tra poveri fomentata dai ricchi.
Il capitalismo europeo raggiunge così due obiettivi: il primo è che il lavoratore europeo accetta di buon grado di lavorare a condizioni inferiori; il secondo è che il lavoratore europeo non individua più il suo avversario sociale nel capitalista che sfrutta il suo lavoro ma bensì nello straniero, che insidia il suo lavoro con una accettazione al ribasso.

Per questo i banchieri e gli industriali europei vedono in quest’ondata migratoria una grande opportunità di guadagno, anche al di là di ciò che è l’immediato giro d’affari della gestione degli sbarchi e dell’accoglienza. Il loro grande vantaggio è quello di poter dimezzare i costi del lavoro riportandoli a livelli di Terzo Mondo, rilanciando quindi l’economia in fase di stagnazione con il conseguente superamento della crisi attuale.
In pratica anziché dover delocalizzare il lavoro nel Terzo Mondo, come già fanno da tanti anni per pagare stipendi da fame, adesso ragionano su come portare qui il Terzo mondo, per pagare gli stessi stipendi ma godere dei vantaggi di un continente altamente infrastrutturato e moderno.
Sarebbe sensato pensare che essi vorrebbero ostacolare ciò che li rende ancora più ricchi?

Sarebbe sensato pensare che il capitalismo non ha grande interesse ad agevolare la migrazione e ancor più le tensioni sociali che essa crea?
Tuttavia questo fenomeno migratorio non durerà in eterno: si interromperà nel momento in cui la borghesia europea riterrà raggiunto il numero di migranti sufficiente per scatenare le tensioni sociali di cui ha bisogno. Quando la massa di migranti presenti in suolo europeo verrà considerata sufficiente metteranno in pratica misure ferree che bloccheranno d’improvviso, diritti umani o meno, qualsiasi migrazione.

SPESE PER LA GESTIONE DELLE ONDATE MIGRATORIE
La famosa questione dei trentacinque euro al giorno che secondo la propaganda razzista verrebbero dati ad ogni migrante, con annessi ipotetici telefoni e schede telefoniche, seppure ripetutamente sbugiardata e dimostrata distorta e falsa, è ancora ritenuta vera da milioni di persone. In realtà come tutti sanno (o dovrebbero sapere) la cifra di trentacinque euro per ogni migrante ospite in strutture di accoglienza viene dato non al migrante ma alle cooperative che organizzano l’accoglienza, cooperative di italiani. Sarebbe dunque corretto dire che alcuni italiani guadagnano trentacinque euro al giorno per ogni migrante ospitato. Con questi soldi la cooperativa garantisce i servizi essenziali e i pasti giornalieri, incassando enormi quantità di denaro, spesso rubando anche i due euro al giorno che dovrebbero invece essere dati al migrante per coprire spese telefoniche per chiamare i propri cari. 

Al di là di infinite discussioni, per la maggior parte sterili, sulla quantità di denaro speso per questa gestione ci sono delle cose che è bene sapere, come ad esempio che questi soldi non è vero che vengono pagati dallo Stato italiano ma si tratta di fondi europei. L’Europa, o sarebbe piuttosto il caso di dire le principali economie europee, preferiscono attualmente spendere queste cifre per avere la certezza che questi migranti restino sul suolo europeo ma allo stesso tempo non invadano immediatamente i Paesi maggiormente avanzati. Il motivo è nella necessità che ci sia una maturazione dei tempi per il progetto che abbiamo appena spiegato, cioè il sistematico utilizzo, in un tempo non troppo lontano, dei migranti come ricatto ai lavoratori europei. Nel frattempo in Italia, con la gestione dei centri di accoglienza, oltre alle organizzazioni malavitose fanno affari d’oro le cooperative legate ad aree politiche che vanno dall’estrema destra al PD, oltre a cooperative legate alla Chiesa cattolica, che si trova in preda a un furioso dibattito e divisa tra il dovere della carità e dell’accoglienza (soprattutto quando profumatamente pagata) e i malumori generati dal continuo arrivo “in terra cristiana” di grandi masse di musulmani.

C’è da dire che la borghesia europea da parecchio tempo spende cifre immense per la gestione del fenomeno migratorio dall’Africa verso l’Europa. Già diversi anni fa ci furono accordi per consistenti finanziamenti a Gheddafi per trattenere in Libia i migranti, tant’è che il vecchio colonnello più volte pretese di rivedere al rialzo la cifra dei finanziamenti, minacciando di lasciare improvvisamente partire verso l’Europa milioni di migranti. E la borghesia europea, non ancora pronta per il suo progetto, pagò. Una situazione peraltro piuttosto simile a quella che si è recentemente verificata con Erdogan sulla questione dei migranti che dalla Siria attraversavano il confine turco per poi andare in Germania. Quando poi la stessa borghesia decise di togliere di mezzo Gheddafi e destabilizzare la Libia, il ruolo di contenitore temporaneo, anch’esso ben pagato, passò all’Italia che come detto è capace di accontentare tutti gli amici degli amici e di dare a ogni compare la sua fetta. Ma d’altra parte anche una ipotetica chiusura delle frontiere costerebbe parecchio cara, e certamente un deciso controllo del Mediterraneo con navi ed elicotteri militari non rappresenterebbe una fonte di risparmio per una borghesia europea che, a dispetto del cittadino medio impoverito e disperato, non fa alcuna capriccio se c’è da spendere per la gestione dell’immigrazione. Una spesa che come vediamo, volenti o nolenti, qualsiasi siano le misure adottate, c’è e ci sarà sempre almeno fino a quando centinaia di migliaia di persone continueranno a voler (o dover) passare dall’Africa all’Europa con ogni mezzo.

IL RUOLO DI STAMPA E ORGANIZZAZIONI REAZIONARIE
Certo potrebbe apparire contraddittorio e paradossale che, se davvero la borghesia europea ricava un guadagno dall’immigrazione, proprio la stampa e le organizzazioni reazionarie che essa finanzia propagandino razzismo e odio nei confronti degli stranieri. Verrebbe da pensare che, al contrario, la borghesia dovrebbe proporre e sostenere l’accoglienza.
Non è così in realtà, e ci sono dei precisi motivi sul perché la stampa e le organizzazioni reazionarie chiedono continuamente che si chiudano le porte ai migranti e portino avanti una campagna di intolleranza nei loro confronti.

Il primo motivo è che le organizzazioni reazionarie non hanno alcun interesse per voler davvero chiudere le porte all’immigrazione, visto che è stato appurato (con Roma Capitale ma non solo) che gran parte delle organizzazioni dell’estrema destra fanno enormi affari sulla gestione dei migranti, sia dal punto di vista economico con le cooperative che li ospitano sia dal punto di vista politico come crescita del consenso conseguente all’allarmismo per una supposta “invasione” straniera. La propaganda che propone il rimpatrio e la chiusura delle frontiere in realtà vuole solo che resti costante la campagna di odio nei confronti dei migranti. Per le formazioni xenofobe è dunque necessario che la società percepisca sempre i migranti come pericolo e come potenziale causa di disordine, affinché l’opinione pubblica accetti di buon grado che essi non vadano liberamente alla ricerca di un lavoro ma restino rinchiusi.
Il secondo motivo riguarda direttamente il mercato del lavoro.
La creazione di un clima di intolleranza viene attuato dalle organizzazioni neofasciste attraverso una propaganda martellante, attraverso volantinaggi e migliaia di pagine internet dedite alla costruzione di notizie inventate o distorte, la cui finalità è quella di accusare i migranti di continue nefandezze e violenze, facendole percepire all’opinione pubblica in modo allarmistico come frequenti e dilaganti anche se – quando queste sono effettivamente compiute – esse sono, e lo dicono i numeri, nella media o inferiori alla media generale europea.

Questo lavoro mette gli stranieri in una condizione di continua pressione psicologica, perché vivono nella palpabile sensazione che la società li ritenga responsabili di quasi tutti i suoi mali. La finalità della propaganda razzista è che la condizione del migrante rimanga perennemente in subalternità e, di conseguenza, di ricattabilità. I migranti che cercano lavoro infatti possono rappresentare uno strumento di pressione e ricatto nelle mani della borghesia solo a condizione che essi vivano nel terrore, nell’incertezza, nella paura di essere linciati o reimbarcati dall’oggi al domani. Questo senso di precarietà e di paura li porta a non permettersi di avanzare alcuna pretesa, a non reclamare niente che non sia il minimo possibile, disposti a lavorare e vivere in condizioni disumane pur di restare qui. Una disponibilità a vivere e lavorare in condizione disumana che serve alla borghesia per agitare lo spettro del ricatto sotto il naso dei lavoratori europei. 

Questa situazione di disperazione e di odio si autoalimenta sotto la regia della grande borghesia economico-finanziaria, sostenuta dal braccio armato della xenofobia, a tutto discapito sia dei lavoratori europei sia dei lavoratori africani, messi gli uni contro gli altri per la conquista di un tozzo di pane.

Inoltre c’è anche un terzo motivo molto importante del perché la borghesia europea abbia molto da guadagnarci dall’emigrazione, anche se le organizzazioni che essa finanzia propagandano intolleranza e rimpatrio. Si tratta di una propaganda di facciata, perché in realtà la borghesia ha bisogno dei migranti anche come fattore di controllo sociale e di scudo contro il malcontento popolare.
Uno degli obiettivi che persegue la borghesia attraverso il lavoro delle organizzazioni reazionarie è quello di tenere a bada i diseredati, i poveri, milioni di disoccupati, giovani e meno giovani che non hanno un futuro e che aspettano di capire contro chi sfogare tutta la rabbia per la vita che stanno vivendo.

Se questi milioni di diseredati delle metropoli avessero la possibilità di conoscere dettagliatamente la situazione politica e sociale, se avessero dei rudimenti di cultura e di economia, se avessero una lettura politica che non fosse solo quella data dalla propaganda razzista e reazionaria, giungerebbero molto probabilmente alla conclusione che la loro condizione di disagio è causata dai continui tagli che gli Stati europei attuano allo stato sociale per sostenere multinazionali e banchieri, finanziare la grande industria, foraggiare armamenti, portare guerre di aggressione per decenni contro gli Stati sovrani di Medio Oriente e Africa. Capirebbero che il loro disagio è la risultanza inevitabile di una cattiva gestione della società, e quindi si potrebbero porre il problema di migliorare la società, magari in maniera più equa. Esattamente ciò che terrorizza i capitalisti, che sulla diseguaglianza costruiscono la loro fortuna e le loro ricchezze.

Per questo motivo il capitalista ha perenne bisogno che le masse di diseredati, di poveri senza futuro, abbiano un nemico chiaro e ben identificabile. Nemico che, inutile dirlo, può essere individuato in chiunque tranne che nel capitalista!
Ci sono stati periodi storici e luoghi diversi in cui il capro espiatorio colpevole delle disgrazie e della disperazione della povera gente è stato di volta in volta individuato nella strega, nell’untore, nell’ebreo, nello zingaro ma anche più recentemente nel cinese “che si sta comprando tutto”, nell’albanese (ricordate?), nel rumeno, nello slavo… Periodicamente c’è sempre un nemico da individuare e su cui riversare tutto l’odio per la miseria in cui si è costretti a vivere. Un nemico che è sempre rigorosamente ben identificabile e indicabile, rigorosamente minoritario, rigorosamente dipinto come capace di ogni crimine abbietto e di ogni gesto immorale. 

Mai le organizzazioni reazionarie indicano la borghesia come causa della miseria di milioni di persone. Al di là di qualche slogan di circostanza l’apparato della reazione, che conta potenti mezzi di informazione fino alle ben finanziate organizzazioni di estrema destra, di fatto non attacca mai frontalmente il capitalismo come causa della miseria di milioni di europei e africani, come causa della mancanza di alloggi, di cibo, di istruzione, di sviluppo, di felicità per milioni di europei e africani.

I mezzi d’informazione reazionari e le organizzazioni neofasciste non potrebbero mai prendere una posizione del genere, perché si interromperebbero immediatamente i finanziamenti della borghesia occidentale, che li sostiene per dare alle masse popolari il solito capro espiatorio da linciare al posto suo.

CHE FARE?
Che cosa si può fare, dunque, per cercare di porre rimedio a questa situazione?
Intanto nell’immediato una delle cose che è bene fare costantemente è quella di smascherare sistematicamente l’infondatezza della propaganda razzista e reazionaria. Spesso essa si basa su “verità” contraddittorie eppure indistintamente accettate, come quella che pretende di dipingere i migranti sia come responsabili di “rubarci il lavoro”, sia come “parassiti che stanno nell’ozio tutto il giorno a nostre spese”. Nella psiche orientata alla ricerca di un capro espiatorio non viene percepita la contraddittorietà di argomentazioni di questo tipo, per cui si odiano i migranti sia perché rubano il lavoro sia perché oziano dalla mattina alla sera, senza rendersi conto che se davvero una persona rubasse il lavoro a qualcuno non riuscirebbe a stare contemporaneamente in ozio tutto il giorno, proprio perché impegnata a lavorare. 

Ci sono poi i dogmi indiscussi e indiscutibili che vengono agitati solo per i migranti, anche se chi li agita ha ben poco di che insegnare, come accade quando ci si imbatte nel caso tipico dei disperati che pur avendo alle spalle una miriade di piccole condanne gridano che (gli altri) “devono rispettare le nostre leggi”.
Eppure, nella costruzione di un clima da caccia alle streghe, tutto ciò funziona. 

Ma smascherare le bufale, di per sé, non può bastare.
Purtroppo la vera azione incisiva rispetto a questo tema la può svolgere solo chi governa, ed è assolutamente evidente che oggi lo scopo di chi governa è quello di obbedire ciecamente alle necessità delle multinazionali e del capitalismo economico-finanziario. Allo stato attuale non c’è dunque possibilità di poter influire in maniera veramente incisiva sul fenomeno, e pensare di risolvere a breve termine questo problema è una pia illusione, tanto più se si considera la forza esigua delle attuali organizzazioni anticapitaliste.
E’ però possibile lavorare per sostenere delle misure che possono momentaneamente abbassare il livello di scontro sociale e di guerra tra poveri, per cercare di iniziare un’opposizione ai piani della grande borghesia europea in diverse fasi, a breve, medio e lungo termine.

BREVE TERMINE: COSTRUIRE SOLIDARIETA’ E INTEGRAZIONE
La soluzione per il continuo arrivo di migranti non può certo essere quella degli attuali sistemi di “accoglienza”, che sostanzialmente altro non sono che l’ammassare in luoghi provvisori centinaia di persone di diverse nazionalità, di diversa estrazione e animate da scopi spesso ben diversi. Le soluzioni che vedono come luoghi deputati alla cosiddetta accoglienza agriturismi, alberghi, scuole dismesse, capannoni industriali, case private, caserme non fanno altro che acuire le tensioni sia tra gli immigrati (che non vogliono stare fermi ma andare a cercare il lavoro per cui sono venuti qui) sia tra i residenti, che percepiscono la permanenza dei migranti in una residenza pagata come se fosse un lusso che ai residenti è negato, così come d’altra parte interpretano la loro volontà di andarsene come un segno di intollerabile ingratitudine verso un “trattamento di favore”. L’ammasso indiscriminato di persone in strutture anonime non risolve nessun problema bensì ne crea solo di nuovi e più gravi, scatenando quelle tensioni che portano come detto ad una guerra tra poveri anziché a situazione di integrazione.

Probabilmente, nell’ambito dei diversi piani di accoglienza, il più adatto a favorire l’integrazione sembrerebbe essere il sistema dello Sprar – previsto per richiedenti asilo e rifugiati - il quale prevede l’accoglienza diffusa in case di famiglie che si offrono volontarie, con ospiti seguiti da diverse figure professionali e sociali assunte in loco, ed offre la possibilità ai destinatari di integrarsi realmente nel territorio in maniera graduale e a reale contatto con i cittadini residenti.

Al di là di questo sistema di accoglienza c’è comunque un atteggiamento da parte dei cittadini e delle amministrazioni che può fare la differenza.

In alcuni comuni della Sardegna, tra cui ad esempio Villanovaforru e Muros ma non solo, le amministrazioni hanno cercato di integrare i migranti offrendo loro la possibilità di imparare a coltivare la terra o assegnando direttamente un fazzoletto di terra da coltivare. Questi esempi virtuosi possono rappresentare delle opportunità di integrazione graduale e naturale. Quando si instaura un rapporto di dialogo, e non di scontro come vorrebbe qualcuno, si riesce in maniera quasi naturale a trovare delle soluzioni, come ad esempio quella che vede delle persone che sono disposte a lavorare la terra trovare un punto di incontro proprio in un’isola che importa dall’esterno l’80% dei prodotti agroalimentari che consuma. In quest’ottica sarebbe auspicabile che tutti e specialmente i giovani, di qualsiasi nazionalità e provenienza, che volessero restare a vivere in Sardegna avessero la possibilità di usufruire di corsi di formazione lavorativa e di adeguati corsi di studio, con annessa lingua e cultura sarda, diventando cittadini sardi a tutti gli effetti, integrandosi in maniera attiva e cosciente nella nostra società.

E’ invece sbagliato, profondamente sbagliato, pretendere che i migranti, quasi dovessero ripagare un alloggio e un pasto che non hanno richiesto, debbano essere impiegati per lavorare gratuitamente per la pulizia dei giardini pubblici, strade, spiagge ecc. Questo è sbagliato per due motivi principali: il primo è che i lavori di manutenzione devono essere svolti a pagamento da lavoratori che hanno tutto il diritto di ricevere un compenso per il lavoro svolto; il secondo è che l’accettazione, sin dai primi embrioni, della concezione secondo cui il migrante deve lavorare a condizioni che noi non accetteremmo (per esempio lavorare gratis) va esattamente nella direzione in cui ci vuole portare la grande borghesia europea.

Le situazioni di vera integrazione, di costruzione di realtà in cui i cittadini stranieri si inseriscono nel nostro tessuto sociale, avvengono gradualmente, spesso rivedendo convinzioni e pregiudizi consolidati, scoprendo che non è il colore della pelle o l’origine delle persone a determinare la compatibilità all’interno delle nostre comunità, ma la volontà di lavorare per costruire tutti insieme lo stesso futuro per questa nostra terra.

MEDIO TERMINE: UNITA’ DI DIRITTI CONTRO LE DISCRIMINAZIONI E I RICATTI DELLA BORGHESIA
La moltiplicazione di situazioni di integrazione (beninteso solo con coloro che effettivamente e volontariamente intendono restare stabilmente e integrarsi) sia in Sardegna come nel resto d’Europa deve diventare la base di un grande confronto, in cui al centro del dibattito non c’è l’origine nazionale ma la volontà generale della difesa del lavoro. Così come la borghesia europea ha come obiettivo per la difesa dei suoi interessi la divisione di lavoratori su base etnica, in maniera da dividerli e metterli gli uni contro gli altri in una corsa al ribasso dei diritti, allo stesso modo tutti i lavoratori insieme devono lavorare per la difesa dei loro diritti, al di là di ogni provenienza, lingua, colore della pelle. 

Il piano della borghesia europea fallirà solo se i lavoratori, europei e migranti insieme, sapranno difendere e far progredire i diritti dei lavoratori senza eccezioni e senza lavoratori di serie A e di serie B. Perciò bisognerà lottare affinché le persone vengano assunte in base alla capacità e alla dedizione al lavoro e non, come accade ogni giorno di più, in base all’origine e alla ricattabilità nella certezza che da parte dei migranti si incontrerà l’accettazione di qualsiasi condizione svantaggiosa. 

Vogliamo costruire un’Europa in cui i tutti lavoratori, di ogni colore, religione, genere e orientamento sessuale, abbiano gli stessi diritti e in cui il rispetto di questi diritti diventi rigorosissimo e certo: solo così le persone non saranno più accettate o rifiutate nel mondo del lavoro in base alla loro ricattabilità, solo così il razzismo verrà soffocato, solo così i lavoratori difenderanno uniti i loro diritti contro i tentativi di divisione portati avanti dal grande capitale.

LUNGO TERMINE: MINARE ALLA BASE IL COLONIALISMO E L’IMPERIALISMO, DA CUI NASCONO LE PIU’ GRANDI TRAGEDIE DELL’UMANITA’
C’è un problema di fondo: come si può pensare di interrompere o addirittura debellare il razzismo, le politiche discriminatorie e la guerra tra poveri innescata con le ondate migratorie, senza porsi il problema di fermare le ondate migratorie? E come fermare le ondate migratore senza prima capire il perché nascano?
Se noi vogliamo davvero fermare le ondate migratorie dobbiamo chiederci da che cosa sono causate e intervenire sulla causa.
La realtà è sotto gli occhi di tutti: esse sono causate dalle aggressioni imperialiste, dai rapporti coloniali imposti da Stati e multinazionali occidentali, dall’incredibile fonte di guadagni generata dalla vendita delle armi, dalle misure estorsive e dal sottosviluppo indotto da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. 

Uno degli slogan più in voga negli ambienti della reazione è quello che dice “Aiutiamoli a casa loro”. In questo slogan è racchiusa tutta l’ipocrisia e la violenza tipica del colonialismo europeo, cent’anni fa come oggi sempre impegnato a inculcare all’opinione pubblica occidentale l’idea che il colonialismo in Africa abbia una qualche forma di missione civilizzatrice. Questa necessità di dover andare in Africa ad aiutare i poveri selvaggi era ed è, come sappiamo, nient’altro che il bisogno delle classi dominanti europee di soddisfare la loro sete di rapina. 

Questo slogan che pare essere la quintessenza del pensiero coloniale e che inizia a riscuotere simpatia anche in ambienti distanti dalla destra, propagandando questo bisogno samaritano di andare ad “aiutarli a casa loro” mostra il suo lato più abominevole, come quello che implicitamente asserisce che gli Stati europei abbiano il diritto di intervenire in Africa, seppure con supposte finalità umanitarie: si vuole ricacciare indietro i poveri però si propone di invadere l’Africa per aiutarli! Uno slogan che appare come il manifesto del colonialismo, capace di racchiudere in una frase tutto il pensiero coloniale di un secolo e mezzo di aggressioni europee in Africa.

A questo slogan e a questo modo di vedere le cose noi possiamo solo rispondere che il modo migliore di aiutarli è smettere di sfruttarli a casa loro, smettere di utilizzare l’Africa come discarica di tutte le sostanze più nocive prodotte dall’industria europea, lasciare che le loro ricchezze siano utilizzate da loro per il loro sviluppo, che i giacimenti di petrolio, oro, diamanti, metalli preziosi, che le loro terre, le loro foreste e i loro mari pescosi siano giustamente utilizzati dai legittimi proprietari africani e non dalle multinazionali europee, che il loro continente sia la terra su cui edificare società fiorenti e progredite. 

“Via da casa loro” dovrebbe essere il nostro slogan contrapposto, ma sappiamo che il colonialismo europeo non ha nessuna intenzione di rinunciare alle immense ricchezze presenti in Africa. Per questo motivo non è onestamente pensabile che l’attuale situazione si possa superare senza porsi nel lungo periodo in maniera fattiva e coerente nel campo anticolonialista e antimperialista.
Non si può pensare che le ingiustizie che il colonialismo europeo compie ogni giorno da oltre un secolo in Africa non abbiano nessun effetto, non creino fame e disperazione, non mettano le persone nella condizione di voler fuggire da morte e distruzione per cercare una vita migliore.

Se davvero vogliamo fermare le ondate migratorie, se davvero vogliamo fermare le immani tragedie che portano milioni di esseri umani ad abbandonare la loro terra, sia essa la nostra martoriata terra di Sardegna o quella di ogni continente, costruiamo rapporti di solidarietà e di lotta con tutti gli oppressi, combattiamo i nemici dell’umanità, togliamo le ricchezze dalle grinfie di un pugno di avidi psicopatici e riconsegniamole ai popoli sfruttati, per poter costruire un futuro di pace e felicità, per poter vivere in un mondo di persone libere, rispettate, uguali.

Libe.r.u. - Lìberos Rispetados Uguales


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