"Els carrers seran sempre nostres", “Le strade
saranno sempre le nostre”, gridavano a migliaia, con cori da stadio, davanti
alla polizia. Perché la strada, la piazza, la manifestazione è uno strumento di
democrazia irrinunciabile. Per loro.
Perché, per loro, abbandonare la strada è come perdere la
voce che – appunto – “manifesta” le proprie ragioni. Mi ha molto colpito
la loro capacità di mobilitazione. Mi ha colpito e mi ha fatto riflettere
profondamente, perché io vivo in una terra in cui la mobilitazione popolare sta
diventando un vecchio ricordo. Qui da noi oramai non si scende più in piazza. A
parte le mobilitazioni sindacali, con apparati che pagano anche il viaggio a
migliaia di persone, le piazze non si riempiono più.
Ci hanno rifilato una legge elettorale antidemocratica e
nessuno ha sentito il bisogno di scendere in piazza a protestare. Inquinano la
nostra terra, assicurando un futuro di veleno per i nostri figli, ma in una
terra piena di disoccupati e pensionati tutti hanno sempre troppo da fare nella
loro giornata per poter andare a protestare. Le manifestazioni contro
l’occupazione militare, tolte un paio di eccezioni passate alla storia, molto
raramente mettono insieme più di poche centinaia di persone.
Alla manifestazione unitaria contro il riordino della rete
ospedaliera, ma anche a quella contro le ipotesi di stoccaggio di scorie
nucleari, eravamo poche centinaia. E sempre gli stessi. Come è possibile che i
Sardi non sentano più nessuna volontà di manifestare il proprio parere su
questioni che condizioneranno la loro vita per sempre. Davvero il pessimismo e
il fatalismo sono arrivati a tanto? Davvero vogliamo lasciare passivamente che
tutto ci crolli addosso ammazzando noi e i nostri figli?
Da tanto, troppo tempo, ci siamo abituati a delegare i
social abbandonando la piazza. Stiamo diventando gente per cui tutto “è un
casino.” Andare a manifestare “è un casino”, lottare per i propri diritti “è un
casino”, andare ovunque “è un casino”.
Tutti si risolve con qualche mi piace su facebook o con
qualche attestato per cui “sarò con voi col cuore”. Ma con i mi piace e a colpi
di presenza col cuore non si cambiano le cose. Adesso potrete impermalosirvi,
insultarmi, dirmi con tutte le ragioni del mondo che dovete campare la
famiglia, che non avete tempo per niente e che se poteste trovare una giornata
la vorreste dedicare a vostro figlio visto che non lo portate mai da nessuna
parte. E avreste ragione.
Ma in fondo alla vostra coscienza, proprio lì, dove tenete
ben legata la paura, voi lo sapete che tutto sta andando a rotoli, che il mondo
ci sta crollando addosso e non sapete più come fermarlo. Voi lo sapete, in
fondo, che mandare a quel paese tutto e tutti non salverà il futuro di vostro
figlio, così come l’orchestra che continuava a suonare non ha impedito al
Titanic di affondare. E allora non prendete queste mie parole come una critica
sterile (e sarebbe facile demonizzarmi per potervi altrettanto facilmente
perdonare) ma come una critica costruttiva, anzi, come la più costruttiva delle
critiche.
Questa è una critica che ti dice: “Sveglia, in piedi,
andiamo a costruire il nostro futuro. Se ci mettiamo tutti insieme vedrai che
ce la faremo!”E smettiamola una buona volta di denigrarci, di dire che non
siamo buoni a niente, che non possiamo fare niente, che tanto non otterremo
niente. Smettiamola di insultare il televisore del bar, di fare le ficche alle
foto dei giornali, di maledire cielo e terra.
E smettiamola anche di ammirare gli altri pensando che
altrove siano tutti in gamba e uniti mentre noi siamo irrimediabilmente votati
alla sconfitta, perché queste sono posizioni ipocrite e di comodo. I Catalani,
i Baschi, i Corsi, non è vero che “sono tutti uniti”. Non è vero che sono
migliori di noi. Non è vero che amano la loro terra più di noi. Ciò che ci
differenzia è che loro si sbattono per difendere i loro diritti. Noi no. E
allora, forza, anziché stare sempre a piagnucolare, in piedi, diamoci una
mossa, costruiamola con sudore ed entusiasmo questa Sardegna che vogliamo!
“Riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l'abbondanza”
Di Pier Franco Devias
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