Attentato
a sindaca Villacidro, auto data alle fiamme
(AGI) - Cagliari, 12 feb. - Secondo
atto intimidatorio in meno di nove mesi ai danni della sindaca di Villacidro
(Sud Sardegna) Marta Cabriolu. Nella notte qualcuno ha appiccato le fiamme alla
sua auto, ma una passante le ha notate attorno alle 22.20 e ha dato l'allarme
in tempo, prima di danni irreversibili. L'episodio e' analogo a quello subito dalla sindaca il 27 maggio
2016: anche in quel caso, gli incendiari presero di mira la sua auto. "Per
un po' andrò nuovamente a piedi", commenta Cabriolu sul profilo Fb.
"Camminare fa bene e dove abito
io si respira aria fresca e sana. Impossibile non chiedermi il perché di tanta
cattiveria. La verità e' che non ho sprecato troppo tempo a pensarci. Il mio
tempo finora l'ho utilizzato per lavorare: ho una comunità che attende ogni
giorno delle risposte e ho un paese da amministrare, il mio paese, il paese che
amo e per il quale sto mettendo e continuerò a mettere tutto il mio impegno e
la mia passione". "Continuo a credere e sostenere che la nostra sia
una cittadina tutto sommato tranquilla, con tantissime persone di buon cuore,
generose e altruiste", aggiunge la sindaca, decisa a proseguire il
mandato.
"Persone che stanno bene senza
occuparsi degli affari altrui, senza calunniare e infamare il prossimo.
Chiunque abbia fatto questo gesto oggi e' solo un piccolo omuncolo senza dignità.
Un uomo che si rispetti, quando ha dei problemi, li affronta parlando, non certo
incendiando l'auto del Sindaco o di chicchessia. Ancor più che io non mi sono
mai sottratta al confronto. Il gesto che e' stato compiuto stanotte e' da
vigliacchi e chiunque sia stato non può rovinare l'immagine di noi tutti. Oltre
14mila abitanti fanno una comunità, un vigliacco resta sempre un
vigliacco".
Cabriolu chiede poi alle istituzioni
di "mantenere alta nelle Istituzioni l'attenzione verso gli amministratori
locali, sempre più vessati e sempre più soli". E lancia un appello, a nome
dei tanti amministratori locali bersaglio ai intimidazioni e violenze in Sardegna:
"Non dimenticatevi di noi, non possiamo essere aiutati nel nostro gravoso
compito solo dalle promesse", esorta Cabriolu. "I Sindaci e gli
amministratori locali devono essere aiutati con atti concreti. Maggiore
presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine. Attuazione del piano sicurezza
con impianti di videosorveglianza. Attendiamo che la Regione pubblichi il
bando. Noi siamo pronti. Abbiamo bisogno di un segnale forte e lo stesso deve
essere dato ai cittadini".
Unione
Sarda
Gentiloni:
siamo l'unico pilastro
Il
premier alla presentazione di Civica popolare
ROMA Uno a uno per Paolo Gentiloni,
ieri, in una nuova domenica di
campagna elettorale che lo vede
sempre più “seconda punta” del Pd a
fianco del segretario Renzi. A
fronte del rifiuto di Silvio Berlusconi
che ha spergiurato di essere stato
«frainteso» e di non essersi mai
detto favorevole a un Gentiloni bis,
il premier può contare
sull'endorsement di Lorenzo Dellai
che alla presentazione del
programma politico di Civica
popolare, il movimento che fa capo a
Beatrice Lorenzin, dice: «Gentiloni
è il nostro presidente e speriamo
lo sia anche in futuro».
Il presidente del Consiglio detta la
linea: «La nostra coalizione è
l'unico pilastro possibile per la
sfida della prossima legislatura.
Una coalizione a trazione Pd forte
sarà il pilastro di qualsiasi
futura governabilità». E ricambia la
gentilezza nei confronti degli
alleati moderati: «C'è grande
bisogno del contributo di Cp nella
nostra coalizione. La grande
stagione di riforme dei governi guidati
dal Pd senza di voi non sarebbe
stata possibile. Siete stati
fondamentali e lo sarete anche in
futuro».
Beatrice Lorenzin posa
insieme a lui nel Tempio di Adriano
in una foto di gruppo con il
ministro Gian Luca Galletti, Dellai
e Pier Ferdinando Casini. E, con
una frecciata sottile sulle
candidature, sottolinea che «la sfida del
futuro è quella della salute e non
la vittoria a Bologna, Modena,
Milano».
Salvini a
Berlusconi: è più quello che ci unisce
E il
centrodestra si ricompatta
ROMA «Silvio, è molto più ciò che ci
unisce che ciò che ci divide!». È
quasi una dichiarazione quella di
Matteo Salvini a Berlusconi, dopo
settimane di polemiche sulle
fratture nel centrodestra. L'occasione è
l'incrocio delle interviste di Lucia
Annunziata ai due leader. Novanta
minuti divisi tra il segretario
della Lega, in collegamento, e il
presidente di Forza Italia, ospite
in studio.
Nel passaggio di
testimone, i due hanno il tempo di
scambiare qualche battuta. «Hai
espresso con grande chiarezza
posizioni che sono comuni», conferma
Berlusconi. E coglie l'occasione per
ricevere l'assist di Salvini
sulla questione del condono. Pochi
minuti prima il leghista aveva
difeso il leader azzurro liquidando
le dichiarazioni dei giorni scorsi
come «fraintendimenti».
«Hai ragione - insiste il Cav - non
ho mai parlato di condono: ho
detto semplicemente che quando si
tratta di abbattere case bisogna
vedere chi ci vive dentro, se
famiglie con figli piccoli, nuclei
fragili». Berlusconi ricompatta il
fronte a destra sui fondamentali
del programma, contrasto
all'immigrazione e sicurezza in cima: «Seduti
a un tavolo siamo riusciti in quello
che la Merkel non è riuscita a
fare: trovare l'accordo su 10 punti
essenziali». Su questi, assicura,
«la distanza tra Fi, Fdi e Lega non
esiste».
Murgia
aggiorna l'agenda: «La mia destra è differente»
Il
deputato di Fratelli d'Italia: punteremo di più su cultura e ambiente
«Mi piace una destra che riscopre
valori come la cultura e l'ambiente.
La mia destra è diversa».
Sembra lo slogan di una banca.
«Ma esprime l'idea di un'alleanza al
passo coi tempi, in cui Fratelli
d'Italia può portare temi che Forza
Italia e Lega trascurano».
Non è mai stato facile etichettare
Bruno Murgia, politico lontano dai
toni da stadio e amante del dialogo,
senza però annacquare
l'indiscussa militanza a destra: «Ma
con una visione interclassista»,
spiega il deputato di FdI, «attenta
alla ricerca e all'istruzione,
capace di leggere la società di
oggi».
Dopo tanti anni si ritrova ancora in
un'alleanza guidata da
Berlusconi. Che effetto le fa?
«Non so se è guidata da Berlusconi.
So che è un'alleanza naturale,
dopo tanti governi non nati dal voto
degli italiani. E anche
obbligata, con questa legge
elettorale».
Ma se vincete chi sarà il premier?
Berlusconi?
«Lo vedremo dal 5 marzo. Penso che
debba indicarlo il partito che
prende più voti».
Se non sarà il suo, come premier
meglio Salvini o un forzista?
«Ora penso solo al risultato di FdI.
Il premier dovrà essere quello
che va bene a tutti gli alleati».
Se finiste all'opposizione, meglio
Renzi o Di Maio al governo?
«Questo è un film horror... io amo
quelli a lieto fine, non riesco a
scegliere tra i due: combatterei
entrambi duramente».
E se fosse un governo Pd-FI? Potrebbe
mai votarlo?
«Mai. I leader della nostra
coalizione lo escludono, per i sondaggi ci
basta poco per avere la maggioranza.
In ogni caso FdI è contro inciuci
e patti del Nazareno. E il 18 a Roma
firmeremo l'impegno a non
cambiare casacca, se eletti».
Qual è la funzione di Fratelli
d'Italia in questa coalizione?
«Rappresentare alcune idee della
destra tradizionale sullo Stato, il
presidenzialismo, il libero mercato
ma con attenzione ai più deboli.
Unite però a temi non tipici del
centrodestra: anzitutto la
valorizzazione dei beni culturali in
chiave economica e sociale, per
produrre posti di lavoro e
benessere. Dovremmo investire in
biblioteche, spendere l'1% del Pil
in cultura anziché lo 0,5».
Tremonti diceva che...
«...con la cultura non si mangia,
già: lui smentisce di averlo detto,
e comunque sono in totale
disaccordo. Mi occupo di questi temi da 25
anni: la cultura può dare lavoro».
Altri temi della “nuova” destra?
«L'attenzione all'ambiente. Prima di
costruire ancora, dobbiamo
anzitutto rigenerare l'esistente».
Sembrano discorsi di sinistra.
«Io dico da tempo che non devono
essere lasciati alla sinistra».
Cosa pensa della flat tax?
«Mi va bene una tassa piatta, magari
non al 15% ma al 20-22, riducendo
imposte regionali e indirette. E
bisogna sostenere le piccole e medie
imprese, più che le grandi».
Sull'immigrazione la distanza dalla
sinistra è più ampia?
«Sì. L'Italia non può accogliere
tutti i migranti, è giusto aiutarli a
casa loro e fare prima gli interessi
dei sardi e degli italiani. La
solidarietà è doverosa, ma qui c'è
un business dell'accoglienza che
vale 5 miliardi ed è pure gestito
male».
Come valuta i fatti di Macerata?
«Come esempi della follia umana, da
una parte e dall'altra. Non li
userei nel dibattito politico».
Intende dire che i nigeriani
presunti omicidi non sono colpa
dell'immigrazione, e gli spari di
Traini non sono colpa di Salvini?
«Esatto. Gli scemi ci sono ovunque,
assurdo incolpare Salvini. E la
delinquenza legata all'immigrazione
incontrollata c'è, ma si vede
nelle rapine, lo spaccio, i rioni
metropolitani in mano agli
stranieri».
Si rischia un nuovo fascismo?
«Non ho nostalgia del Ventennio e
non sto con CasaPound, ma non vedo
nessun pericolo autoritario: né
fascista, né anarco-comunista».
Che cosa proponete per l'Isola?
«Un progetto di governo basato sul
riequilibrio delle risorse,
l'istruzione, il turismo di qualità.
E una forte scommessa su
allevamento e agroalimentare».
E delle industrie in crisi che cosa
dovremmo fare?
«Siamo culturalmente contro la
grande industria, che ha creato
inquinamento e disoccupazione, si
pensi a Ottana. Ma mi pongo il
problema degli operai senza lavoro:
bisogna salvare ciò che può essere
salvato. Senza promesse vane: sogno
una politica che abbandona il
clientelismo, il do ut des».
Cosa pensa della proposta del M5S di
un reddito di cittadinanza?
«Penso che serva lavoro vero. Temo
che i soldi spesi per quelle misure
producano altre povertà: li userei
invece per ridurre la pressione
fiscale e favorire le assunzioni a
tempo indeterminato».
E dei fermenti indipendentisti?
«Li rispetto molto, ma sono
autonomista. Mi sento sardo e anche
italiano, vorrei una Sardegna forte
in Italia e in Europa. Il problema
è avere una classe dirigente forte.
Amo la figura di Attilio Deffenu,
un antiprotezionista che rifiutava
l'idea di una Sardegna lagnosa, non
implorava aiuti. Siamo un'isola, ci
spetta un giusto riequilibrio».
Il referendum sull'insularità è la
strada giusta?
«L'ho firmato. Ma la vera sfida è
vincere le elezioni e governare per
fare cose concrete per i sardi. Non
abbiamo mai avuto governi amici,
neppure con Tremonti: la questione
sarda, intesa come rivendicazione
verso lo Stato, c'è tutta».
Luciano Uras propone che tutti gli
eletti in Sardegna si uniscano su
alcuni punti chiave: condivide?
«Certo, se eletto sarò disponibile.
È già capitato, in commissione
Cultura alla Camera ho collaborato
spesso con Caterina Pes del Pd».
A quale risultato può aspirare FdI
in Sardegna?
«Sono ottimista, tanti si stanno
riavvicinando. Il 6-7% è alla nostra
portata, e anche la vittoria in
collegi difficili come il mio. Sarebbe
un bel segnale per le Regionali».
Giuseppe Meloni
La
Nuova
m5s, Di Maio, grane su rimborsi e
massoneria
La questione rimborsi e una
stilettata agli altri candidati premier:
«un confronto? ma non vedo
interlocutori». Dopo giorni sotto
pressione, Luigi Di Maio passa al
contrattacco: grande stampa, Renzi e
Berlusconi gli obiettivi del capo
politico M5S nel corso di una
domenica elettorale trascorsa in
Campania, tra Avellino e Salerno. Ma,
sulla campagna di Di Maio, piomba il
caso Catello Vitiello, candidato
all'uninominale di Castellammare di
Stabia e, secondo Il Mattino,
legato alla massoneria. E tra
Vitiello e i vertici del Movimento è
scontro aperto. «Non sono più
iscritto al Goi, non mi ritiro», spiega
Vitiello. «Sarà diffidato dall'uso
del simbolo», è la secca replica
del M5S.
La «grana» Vitiello va a sovrapporsi
al caso dei rimborsi
«fantasma» dei parlamentari Andrea
Cecconi e Carlo Martelli. Nel
frattempo, Di Maio da Salerno passa
al contrattacco. «Solo un problema
di contabilità, ieri abbiamo fatto
le verifiche e quello che è venuto
fuori è solo un problema di
contabilità del Mise e del Mef.
Sostanzialmente gli ultimi bonifici
che stiamo facendo in questi
giorni, non per correre ai ripari ma
perché stanno scadendo le ultime
rendicontazioni, non sono stati
ancora accreditati sul conto, ma
risultano sul nostro sito internet»,
spiega il candidato premier che
accusa i grandi mezzi d'informazione
di usare due pesi e due misure
nei confronti del M5s.«Vedo ancora
una grossa sproporzione
dell'informazione italiana nei
nostri confronti. Noi abbiamo
dimostrato che se c'è qualcuno che
fa il furbo noi lo mettiamo fuori».
la presenza di entrambi alla
trasmissione di Rai3 «In mezz'ora
più», Silvio Berlusconi e Matteo
Salvini colgono l'occasione per
ricucire i rapporti nella coalizione e
smentire ogni ipotesi di divisione
interna. Il leader della Lega nel
salutare il Cavaliere ricorda come
«siano più le cose che uniscono
rispetto a quello che ci divide».
Gli fa eco l'ex premier convinto che
sui temi divergenti si troverà una
sintesi. Insomma, a tre settimane
dal voto, l'intento dei leader del
centrodestra, compresa Giorgia
Meloni, è quello di mettere da parte
i nodi e consolidare il vantaggio
della coalizione rispetto agli altri
competitor.
Ed un tema su cui i
tre sembrano concordare è quello in
questo momento più di attualità e
cioè la questione della sicurezza.
«Sono d'accordo con Salvini - dice
il leader Fi - il fascismo è morto».
Sulla stessa linea la leader di
Fratelli d'Italia Giorgia Meloni che
non esita a definirsi «razzista»
verso quei manifestanti che a
Macerata «hanno inneggiato all'eccidio
delle foibe e non hanno speso una
parola per Pamela, uccisa e fatta a
pezzi da un nigeriano che non doveva
stare nemmeno in Italia». Per la
presidente di Fratelli d'Italia in
questo momento «ad essere razziste
sono le istituzioni verso gli italiani».
Poco importa dunque se in
realtà su alcuni capitoli centrali
del programma di governo, come
«flat tax» e abolizione o meno della
legge Fornero, in realtà i
distinguo siano netti. Così come lo
scenario post elettorale è un tema
che rischia di dividere i tre
alleati. L'ex premier mette le mani
avanti smentendo l'idea di un suo
sostegno ad un governo di scopo e
richiama quanto previsto dalla
Costituzione: «La Carta - ricorda
Berlusconi - dice che un governo in
carica deve esserci, noi ce
l'abbiamo e con quello si tornerà al
voto senza una maggioranza».
Nessun accenno alla durata
dell'esecutivo guidato da Gentiloni. La
pensano diversamente invece sia il
segretario della Lega che la
Meloni. «Se non ci sono i numeri si
torna a votare subito - ribadisce
Salvini - secondo voi io posso dare
la fiducia ad un governo
Gentiloni?». Stessa linea per la
leader di Fdi: «Senza una maggioranza
si ritorna a votare e si dirà anche
che questa legge elettorale che
noi non abbiamo votato era
sbagliata».
Ed è per ribadire che Fratelli
d'Italia non sosterrà nessun
esecutivo di larghe intese che la Meloni
ha chiamato a raccolta il suo
partito domenica 18 febbraio per una
manifestazione anti inciucio a cui,
nelle sue intenzioni, avrebbero
dovuto partecipare anche Lega e Fi
che invece hanno declinato. Salvini
non esclude che si possa tenere
un'iniziativa comune, ma non risultato
appuntamenti fissati.di Michele
EspositowROMAIn campo, come «pivot»
della coalizione di centrosinistra.
Il premier Paolo Gentiloni plasma,
la sua campagna elettorale parallela
a quella del segretario Pd Matteo
Renzi. Una campagna più
istituzionale, più governativa, che ieri lo ha
visto lanciare la gamba centrista
della coalizione, la lista Civica
Popolare. Ed è dalla coalizione
dell'attuale governo che il premier
vuole partire.
«L'Italia non ha alternativa, se non
quella che la
faccia sprofondare, ad una seconda
stagione delle riforme», sottolinea
il capo dell'esecutivo rimarcando la
responsabilità, per la coalizione
al governo, di «non disperdere le
cose fatte». La platea dei centristi
applaude convinta. Anche perché il
premier ne esalta la «coerenza e il
coraggio» ricordando come, senza Ap,
le riforme del governo a guida Pd
non sarebbero state possibili e
anticipando che «il contributo» al
prossimo governo sarà fondamentale.
«Non riconsegneremo l'Italia a chi
professa la paura» è la battaglia
anti-populismi e anti Lega e M5S che
lancia Beatrice Lorenzin, leader di
una lista che, sul palco del
Tempio di Adriano, vede Pier
Ferdinando Casini, Lorenzo Dellai,
Giuseppe De Mita e Ignazio Messina.
E se Casini sottolinea che «chi
vota FI o NcI vota Salvini», Dellai
anticipa quel ruolo di
«stabilizzatori» che, se la soglia
del 3% sarà superata, potranno
avere i parlamentari di Cp: «spero
che Gentiloni sia il nostro premier
anche in futuro». Sul suo ruolo nel
post-voto, ovviamente, Gentiloni
non profferisce parola. Ma il suo è
un discorso da leader. «Abbiamo
recuperato qualche punto su un
centrodestra fortemente influenzato
dagli estremismi, ed è un bene per
l'Italia. La sfida è aperta e io ci
credo», è la premessa del premier
che difende il recente rinnovo dei
contratti pubblici («non è una
regalia ma un impegno mantenuto») e
sottolinea come, sul tema del lavoro
e su quello di una crescita che
non riduce le diseguaglianze, la
strada sia ancora «lunga». Ed è una
strada che, per il premier, solo il
centrosinistra potrà percorrere:
«una coalizione a guida Pd è l'unico
pilastro possibile per il governo
nella prossima legislatura»,
sottolinea, inserendo «conti in ordine e
riduzione del debito pubblico» tra
le priorità del centrosinistra e
tornando sui fatti di Macerata: «il
bisogno di sicurezza degli
italiani non è fittizio ma è
meschino e irresponsabile soffiare sulle paure».
Il raid di Macerata, tuttavia, continua
a dividere non solo Pd
e Liberi e Uguali, ma anche Dem e
alleati. «Non andare in piazza, per
il Pd, è stato un errore, è
sconsiderato abbassare i toni», osserva la
presidente della Camera Laura
Boldrini laddove anche la leader di
«+Europa», Emma Bonino, incalza: «A
Macerata in piazza ci dovevano
essere tutti, se era un nero che
sparava a italiani sarebbe successo».
A rispondere a Leu è il
vicesegretario Pd Maurizio Martina («lasciamo
le polemiche agli altri, noi al
fianco con Anpi») mentre Matteo Renzi
attacca «la deriva pistolera della
Lega». E dalla Toscana, il senso
del messaggio di Renzi è del tutto
simile a quello di Gentiloni: «se
il Pd non vince il problema è
dell'Italia», spiega l'ex premier nel
corso della sua pedalata alle
Cascine e prima di pranzare e
riallacciare i rapporti con il
presidente dell'Anpi Firenze, Silvano
Sarti: «Il rifiuto al nazifascismo è
chiaro», è il messaggio di Renzi.
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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